Cantate poeti

Sarà la poesia a salvare il mondo…
Sono emersi dal silenzio in cui relega il rumore disordinato della superficialità e si sono chinati sul dolore del mondo, ascoltandone le voci, contandone le lacrime, trovando parole di conforto e di speranza: sono i poeti. Perché la poesia, “allodola di fuoco”, “accendere le persone, passare sugli occhi e sulle labbra, sfiorando il cuore” ( Davide Rondoni ).

Venite poeti,
cantate per me
fatemi tremare ad ogni verso!
Ecco m’involo
con l’anima nelle
malinconiche immagini
che evocate con maestrìa.
È il vostro sentìre
che riempie il cuore
e gli occhi di lacrime.
Oh cantate poeti!
Siate seme fecondo
che farà germogliare la terra,
piacerà a Dio…
Se ha creato
cuori gentili e
mani nobili,
che in ogni tempo
seppero tramutare
emozioni in parole,
forse un po’
ci toccò il Paradiso
su questa terra.

Imma Paradiso

Accoglienza ed evangelizzazione oggi in un piccolo paese… centro del mondo

Benvenute Suor Anastasia e Suor Violetta dal Kenya

Tutti i giorni ci vengono consegnate 24 ore per scrivere una página quotidiana della nostra storia.
A volte ci vengono dati gli strumenti che spetta a noi saper accogliere per utilizzare al meglio affinché divengano le pagine più interessanti e più belle del nostro libro che quando si ha l’opportunità di condividere con tanti amici e persone vicine e lontane saranno elette per scriverle nel grande libro della storia del mondo dal quale ognuno può e potrà attingere messaggi positivi di buona vibrazione energetica, benefici per se stesso e per coloro che lo circondano.
Così è stata una delle più belle pagine dettate dal cuore e scritte da noi della comunità di San Giuliano di Puglia durante la cerimonia dell’accoglienza delle Suore di Maria Immacolata di Nyeri venute dal Kenya.
All’inizio della Santa messa Don Pietro nel presentare le suore ai fedeli presenti ha posto l’accento sull’importanza della vocazione e della missione che sono i cardini dell’evangelizzazione, spinte  da spirito altruista per essere dono e noi essere per loro come angeli custodi.
Sono stati momenti molto intensi di emozioni e di fratellanza,  dopo la celebrazione della Santa messa di condivisione di dolci preparati dalle famiglie appositamente per scambiare gli auguri di benvenute alle Suore per conoscersi e per constatare, com’è accaduto, che sembrava di essere stati sempre amiche ed è la realtà tangibile che siamo fratelli e sorelle di questo mondo.

Oggi 30 Luglio 2022 siamo riuniti tutti noi della comunità parrocchiale di San Giuliano martire, sacerdote Don Pietro Cannella della Diocesi Termoli – Larino 
Anche se non è presente,  S. E. il Vescovo Gianfranco De Luca, per prima cosa, vogliamo ringraziare per averci fatto un’ulteriore dono speciale a distanza di circa 5 anni dalla data del 10 dicembre 2017 quando accogliemmo le 3 Suore di Maria Immacolata di Nyeri – Kenya: Suor Consolata, Suor Lidia e Suor Wilfrida, quale dono alla comunità per un proficuo impegno pastorale e missionario per diffondere la parola e l’esempio evangelico in questi tempi sociali storici difficili in tutto il mondo e per un cambiamento positivo è possibile iniziando proprio dalle piccole realtà comunitarie.
Noi abbiamo lo stesso entusiasmo di quel giorno, oggi, nell’accogliere Suor Anastasia e Suor Violetta, sulla base dei risultati eccellenti visibili e tangibili con l’amicizia e l’attenzione in Parrocchia delle Suore già parte del nostro paese, nella certezza che tutto sarà raddoppiato con il nuovo regalo di altre due Suore che accogliamo in un abbraccio spirituale e fisico ringraziando anche Suor Lidia e Suor Consolata e dicendo
Benvenute tra noi a Suor Anastasia e Suor Violetta.
San Giuliano di Puglia, 30 Luglio 2022

Dedica di Elisa Mascia

Accoglienza ed evangelizzazione oggi in un piccolo paese centro del mondo…

Accoglienza ed evangelizzazione oggi in un piccolo paese centro del mondo

La comunità di San Giuliano di Puglia accoglie due nuove suore dal Kenya

Foto della cerimonia a cura di Elisa Mascia per cortese approvazione del parroco don Pietro Cannella che ringrazio

L’amore disperato, Cesare Pavese

Verrà la morte e avrà i tuoi occhi è una poesia di Cesare Pavese, ma è anche il titolo della raccolta omonima nella quale venne pubblicata, postuma, nel 1951, a seguito del suicidio del poeta. La poesia racconta ed esprime il dolore scaturito dalla delusione amorosa patita dal poeta per l’attrice americana Constance Dowling.

La raccolta di poesie comprende dieci componimenti, di cui otto in italiano e due in inglese. Le poesie sono state tutte scritte tra l’11 marzo e il 10 aprile del 1950 a Torino. Furono ritrovate tutte tra le sue carte dell’autore dopo la sua morte.  In questi versi troviamo  diverse letture della morte: essa viene considerata una presenza costante nella vita. Quasi un ospite indesiderato, qualcosa della quale non possiamo mai liberarci, che non si esaurisce soltanto nel momento in cui si verifica, ma che permea l’intera esistenza. Nella poesia è forte il contrasto tra la vista e l’udito. Da un lato si trova la vista, gli occhi, il mondo degli sguardi, la comunicazione non verbale; dall’altro troviamo invece le orecchie sempre sorde e le grida sempre mute. Infine la poesia si chiude con la speranza che è solo una vana illusione.

Verrà la morte e avrà i tuoi occhi-
questa morte che ci accompagna
dal mattino alla sera, insonne,
sorda, come un vecchio rimorso
o un vizio assurdo. I tuoi occhi
saranno una vana parola
un grido taciuto, un silenzio.
Così li vedi ogni mattina
quando su te sola ti pieghi
nello specchio. O cara speranza,
quel giorno sapremo anche noi
che sei la vita e sei il nulla.

Per tutti la morte ha uno sguardo.
Verrà la morte e avrà i tuoi occhi.
Sarà come smettere un vizio,
come vedere nello specchio
riemergere un viso morto,
come ascoltare un labbro chiuso.
Scenderemo nel gorgo muti.

*Questi versi sono splendidi e terribili, un vero atto d’accusa… identificare la morte con gli occhi di chi si ama. Di colei che poteva essere il sole della speranza, la salvezza e diventa uno sguardo chiuso che lo porterà inesorabile nel gorgo muto.  Ma in realtà il mal di vivere di questo splendido e profondo poeta era un’ombra che lo accompagnava da tutta la vita forse aveva solo bisogno di chi ascoltasse quel grido taciuto.

L’amore disperato, Cesare Pavese

Le poesie d’amore che Pavese ha scritto per Constance Dowling – pubblicate in una raccolta dal titolo eloquente, Verrà la morte e avrà i tuoi occhi – sono tristi sì, ma anche bellissime. Il dolore della perdita si mischia al ricordo dell’amore e il risultato è di una tristezza profonda, ma splendida. Questa poesia, all’inizio della raccolta, è la meno triste. Non c’è il dolore dell’abbandono, solo il paragone vivissimo tra il grigiore del mondo e la donna, che rappresenta la luce e il risveglio.

‘Tu eri la vita e le cose’

Lo spiraglio dell’alba
respira con la tua bocca
in fondo alle vie vuote.
Luce grigia i tuoi occhi,
dolci gocce dell’alba
sulle colline scure.
Il tuo passo e il tuo fiato
come il vento dell’alba
sommergono le case.
La città abbrividisce,
odorano le pietre –
sei la vita, il risveglio.

Stella sperduta
nella luce dell’alba,
cigolìo della brezza,
tepore, respiro –
è finita la notte.

Sei la luce e il mattino.

Cesare Pavese

Si può morire per amore? Probabilmente la perdita della donna amata fu una delle causa che spinse il poeta al suicidio. Questi versi così belli ed intensi esprimono bene ciò che provava,
l’amore era la luce nel buio, il risveglio alla vita…la speranza che finalmente la sua lunga notte fosse finita.

RECENSIONE A ” L’ONORE E LA DIGNITA’ ” di Santina Gullotto

RECENSIONE A ” L’ONORE E LA DIGNITA’ ” di Santina Gullotto

Grazie Annamaria Risi 

Per la tua recensione

RECENSIONE A ” L’ONORE E LA DIGNITA’ “

Cercare con il cuore, sentire con il cuore, andare oltre, sconfiggere il destino e aprire l’anima a nuovi insperati orizzonti. Santina Gullotto, nel suo splendido diario di vita, sembra ricordarci ad ogni passo che le sconfitte sono le svolte migliori, perchè ci costringono a pensare in modo diverso e creativo. La medicina amara che certe volte bisogna ingoiare perchè è necessaria per guarire. Con una scrittura fluida ed essenziale, la scrittrice ci conduce attraverso gli anni, e in una terra dove poco è permesso e molto è vietato, dove sono troppi i padroni e poca la libertà di andare dove ci porta il cuore. Il racconto di vita è permeato da una forte, radicata fede in Dio, che costituisce l’elemento e lo strumento per superare la malattia, la morte, le disgrazie, le ingiustizie, per risalire l’onda che continuamente toglie il respiro ai giorni. La forza e il coraggio sono gli aspetti dominanti di una donna che pennella con il cuore un viaggio difficile, tortuoso, impervio, per arrivare ad un ritrovato equilibrio dove le scorie sono frammenti del passato che hanno determinato il presente. Nessun eccesso, nessun pietismo, emergono dal pensiero di Santina, che si espande libero, senza nessuna remora, quasi a toccare lievemente le corde del lettore. Un viaggio tutto umano, nelle umane cose, nei giorni di una vita che ritrova nella “LUCE”, il suo faro, una guida che non tradisce mai, ma che illumina il buio e lo rischiara dalle ombre.

Un testo da leggere, da ricordare, perchè in esso sono contenuti ed espressi tutti i valori più alti dell’esistenza.

ANNA RISI. 

Ho letto questo libro in due giorni, cercando di cogliere ogni piccolo frammento e respiro che scaturiva dalle righe, da un racconto che, seppur nella sua crudezza, sapeva di speranza, odorava di forza e coraggio. E’ stato un onore per me, aver lasciato un segno della mia emozione nel leggerti

Lucia Triolo: dies natalis

All’ angolo, lì dove la strada quasi sbatte
contro di sè
quella sagoma,
indefiniti i contorni,
non vuol dir nulla.
È solo un mucchietto
senza sguardo
ne’ voce,
non so da dove venga.

Il giorno che pensa a me
è solo una raccolta di telecomandi rotti
-con le batterie scariche
e una stirpe regale di chips-
eroi sconfitti di insondabili realtà virtuali
cui credere per fede
Una rivisitazione dell’al di là?
Qui non si dice ne’ si ne’ no
e la morte non lascia traccia.

Ma io muoio davvero
Quando la mia tenerezza
invaderà il mondo?
Quando lo accenderà
di fiamma e luce?


Ecco sarà compiuto
il tempo
mio
e il mio
insognabile sogno.
Ecco sarà il giorno
in cui nacqui
alla fine.

IL MARE DENTRO, di Teresa Tropiano

IL MARE DENTRO

Tra le rocce s’insinua,

irruente, dominante,

immenso, impetuoso,

mare travolgente.

Tra i marosi la forza,

devastante bellezza,

prorompente e sinuosa

la marea mi travolge.

Rivoli di spuma

su frangiflutti d’argento

scorrono, scivolano

nel profondo dell’anima.

E l’energia viene a me,

con me, dentro me.

Teresa Tropiano

Scoglio dell’eremita

Polignano a mare

Foto di Giuseppe Calogero

Iran, devastanti inondazioni vicino a Teheran: danni e strade allagate.

Iran, devastanti inondazioni vicino a Teheran: danni e strade allagate.

Agenzia ANSA

@Agenzia_Ansa

Iran, devastanti inondazioni vicino a Teheran: danni e strade allagate. 

I media statali trasmettono dei filmati che mostrano le alluvioni nei pressi della capitale #ANSA 

Questo video, ogni tanto, va semplicemente riproposto. Perché si, lui aveva capito tutto

Questo video, ogni tanto, va semplicemente riproposto.

Perché si, lui aveva capito tutto

okapi™

@ilciccio67

Questo video, ogni tanto, va semplicemente riproposto. Perché si, lui aveva capito tutto.

“Teresa” di Daniela Piu

Attraverso una narrazione solida e articolata magistralmente, si svolge la storia di Teresa, risalendo a circa trent’anni di distanza, e descrivendo un rapporto speciale  con questa donna singolare e piena di umanità. Nel racconto di una donna, che all’epoca aveva nove anni, si percepisce un affetto e una sintonia che rimarcano effettivamente la mia idea che, pur se non esistono legami di sangue, l’affetto si può costruire su basi quali la fiducia, l’attenzione e la sincerità, ma soprattutto la cura con cui si creano rapporti tra esseri umani. E’ un racconto vivido,che  irradia una luminosità poetica e rende tangibili attimi di vita indimenticabili. Un applauso all’autrice per l’uso di uno stile narrativo accurato ed elegante. [ Maria Rosaria Teni]

“Oh, mamma mia, è tempo da torte!”
Truman Capote

Immagina una luminosa mattina di giugno, più di trent’anni fa. Il sole entra dritto dritto nell’interminabile corridoio di graniglia dell’appartamento di Teresa. Il portone è spalancato perché ha passato lo straccio e sta lasciando asciugare il suolo lavato con un detersivo che profuma di lavanda.

Lei non si vede perché è nel bagno dove sta svuotando il secchio, eppure la si sente cantare a voce spiegata una canzone di Sergio Endrigo. Teresa è convinta di poter partecipare al Festival di Sanremo essendo così intonata e possedendo una voce tanto singolare: “Un figurone farei – mi ripete ogni volta che descrive il suo debutto sognato – mi vestirei con il mio vestito di seta rosa”, il suo preferito, che indossa solo per la messa della vigilia di Natale, quella di mezzanotte.

Appena il pavimento si asciuga la raggiungo di corsa, percorrendo quel lunghissimo corridoio a elle che nasconde, nell’ultimo tratto appena girato l’angolo, le porte del bagno e della cucina. Lei sta ancora cantando: “Tereeesa, quando mi hai dato il primo bacio sulla bocca…”, e si accinge a stirare.

Io ho appena compiuto nove anni e adoro questa donna alta e magra, con i capelli a caschetto tinti di biondo cenere. Teresa non è mia madre, eppure le voglio bene come se lo fosse e glielo dimostro correndo da lei ogni volta che posso. Passo quasi tutto il mio tempo con lei, i miei genitori non ci sono mai e quando ci sono urlano e mi maledicono tanto che scappo in fretta in fretta nella porta accanto, quella di Teresa. “Sembri mia figlia, SEI mia figlia. Siamo uguali io e te”, me lo ripete da molti anni e io ci credo, anche se so che siamo solo cugine e molto alla lontana per giunta.

Mi ha tagliato i capelli come i suoi, con la frangetta a metà fronte, e appena sarà tempo di mare anche a me diventeranno biondi. Aspetto il sole d’estate per tutto l’anno apposta per diventare bionda come lei. Oggi è lunedì e vado con Teresa dalla lattaia per fare la spesa. C’è in quel piccolo negozio talmente tanta roba buona stipata da non credersi. Il bancone di acciaio è ornato di grandi vasi di vetro pieni zeppi di caramelle, cioccolatini, liquirizie, arrotolate o farcite, poi c’è la frutta candita… ma a me piacciono i moretti, vado matta per i moretti!, così Teresa me ne compra uno tutte le volte che entriamo. La lattaia invece mi regala i boeri, che Teresa mi sequestra appena uscite dal negozio per mangiarseli lei. “Hanno il liquore, per carità! Fanno male al pancino”. Tanto io sono troppo occupata ad addentare il mio moretto senza perdere neanche una goccia di quella panna dolce e compatta che il cioccolato nasconde.

Appena arrivate a casa so già cosa faremo. “Tereeesa, quando ti ho dato quella rosa, rosa rossa…”, lei canta contenta mentre riempie la terrina con i rossi d’uovo, gli albumi vanno nell’altra. Facciamo la più buona torta del mondo, quella di Teresa. Una volta che ha finito di amalgamare le uova e lo zucchero, la teglia imburrata e infarinata, versataci dentro la miscela, finalmente arriva il mio turno di lavoro: ripulire bene la terrina con un cucchiaino e, se voglio, anche con la lingua. Che delizia! Nella cucina si spande il profumo della torta che cuoce, si mischia a quello del limone grattugiato per la crema e dell’alchermes. Anche il corridoio sa di buono, di vanillina e burro.

A una certa ora arriveranno i suoi amici, come tutte le sere, e io rimarrò in cucina buona buona a guardare la televisione, mentre lei starà con loro per un po’, nella stanza vicino all’ingresso. È una bella cameretta con la tappezzeria a strisce fatte di tante piccole rose intrecciate che vengono giù dal soffitto; si affaccia sullo scalone che scende verso il cortile. C’è un grande divano bianco come la neve che la sera diventa un lettone dalle lenzuola candide nel quale mi è capitato di dormire a volte, accanto a Teresa. Troppo poche rispetto a quelle che mi sarebbe piaciuto, i miei mi vogliono a casa la sera.

Teresa ha delle camicie da notte di morbido chiffon che sono un vero schianto, tutte pizzo e nastri. Ha promesso che me ne regalerà una quando mi verranno le mie cose. Gli amici di Teresa sono tutti gentili con me, dei signori con le tasche sempre piene di monetine da regalare. Sono tanti, talmente tanti che non li riconosco uno dall’altro. Capisco che tolgono il disturbo quando Teresa si mette a cantare sotto la doccia: “Amaaare come sai tu non sa nessuna…”. Spengo la tele e vado ad aiutarla, le passo il guanto di crine sulla schiena e le porto gli asciugamani puliti dall’armadio a muro del corridoio. Quel lunghissimo corridoio tirato sempre a lucido, scintillante, e con i vasi colmi di rose che le portano i suoi amici. Rose rosse.

La toilette di Teresa dura a lungo e io ne faccio parte, sono la sua cameriera tuttofare. Le porto gli attrezzi del mestiere mentre lei sta seduta davanti alla specchiera: le spazzole cilindriche sottili come un aspide per la frangetta, quelle larghe come un’anaconda per il resto dei capelli, fon, pettini, forcine, forbicine, la lima, lo smalto è rosso come il sangue, pinzette, ceretta, pennelli e make-up… eccola ritornare splendida e in ordine come al solito.

Anche se lei dice di essere una delle più belle donne della città, Teresa non è bella. È magrolina, quasi non ha seno, non raggiunge il metro e settanta. Le cosce sono troppo grosse rispetto al resto del corpo, con i segni della cellulite di cui si lamenta mentre si strofina con un unguento che dovrebbe ridurla, fatica sprecata. Il viso è sottile, pallido, e per questo si tinge i capelli di biondo, perché se li lasciasse castani scuri come li ha al naturale, sembrerebbe una morta, così dice lei.

Ha un nasino alla francese che sembra finto, tanto è bello. Ma gli occhi sono piccoli, verde smeraldo, e lo sguardo è scaltro e superficiale. Le labbra le tinge di rosso fuoco, forzando il contorno con una matita, altrimenti ricorderebbe l’imboccatura di un salvadanaio. Eppure quando si alza dal tavolo della toilette, ancora in accappatoio, a me pare una stella del cinema pronta per il tappeto rosso. Non ho dubbi che sia una delle più belle donne della città, quando me lo ripete.

Ha già ricevuto mille proposte di matrimonio a cui risponde sempre di no. Perché dice no? Glielo chiedo spesso, e lei mi sorride furbetta quando mi spiega che per lei quel no è la libertà. Non potrebbe avere un marito, perché i mariti sono bravi solo a dare ordini e lei non sa obbedire. Sono malmostosi e lei ama l’allegria. A Teresa piace ridere e cantare, le piace stare serena. Mi ricorda il clima teso e di rappresaglia che si respira a casa mia. “Non si sta meglio da Teresa, eh, chicca?”, mi domanda mentre io annuisco con candore sbattendo le ciglia.

Entra in scena mia madre, quella vera intendo. È piuttosto agitata e rivolge sottovoce a Teresa delle accuse che non riesco a sentire. Sibila come un serpente piccole frasi smozzicate e intanto la strattona con forza. Riesco a percepire un: “se scopro che è…” e poi “me la paghi!”, mi avvicino alla porta della cucina dove le due stanno litigando, cerco di non far scricchiolare le scarpe sul pavimento di graniglia. Teresa sta piangendo quando mia madre lascia la stanza come una furia. Non piangere, cara, ti si gonfia la faccia come una zampogna e le macchie rosse non se ne vanno più via. Mi sente sgranocchiare una caramella fuori dalla porta e singhiozza un: ”Chicca, sei lì?”, così entro e mi siedo vicino vicino, le stringo la mano come per dirle: ti voglio bene. Aspetto che si calmi.

Andiamo a raccogliere frutta per fare le marmellate. Prendiamo l’autobus che ci traghetta alle porte della città, dove il fratello di Teresa ha una casetta circondata da susini e peschi. Dobbiamo fare un pezzo di strada a piedi per arrivare al frutteto, si trova in una valle alle pendici del colle sul quale ci lascia l’autobus. Il sentiero che prendiamo, una scorciatoia che conosce Teresa, è immerso nei lecci. A ogni passo che facciamo è tutto un crocchiare di foglie secche e ramoscelli. Sul ciglio del sentiero, proprio sulla radice di una quercia, sta un uccellino dal petto arancione che ci guarda passare, fiero e tranquillo. Ricambio il suo sguardo spavaldo, lui muove a scatti la piccola coda mentre Teresa passa dritta senza notarlo. Gli sono davanti, è così colorato e tenero, mi fermo stregata a contemplarlo. Teresa si volta non sentendo più i miei passi scricchiolare e: “Oh, un pettirosso!”, dice facendolo scappare preoccupato per tanta attenzione.

Continuiamo la discesa verso la frutta che calda e succosa ci aspetta sugli alberi. Il frutteto è deserto, facciamo un giro di ricognizione per accertarci che il fratello non sia in casa. Nessuno risponde alla porta, quindi svelte svelte ci dividiamo le buste – ne abbiamo prese tre a testa – e cominciamo a riempirle. Le susine più grosse e scure sono già cadute, ne prendo qualcuna dal suolo anche se è già bucherellata dai passerotti. La terza busta è per le pesche che arriveranno a casa già una marmellata. “Non riempirle troppo, chicca, c’è la salita da fare”.

Il pettirosso stava mettendoci in guardia: è la nostra ultima avventura insieme. Cambio casa, vado a vivere in un’altra parte della città, solo con la mamma. Cambio scuola e compagni, dopo qualche anno cambio anche città. Ripenso spesso a Teresa, alla quale spedisco una cartolina carica di baci da ogni posto nuovo che visito – gliel’ho promesso anni fa e non ho mai mancato di parola. Nonostante sia morta da un pezzo continuo a mandarle le cartoline, in quella casa che considero la mia vera casa anche se non ci ho più messo piede.

Ho saputo che è morta proprio in quel lettone dalle lenzuola candide come neve nel quale sognavo ogni notte di poter dormire accanto a lei. In questa particolare giornata di giugno scrivo l’ennesima cartolina da una località marittima famosa per l’isola che le sta di fronte, un tempo proprietà di un industriale dedito alla cocaina. Sono qua per montare un documentario che inizia con una bionda che canta Teresa di Sergio Endrigo, non certo per caso. È la stessa luminosa mattina di giugno, con l’identica gradazione di luce che fa fluire la mente avanti e indietro negli anni, come una moviola. E che mi riporta Teresa qua, accanto a me, più viva e canterina che mai.

Daniela Piu è scrittrice e traduttrice. Nel 2019 ha pubblicato, dopo vari racconti, il suo romanzo d’esordio “Esse di seta”. Nel 2020 è uscito il secondo romanzo dal titolo “Tre ritratti”. Ha firmato alcuni documentari, tra cui “P.I.S.Q.” (2006) e “Magna Istria” (2010), e ha tradotto i primi due romanzi di Isabel Suppé, “Una notte troppo bella per morire” e “Viaggi con Ronzinante”. Il suo ultimo documentario è “Fertilia istriana” (2021).

Una bellezza che è mito : a 60 anni dalla morte Marilyn Monroe resta la diva per eccellenza.Gabriella Paci

Indubbiamente una delle donne più belle e affascinanti di sempre Marilyn Monroe con la sua morte,avvolta tuttora nel mistero,avvenuta il 4 agosto 1962 a soli 36 anni a Los Angeles,dove era nata, è entrata nel mito.

Una morte che ha incrementato gli scoop su questa bionda,dalla bellezza fragile e conturbante in quanto la causa oscilla tra il suicidio attraverso barbiturici e l’omicidio con una supposta velenosa.

Marylin era da tempo depressa e il suo amore impossibile con l’allora presidente degli Usa John Kennedy non l’aiutava ed è stata proprio questa relazione il possibile movente sia del suicidio che dell’omicidio,attuato forse per screditare irrimediabilmente la figura del presidente.

Il suo  vero nome  era Norma Jane che la madre le impone in onore di due attrici che ammirava.

La madre soffre di disturbi psichici e Norma ,senza padre, cresce tra affidi temporanei e orfanatrofi finchè viene presa in custodia da Grace Mc Kee archivista di pellicole alla Columbia Picture nonché amica della madre,alla quale viene diagnosticata la schizofrenia.

Grace appassiona la ragazzina al cinema. Iscritta da lei al liceo vi conoscerà James Dougherty che diventerà suo marito a soli 16 anni  ma il matrimonio durerà solo 4 anni. Durante questo tempo Norma posa per un fotografo e  i suoi scatti arrivano alla più importante agenzia pubblicitaria di Hollywood.

La direttrice dell’agenzia la convince a farsi bionda e nel 1964 ottiene un contratto dalla Fox:cambierà allora il suo nome assumendo quello di Marylin Monroe(il cognome da nubile della madre) e inizierà a recitare in “The shocking Miss Pilgrim “ con un ruolo canoro come anche in “Orchidea Bionda “ dove canta due canzoni.

Non ha fortuna finchè non recita in “Una notte sui tetti “ che la metterà in contatto ,attraverso un talent scout con Jhon Huston che la farà recitare in “Giungla d’asfalto”.

Ma è sopratutto il suo corpo nudo apparso sulla rivista “Play boy “che le dà grande visibilità.Agli inizi degli anni 50 Marylin tenta il suicidio e non ha grandi successi finchè con “Niagara” inizia la sua carriera di femme fatale  e il suo mito che vengono esaltati in film come “Gli uomini preferiscono le bionde “e “Come sposare un milionario”e “la magnifica preda”e  lei recita, canta e balla.

La lavorazione di quest’ultimo film le fa conoscere e sposare il campione di baseball Joe di Maggio.

Unione che dura solo 9 mesi e che si conclude con il film “Quando la moglie è in vacanza” con la scena mitica dell’abito sollevato  dal vento della metro.

Trasferitasi a New York, frequenta l’Actor’s studio  e conosce lo scrittore Arthur Millere che sposa nel 1956. Con il film “Fermata d’autobus “Marylin riceve la nomination al Golden Globe:è il periodo più felice della sua vita.

Produce il film “Il principe e la ballerina “ con Laurence Oliver ma la critica la stronca e la deprime: comincia la crisi del suo matrimonio e l’uso di barbiturici e alcool   e neanche la vincita del Golden globe con “A qualcuno piace caldo” sembra risollevarla da crisi depressive .

Ha conosciuto tuttavia il presidente degli stati Uniti John Fitzgerald  Kennedy con cui inizia una love story che però è per lui solo un’avventura.

Così tra il 1960 e il 1962 Marylin peggiora e viene addirittura allontanata dal set di “Something Gotta “.

A poco giova l’affetto di Robert Kennedy con il quale intreccia una relazione .

Tra il 4 e il 5 agosto viene trovata nuda morta e la sua morte costituisce,come detto un caso irrisolto di Hollywood.

Donna quanto mai bella e fragile ,Marylin ha sofferto da sempre della mancanza di amore e di solitudine e,nonostante l’ammirazione e il desiderio  di milioni di spettatori,non ha forse mai avuto il conforto di essere amata per se stessa e non ha saputo affrontare lo stress di un successo troppo grande che la fagocitava.

Tom Ewell e Marilyn Monroe

.

UN BACIO

I baci, da sempre cantati dai poeti, celebrati, dipinti, vagheggiati, i baci…dati, ricevuti, sognati…eppure il momento più intenso, il rullo di tamburo è quello che precede l’atto, in cui sono gli occhi a baciarsi già pregustando quello che si consumerà con le bocche.

Un bacio
ed un altro
un altro ancora…
Caldi, morbidi,
insistenti, estenuanti,
baci…che iniziano
da uno sguardo,
dal baciarsi
con gli occhi,
già pregustando
la bocca e le
labbra umide,
turgide, invitanti…
Un bacio
ed un altro
e un altro ancora…
Un morire lento
in quell’intenso istante,
dove più niente esiste
solo il battere, furioso,
dei cuori e l’ansìto dei respiri.

Imma Paradiso
Immagine: Dipinto di Ron

SOLENNE MALINCONIA, di Roberto Busembai

SOLENNE MALINCONIA

Saranno i passi dell’inverno

perchè io sento il freddo

che gela sulla pelle

in questa estate strana

dove la noia prevale

anche se non uguale,

il malincuore sovrasta

nelle notti di luna piena

e culla la malinconia

sull’ultima onda leggera

di un mare caldo

che non è naturale,

saranno i passi scalzi

sulle rene e le sabbie

di alghe morte e granchi perduti

i freddi di un inverno

che avremo da vedere.

E sono fermo

come una statua bianca

conforme alla mia natura

di gelido pensiero

che offusca il ridere e scherzare

e spesso lo ripeto

e lo sottolineo:

“ sono stanco”,

e comprendo quando e quanto.

Roberto Busembai (errebi)

Immagine web: by Antonio Soares dos Resi

Il male dentro, di Roberto Negro. Una nuova indagine del Commissario Schilone

Una cosca di ’ndrangheta ed un gruppo malavitoso albanese si contendono il traffico di droga sul territorio di Ventimiglia. Il rapimento del nipote del boss calabrese Salvatore Cannizzaro detto “il vecchio” sposta gli equilibri della contesa. Il commissario Scichilone verrà risucchiato da un’indagine dai contorni cupi che lo condurranno su un territorio in cui i compromessi lo costringeranno a scelte difficili.

Roberto Negro è nato ad Asti il 13.10.1960 e risiede a Perinaldo (IM). È un criminologo che ha prestato servizio per trent’anni nella Polizia di Stato con la qualifica di Sostituto Commissario. Nella sua carriera ha avuto incarichi di polizia giudiziaria anche presso le sedi diplomatiche italiane di Istanbul (Turchia), Karachi (Pakistan) e Colombo (Sri Lanka). Successivamente è stato il Responsabile della Sicurezza e della Tutela del Patrimonio Aziendale del Casinò di Sanremo. Attualmente è titolare dell’enoteca DiVino e… di Perinaldo. Ha collaborato con A.I.FO. (Amici Raoul Follereau – ONG aiuti umanitari) in Brasile – Ceres (Goias) nel progetto Pro – Han per la cura ed il recupero dei malati di lebbra. Con Fratelli Frilli Editori ha pubblicato Il tesoro di Perinaldo (2005), Omicidio ai Balzi Rossi (2006), Bagiue le streghe di Triora (2007), I fuochi fatui (2008), Sinfonia per un delitto (2008), Bocca di rosa (2010), Rien ne va plus (2011), Oltre la giustizia (2012), Anime alla deriva (2013), Il mistero del cadavere senza nome (2016), La solitudine di Adamo (2018)

Alla piccola Diana,Gabriella Paci

(bimba di 18 mesi morta di stenti per l’abbandono della madre)

Aprivi gli occhi sullo stupore del mondo

passerotto senz’ali  disadatto al  volo

senza nido di braccia a difesa  dal male

il  tuo sorriso di latte sbiadito nel vento

e i gorgheggi di bimba negati dal fato.

Ti affacciavi alla vita senza domande

con il tuo sguardo già serio e da grande

come a declinare una storia senza

inizio e già finita nella tua esile vita.

Forse capivi di essere senza futuro

frutto nato su terra infeconda d’amore

tu solo peso da un pugno di mesi 

appeso sul filo dell’abbandono.

Sola nella stanza troppo angusta per

essere vita e troppo ampia per

non aver timore nel buio senza stelle

né ninna nanne a cullarti nel sonno.

Abbracciata a solitudini adulte senza

difesa da ogni offesa del tempo

del rifiuto hai reclinato la  testolina

come una pratolina nel prato arido

della  disaffezione e della crudeltà

prima ancora di poter dire “mamma”

a chi ti ha generato ma non amato.

la piccola Dina Pifferi

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PER ”TI SPACCIO L’INTERVISTA” HO IL PIACERE DI PRESENTARE MACCHIAGODENA, IL SINDACO FELICE CICCONE E IL PROGETTO GENIUS LOCI

PER ”TI SPACCIO L’INTERVISTA” HO IL PIACERE DI PRESENTARE MACCHIAGODENA, IL SINDACO FELICE CICCONE E IL PROGETTO GENIUS LOCI.

Date: 30 luglio 2022Author: irisgdm0 Commenti— Modifica

MACCHIAGODENA, ANTONIO DE ROSSI E LAURA MASCINO PRESENTANO IL LIBRO  “RIABITARE L’ITALIA: LE AREE INTERNE TRA ABBANDONI E  RICONQUISTE" - Molise Web giornale online molisano
Macchiagodena: attesa per il risultato di 153 tamponi dopo il caso di  positività in paese. Il sindaco Ciccone: “Abbiamo lavorato in sinergia con  l'Asrem”. - News Della Valle
Felice Ciccone

Art. di Marina Donnarumma Iris G. DM

Io amo, imbattermi per caso, nel ” per caso” fai le più felici scoperte, ed ecco sbucare un paese incantato, un poco remoto, tra balle di fieno, monti e aria antica, un paese di circa 1600 abitanti, si trova a metà strada tra Isernia e Campobasso, questo paese magico dove le panchine sono libri, e gli uomini raccontano storie, e conosciuto come ” la terrazza sul Matese”, è anche sede nazionale di un network nazionale ” Borghi della lettura”. Aderiscono a questo network, 70 -80 comuni di regioni italiane. Essi promuovono il loro territorio attraverso il libro, come dice il sindaco Felice Cecconi – il libro è l’arma di resilienza.- Un termine che mi ha fatto sobbalzare per l’intensità del suo significato. Il motto di questo progetto è ”portami un libro e ti regalo l’anima”.

Macchiagodena

Se potessi definire Macchiagodena, direi che sta diventando il DNA della cultura, i libri altro non sono che le informazioni di millenni di storia. Sono le informazioni genetiche della terra scritte. Il libro è promotore del territorio e attore principale. A promuovere l’iniziatica è stato il primo cittadino il sindaco Felice Ciccone, il progetto ” Genius Loci”,

Nato nel 2021 ha portato, in estate, oltre 200 persone a soggiornare gratis in questo paese sul massiccio montuoso molisano, senza contare tantissime, altre persone, che sono andate attirate dalle proposte culturali. Il sindaco, Felice Cecconi, ideatore del progetto, per salvare il paese dalla solitudine e spopolamento. Un paese dove i giovani sono andati via, quindi il libro la loro arma di resilienza per attirare e parlare del territorio. Parlando di Macchiagodena, Felice Ciccone dice che a differenza degli altri, lui non ha mai desiderato andarsene, i suoi concittadini gli hanno dato tanto, e lui cerca di tenere costante la fiducia e affetto nei loro confronti.
Ha fatto e fa il contabile da tutta una vita, il suo studio, i suoi rapporti umani, radicati a Macchiagodena, è un modo di ringraziare ed essere riconoscente verso i suoi concittadini.


Chi vuole partecipare al progetto, vacanze gratis, deve portare in cambio un libro, firmato, con dedica e di specificare , perchè quel libro. https://travel.thewom.it/destinazioni/news-lowcost/macchiagodena-vacanze-gratis-libri.html L’intento è di riabilitare i territori, interni, borghi bellissimi, che hanno abbandonato a favore di metropoli disincantate, dispersive e pressanti. Magari chi sceglierà il lavoro in smart working, potrà riacquistare la sua identità abitando in paese suggestivi ed accoglienti, dove i rapporti umani sono prioritari.

Il sindaco Felice Cccone dice ” crediamo nella cultura e nelle iniziative ad ampio respiro ” nasce cosi l’iniziativa del 2021, ” la divina commedia in 100 borghi”. l’attore Matteo Fratarcangeli portò in un viaggio itinerante le terzine di Dante Alighieri, recitando nelle varie piazzette di Macchiagodena e in seguito in altri borghi. ” I borghi della lettura” , in associazione con ”Borghi autentici”.

la divina commedia


Dal 29 luglio 2022 a Macchiagodena un viaggio suggestivo e affascinante da Piero Della Francesca a Pier Paolo Pasolini. Un viaggio di circa 500 anni di storia dell’arte e del cinema. Il regista Perrella nato a Macchiagodena racconterà il suo lavoro tra docufilm e mostre, il tutto interpretato dall’attrice Dafne Rapuano.


Le iniziative sono molteplici si arriva anche a due eventi a settimana e numerosi scrittori a Macchiagodena presentano il loro libro.
Rinascere dai libri, dalla cultura, saziare la mente insaziabile, sorgono cosi le panchine letterarie, sono sette. Due panchine dedicate all’art. 1 e 3 della costituzione italiana, due dedicate a Dante, per celebrare i 700 anni della sua morte, un’ altra dedicata a Gianni Rodari, Un altra ancora con una celebre frase di Daniel Pennac e l’ultima dedicata al poeta molisano Amerigo Iannaccone.

panchine letterarie

In questo ambito, si possono leggere libri, prenderli in prestito, scambiarli, oppure aggiungere dei propri, condivisione e rispetto.
Felice Ciccone sta a Macchiagodena, come Macchiagodena sta a Felice Ciccone, una proporzione perfetta, perchè lui è la sua anima. Lui è un sognatore, in questo caso una figura mitologica, perchè pensi,- ma davvero esiste? – ” Quelli che sognano ad occhi aperti, sono a conoscenza di molte cose che sfuggono, a chi sogna addormentato. Edgar Allan Poe”.

meravigliose panchine letterarie


Il motto di Felice Ciccone è ” custodire e costruire” , non solo il patrimonio culturale, ma soprattutto le qualità umane, un paese migliore attento a ogni esigenza, più giusto, dove i giovani possono restare, costruirsi un futuro, quindi crescere e gli anziani raccontare.
Nel 2021, Felice Ciccone, questo sindaco molisano è stato eletto tra i primi cinque, il sindaco più virtuoso d’ Italia, è stato selezionato per partecipare a ” il gioco del sindaco”, prevede 11 finalisti e lui tra i primi. Macchiagodena, paese modello , sotto innumerevoli punti di vista.
Ulteriore fiore all’occhiello di questa rara persona, sul sito dei comuni virtuosi si legge ”ha saputo valorizzare il proprio territorio, attraverso la promozione del turismo lento e della cultura del libro ”.
Macchiagodena sede nazionale dei ” borghi della lettura ” un pozzo di eventi, mostre, concerti, presentazione di libri, libri scambiati, in prestito, donati, rilancio delle tradizioni, un vero scambio culturale, nel vero senso della parola.
A Macchiagodena non solo si respira aria fina e fresca, soprattutto aria di pregi antichi. E stata restaurata la Torretta medioevale, che contiene la bellezza di seimila libri, tanto per cominciare, perchè siamo agli inizi!

Torretta medievale
Torretta medioevale, particolare interno. Naufragare in un mare di libri


La chiacchierata con il sindaco mi ha fatto sperare in un mondo nuovo, lui ha sempre creduto nelle potenzialità del suo paese, i suoi coetanei invece hanno preferito andarsene e lavorare in grandi città. Felice Ciccone sono quarant’anni che lavora attivamente e non lascerebbe Macchiagodena per nessun motivo, ama enormemente il suo paese e direi che è ricambiato.
Alla fine Macchiagodena è un paese fantastisco, ci sono draghi, principesse, streghe, maghi, cavalieri, elfi, gnomi, tante storie da raccontare, da vedere, da leggere, e noi cosa possiamo fare? Semplice! Dobbiamo andare a Macchiagodena e leggere, leggere!
Ringrazio la persona del sindaco Felice Ciccone, di avermi raccontato e fatto conoscere questa splendida realtà.
Vorrei aggiungere che Macchiagodena ha anche tradizioni gastronomiche che ha la sua identità nella polenta, è possibile degustare due varianti : rossa con salsiccia e peperoni, bianca con baccalà e cipolle, quest’ultima ha avuto un prestigioso riconoscimento con il deposito della ricetta presso la camera di commercio di Isernia.

Altro prodotto di eccellenza il tartufo, lo scorzone nero, e formaggi di antica tradizione pastorale.

Macchiagodena nutre la mente, l’anima e anche altro.

Macchiagodena e la sua meravigliosa Torretta Medioevale, traboccante di libri.

articolo di Marina Donnarumma Iris G. DM

Per ” ti spaccio l’ intervista” il 20 luglio presentavo il libro ” il fiore della quintessenza” un antologia di fantascienza in finale al premio ” Vegetti”

Per ” ti spaccio l’ intervista” il 20 luglio presentavo il libro ” il fiore della quintessenza” un antologia di fantascienza in finale al premio ” Vegetti”

Date: 26 luglio 2022Author: irisgdm0 Commenti— Modifica

Il premio ” Vegetti” si può definire l’oscar della fantascienza italiana, in essa non si premiano gli autori, ma le loro opere. Per i non addetti ai lavori può essere un premio sconosciuto, ma in realtà di grande prestigio, è il più noto premio assegnato da una giuria , esclusiva e ristretta, a opere di fantascienza pubblicate. Devo annunciare a tambur battente, che ” il fiore della quintessenza” ha vinto il premio ” Vegetti” per le antologie. Un antologia che raccoglie nomi famosi , curata da Sergio Mastrillo, a cui partecipano Riccardo Vezza e Salvatore Vita. Un amicizia che sta dando frutti eccezionali, una collaborazione di amici, che condividono la passione per la scrittura.

Congratulazione a questi ragazzoni dall’animo gentile e pieno di fantasia, Sergio Mastrillo, Riccardo Vezza e Salvatore Vita.

La presentazione del libro é avvenuta a Gaeta, in una bellissima location.

  • Sergio Mastrillo

La presentazione del Fiore è stata memorabile!

Grazie a Jason Forbus di Ali Ribelli Edizioni e grazie agli autori presenti: Donato AltomareGiovanna RepettoRiccardo Vezza e Giuseppe Napolitano.

Grazie a Enrico Vezza per le belle foto. Grazie ai convenuti e a quelli che sono rimasti a girare in tondo alla ricerca di un parcheggio. Quelle sedie non erano vuote. C’eravate.

Bella serata!

#ilfioredellaquintessenza#aliribelli#antologia#presentazione#gaeta

i nostri autori

Per ”ti spaccio l’intervista, ho il piacere di presentare il libro” il fiore della quintessenza”articolo di Marina Donnarumma Iris G. DM

Articolo di Marina Donnarumma Iris G. DM

“FATE FOGLI DI POESIA, POETI” (manifesto poetico) di Antonio Verri

Cominciate, poeti, a spedire fogli di poesia
Ai politici, gabellieri d’allegria
A chi ha perso l’aria di studente spaesato
A chi ha svenduto lo stupore di un tempo
Le ribalte del non previsto,
ai sindacalisti, ai capitani d’industria
ai capitani di qualcosa,
usate la loro stessa lingua
non pensate, promettete
…” disarmateli” se potete!

(Al diavolo le eccedenze, poeti
Le care eccedenze, le assenze anche,
i passeri di tristezza, i rapimenti
i pendoli fermi, i voli mozzi, i sigilli
le care figure accostate al silenzio
gli addentellati, i germogli, gli abbagli…
al diavolo, al diavolo…)

Disprezzate i nuovi eroi, poeti
cacciateli nelle secche del mio gazebo oblungo
(ricco di umori malandrini, così ben fatto!)
Fatevi anche voi un gazebo oblungo
Chiudeteci le loro parole di merda
I loro umori, i loro figli, il denaro
Il broncio delle loro donne, le loro albe livide.

Spedite fogli di poesia, poeti
Dateli in cambio di poche lire
Insultate il damerino, l’accademico borioso
La distinzione delle sue idee
La sua lunga morte,
fatevi poi dare un teatro, un qualcosa
raccontateci le cose più idiote
svestitevi, ubriacatevi, pisciate all’angolo del locale
combinate poi anche voi un manifesto
cannibale nell’oscurità
riparlate di morte, dite delle baracche
schiacciate dal cielo torvo, delle parole di Picabia
delle rose del Sud, della Lucerna di Jacca
della marza per l’innesto
della tramontana greca che viene dalla Russia
del gallipolino piovoso (angolo di Sternatia)
dell’osteria di De Candia (consacratela a qualcosa!).

Osteggiate i Capitali Metropolitani, poeti
i vizi del culto. Le dame in veletta, i “venditori di tappeti”
i direttori che stupiscono, i direttori di qualcosa,
i burocrati, i falsi meridionalisti
(e un po’ anche i veri) i surrogati
Le menzogne vendute in codici, l’urgenza dei giorni sfatti
non alzatevi in piedi per nessuno, poeti
… se mai odorate la madre e il miglio stompato
Le rabbie solitarie, le pratiche di rivolta, il pane.
Ecco. Fate solo quello che v’incanta!
Fate fogli di poesia, poeti
Vendeteli e poi ricominciate.

Fatevi disprezzare, dissentite quanto potete
Fatevi un gazebo oblungo, amate
Gli sciocchi artisti beoni, i buffoni
Le loro rivolte senza senso
Le tenerezze di morte, i cieli di prugna
Le assolutezze, i desideri di volare, le risorse del corpo
I misteri di donna Catena.
Fate fogli di poesia, poeti,
vendeteli per poche lire!

Antonio Verri

Antonio Leonardo Verri (Caprarica di Lecce, 22 febbraio 1949 – 9 maggio 1993), poeta, romanziere, editore, operatore culturale, giornalista, aderì al Movimento di Arte Genetica fondato nel 1976 da Francesco Saverio Dòdaro e a partire dalla fine degli anni ‘70 si fece ideatore e promotore di riviste letterarie quali “Caffè Greco” (1979-1981), “Pensionante de’ Saraceni” (1982-1986) e “Quotidiano dei Poeti” (1989-1992), quest’ultimo andò ad intersecarsi dal 1991 con “Ballyhoo-Quotidiano di comunicazione”. Dal 1986 al 1993 collaborò con “Sudpuglia” e nel 1990 diresse “On Board”. L’impegno di Verri si collocava a pieno titolo in quelle aree della militanza culturale pugliese che dalle figure dei Fiore, Tommaso e Vittore, aveva avuto modo di articolarsi come prassi politica e letteraria, tentando un intervento attivo sul sociale, attraverso un investimento letterario e giornalistico che non lesinava polemiche, al punto che l’opera del poeta di Caprarica di Lecce è attraversata da invettive che spaziano dalle critiche al mondo editoriale a quelle rivolte all’immobilismo accademico. Curò le attività del Centro Culturale Pensionante de’ Saraceni e la collana “Abitudini. Cartelle d’autore” (1988-1990), contribuì alla collana “I Mascheroni” (1990-1992) per Erreci Edizioni, ed entrò come co-curatore ed editore di una serie di collane ideate da Francesco Saverio Dòdaro – “Spagine. Scrittura Infinita” (1991), “Compact Type. Nuova Narrativa” (1990), “Diapoesitive. Scritture per gli schermi” (1990), “Mail Fiction” (1991) – con le quali Dòdaro rileggeva la forma-libro pervenendo a violazioni estetiche e fruitive. A Cursi (Le), Verri istituì il “Fondo internazionale contemporaneo Pensionante de’ Saraceni”, una biblioteca composta da oltre tremila volumi. Per non smentire la sua vocazione di operatore culturale, organizzò due edizioni di una mostra mercato di poesia a cui diede il nome di “Al banco di Caffè Greco”. Organizzò, inoltre, due mostre: la prima su Joyce e Raymond Queneau, la seconda sul gioco dello Scrap (gioco di scrittura attraverso l’uso di scarti tipografici). Una semiautomatica per manifesti ha dato alla luce le sue prime opere, interamente stampate da sé. Rispettando il suo manifesto poetico, “Fate fogli di poesia, poeti, vendeteli per poche lire”, ha effettuato volantinaggio di poesie. Morì il nove maggio del 1993 in un incidente stradale.    [Francesco Aprile]

Maria Clausi: RIFLESSIONI SULL’ESSERE UMANO.

Maria Clausi: RIFLESSIONI SULL’ESSERE UMANO.

Questa mattina ho avuto una piacevole conversazione con un signore colto, intelligente, dotato di notevole profondità d’animo. 

Abbiamo riflettuto sul perché della necessità degli esseri umani di darsi delle leggi.

Io, da parte mia, sono giunta alla conclusione che le leggi in verità servono perché i popoli hanno bisogno di essere sottomessi ad un’autorità e hanno bisogno di essere costretti alla osservanza di norme codificate in ragione della durezza del loro cuore. In realtà, basterebbe il diritto naturale per garantire la pacifica convivenza tra gli esseri umani. 

Sant’Agostino diceva, infatti, che esiste un diritto naturale che Iddio ha impresso nel cuore di ogni uomo: la coscienza del bene e del male!

La necessità di norme che costringono alla loro osservanza nasce dal grande egoismo dell’uomo e dalla sua voglia di prevaricare sugli altri.

Da qui nasceva un’altra mia riflessione: ultimamente sto rileggendo l’antico testamento e sono giunta alla conclusione che l’umanità, nel corso dei millenni, è rimasta identica a sé stessa. Identici sono i sentimenti, identiche sono le relazioni umane, identici gli inganni …

L’essere umano ha cambiato le tecnologie, gli strumenti attraverso i quali determina la qualità della sua esistenza: alle caverne si sono sostituiti i grattacieli, alle carrozze le ferrari, ai messaggeri i telefoni cellulari. Ma il suo animo è identico a quello di millenni fa!

Ed allora sono giunta alla triste conclusione che dalla storia dell’umanità e da quella del singolo non scalzaremo mai odio, inganno, tradimento, egoismo, tirannia, invidia, gelosia …

L’unica cosa che il singolo individuo può fare è scegliere quotidianamente il bene anziché il male.

Il resto sfugge al suo controllo.

MC

Il coraggio d’amare

(poesia selezionata al premio “Invito alla poesia 22”

Ci  vuole coraggio a investire

quote di cuore senza interesse,

sapendo che possono  essere

 un  fondo perduto…

ci vuole coraggio a tuffarsi

nel mare profondo del destino

sapendo che puoi affogare

perché non sai bene nuotare

 salire sulla funivia per vedere

dall’alto dove è la via per

uscire dalla selva della disillusione;

ci vuole coraggio a cercarsi

nell’oggi che sfugge ai responsi

e non risponde ai domani nel decreto

delle possibilità dell’imprevedibile.

Ci vuole coraggio ad amare senza

sapere qual è il conto finale  da saldare

e salire la vita sui pioli del cuore

rischiando la caduta senza ripresa.

Ma abbiamo scorta di tenacia

per ancorarci forte al flusso degli eventi

e ali atte al volo della intemperanza

 per  planare sui miracoli dell’amore .

DE LINGUA LATINA, Marco Terenzio Varrone, Traduzione e note di Maria Rosaria De Lucia, Recensione di Raffaele Piazza

Marco Terenzio Varrone

DE LINGUA LATINA

Traduzione e note di Maria Rosaria De Lucia

Recensione di Raffaele Piazza

Il volume che prendiamo in considerazione in questa sede presenta una premessa di Nazario Pardini intitolata Un viaggio dal De lingua Latina di M. Terenzio Varrone alla conoscenza dell’italiano nell’opera di Maria Rosaria De Lucia e un’introduzione della stessa curatrice scandita nelle seguenti sezioni: Breve storia dell’etimologia, Struttura originaria dell’opera, Il manoscritto, Avvertenze.

Seguono i libri del saggio De lingua Latina di Varrone dal quinto al decimo.

A proposito dell’utilità dell’opera scrive Pardini che meditare su vocaboli che sono comuni nel nostro quotidiano ma il cui uso è, per così dire, meccanico, aprirà nuovi orizzonti di pensiero e si può aggiungere che sono proprio i vocaboli nel loro assemblarsi a costituire una lingua. 

Le parole di Varrone hanno l’innegabile fascino di farci immaginare la vita nei tempi dell’antichità, di proiettarci nel quotidiano del mondo della latinità, della storia di Roma e dell’impero romano.

L’esistenza dei nostri antenati latini è lontana anni luce; la malia e il fascino di usi e costumi di cui parla Varrone sono per noi motivo di vivo interesse per penetrare filologicamente in una realtà lontana di quando si veneravano gli dei e i lari e i penati e lo spirito della guerra era fiorente e c’erano anche i poeti erotici e quelli patriottici per cantare le gesta dei potenti.

Come scrive la De Lucia nell’introduzione esauriente e ricca di acribia nasce spontanea la domanda del chiedersi cosa può indurre un lettore del III millennio ad accostarsi ad un’opera risalente a più di 2060 anni fa. Per l’appassionato di lingua latina la risposta è facile: trovare nuovi spunti e nuove prospettive da cui guardare all’idioma della Roma antica, con l’ausilio dell’etimologia.

Per chi invece ha un rapporto di diffidenza, se non addirittura di idiosincrasia, per quella lingua odiata fin dai banchi di scuola, perché ricordata solo come un labirinto di noiose regole grammaticali, può essere l’occasione per scoprire che il latino non era e non è solo declinazioni e sintassi, ma era la lingua viva che ha permesso a Varrone di lasciarci una vera enciclopedia sul mondo romano.

I brani degli autori classici, che costituiscono “le versioni” proposte a scuola, sono in massima parte, se non esclusivamente, incentrati su gesta leggendarie, battaglie, assedi, eroi, ma non si sa nulla della quotidianità del popolo romano.

Leggere il De lingua Latina significa aprirsi al mondo realmente vissuto da essere umani come noi che dovevano lavorare, nutrirsi, vestirsi, far di conto, dilettarsi nell’area romana, ante Cristo.

Nel Libro V in L’origine delle parole Varrone scrive di essersi «…proposto di esporre, in sei libri, il modo in cui, nella lingua latina, furono imposti i nomi alle cose. Dei sei libri ne ho già compilati tre precedenti a questo, nei quali ho trattato la materia che chiamano studio dell’etimologia e li ho dedicati a Settimio».

Continua Varrone affermando che «…ognuna e tutte le parole hanno due aspetti naturali, da cosa e a cosa il nome sia stato imposto, così quando si va a ricercare da cosa derivi “pertinacia”, persistenza, si dimostra che deriva da “pertendere” persistere; secondo a quale atteggiamento il termine pertinacia sia applicato, si parla di ostinazione quando non ci si dovrebbe ostinare e ci si ostina; invece si parla di perseveranza quando si persevera in ciò in cui è bene perseverare…».

Uno studio complesso e profondo quello di Varrone sulla lingua latina sul quale si potrebbero scrivere fiumi d’inchiostro ben oltre lo spazio di una recensione.

Raffaele Piazza

Marco Terenzio Varrone, De lingua Latina, traduzione e note di Maria Rosaria De Lucia, premessa di Nazario Pardini, Guido Miano Editore, Milano 2021; isbn 978-88-31497-08-4.

Val d’Orcia e Bagno Vignoni (Siena), Dario Menicucci

Val d’Orcia e Bagno Vignoni (Siena)

La Val d’Orcia è un’ampia valle situata in Toscana, nella provincia di Siena, a nord ed est del monte Amiata e vicina al confine con l’Umbria. Attraversata dal fiume Orcia al centro, che le dà il nome, è caratterizzata da gradevoli panorami paesaggistici e da svariati centri di origine medievale, due dei quali molto noti come Pienza e Montalcino.

Albero caratteristico il cipresso, cibi e vini tipici i Pici, i salumi di Cinta senese, il Pecorino di Pienza, il Brunello di Montalcino e la nuova denominazione del vino DOC Orcia.

Comuni

I comuni che costituiscono il Parco Artistico Naturale e Culturale della Val d’Orcia sono i cinque comuni senesi di Castiglione d’Orcia, Montalcino, Pienza, Radicofani, San Quirico d’Orcia. Altri centri importanti sono frazioni dei sei comuni: Contignano, Monticchiello, Bagno Vignoni, Rocca d’Orcia, Campiglia d’Orcia, Bagni San Filippo, Vivo d’Orcia. Hanno parte del loro territorio nella Val d’Orcia, anche se non fanno parte del parco, Sarteano, con la frazione di Castiglioncello del Trinoro, e Castel del Piano in provincia di Grosseto con le frazioni di Montenero d’Orcia e Montegiovi. Moltissime aziende agrituristiche, case rurali e rocche con impervie torri si disperdono nell’isolato e tranquillo paesaggio. Ai confini della valle si trovano Montepulciano e

Chianciano.

Patrimonio dell’Umanità

La valle è anche un importante parco, naturale, artistico e culturale, e dal 2 luglio 2004 è stato riconosciuto patrimonio mondiale dell’Umanità dall’UNESCO, per lo stato di conservazione eccellente del panorama, così come prodotto da un’intelligente opera di antropizzazione, il quale ha avuto una notevole influenza su molti artisti del Rinascimento. La commissione ha così giustificato l’inserimento nella lista:

L’area naturale protetta

Alla protezione dell’UNESCO si somma la protezione italiana come Area Naturale Protetta di Interesse Locale (ANPIL) “Val d’Orcia” dal 1999, su una superficie di 18.500 ettari. In parte compreso nell’ANPIL si trova anche il sito di interesse regionale, proposto come sito di importanza comunitaria (pSIC), “Cono vulcanico del Monte Amiata” .

All’interno dell’area naturale sono da segnalare anche i celebri cipressi di San Quirico d’Orcia.

Cono vulcanico del Monte Amiata

Il cono vulcanico del Monte Amiata è caratterizzato da un paesaggio alto montano con matrice forestale continua. I principali elementi di criticità interni al sito sono:

Pratiche selvicolturali che inducono un abbassamento dei livelli di naturalità.

Presenza, sino alla vetta, di impianti turistici (soprattutto sciistici) e della relativa viabilità; ne conseguono elevati carichi turistici invernali ed estivi, l’antropizzazione e la frammentazione degli habitat, il disturbo alla fauna, l’inquinamento delle acque, la diffusione di piante appartenenti a specie o ecotipi non locali, con rischio di inquinamento genetico, e l’innesco di fenomeni erosivi.

Turismo

La Val d’Orcia è un territorio ad elevato interesse turistico grazie alle peculiarità storico-paesaggistiche nonché a borghi caratteristici come San Quirico d’Orcia e Castiglione d’Orcia. Particolarmente sviluppato è anche il turismo eno-gastronomico.

L’intera area è un’importante punto di transito per gli itinerari di pellegrinaggio che tutt’oggi ripercorrono l’antica Via Francigena. Da alcuni anni il territorio della Val d’Orcia è stato particolarmente valorizzato grazie alla riscoperta ed alla valorizzazione di un turismo particolare legato alla ferrovia.

Tramite la riscoperta di antiche linee storiche non più attive per il servizio regolare come l’Asciano-Monte Antico e l’esecuzione di treni storici a vapore, il territorio è stato reso ancora più fruibile e raggiungibile con un diverso approccio che vede appunto il treno come mezzo di trasporto utile alla valorizzazione del territorio ed alla salvaguardia di un patrimonio ferroviario ed architettonico altrimenti destinato all’oblio ed al deperimento.

BAGNO VIGNONI

E’ una frazione del comune italiano di San Quirico d’Orcia, nella provincia di Siena, in Toscana.

Il villaggio è situato in Val d’Orcia, nelle vicinanze della via Francigena. Le acque che sgorgano in questo luogo vennero utilizzate fin dall’epoca romana a scopi termali.

Monumenti e luoghi d’interesse

Al centro del borgo si trova la “piazza delle sorgenti”, una vasca rettangolare, di origine cinquecentesca, che contiene una sorgente di acqua termale calda e fumante che esce dalla falda sotterranea di origini vulcaniche. Fin dall’epoca degli etruschi e poi dei romani – come testimoniano i numerosi reperti archeologici – le terme di Bagno Vignoni sono state frequentate da illustri personaggi, come papa Pio II, Caterina da Siena, Lorenzo de’ Medici e tanti artisti che avevano eletto il borgo come sede di villeggiatura.

Le acque che fuoriescono dalla vasca termale si dirigono verso la ripida scarpata del Parco naturale dei Mulini; vi si trovano quattro mulini medievali scavati nella roccia che furono importanti per l’economia locale in quanto la perenne sorgente termale garantiva il loro funzionamento anche in estate, quando gli altri mulini della zona erano fermi a causa dei fiumi in secca.

Dario Menicucci

LA FINE, di Davide Scuotto

LA FINE, di Davide Scuotto

LA FINE

La fine:

è qualcosa che ride sempre e aspetta la carità

seduta da sola fuori alle tende d’un circo.

Non sà far la puttanella ma è malvagia e folle.

La fine:

è uno spiazzato di terra meravigliosa

mai abitata prima.

Completamente pieno di roulotte e autoclavi.

E il sole, l’indossa per ottenere ombre distorte

ombre in fila,

ad attendere i minuti , in coda, uno ad uno

fino a dentro le sagome che scompaiono

una alla volta lungo quel orizzonte…

Fino alla fine dei giorni.

Davide Scuotto

Il poeta con la “vocazione” al suicidio

Cesare Pavese (Santo Stefano Belbo, 9 settembre 1908 – Torino, 27 agosto 1950) è stato uno scrittore, poeta, traduttore e critico letterario italiano.
Cesare Pavese nacque a Santo Stefano Belbo, un paesino delle Langhe situato nella provincia di Cuneo, presso il cascinale di San Sebastiano, dove la famiglia soleva trascorrere le estati, il 9 settembre del 1908. Malgrado l’agiatezza economica, l’infanzia di Pavese non fu felice: una sorella e due fratelli, nati prima di lui, erano morti prematuramente. La madre, di salute cagionevole, dovette affidarlo, appena nato, a una balia del vicino paese di Montecucco e poi, quando lo riprese con sé a Torino, a un’altra balia, Vittoria Scaglione. Il padre morì di cancro al cervello il 2 gennaio del 1914; Cesare aveva cinque anni. La madre, di carattere autoritario, dovette allevare da sola i due figli: la sua educazione rigorosa contribuì ad accentuare il carattere già introverso di Cesare. Timido ed introverso, amante dei libri e della natura, vedeva il contatto umano come il fumo negli occhi, preferendo lunghe passeggiate nei boschi in cui osservava farfalle e uccelli. Un altro aspetto inquietante che si ricava dalla personalità del giovane Pavese è la sua già ben delineata “vocazione” al suicidio (quella che lui stesso chiamerà il “vizio assurdo”), che si riscontra in quasi tutte le lettere del periodo liceale, soprattutto quelle dirette all’amico Mario Sturani.Cesare rimase tre mesi a casa da scuola a causa di una pleurite, che si era preso rimanendo a lungo sotto la pioggia (dalle 6 del pomeriggio a mezzanotte) per aspettare invano una cantante-ballerina di varietà di nome Milly. L’anno seguente fu scosso profondamente dalla tragica morte di un suo compagno di classe, Elico Baraldi, che si era tolto la vita con un colpo di rivoltella.  Compie gli studi a Torino, durante questi anni Cesare Pavese prende anche parte ad alcune iniziative politiche a cui aderisce con riluttanza e resistenza. Successivamente si iscrive all’Università nella Facoltà di Lettere. Dopo la laurea si dedica a un’intensa attività di traduzioni di scrittori americani. Nel 1931 Pavese perde la madre, in un periodo già pieno di difficoltà. Lo scrittore non è iscritto al partito fascista e la sua condizione lavorativa è molto precaria, viene condannato al confino per aver tentato di proteggere una donna iscritta al partito comunista; passa un anno a Brancaleone Calabro, dove inizia a scrivere il già citato diario “Il mestiere di vivere”.Tornato a Torino pubblica la sua prima raccolta di versi, “Lavorare stanca” (1936), quasi ignorata dalla critica; Il periodo compreso tra il 1936 e il 1949 la sua produzione letteraria è ricchissima. Nel frattempo incominciò a scrivere i racconti che verranno pubblicati postumi, dapprima nella raccolta “Notte di festa” e in seguito nel volume de I racconti. Fra il 27 novembre del 1936 e il 16 aprile del 1939 completò la stesura del suo primo romanzo breve tratto dall’esperienza del confino intitolato Il carcere. Nel 1940 l’Italia era intanto entrata in guerra e Pavese era coinvolto in una nuova avventura sentimentale con una giovane universitaria che era stata sua allieva al liceo D’Azeglio e che gli era stata presentata da Norberto Bobbio. La ragazza, giovane e ricca di interessi culturali, si chiamava Fernanda Pivano e colpì lo scrittore a tal punto che il 26 luglio le propose il matrimonio; e malgrado il rifiuto della giovane, l’amicizia continuò. Alla Pivano Pavese dedicò alcune poesie, tra le quali Mattino, Estate e Notturno, che inserì nella nuova edizione di Lavorare stanca. Lajolo scrive che “Per cinque anni Fernanda fu la sua confidente, ed è in lei che Pavese tornò a sperare per avere una casa ed un amore. Ma anche quella esperienza – così diversa – si concluse per lui con un fallimento. Alla fine della guerra si iscrive al Pci e pubblica sull’Unità “I dialoghi col compagno” (1945); Sempre nel 1949, scritto nel giro di pochi mesi e pubblicato nella primavera del 1950, scrisse La luna e i falò che sarà l’opera di narrativa conclusiva della sua carriera letteraria. Dopo essere stato per un brevissimo tempo a Milano, fece un viaggio a Roma dove si trattenne dal 30 dicembre del 1949, conobbe in casa di amici Constance Dowling, giunta a Roma con la sorella Doris, che aveva recitato in Riso amaro con Vittorio Gassman e Raf Vallone, e, colpito dalla sua bellezza, se ne innamorò. La donna lo convinse ad andare con lei a Cervinia, dove Pavese s’illuse di nuovo. Constance infatti aveva una relazione con l’attore Andrea Checchi e ripartì presto per l’America per tentare fortuna a Hollywood. nel 1950 pubblica “La luna e i falò”, vincendo nello stesso anno il Premio Strega con “La bella estate”. Pavese era terribilmente depresso. Il 17 agosto aveva scritto sul diario, pubblicato nel 1952 con il titolo Il mestiere di vivere. Diario 1935-1950: «Questo il consuntivo dell’anno non finito, che non finirò» e il 18 agosto aveva chiuso il diario scrivendo: «Tutto questo fa schifo. Non parole. Un gesto. Non scriverò più». In preda a un profondo disagio esistenziale, tormentato dalla recente delusione amorosa con Constance Dowling, alla quale dedicò i versi di Verrà la morte e avrà i tuoi occhi, mise prematuramente fine alla sua vita il 27 agosto del 1950, in una camera dell’albergo Roma di Piazza Carlo Felice a Torino, che aveva occupato il giorno prima. Venne trovato disteso sul letto dopo aver ingerito più di dieci bustine di sonnifero.
I  temi ricorrenti della poetica di Pavese sono la sua infanzia nelle Langhe e il mondo contadino, nei quali  vede un passato originario irrecuperabile, che cerca però di recuperare attraverso la scrittura. Nella sua vita, Cesare Pavese si sentì sempre estraneo al mondo e agli altri uomini, si sentiva altrove. Questa percezione deriva da un ossessivo scavo interiore, che lo porterà al suicidio. È un tipo di poesia, quello di Cesare Pavese, allo stesso tempo realistica e simbolica, nel senso che descrive una realtà ma allo stesso tempo rimanda a qualcos’altro di esterno, a un significato nascosto.

LAVORARE STANCA

Traversare una strada per scappare di casa
lo fa solo un ragazzo, ma quest’uomo che gira
tutto il giorno le strade, non è più un ragazzo
e non scappa di casa.

Ci sono d’estate
pomeriggi che fino le piazze son vuote, distese
sotto il sole che sta per calare, e quest’uomo, che giunge
per un viale d’inutili piante, si ferma.
Val la pena esser solo, per essere sempre più solo?
Solamente girarle, le piazze e le strade
sono vuote. Bisogna fermare una donna
e parlarle e deciderla a vivere insieme.
Altrimenti, uno parla da solo. È per questo che a volte
c’è lo sbronzo notturno che attacca discorsi
e racconta i progetti di tutta la vita.

Non è certo attendendo nella piazza deserta
che s’incontra qualcuno, ma chi gira le strade
si sofferma ogni tanto. Se fossero in due,
anche andando per strada, la casa sarebbe
dove c’è quella donna e varrebbe la pena.
Nella notte la piazza ritorna deserta
e quest’uomo, che passa, non vede le case
tra le inutili luci, non leva più gli occhi:
sente solo il selciato, che han fatto altri uomini
dalle mani indurite, come sono le sue.
Non è giusto restare sulla piazza deserta.
Ci sarà certamente quella donna per strada
che, pregata, vorrebbe dar mano alla casa.

*In questi versi nello stile semplice che caratterizza il poeta, egli esprime uno dei suoi temi ricorrenti una profonda solitudine e incomunicabilità…la piazza deserta, nessuno con cui parlare, la necessità di un incontro per alleviare il vuoto…come sempre è l’amore che dovrebbe salvare, quell’amore tanto desiderato e che lui non riuscirà mai a trovare. Un poeta profondamente sensibile, troppo per la crudezza della vita e gli eventi che lo hanno travolto, con l’ombra incombente della depressione che alla fine lo ha sopraffatto.

S.O.S. : il mare è al collasso a causa dell’inquinamento, Gabriella Paci

 Il mare è considerato da sempre una meta ideale per sfuggire alla calura estiva e per

svolgere un’azione mitigatrice su tutti i territori circostanti . Ovviamente il mare è una via di separazione e comunicazione ,fonte di cibo e di energia . Abbiamo sempre pensato inoltre, di utilizzarlo come bacino di scarico ,convinti che gli oceani,con la loro estensione ,fossero in grado di accogliere rifiuti senza grossi problemi ma oggi è sufficiente prendere in considerazione la zona morta che si forma ogni estate nel Golfo del Messico – dalla grandezza equivalente a quella dello stato del New Jersey negli U.S.A. – oppure il cinturone largo un chilometro dell’Oceano Pacifico settentrionale di rifiuti di plastica, per renderci conto che questa “politica” del passato ha portato l’ecosistema di quelli che erano dei fiorenti oceani sull’orlo del collasso riducendo o danneggiando in modo irreparabile specie animali e vegetali in essi presenti.

Inquinamento selvaggio

Gli oceani occupano circa il 70% della superficie della terra e il saperli gravemente inquinati ci dà la misura dell’impatto umano sull’ambiente

Fino al  1972rifiuti, fanghi di depurazione e scorie di tipo chimico, industriale e radioattivo venivano impunemente gettati in mare in ogni pare del pianeta . Milioni di tonnellate di metalli pesanti e contaminanti chimici, oltre a migliaia di container di rifiuti radioattivi, venivano deliberatamente gettati in mare.

Fu la convenzione di Londra del 1975 ratificata dagli Usa il primo accordo internazionale stipulato per la salvaguardia del mare e dunque regolamentare gli scarichi e lo smaltimento di rifiuti pericolosi .Il protocollo di Londra del 2006 restringeva lo smaltimento dei rifiuti in mare a un breve elenco come i residui del dragaggio.

Molti elementi gettati in mare precipitano nelle profondità e si spingono,portati dalle correnti molto lontano divenendo cibo per microrganismi marittimi e pesci e dunque, entrando anche nella nostra catena alimentare.

Varie tipologie di inquinamento

Un tipo di inquinamento è quello chimico con cui si intende l’introduzione di contaminanti pericolosi. Tra questi i più comuni prodotti dall’uomo che precipitano in mare includono pesticidi, erbicidi, concimi, detersivi, petrolio, prodotti chimici industriali e acque reflue.

Molte sostanze inquinanti vengono depositate nell’ambiente a monte rispetto alle linee costiere. I concimi ricchi di sostanze nutritive utilizzati in agricoltura, ad esempio, spesso vengono riversati nei corsi fluviali locali e finiscono per depositarsi in estuari e baie ma  questo scatena la proliferazione di massa di alghe che derubano l’ossigeno acqueo e provocano zone morte in cui solo pochi organismi possono sopravvivere. Alcune sostanze chimiche inquinanti risalgono fino al vertice della catena alimentare, come il DDT,un potente  l’insetticida che ha provocato l’estinzione o quasi di varie specie della fauna marittima .Addirittura alcune sostanze contenute in prodotti alimentari si fermano nel nostro sangue  e in alcune specie marittime.

C’è anche l’inquinamento luminoso che no riguarda solo l’entroterra .Secondo gli scienziati l’inquinamento luminoso si addentra nel mare e le specie più prossime alla terra ne vengono coinvolti  poiché la luce altera i segnali naturali che regolano migrazione e riproduzione.

Inoltre certe specie di predatori risultano favoriti dalla luce   a scapito di specie meno forti

L’inquinamento acustico è meno evidente  ma nei grandi specchi d’acqua le onde sonore possono propagarsi senza attenuarsi per chilometri. L’emissione superiore di rumori forti o persistenti provenienti da navi, dispositivi sonar e piattaforme petrolifere alterano i suoni naturali dell’ambiente marino e  disorientano la fauna.

In particolare molti mammiferi marittimi, come balene e delfini,usano la comunicazione non visiva che è di primaria importanza. Le balene dentate utilizzano l’eco-localizzazione, ovvero l’emissione di suoni che si riflettono sulle superfici, che le aiutano a “vedere” nell’oceano. I suoni non naturali interrompono la comunicazione e disturbano gli schemi di migrazione, comunicazione, procacciamento del cibo e riproduzione di molti animali marini.

L’inquinamento dovuto alla plastica si infiltra negli oceani attraverso gli scarichi di drenaggi o o attraverso il deliberato smaltimento di rifiuti.

 La quantità di plastica presente nell’Oceano Atlantico si è triplicata a partire dagli anni ’60.

 Ora la macchia dei rifiuti- due volte le dimensioni del Texas- che galleggia sull’Oceano Pacifico  si estende per quasi 620.000 chilometri quadrati ed  è un’immagine che raffigura potentemente il problema della plastica in mare.

I frammenti di plastica arrivano a grandi profondità marine e hanno raggiunto i coralli dell’Oceano Atlantico i quali le hanno ingerite al posto del cibo abituale.

I mammiferi marini moribondi e spiaggiati presentano anch’essi un contenuto di plastica all’interno dello stomaco.

Rubbish washed up on beach.

LA VOCE DELLE MANI, di Fabio Dal santo

Pagine dal faro

Si muovono lentamente 

sul profilo del tempo

che si posa inesorabile 

su questa pelle,

le mani raccontano 

di noi

in ogni loro sfumatura,

dal loro aspetto 

a come le muoviamo,

la loro voce è sincera

perché sono lo strumento 

della nostra anima, 

per dire chi siamo. 

Loro sono il gesto discreto 

di una carezza,

l’anello che chiude un abbraccio 

e il confine estremo del nostro corpo,

dove poi inizia la libertà degli altri,

le mani hanno una voce 

che forse noi 

non sappiano ascoltare,

ma che conosce bene

chi osserva con occhi attenti

il nostro piccolo grande mondo.

E poi respirano il vento che le attraversa 

in un mattino d’estate, 

hanno una voce dolce

se raccontano affetto,

ma sanno gridare forte

se sentono il dolore di un cuore ferito,

spezzato e soffocato

da altre mani crudeli 

che non sanno rispettare la vita 

e con un graffio sul viso

uccidono i sogni di una donna.

Fabio Dal Santo

Immagine dal web