Cultura: Premio letterario “Per Agnese” VII edizione

È partita la VII edizione del Premio letterario per Agnese 2023. Sono on line, sul sito www.sebbenchesiamodonne.com , il nuovo Bando, il Regolamento e la Scheda di partecipazione.

Il Premio si articola in varie Sezioni:

Sezione A – INEDITI DI POESIA

Ogni concorrente partecipa con massimo 3 componimenti di max 30 versi ciascuno.

Sezione B – VOLUME EDITO DI POESIA

Ogni concorrente partecipa con un’opera pubblicata dopo il 1 gennaio 2015, anche autopubblicata

Sezione C – RACCONTAMI UNA STORIA. Racconti e favole per bambini e ragazzi “Giovanna Marchese”

Ogni concorrente partecipa con un racconto di max 5 cartelle di 1.800 battute ciascuna

Sezione D – NARRATIVA EDITA

Ogni concorrente partecipa con un romanzo o un racconto edito dopo il 1 gennaio 2015, anche autopubblicato

Sezione E – VERSI E PAROLE IN CLASSE “Lucio Marino”

Sezione dedicata alle scuole di ogni ordine e grado. La partecipazione a questa Sezione è gratuita.

La quota di partecipazione per ogni Sezione è di € 15,00, tuttavia la partecipazione a più sezioni comporta il versamento di max due quote.

Tutte le quote di partecipazione saranno, come sempre, devolute all’AIRC e alla Fondazione Ricerca Fibrosi Cistica.

La Giuria prevede, inoltre, l’assegnazione del PREMIO SPECIALE LIBERA, all’opera che ha meglio saputo raccontare il percorso delle donne nella conquista dei propri diritti.

PREMI

Per i primi classificati delle Sezioni A-B-C-D e per il Premio Speciale LIBERA € 300,00 + targa

Per la Sezione E € 100,00 in materiale didattico

REGOLAMENTO

Ogni partecipante può concorrere per più Sezioni, versando al massimo due quote di iscrizione.

Le OPERE INEDITE potranno essere inviate in formato elettronico alla mail: sebbenchesiamo@libero.it (2 file, uno anonimo e uno con nome, indirizzo e telefono).

Le OPERE EDITE potranno essere inviate in formato elettronico alla mail: sebbenchesiamo@libero.it .

La SCHEDA DI PARTECIPAZIONE (scaricabile dal sito www.sebbenchesiamodonne.com) dovrà essere compilata da tutti i partecipanti in tutte le sue parti, firmata in modo leggibile e spedita, contestualmente alle opere, via  email.

Le MODALITA’ DI PAGAMENTO della quota di partecipazione* sono elencate nella SCHEDA DI PARTECIPAZIONE.

I concorrenti premiati sono tenuti a presenziare alla premiazione; i premi in denaro non riscossi personalmente verranno trattenuti per l’edizione successiva.

Le opere dovranno pervenire entro il 31 ottobre 2023. Le opere della Sezione “Versi e parole in classe – Lucio Marino” dovranno pervenire entro il 30 novembre 2023.

La partecipazione al concorso implica l’accettazione del presente regolamento.

Ai sensi del DLGS 196/2003 e della precedente Legge 675/1996 i partecipanti acconsentono al trattamento, diffusione e ufficializzazione dei dati personali da parte dell’organizzazione o di terzi per lo svolgimento degli adempimenti inerenti il presente premio letterario.

*Le quote di partecipazione saranno devolute all’AIRC (Associazione Italiana per la Ricerca sul Cancro).

*Le quote di partecipazione per la Sezione C saranno devolute alla Fondazione Ricerca Fibrosi Cistica.

https://sebbenchesiamodonne.com/il-premio-letterario-per-agnese/

Sulla solitudine in me, nel mio mondo di provincia…

Nonostante tutto sono già morto. Sono morto in me. Sono morto in voi. Voi siete morti in me. Sono “morto al mondo” e il mondo è morto in me. Tutto è vanità, finzione, pantomima. Tutto è divenire,  secondo noi occidentali.  Tutto è illusione, velo di Maya, secondo gli orientali. Allora Tutto è tutto, è anche il suo contrario perché qui ogni contraddizione si contraddice o è contraddetta.  Non c’è altra soluzione, né alternativa. Lo scriveva molto tempo fa il grande poeta Carlo Michelstaedter: “Vita, morte,/ la vita nella morte;/ morte, vita,/ la morte nella vita”. Risolveteli voi i problemi. Voi risolvete davvero i problemi? Eccoli gli uomini pratici, che pagano le tasse e hanno famiglia!  Eccoli gli uomini arrivati, gli uomini necessari (i cimiteri sono pieni di persone un tempo ritenute indispensabili e il mondo va avanti lo stesso, anche dopo la loro dipartita)! Eccoli i grandi poeti illuminati, che polverizzeranno Montale, Zanzotto e Sanguineti! In realtà nel migliore dei casi si può essere solo buffi epigoni! Se tutto va bene e non è assolutamente detto…In realtà voi cercate di risolvere i vostri piccoli problemi che vi angustiano tanto, ma ve ne fregate dei problemi del mondo. I soldi, l’apparire, l’avere, il decoro sono le vostre uniche ragioni di vita. Vi vedo sempre all’autolavaggio in fila. Alcuni di voi ci sono fissi perché la macchina è un prolungamento del vostro cazzo, pardon, del vostro ego. Il vostro decoro (che Mastronardi chiamava catrame e che se si toglie viene via anche la pelle…così scriveva ne “Il maestro di Vigevano”)! Salvate le apparenze e ostentate benessere. Così va la vita. Io invidio la vostra sicurezza. Credete in Dio o in Vasco Rossi, sua emanazione? Credete in Berlusconi?  Credete in Dio o nella Ferrari, sua emanazione? Credete pure negli status symbol, nei falsi miti e nei falsi idoli. Io fondo la mia causa sul nulla perché anche lo Stato è oppressivo, così come tutte le istituzioni. Io non ho alcuna fede. Cosa ci vuoi sperare? Siamo nella cosiddetta (in)civiltà dell’immagine e non solo perché veniamo da trent’anni di berlusconismo, dove contano solo potere, soldi, aspetto fisico, compromessi sessuali. Importante per un uomo è fare carriera, avere una posizione.  Non c’è soluzione,  né alternativa.  Se non sei un dirigente, se non sei titolare di una società,  se non hai i soldi di famiglia, sei una nullità.  E poi l’aspetto fisico ha una parte preponderante,  gioca un ruolo fondamentale.  Io sono uno scarto. Sono l’eterno rifiutato. Sono una nullità,  anzi meno di zero. Io posso scrivere perché ho fallito, perché sono un fallito.  La scrittura è sempre fallimento in questa società consumista, tecnologica, scientista. La mia poesia è morta. La vostra non è mai nata. Io ho cercato invano e ingenuamente poesia in questo mondo assurdo e ho solo trovato l’assurdo in me e nel mondo. Povero illuso! Vaffanculo anche a Camus!  L’importante è far credere di stare sempre bene e nascondere il malessere nel pozzo senza fondo del vostro animo. Io scrivo solo quando mi vanno queste cose alla rinfusa e non sono meglio di voi e non mi sento meglio di voi e non sto meglio di voi. Nonostante tutto sono già morto e pochi verranno al mio funerale perché mi erano care poche persone e io sono stato caro a poche persone (al funerale di Mozart c’erano solo 14 persone, al funerale di Rimbaud c’erano solo sua madre e sua sorella. Io non sono un genio, ma per favore non fatevi abbindolare e diffidate di chi ha i funerali di Stato). Che poi anche io sono vile e ipocrita, ma almeno non faccio la morale agli altri, né vivo nei sensi di colpa che mi attanagliano. Salvale tu le apparenze, ragazza che ora sei donna, e non mi hai dato neanche il tempo di un aperitivo. La mia poesia è morta, anzi non c’è mai stata in me. Io sono il poeta che non sono. Sono inaccessibile a me stesso. Rinnego me stesso. Rinnego le mie parole. Sono un essere spirituale che ha fatto porcate. Sono un porco con frammenti spirituali. Siamo tutti carnali e mortali. Siamo tutti già morti senza saperlo. Non c’è speranza. Sì. C’è ancora una piccola speranza che un domani possa nascere una speranza. Spero di rinascere da qualche parte in un’altra epoca e diverso da come sono adesso.  Sono un idiota perché non vivo come voi. Sono un ritardato perché non penso come voi. Ho amato ragazze e donne che non mi hanno amato e anche per questo sono uno stupido perdente di cui potete ridere allegramente. A volte penso alle donne che non ci sono state e mi chiedo cosa sarebbe stata la mia vita se mi avessero detto sì. Sliding doors. Citazione scontata, abusata. E naturalmente infiniti bivi e nessuna indicazione perché ogni attimo è un bivio e poi da lassù non sono pervenuti segnali. Vorrei essere come quelli che hanno certezza che Dio esista. Vorrei essere come loro, ma non sono come loro. Purtroppo o per fortuna. Questi sono i miei pensieri oggi. Domani saranno monete fuori corso. Domani saranno da buttare via. Io stesso sono un pensiero già pensato, una vita già (non)vissuta. Non posso neanche andarmene via da qui. Non sono niente. Non sono nessuno. Non credo in niente. Capisco Stirner quando scriveva che fondava la sua causa sul nulla. Mi porto un poco in giro ogni giorno. Cammino da solo, quasi indisturbato. Mi tengo stretta la mia vita. Presto sarò non essere o vero essere. Io mi confondo quando confondo le mie idee. Io sono ripetitivo perché la mia vita è ripetitiva.  Io non ho niente da offrirti, mio grande amore non ricambiato.  Io non ho mai avuto niente da offrirti. Vivo alla periferia della periferia. Scrivo di nulla, del mio nulla. Il fatto è che ognuno cova il suo irrisolto dentro di sé, ovvero tutto quello che non è stato, che non ha mai avuto, che non ha mai vissuto. E badate bene che l’irrisolto è di tutti, non è cosa da ricchi o da perdigiorno che hanno il lusso di rimpiangere e di sprecare il tempo. Io sono tutte le donne che non ho mai avuto, donne che sono e sono state di altri. Il fatto è che un innamoramento non ricambiato non lo scacci dalla mente con una scopata fine a sé stessa ma solo con un innamoramento ricambiato, con un vero amore nuovo. Oggi vogliono tutte il maschio alfa e non si accontentano di me. Non ho neanche 10 euro da spendere al giorno e se ce le avessi sarei un signore. Non posso permettermi di andare in quel bar e offrire da bere due birre a quella ragazza, che forse ci starebbe, ma dovrei muovermi con discrezione e circospezione perché è già fidanzata. Anche la sua amica è già fidanzata. Non ho neanche i soldi per una escort libera professionista.  Resto solo e ritorno nella mia solitudine. “È ovvio” diceva una volta un mio ex amico. Per lui era tutto ovvio, tranne le panzanate che sparava lui e che gli sembravano grandi verità.  Io so di essere un fallito e questa è la mia forza. La tua debolezza è credere di essere. Tutti siamo e non siamo, pensiamo e siamo pensati. La realtà è che la scopata fine a sé stessa senza complicazioni esiste molto raramente. Vale solo se ti scopi una escort, un’esibizionista in un parcheggio, una massaggiatrice, una ragazza di un night club o di un club privé, una tantum. Ma già se vedi una escort o una di queste signorine più di una volta le cose si possono complicare sentimentalmente, affettivamente, umanamente.  La realtà è che prima e dopo una scopata fine a sé stessa tu devi comprendere il vissuto della donna e la donna deve comprendere il tuo vissuto. Insomma ci vuole empatia reciproca, comprensione reciproca. E ve lo dice uno che non scopa! Uno che vorrebbe rompere la solitudine con una donna, ma non con qualsiasi donna! Da certe donne non voglio essere (in)compreso. Sì. Perché c’è sempre il rischio di non comprendere o di essere incompresi!  Che poi ci sono anche altri modi di stimolare il nostro nucleo accumbens, non solo il sesso! La differenza tra me e voi, cari nemici, è che voi credete con tutta la vostra forza in quello che fate e in quello che dite e in quello che scrivete. Stateci  seri! Mi raccomando. Un minimo di autoironia, un mimino di autocritica,  un minimo di umiltà… Cari nemici, vi do il permesso di parlare male di me in mia assenza. Così sarete felici e mi farete contento. Per me voi pubblicamente non esistete e io sono già da tempo immemorabile passato ad altro. E tu smettila di dire che l’anarchia è utopia perché qualsiasi ideologia oppure orientamento politico contiene una discreta dose di utopia. Tu parli di democrazia, ma si è forse realizzata la tua democrazia? Non vedi che anche la tua concezione di democrazia è utopia?!? E smettila anche di dire che l’anarchia andrebbe bene se tutti fossero educati, colti, intelligenti e civili. Non è così. L’anarchia, come la intendo io, potrebbe anche fare diventare migliori gli uomini. Le parole che non dici e non scrivi fanno vincere il non detto. Se non ami una donna, lei amerà altri, e in te prevarrà solo odio, cinismo o indifferenza. Ecco perché in me vince il disamore e il disincanto! Come se ne fossi veramente certo. No. Non siamo sicuri di niente o quasi. E poi tutti questi scrittori seri scrivono un romanzo all’anno, che poi molto raramente vende…Tenetevi i vostri romanzi, che poi a onor del vero non sono neanche tali. Tenetetevi stretti i vostri editor e ghost writer. Io con il mio tablet economico scrivo solo i miei piccoli pensieri senza pretese: è un vizio antico ormai quello di giocare con le parole. 

Benvenuti!! – di Frida la loka

Siate tutti i benvenuti!!, di Frida la loka, Lombardia.

Foto: Francesco Ungaro ( Pexels), Foto di portata: Isaac García ( Pexels)
La giostra è aperta!

Care amiche, cari amici, conoscenti vari e soprattutto quelli che non lo sono affatto!!!, (per voi, faccio uno strappo alla regola).

L'ingresso è gratuito, ma c'è purtroppo una piccola regola, solo una, chi entra non potrà uscire finché non ha sperimentato l'adrenalina di ogni passatempo o svago che dir si voglia.

Perciò, requisiti indispensabili; coraggio,  tenacia e resistenza con una buona dose di (auto)ironia.

Avrete diversi privilegi, i quali vi serviranno a interagire meglio sui diversi ruoli, secondo la situazione proposta, considerate che non tutte saranno gradite, altre addirittura disgustose, beh! sarà parte della vostra "experience", direi, indimenticabile.

Potrete fruire di maschere, (disporrete dun'ampia varietà di scelta), giacché noterete che nel percorso ci saranno contesti nei quali, sé avrete indossato la maschera con un sorriso stampato su di essa, il resto vedrà in voi una persona allegra e che in apparenza si gode la giostra, concludendo col ragionamento che poi alla fine, non è tanto male.
Qualcun'altra, porterà con sé, la maschera della malinconia, che parla da sola, siccome la stragrande maggioranza sarà impegnata ad altro (non preoccupatevi!), passerete inosservati.

Noterete che la maschera con le labbra verso il basso, con gesto di tristezza, non la prenderà quasi nessuno, non sia il caso di far intravedere agli altri i propri stati emozionali...

Infine, avrete (eccezionalmente), l'opportunità di assaggiare il vero senso delle vertigini, quelle che vi metteranno un disagio unico e inspiegabile, sembrerà che il battito cardiaco acellera e il tutto viene a mancare, le gambe tremerano e ogni senso non sarà più in grado di avere il proprio controllo, e penserete, - è il momento di dire basta!!

Beh, vi do una notizia, non sarete in grado di uscirne, a questo punto, non sarete voi a decidere. Vi ricordate "Jumanji"? Quel gioco che prende vita e finché non si fa come da regolamento, non se ne esce.

Probabilmente più d'uno penserà che sta avendo un attacco di panico, tranquilli sono soltanto le vertigini, (le qualli vi faranno forse pentirvi d'aver accettato, a tal punto di rimettere tutti i tramezzini).

La giostra avrà presso le vostre anime e sarà lei a gestirvi.

Allora! Se sarete stati alla altezza e, come consigliato all'inizio: portasti con voi tenacia, resistenza, coraggio, vorrà dire che avrete trascorso solo delle poche ore, d'una sola giornata, delle vostre vite in questa giostra, la mia.

Cosa avete vinto? Nulla...

Semmai, avrete capito per un istante, come ci si sente, vivere gli alti e bassi di questa sciagurata e miserabile giostra chiamata vita...
Foto: Imustbedead (Pexels)

Tua

7 maggio, 2023

Dal blog personale di : http://fridalaloka.com

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Ognuno ha i suoi demoni…

“Ma io non ci sto più”, e i pazzi siete voi

Tutti pensarono dietro ai cappelli

“Lo sposo è impazzito oppure ha bevuto”

Ma la sposa aspetta un figlio e lui lo sa

Non è così che se ne andrà”

(“Alice” di Francesco De Gregori)

Passo davanti alla Coop. C’è un giovane uomo seduto su un capitello. È visibilmente fuori di sé. Ha gli occhi chiusi. Come minimo il suo stato di coscienza è alterato. Sta facendo un brutto viaggio. È una semplice sbronza passeggera, è tossicodipendente oppure è alcolizzato? Vedo che si rialza, sembra non avere bisogno di aiuto, continuo a camminare, lui va in un’altra direzione e scompare dal mio campo visivo. Faccio un km. Vado in un bar. Prendo un caffè e qui trovo un giovane, che mi dice di aver perso 130 euro alle slot-machine; dice che il suo è un vizio di merda,  che gli ci vogliono dei giorni di lavoro per guadagnarsi quei soldi e che invece nel giro di un’ora se li è sputtanati alle macchinette. 

Ognuno ha i suoi demoni, che si sommano ai demoni degli altri, del mondo. Non sto parlando di tare psicologiche, ma di vere e proprie ossessioni, di elementi fantasmatici,  di paure. Più che avere il diavolo in corpo, spesso si tratta di averlo nella mente. Ci sono idee fisse, che rodono nell’animo come tarli. Le abbiamo tutti, anche se molti non lo ammettono per timore di essere giudicati male. Molti rimuovono dalla loro consapevolezza la parte folle, che abbiamo tutti, più o meno, e spesso la proiettano sugli altri, ragion per cui i pazzi sono sempre gli altri.  Spesso sono piccole idee sotterranee, latenti, ma possono anche esplicitarsi, manifestarsi quando meno ce lo aspettiamo. Possono prendere il sopravvento. La vita è anche una lotta contro i nostri demoni interiori. Talvolta pensavi di averli vinti, eliminati totalmente ed ecco che si ripresentano immancabilmente. Ci sono traumi che non vengono mai del tutto superati, lutti mai del tutto rielaborati, ferite mai del tutto cicatrizzante, rimarginate. Puoi pure aspirare alla spiritualità,  puoi fare anni di psicoterapia, puoi mettere su carta e scriverne quanto vuoi, ma i demoni restano. Forse alcuni dei nostri demoni interiori fanno parte di noi, fanno parte del nucleo inalterabile, irriducibile, inossidabile di noi stessi. Ci sono persone ossessionate da delle paure verso cose, verso persone, nei confronti dell’ignoto. Si tratta di vere angosce. Ci sono persone dipendenti dal sesso, da altre persone, da fobie, da manie, dal potere, dai soldi, dal successo, da dei riti che ripetono continuamente. Ci sono anche i superstiziosi,  gli scaramantici. Chi dice di non avere niente di tutto ciò mente spudoratamente o non si conosce abbastanza.  Anche grandi geni dell’umanità avevano le loro ossessioni. Hemingway riscrisse decine di volte il finale di “Addio alle armi”. Proust non voleva essere minimamente disturbato dai rumori e si fece rivestire tutta la sua stanza di sughero. Alla fine è una lotta contro sé stessi. Bisogna vedere se un’ossessione è invalidante o meno, se cioè condiziona in modo determinante la vita di una persona. Ma conoscersi, guardarsi dentro, cercare di capire come siamo fatti è l’unico modo per superare in parte queste cose. Non esistono persone che non abbiano dei demoni interiori, piccoli o grandi che siano. Saperci convivere non dipende unicamente da noi, ma anche da come gli altri si relazionano con noi, se ci aiutano o meno, da quello che ci è accaduto, da quello che ci accade e che ci accadrà. Non dipende solo ed esclusivamente dalla nostra vulnerabilità,  dal nostro modo di affrontare la vita, da come ci rapportiamo agli altri ed è stupido o addirittura insensato cercare di dire quanto dipende e quanto non dipende da noi in termini percentuali.  Il puro calcolo non si può applicare alle cosiddette cose della vita. Certe cose non si possono quantificare.  A volte dimentichiamo, trascuriamo le nostre ossessioni. A volte le superiamo, ma non sempre definitivamente,  anzi spesso solo provvisoriamente.  Nessuno alla fine è un uomo o una donna totalmente sano di mente, perché qualcosa di irrisolto c’è sempre e anche a distanza di anni ci presenta sempre il conto, proprio quando non ci pensavamo più. Non sempre una persona con grandi demoni diventa l’incarnazione del male assoluto. Spesso i demoni fanno male solo a noi stessi, ma c’è sempre qualcosa, anche solo delle remore morali, che ci trattengono nel fare del male agli altri. Non sempre tutto finisce come nel romanzo “I Demoni” di Dostoevskij.  È difficile anche stabilire quale sia la strategia da adottare. Cercare di non pensarci e distrarsi oppure prendere di petto la situazione e affrontare a muso duro la paura? Niki Lauda dopo un terribile incidente, appena possibile, non ci pensò due volte e scelse di ritornare subito in pista e questo significava affrontare in un colpo solo tutte le ansie, tutte le paure. Non a caso la tecnica psicologica più efficace nei confronti delle fobie è la desensibilizzazione  sistematica, che consiste nella fase finale nel mettere il paziente di fronte allo stimolo fobico. Non possiamo stabilire quanto i demoni siano interiori o meno alla fine. Sto pensando anche alla donna violentata in un ascensore della stazione di Milano. Questa violenza inaudita se la porterà dentro fin che campa. Sto pensando a quella ragazza sfregiata in questi giorni dal suo ex. Certi traumi, certe ferite del genere sono irreparabili. Ma ci sono anche piccolissime ossessioni, che talvolta decidono la qualità della nostra vita psichica e non. A volte la possono cambiare anche in meglio. Stephen King ha dichiarato che qualche volta quando è sdraiato nel buio della sua stanza pensa che un mostro possa essere sotto il letto, prendergli la mano  ed è anche dalla comunissima paura del buio, che talvolta nascono certi suoi romanzi o racconti. Talvolta dalle ossessioni, dai demoni può scaturire ideazione e creatività.  Carducci, Pascoli, D’Annunzio avevano il loro lato patologico ben marcato e diventarono grandi letterati e poeti.  Freud, Jung, Adler erano tre nevrotici. A volte dei punti deboli possono trasformarsi in punti di forza. Come Alda Merini che diceva di trasformare sempre le sue ossessioni in poesia.  A volte il dolore esistenziale può trasformarsi in nuovo apporto di conoscenza, così come può trascinare nel baratro una persona e affossarla definitivamente.  Talvolta non è questione di merito o demerito ma anche di fortuna o sfortuna. 

Charles Romuald Gardès – da Frida la loka.

Lombardia

El morocho del Abasto (l’uomo dei capelli scuri)

Conosciuto come Carlos Gardel. 
Quando si parla di Gardel si parla di tango, e in parte dell'Argentina.

Nasce in Francia nel 1890 ma arriva in Argentina da bambino, diventando uno dei simboli più amati, ammirati e rispettati degli argentini.

Gardel, cresciuto nel quartiere Abasto di Buenos Aires, dove si trovava il Mercato Centrale di Frutta e Verdura, proprio lì, di fanciulla età, inizia a essere riconosciuto per il suo canto e da quel momento in poi la sua fama comincia a trascendere.

Nell'anno 1902, diventa un macchinista al teatro La Victoria, inizia ad ascoltare diversi cantanti di zarzuela e d'opera; e nel 1911 forma un duo con "El Oriental" José Razzano, (dopo un presunto duello musicale tra i due).

Nel 1912 registra 15 canzoni per la Columbia Records, solo con la chitarra come strumento. Tra i successi della sua compilation eccelle con il brano "Sos mi tirador plateao", che diventa molto popolare.

Nel 1917 divenne il primo cantante ufficiale di tango, quando presenta in anteprima la canzone di tango intitolata “Mi noche triste”, collaborando con quel tango che era solo musica senza parole. Nello stesso anno gira e presenta in anteprima il suo primo film, "Flor de durazno", e inizia la sua fase di registrazione con José Razzano, con l'etichetta Disco Nacional e la canzone "Cantar eterno".

Negli anni '20 porta il tango in Europa, facendolo conoscere in Spagna e Francia; ed è nel 1925 che si separa da El Oriental.

L'anno successivo l'uomo dei capelli scuri torna in Argentina e inizia a dedicarsi alla fonografia, diventando una figura famosa in Argentina, Uruguay e in diversi paesi europei negli anni '30.

Nel corso della sua carriera, la casa cinematografica Paramount Pictures Corporation chiama Carlos Gardel a recitare in quattro film, girati a Joinville, in Francia, conquistando così il mercato degli Stati Uniti, dove registra dischi, canta in radio e gira films di grande successo che accresce la sua fama in tutta l'America.

Poco dopo Carlos incontra il collaboratore, poeta e giornalista Alfredo Le Pera, con il quale scrive molti tanghi, tra cui i famosi "Mi Buenos Aires Querido", "Volver" e "El Día Que Me Quieras", tra gli altri.

Sebbene sia riconosciuto per i suoi tanghi, Gardel si è distinto in più di settecento registrazioni, non solo di tanghi; ma anche musica folk come milonghe, zambas, rancheras, melodie, stili, ecc.

È l'anno 1935 che Carlos Gardel, insieme ad Alfredo Le Pera e ad altri suoi musicisti, muore nella collisione di due aeroplani in procinto di decollare sulla pista dell'aeroporto Enrique Olaya Herrera nella città di Medellín, in Colombia.

Il distinto e molto apprezzato Gardel era allora nel pieno della sua carriera, impegnato a fare un gran tour in tutta l'America Latina, e milioni di suoi ammiratori lo piansero.
Fonte: Crisholm Larsson. El Tango a Broadway (anni ’30)
Titolo inglese: El Tango en Broadway
ID manifesto: CL83830
Categoria: Film
Progettista: Paciarotti
Anno: anni ’30
Attore/regista: Carlos Gardel, Trini Ramos, Vicente Padula, Suzanne Dulier, Manuel Peluffo, dir. Louis J.Gasnier
Studio cinematografico: Exito
Paese: argentino
Paese del film: argentino / americano

Tua

14 aprile, 2023

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Il benpensante al bar e l’ecologia…

Eccolo il benpensante,  il conformista che legge il suo quotidiano reazionario! Si lecca l’indice e poi sfoglia il giornale del bar, anche se non è assolutamente igienico. E si infervora, si inalbera, si indigna, si sdegna per quei ragazzi che hanno imbrattato Palazzo Vecchio. “Che delinquenti! Ci vorrebbe il carcere per tutta la vita! Bisognerebbe gettare la chiave!”

È lui che dice quel che è giusto senza alcun dubbio, né incertezza, né titubanza. Così sentenzia, si guarda attorno, cerca consenso, sguardi di approvazione. Qualche suo amico ride e commenta e quindi rilancia. Ogni volta può nascere una discussione. Sono al bar e hanno la libertà di dire tutto quello che gli passa per la testa, incuranti di tutto. È una zona franca. Nel bar possono fare battute volgari a sfondo sessuale oppure omofobe.  Poi si è tra persone perbene. Dieci minuti fa c’era un barbone seduto a pochi metri dal bar, ma il titolare gli ha offerto un cappuccino, a patto che si levasse di torno e non disturbasse più i clienti che entrano ed escono. Insomma un minimo di decoro!  Ma ritorniamo all’imbrattamento di Palazzo Vecchio. Certamente hanno commesso un grave sbaglio. Certamente ci sono voluti 5000 litri d’acqua per ripulire tutto. Di sicuro hanno posto l’accento sulla causa ambientalista, ma è stato tutto controproducente,  è stata una gravissima pubblicità negativa. Sono andati troppo oltre il consentito, oltre il buon senso, oltre la civiltà. Sono io il primo a pensarlo.   Però vorrei che il benpensante si scandalizzasse e si arrabbiasse ogni giorno per tutti gli scempi e i disastri ecologici che avvengono nel mondo. Altrimenti finirà sempre per guardare il dito invece della luna! Io mi chiedo perché, in Italia almeno, finiscono per parlare d’ambiente e in malo modo solo dopo atti di ecoterrorismo? Eccolo di nuovo  il benpensante. Si muove a suo agio, con leggerezza.  Parla con tizio, caio e sempronio. Dice che Greta è una ragazzina disturbata, che non ha da insegnare niente a nessuno e poi già tanti ecologisti prima di lei avevano già detto quelle cose. Dice che quella ragazzina ha fatto la scoperta dell’acqua calda, ma che fa troppo casino e va fermata a ogni costo, anche usando la violenza, la criminalità organizzata, l’inganno. Dice che questi giovani fanno un casino memorabile solo per divertirsi e perché non hanno voglia di fare niente. Così facendo assolve tutta la sua generazione di boomer, che all’epoca non aveva coscienza ecologica alcuna e qualche colpa ce l’ha. Insomma qualsiasi escamotage è consentito per non fare parlare più Greta. Lo so bene cosa “pensa” il benpensante: in questo mondo non possiamo permetterci l’etica della responsabilità. Lui non lo dice espressamente,  ma lo fa intendere.  Ci penseranno i posteri! Il mondo è sempre andato avanti, sempre e comunque, nonostante tutto. Poi fa la battuta: è solo una Gretina! Mi chiedo da quale mondo arcaico e retrogrado, da quale cultura arretrata e paludosa venga fuori costui. E mi chiedo perché invece di chiedere l’ergastolo per le azioni degli anarco-ambientalisti (o così dice che siano quei giovani il benpensante) e di chiedere di fermare a ogni costo Greta non pensa a fermare i presidenti delle multinazionali che inquinano oltre il consentito,  tutti quei governanti che non pongono fine all’inquinamento del pianeta? Perché non chiedere pene severe per chi comanda e non mette le basi per uno sviluppo sostenibile? Mi metto a riflettere. Finisco per pensare che se uno danneggia  un’opera d’arte, l’umanità comunque sopravvive. Se si danneggia irreversibilmente la natura, allora l’umanità non sopravviverà.  Mi dico che i danni degli ecoterroristi alla cultura sono infinitamente meno gravi rispetto al terricidio, all’Apocalissi a cui siamo prossimi. Finisco di consumare. Me ne vado dal locale. Saluto il barista. Il benpensante mi guarda incuriosito, forse con  aria di sfida. Ma io vado verso l’uscita e non raccolgo il guanto della provocazione.  È lui che comanda lì.  È lui la maggioranza e io lo devo tenere presente. 

Un ricordo lontanissimo…

Avevo 16 anni. Andavamo ogni domenica pomeriggio in una discoteca che si chiamava Waikiki. Distava poche centinaia di metri da casa. Io a quei tempi non sapevo assolutamente cosa significasse Waikiki, quel nome bizzarro ed esotico (adesso so che è un quartiere e una spiaggia delle Hawaii, meta di tutti i surfisti). Allora avevo tutti i denti. Non avevo neanche un filo di grasso. E i miei coetanei non erano ancora tutti palestrati.  Ed ero alto 1.76 in un’epoca in cui alla visita di leva di quelli nati nel 1972 come me l’altezza media era di 1.72. Eravamo tutti sobri nel gruppo. Nessuno prendeva mai alcolici. Non ci sfiorava neanche per l’anticamera del cervello. Si consumava qualche Coca-Cola. Quella discoteca ci sembrava grande e invece era piccola. Le nostre cose della vita ci sembravano così importanti  e invece eravamo dei ragazzetti insignificanti alla periferia di una provincia insignificante,  in un angolo di mondo insignificante, dove non succedeva mai niente e la noia dominava su tutto. Eravamo dei piccoli provinciali insignificanti, ma quel piccolo nostro mondo angusto ci sembrava racchiudesse tutto il mondo e la sua illimitata varietà: avremmo scoperto nostro malgrado e a nostre spese che non era assolutamente così.  Era tutto un guardarsi con le ragazze. Ce n’era una che si chiamava Eleonora, aveva 16 anni, era pontederese anche lei, a cui piacevo. Che poi me lo avevano detto altri perché io non me n’ero neanche accorto! La sua sorella l’aveva confidato a un mio amico. L’avevo saputo per vie traverse. Tutti mi dicevano che ero fortunato perché era molto bella. Poi si vociferava che fosse emancipata. Fumava molto. Qualcuno diceva che era scoppiata. Era un modo di dire tutto pontederese per dire che era alternativa, che era contro il sistema. Io ero vergine. Lei aveva già avuto delle esperienze. Avrebbe potuto insegnarmi tutto dell’amore o della sua parvenza.  Tutti mi dicevano: che aspetti? Toccava a me fare il primo passo, ma mi limitavo a guardarla e sorriderle.  Gli amici non avevano fatto i conti con la mia timidezza, la mia goffaggine, il mio essere così imbranato. E fu così che passarono le settimane ed Eleonora non perse tempo e si fidanzò con un altro. Io fui per gli amici uno sfigato, un gay, un perditempo, uno che sprecava le occasioni. Avevo perso un treno. Un bel treno. Ancora oggi in certi momenti oziosi passati a rigirarmi nel letto o mentre fisso il soffitto oppure mentre cammino da solo all’alba nella nebbia mi ricordo vagamente di Eleonora, che non ho più rivista e che a distanza di più di 30 anni non so più cosa faccia, dove e con chi viva; ormai a distanza di più di 30 anni tutto è sfumato, non mi ricordo più la sua voce, non mi ricordo che molto genericamente le sue fattezze; a un tratto però nel buio della mente e nella spirale della solitudine nel cuore della notte o mentre cammino da solo all’alba, a un certo punto quando meno me lo aspetto mi illuminano la mente i suoi occhi azzurri e penso a tutti I bivi della vita, a tutto quello che poteva essere e non è stato; poi faccio mente locale e penso che sono rimasto solo, che quella piccola discoteca l’hanno chiusa da decenni e al suo posto da qualche anno c’è lo studio di un notaio. Penso che Eleonora non la rivedrò mai più e molto probabilmente è meglio così perché non voglio vedere i segni del tempo su di lei, ma anche perché si riaprirebbe una ferita mai totalmente risarcita. Penso anche che io ho il lusso di poter sprecare del tempo a ricordare cose lontanissime, di fantasticare inutilmente come avrebbe potuta essere la mia vita con Eleonora,  mentre lei più prosaicamente avrà problemi molto seri da affrontare come un marito, dei figli e un lavoro duro da sudare. Ma in certi momenti di solitudine più feroce penso che un giorno lontanissimo anche io piacqui a una ragazza come Eleonora (io che non ho più occasioni, non ho più opportunità di amare ed essere amato, io che sono un uomo solo) e questo pensiero per qualche istante soltanto mi rincuora e dilegua la tristezza passeggera. 

“Del mio tentativo di far sposare Renzo e Lucia” di Gabriele Andreani

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Racconto che si muove su un impianto costruttivo che racchiude una storia nella storia,  dove leit motiv è rappresentato da una sottile ironia  che lega una trama intessuta in un immaginario dialogo tra il lettore/narratore e i protagonisti del celebre romanzo del Manzoni. Lo stile narrativo è ineccepibile e la padronanza lessicale e sintattica rendono il brano un esempio brillante di prosa moderna e rigorosamente strutturata.[Maria Rosaria Teni]

9788817097413_1_536_0_75La cena era stata pantagruelica e il vino aveva fatto affari d’oro con la mia gola. Per non ingolfare ulteriormente il mio cervello di liquori, barcollai a mezz’aria in direzione della saletta all’ingresso, presi un libro dallo scaffale, inforcai gli occhiali e diedi un’occhiata al titolo stampato in rosso sulla copertina: I Promessi Sposi. Poi, mentre gli amici eruttavano grasse risate, sprofondai nella poltrona, accanto a un raggio di luna. Aprii il romanzo e lessi un periodo a caso: Lorenzo o, come dicevan tutti, Renzo, non si fece molto aspettare. Appena gli parve ora di poter, senza indiscrezione, presentarsi al curato, v’andò, con la lieta furia di un uomo di vent’anni, che deve in quel giorno sposare quella che ama…[1]

Andai avanti nella lettura fino al punto in cui Don Abbondio dice a Renzo che il matrimonio non verrà celebrato per alcune formalità che devono essere ancora adempiute.

Sentendo il giovanotto sospirare, decisi di offrirgli il mio aiuto. Balzai come in sogno a pagina trentaquattro e mi sedetti su una virgola, accanto a un ma.

«Salve» dissi.

«Voi chi siete? Da dove siete entrato?» gracchiò don Abbondio, guardandomi con sospetto, mentre Renzo, pallido di rabbia, andava avanti e indietro per la canonica.

«Sono il Lettore» dissi. «Sono entrato da una nota a piè di pagina.»

«Uscite dalla mia casa!» gridò il curato, agitando la mano.

«Me ne andrò solo quando avrò ottenuto soddisfazione.»

«Che?»

«Quando sposerete questo bravo ragazzo.»

«È del mio matrimonio che state parlando, signore?» chiese Renzo, andandosi a sedere sul ma.

Sorrisi e feci segno di sì.

«Non voglio che questo tizio s’impicci dei miei imbrogli!» tuonò don Abbondio.

Mi prudevano le mani. Sentii il desiderio di strappargli il folto pizzo.

«Ecco, vedete» disse il giovane, rivolto al curato, «magari è il caso di ascoltare l’opinione del Lettore.»

Don Abbondio si aggrappò a una sponda del latinorum e un istante dopo lasciò la canonica. Perpetua lo trovò accartocciato sotto un impedimento, con il respiro pesante e un’espressione turbata.

Poiché battevo i pugni nell’aria, Renzo mi chiese perché provassi così tanta rabbia. In fondo, il turlupinato era lui, mormorò quasi piangendo.

«Rinviare al giorno del poi e all’anno del mai un matrimonio che aspetta solo di essere celebrato» dissi «è una cosa che mi fa uscire dai gangheri. Se non fossi il Lettore, se potessi apportare delle annotazioni al testo e inserire delle pagine, aggiungerei elementi sufficienti per ridurre don Abbondio allo stato laicale. Cristo Santo, come si fa a impedire a un onesto filatore di seta di crearsi una famiglia?»

«Già, come si fa?» domandò Renzo rivolgendosi alla caricatura del curato affissa alla parete, opera di Grignapoco[2] da Bergamo.

«Mi è venuta un’idea!» esclamai. Tirai fuori da una tasca lo smartphone e composi il numero di don Euro, il sacerdote che mi aveva sposato una decina d’anni prima e con il quale, sebbene il mio matrimonio fosse andato a pezzi, ero rimasto in buoni rapporti.

«Cos’è quel coso?» chiese il filatore di seta, strabuzzando gli occhi, mentre una voce raffreddata sospirava: «Pronto, pronto…»

Spiegai la situazione a don Euro, pregandolo di raggiungermi prima di sera in cima alla collina che sorge sulle rive del ramo meridionale del lago di Como.

Rispose che non era in grado di alzarsi dal letto. Aveva il Covid-19. Tuttavia, non c’era da preoccuparsi, almeno per il momento.

Gli feci gli auguri di pronta guarigione e chiusi la conversazione. Renzo continuava a guardare lo smartphone con gli occhi più grandi delle orbite. Glielo mostrai e ne spiegai le numerose funzionalità, compresa l’APP-IMMUNI creata per combattere l’epidemia di Yersinia Pestis, il batterio responsabile della peste manzoniana.

«Che te ne pare?» chiesi.

Renzo non rispose subito. Poi disse:

«In verità, da povero figliolo che opinione posso avere di un’appendice dell’orecchio di cui nessuno qui da noi, neppure Padre Cristoforo, ha mai sentito parlare?»

«Già» feci io. «È un prodotto dell’evoluzione o, per essere più precisi, dell’educazione moderna. Chi ne abusa, e sono davvero in tanti, non si gode il sole, non sa di che colore siano i fiori, crede che il Libro sia una stella morta.»

«E ora che accadrà?» domandò Renzo, appoggiando la testa su un punto interrogativo.

«A essere sinceri non lo so» dissi. «Dammi un paio d’ore. Cercherò di convincere il curato a cambiare idea. Ora vai a casa e tappati la bocca. Ci vedremo a pranzo alla locanda di Gorgonzola.»

«Stai cercando di smaltire la sbronza leggendo I Promessi Sposi?» mi chiese Gilberto, abbassando lo sguardo sul libro. Gilberto aveva gli stessi anni di Renzo, anche se ne dimostrava di meno. Era in procinto di sposarsi. Clara, la futura moglie, non la conoscevo, Gilberto non me l’aveva ancora presentata. Quella sera, alla Luna Piena aveva riunito gli amici per festeggiare l’addio al celibato.

«Lo sapevi che don Euro ha il Covid-19?» dissi.

Gilberto impallidì di colpo. «Ah, che disgrazia! Il matrimonio è fra tre giorni. E adesso chi lo sente Gastone, mio suocero. Lui, da buon comunista, aveva insistito per un matrimonio civile.»

«Calma, calma» dissi. «Se don Euro non ti ha detto niente, avrà i suoi buoni motivi. Se non sarà lui a celebrare il matrimonio, lo farà il prete di un’altra parrocchia. Il Padre Provinciale sistemerà ogni cosa. Andrà tutto bene.»

Gilberto sorrise e tornò a sedersi a capotavola.

Io che avrei riferito a Renzo? Mezz’ora se n’era già andata e non avevo concluso ancora nulla.

Aprii di nuovo il libro e, dopo un attimo di smarrimento, entrai nella canonica di Don Abbondio. Lo trovai uggiolante su una sedia. Perpetua, con un gran cavolo sotto il braccio, lo guardava con occhi torvi.

Appena il curato s’avvide della mia presenza, pregò la zitella di accompagnarmi alla porta. Quando Perpetua avanzò verso di me, l’afferrai per la cuffia e gridai: «Attenta vecchia, un altro passo e ti strozzo!» Con mia sorpresa, lei mi mollò un ceffone, andò alla porta, si girò e disse: «Fuori!»

«Aspetti» dissi mentre mi passavo una mano sulla faccia. «Giungo a un accordo con il Don e me ne vado. Sarà questione di minuti.»

«Il tempo che questo cavolo venga tolto dalle fiamme del fornello» fece lei dalla soglia, pestando i piedi.

Mi avvicinai al curato e lo guardai negli occhi. Don Abbondio sfuggiva il mio sguardo.

Domandai: «Perché questo matrimonio non s’ha da fare

«Vi siete introdotto come un ladro nella mia canonica a pagina trentaquattro, non avete letto le precedenti pagine?»

«No» dissi «le ho saltate.»

«Ma non le avete almeno sfogliate quando andavate a scuola?»

«A scuola ero un somaro.»

«Quindi non sapete nulla delle minacce che ho ricevuto stamattina da due gaglioffi al soldo del diavolo?»

Scossi la testa.

«E allora fatemi il piacere, tornatevene alla vostra cena e lasciatemi in pace. Perché volete intromettervi in questa faccenda?»

«Lei è un prete davvero strano e per certi versi anche buffo» dissi. «Un giovanotto, che lei conosce come le sue tasche, le viene a chiedere a che ora le comoda che ci troviamo in chiesa e lei gli risponde che è stato un suo sbaglio fissare per quel giorno la data del matrimonio. Un servitore di Dio, se pensa di fare la cosa giusta, non si tira mai indietro. Mantiene la parola data. Qualcuno, contrario alle nozze, l’ha minacciata? Che ridicolaggine! Ha mai sentito parlare di Giorgio Gennaro, di Pino Puglisi e di Peppe Diana?[3]»

«No, mai. Chi sono costoro?»

«Sacerdoti che, in nome del Vangelo, sfidarono malavitosi molto potenti.»

«E che ne è stato di loro?»

Il mio viso si rannuvolò. «I loro corpi furono ritrovati coperti di piombo.»

A quelle parole, il curato sobbalzò dalla sedia.

«Sposi Renzo e Lucia e mandi al diavolo chi ha osato minacciarla» continuai. «Nostro Signore fa il tifo per lei.»

Parlai per quasi tre quarti d’ora. Quando tacqui, Don Abbondio si alzò e andò a controllare che il cavolo fosse pronto per essere servito a tavola.

Scuro in volto, uscii dalla canonica e mi avviai lungo il sentiero per Gorgonzola. Quando arrivai alla locanda, Renzo era seduto in fondo della tavola, vicino all’’uscio. Alla sua sinistra un pesciaiolo se ne stava abbandonato sulla seggiola tracannando un boccale di vino. A destra, il barrocciaio del paese si stava mettendo in tasca delle molliche di pane nero. Accanto al bancone, un cagnuccio affondava i denti negli avanzi di una beccaccia.

Non dissi nulla a Renzo del mio fallimento, non ce ne fu bisogno, la mia faccia era un libro aperto. Quando vi lesse questo periodo:

Don Abbondio ordinò a Perpetua di mettere la stanga all’uscio, di non aprir più per nessuna cagione, e, se alcun bussasse, risponder dalla finestra che il curato era andato a letto con la febbre

Il giovane scoppiò in un’amara risata.

«Sant’Iddio, ti vuoi svegliare!» esclamò Gilberto chinandosi a terra per raccogliere il libro capovolto.

Quando aprii gli occhi, il locale era quasi vuoto. Un cameriere stava riordinando i tavoli.

«Ti accompagno a casa» disse Gilberto.

«No, preferirei che lo facesse Renzo.»

«Renzo chi?»

In un lampo realizzai che non mi avrebbe potuto capire. «Andiamo» balbettai.

Nella stanza da letto, mentre mi sbottonavo la camicia, decisi di fare un altro tentativo.

Forte di quel convincimento, mi recai in soffitta e aprii una scatola odorante di muffa. Un’edizione del 1953 dei Promessi Sposi, rinvenuta sotto vecchie riviste, m’illuminò gli occhi. La presi e scesi di sotto. In cucina mi versai una mezzetta di vino in un boccale, poi mi sedetti in soggiorno, accanto alla finestra.

Incurante delle ore che passavano, della fame e degli squilli del telefono, lessi il libro fino alla fine, andando alla ricerca del passo in cui sarei potuto intervenire. Ma non ce ne fu bisogno. La talentuosa penna di Don Lisander[4], indagando i cuori dei personaggi e dando a ciascuno secondo il merito delle proprie azioni, aveva già provveduto a fare giustizia, assicurando la felicità ai due giovani.

Quando mi alzai dalla poltrona era giorno pieno. Mentre mi sgranchivo le gambe, sentii suonare alla porta. Raccolsi tutte le mie forze e andai ad aprire. Il postino mi consegnò una lettera proveniente da Pescarenico. Così diceva lo scritto:

Lettore,

mai scorderò quanto avete fatto per me. Anche se il vostro tentativo non è andato a buon fine, il fatto stesso che vi siete ingegnato affinchè il matrimonio avesse luogo fa di voi un galantuomo.

Fra poco andrò da don Abbondio a prendere i concerti per lo sposalizio. Oggi stesso Lucia e io saliremo all’altare. Non udite suonare a festa le campane?

Prima di congedarmi, v’ho da dire un’ultima cosa, la più importante: se su un Capolavoro, su tutti i Capolavori del mondo, non calerà mai il sole, il merito è Vostro, amico Lettore.”

Renzo

Gabriele Andreani

[1] I riferimenti in corsivo del testo rimandano alle parole testuali dei Promessi Sposi.

[2] È uno dei bravi di Don Rodrigo.

[3] Don Giorgio Gennaro (1866 – 1916), don Pino Puglisi (1937 – 1993), don Peppe Diana (1958 – 1994) furono trucidati dalle mafie.

[4] Alessandro Manzoni veniva affettuosamente chiamato dai milanesi Don Lisander.

Gabriele  Andreani vive a Pesaro e lavora a Forlì. Laureato in giurisprudenza e in sociologia è stato anche professore a contratto in criminologia presso l’Università degli Studi di Urbino “Carlo Bo”. È autore di alcuni saggi pubblicati su riviste specializzate concernenti la violenza, la devianza giovanile, il bullismo, la prevenzione situazionale del crimine, la deprivazione relativa e le armi. Nel 2014 è vincitore del concorso di poesia “BRA DAY (Breast Reconstruction Awareness Day)” indetto dall’Associazione Musicale Culturale “Gian Matteo Rinaldo” Sambuca di Sicilia – Agrigento in collaborazione con gli Ospedali Riuniti Villa Sofia Cervello di Palermo. Nel 2015 ha ricevuto la Menzione d’Onore al premio di poesia indetto dal Salotto Letterario di Torino “Il numero UNO della Poesia Italiana Contemporanea” e, nello stesso anno, il Premio Speciale Miglior Racconto Noir con  “Il respiro della primavera” al concorso letterario “Città di Grottammare” indetto dall’Associazione Culturale “PELAGSO 968”. Numerosi sono i premi e riconoscimenti ottenuti in varie parti di Italia, tra cui podi, menzioni, segnalazioni, pubblicazioni e premi speciali

Racconti: La Befana e Il Mistero delle calze scomparse, di Maria Cristina Buoso

Entro in casa dopo aver fatto una bella passeggiata nel freddo della sera, fuori il sole si spegne sulla neve caduta durante la notte creando riflessi colorati che mettono di buon umore.

Il freddo mi è entrato dappertutto facendomi ballare sui piedi congelati per cercare di farlo passare, mi spoglio in fretta per liberarmi dei vestiti umidi ed entro nella doccia per permettere all’acqua calda di sciogliere il gelo che sento in tutto il corpo.  La felpa mi accoglie e riscalda mentre preparo una tazza di cioccolata calda.

Mi siedo sul divano sotto ad una copertina colorata di ciniglia e la mia gatta si acciambella ai miei piedi, la tivù accesa su un canale dove stanno trasmettendo uno dei tanti film a tema natalizio mi concilia il sonno ed io lentamente mi addormento mentre continuo a pensare ad una notizia che il telegiornale aveva dato nella mattinata: tutte le calze per la notte della befana erano scomparse dalle bancarelle e dai negozi. Come fosse successo e perché, nessuno lo sapeva. I genitori e i nonni che avevano aspettato gli ultimi giorni per acquistarle, nella speranza di poter risparmiare un po’, e così poter fare un regalo più bello ai bambini, adesso temevano di deluderli ed erano furiosi verso le autorità che non avevano saputo trovare una soluzione al mistero.

Un rumore mi sveglia di soprassalto e Maya mi guarda strana, si alza e sempre guardandomi sospettosa si allontana preferendo un cuscino vicino al termosifone. Scuoto la testa, mi alzo per andare in cucina e… mi blocco … la mia schiena.

E adesso????

Con fatica, mi avvio verso la mia camera da letto dove ho le pastiglie per quando mi blocco ed il mio cuscino di sale grosso che, riscaldato, mi darà sollievo dove mi fa male.  Cammino lentamente appoggiandomi al muro, passando davanti allo specchio dell’anticamera mi cade l’occhio sull’immagine riflessa e… mi blocco. Ritorno sui miei passi e mi fermo davanti allo specchio per essere sicura di non avere le allucinazioni.

Cosa diavolo è successo?????

–   È il regalo che quest’anno la befana ha voluto fare ad alcune persone –  Calma, adesso sento pure le voci dentro casa? Mi giro e vedo la mia gatta seduta dietro di me che mi guarda sorniona – Non sarai mica tu a parlare?

 –  E chi vuoi che sia? Certo che sono io.

Calma, rimaniamo calmi… io sto ancora dormendo e … – spazientita la mia gatta mi dà un morso al polpaccio e mi fissa. – ahiiiiiii.

  •  Non abbiamo tutta la notte. Concentrati e ascoltami bene.
  • Mi sai spiegare perché sono conciata così?
  • Sei proprio brutta.  Comunque, questa è la regola.
  •  Regola???
  •  Certo. Da adesso fino a domani mattina, quando sorgerà il sole, tu puoi andare dove vuoi e fare tutto quello che vuoi a bordo della tua scopa speciale, hai una immunità di invisibilità… ma devi ricordarti che, prima che il sole termini di salire nel cielo, devi essere a casa, altrimenti ovunque ti troverai quando la scopa scomparirà tu ritornerai ad essere di nuovo tu.
  • Ma… sono la befana! –  Non riesco a credere all’immagine che lo specchio mi rimanda. Il vestito è colorato e un po’ rattoppato come quello delle vecchine di una volta, il cappotto è lungo di colore scuro e al collo ho una sciarpa lunghissima fatta ai ferri e un fazzoletto di flanella legato sotto il mento.  Gli occhi sono nascosti dietro ad un paio di occhiali grandi e vicino alla porta vedo una scopa in saggina con il manico grosso di noce scuro.
  • Come mai sei così silenziosa? Non sei contenta di poter andare dove vuoi, ma solo dopo che avrai consegnato i regali ai bambini?
  • Ma che scherzo è questo…
  • Credo che sia stato Babbo Natale a pensarlo.
  •   COSAAAAAAAAAAAAAAAAAAAA??????
  •   Lo scorso anno la Befana si è lamentata con lui perché voleva prendersi un giorno di pausa il 6 gennaio, ma non poteva farlo per la mancanza di disponibilità da parte delle persone.  Così, quest’anno, ha pensato di farle un regalo. Con la magia ha reclutato tante “befane” che potessero sostituirla per una notte. Ha messo alcuni nomi nel suo cappello e, dopo una bella rimescolata con la mano, ha estratto per ogni città una persona e ha fatto un incantesimo speciale per farle diventare le sue sostitute.
  •   E se mi rifiuto?
  •   Rischi di trovarti così per un anno intero.
  •   Accidentaccio …. E allora?
  •   Copriti bene e comincia il tuo giro. Quello vicino alla scopa è il sacco, tu metti la mano dentro e tiri fuori il regalo e lo lasci al bambino che lo ha richiesto.
  •  Hai detto che posso fare tutto quello che voglio?
  •   Si, ma solo dopo che avrai terminato la consegna dei regali. Prima inizi e prima termini e più tempo ti rimane per fare… cosa vuoi fare?
  •  Ho una mezza idea  che mi frulla per la testa…
  •  Prima i regali…
  • Ho capito. –  Sbuffo esasperata. Prendo scopa, sacco ed esco mentre la gatta mi guarda dubbiosa, sconsolata ritorna a pisolare sul cuscino vicino al termosifone.

Una volta in strada mi sistemo la sacca sulle spalle come fosse uno zaino, devo cercare di capire come posso sedermi senza cadere, ma soprattutto come farla funzionare.  Aver letto i libri e visto i film di Harry Potter aiuta,  eccomi in aria. Mamma mia come sono in alto e come è veloce.  Calma, devo mantenermi calma, però la vista da quassù è bella. Adesso devo solo capire come fare per consegnare tutti i regali, vediamo cosa c’è nel sacco.  Ritorno a terra e comincio a rovistarci dentro …. diciamo  che il sacco ricorda la borsa di Mary Poppins, praticamente dentro c’è di tutto, allungo la mano e non trovo la fine ma solo tanti pacchetti. Legato con un filo rosso al laccio della sacca c’è un taccuino, lo apro e ci sono i nomi e cosa bisogna consegnare, per fortuna che è suddiviso per quartiere. Inizierò da quelli che sono vicino a casa mia. Fortuna che abito in un paesino di montagna e non ci sono tantissime famiglie.

  • Ma come fa la befana a portare tutti i regali tutto da sola? 

Sono stanca, mi devo riposare un attimo. Controllo il taccuino per vedere quanti bambini mi sono rimasti e … per fortuna ne ho ancora pochi. Mi rialzo, risalgo sulla scopa e parto per le ultime consegne. Se mai dovessi incontrarla le regalerò un fine settimana in una SPA, se lo merita, sono distrutta e ho consegnato solo una piccola parte rispetto a quello che deve fare da sola in una notte.

Sono seduta su di una panchina mentre controllo che il sacco sia vuoto … – ma quanto è profondo questo sacco?  –  Controllo  di aver cancellato tutti i nomi e…. ce l’ho fatta!

E adesso posso cercare di capire che fine hanno fatto tutte le calze, chi le ha rubate e perché.

Da dove cominciare? Il sacco comincia a muoversi come se avesse un attacco di tosse. Faccio un salto e mi ritrovo seduta per terra sul freddo della neve. Il sacco si muove sempre di più e alla fine ecco uscire un musetto dal sacco, prima vedo le narici, poi gli occhi e infine ecco apparire un bellissimo furetto bianco come la neve ma con una macchiolina nera tra gli occhi e il naso.

  • E tu chi sei?
  • Mi sembra evidente: un furetto.
  • Questo lo avevo capito da sola, grazie. Ma … parli?
  • Certo. E prima che tu me lo chieda, mi chiamo Sherlock –  si rituffa nel sacco e riappare con un paio di occhiali rotondi sul naso, una sciarpa attorno al collo – bene, allora da dove cominciamo?
  •  Come?
  • Datti una mossa perché è rimasto poco tempo. Da dove vuoi cominciare per risolvere il tuo mistero?
  • Vuol dire che mi darai una mano?
  •  Ma sei sempre così lenta? Perché pensi che sia venuto, ti vuoi decidere?
  • Giusto, il mistero. Pensavo di andare in piazza dove si trova il mercatino Natalizio e vedere…

     Con un salto è già a mezza strada – allora ti decidi?

  • Arrivo. Arrivo. –  Salto sulla scopa e in pochi minuti siamo nella piazza del paese. Le luci dell’albero e delle lampadine fuori dai negozi rendono il luogo magico. – Che meraviglia?
  •  Credo che mi metterò ad annusare attorno alle bancarelle  …
  •  Giusto, tu hai un olfatto molto accentuato – mi guardo attorno in cerca di un  particolare che possa aiutarmi mentre Sherlock corre veloce attorno a tutte le bancarelle chiuse, si ferma un  attimo pensieroso e ricomincia la sua corsa folle.
  • Ci sono diversi odori … la traccia va verso il bosco.
  • Allora andiamo a vedere.

Mi salta sulla spalla ed io rimonto sulla scopa e voliamo verso il bosco. Non sono spaventata ma solo curiosa.  Chi sono i ladri e cosa se ne fanno di tutte quelle calze e del loro contenuto?

In lontananza intravedo delle luci, man mano che mi avvicino mi accorgo che sono tantissime e formano un cerchio e nel mezzo un enorme falò rischiara tutta la radura. Sono senza parole. Scendo verso il limitare del bosco e mi metto a camminare con circospezione tenendomi vicino agli alberi per non farmi notare mentre Sherlock  corre veloce verso le luci, è più curioso di me. 

Arrivo nella radura ed mi avvicino al cerchio di luci e rimango senza parole. Le calze sono tutte cucite assieme e formano un enorme e colorato pallone aerostatico con attaccata un’enorme cesta di vimini, dentro la cesta ci sono tutti i barboni del paese, non pensavo che ci fossero così tante persone senza casa. Le guardo muta, non so cosa dire. Ci pensa il mio furetto curioso a farlo al posto mio.

  • Ciao.
  • Ciao.  –  Risponde una vecchia signora – Ma tu non sei la befana?
  • No. La sostituisco solo questa sera.  Ma … cosa state facendo?
  • Avevamo un desiderio.
  •  Quale?
  • Andare verso il sole in cerca di un luogo in cui non avremmo più né freddo né fame.
  • E come pensate di riuscirci?  – Li guardo tutti con affetto – Non credo che in questo modo andrete molto lontano e rischiate di farvi male.
  • Non importa. – Sempre meglio di come stiamo adesso. Nessuno noterà la nostra sparizione, siamo invisibili. –  Se si alzano con quel pallone di sicuro precipiteranno appena ci sarà un po’ di vento.  Il furetto mi tira per la gonna obbligandomi a piegarmi. Con fatica lo accontento, la schiena mi fa un male…
  •  Io avrei un’idea, ma devi volerlo anche tu, altrimenti non funziona.
  • Di cosa si tratta?
  • Tu sei la befana.
  •  E allora?
  • Tu sei la Befana, hai la scopa e il sacco magico.
  • Continuo a non capire.

 Mi guarda spazientito –  Sei la Befana e in questa notte magica tu … se vuoi, puoi realizzare i desideri di tutti i bambini.

  •  Ma loro non sono bambini.

Mi dà un morso al naso esasperato.

  •  Ahi! – Ad un tratto capisco. I vecchi con l’età ritornano bambini. Una strana idea comincia a prendere forma e  guardo il furetto che mi strizza l’occhio e mi sorride. –  Forse so cosa fare.

Metto il sacco per terra e lo allargo per bene fino a farlo diventare grande abbastanza per  contenere la cesta che è attaccata al pallone, li leggo stretti e poi li attacco alla scopa.  Faccio salire tutte quelle persone e dico un paio di paroline magiche, che non sapevo di conoscere. Sono tutti affacciati felici e mi salutano riconoscenti mentre si allontanano nel cielo stellato e io sento il cuore riempirsi di amore e di gratitudine, sono felice per loro. La luna li accoglie nella sua luce ed io spero che ovunque andranno ci sia tanta gioia e serenità. Mi giro e vedo la strada che devo fare per tornare a casa, meglio che mi avvii. Sherlock mi saltella attorno contento mentre mi scorta verso casa.  Sono stanca, ho freddo e vorrei tanto essere al calduccio nel mio salotto… e il mio desiderio si avvera appena l’ho pensato. Mi sento ancora incredula per l’avventura che ho vissuto, vado alla finestra, Sherlock mi saluta con una zampina e si allontana nella notte. Gli sorrido e poi intirizzita per tutto il freddo che ho patito mi infilo sotto alla doccia bollente. Mi avvolgo nella coperta del mio letto e mi addormento guardando l’albero di Natale che brilla davanti alla mia finestra sotto alla neve che scende.

Il televisore si accende svegliandomi. Tengo gli occhi chiusi mentre sento una notizia che mi fa sorridere. Il giornalista sorpreso riferisce che tutti i senza tetto, i barboni e le persone povere sono scomparse.  Per le strade non si trova nessuno e le associazioni di volontari cercano qualcuno che sappia spiegare come sia possibile che tutti sono scomparsi durante la notte senza lasciare traccia. Sorrido, io lo so cosa è successo, è un segreto che la Befana non svelerà mai.

Maya si acciambella ai miei piedi tutta contenta di riavermi a casa con lei ed io ritorno a dormire.

MC

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La tragedia di Antigone – storie e miti greci.

Da Frida la loka ( Lombardia)

Tra tutte le protagoniste delle tragedie greche, Antigone è forse quella che più simboleggia un non finire del conflitto tra autorità e diritto, tra leggi divine (senso ampio del termine), e leggi umane. Antigone, rappresenta la storia dall’antica Grecia fino ai giorni nostri, rimanendo sempre il simbolo di una lotta personale contro la tirannia di un potere ingiusto.


La voglia di baciarti 
in qualsiasi situazione,
in qualsiasi posto,
in mezzo a qualsiasi folla,
a metà di qualsiasi discorso,
davanti a qualsiasi persona,
a qualsiasi ora.
È estenuante. Sfiancante.
Mi divora.
Ti prego, fa che non mi passi mai !!!

Antigone

La storia, racconta il tentativo di Antigone di seppellire suo fratello Polinice, che ha combattuto con l’altro suo fratello, provocandosi reciprocamente la morte, contro la volontà di Creonte, re di Tebe


Il figlio più giovane di Edipo, Eteocle, esilia il fratello maggiore Polinice. Quest’ultimo attacca Tebe, ma né l’uno ne l’altro l’hanno vinta perché muoiono entrambi in battaglia. Eteocle riceve le onoranze funebri, che invece vengono rifiutate a Polinice, che lo zio Creonte considera un traditore della città.
Saputo ciò Antigone – sorella di Eteocle – nonostante il consiglio dell’altra sorella, più giovane, Ismene, insiste affinché il corpo del fratello venga sepolto. Si reca quindi inizialmente da lui per rendergli omaggio da sola, e viene arrestata e condotta presso Creonte che giudica colpevoli entrambe le sorelle e decidedi imprigionarle rimproverando ad Antigone di aver disobbedito ai suoi ordini.

Ma Emone, figlio di Creonte, supplica il padre di lasciar libera Antigone, della quale è promesso sposo. Il re lo deride e ignora le sue suppliche.

Gli anziani ricordano allora al re che solo una delle sorelle ha infranto le leggi: Creonte dunque cambia idea e decide di condannare a morte la sola Antigone.

Mentre viene portata fuori da Tebe in una grotta ad attendervi la morte, l’indovino Tiresia avverte Creonte che gli dei sono molto irritati per la sua mancanza di rispetto verso i morti, e che tutto ciò porterà suo figlio alla morte.

Creonte, preoccupato, si affretta a far liberare Antigone, sepolta viva, e a far seppellire Polinice.

Emone stringe il corpo della fidanzata morta, si getta sul padre per ucciderlo, ma manca il bersaglio. Rivolge allora l’arma contro se stesso, uccidendosi. Creonte ritorna quindi al palazzo per apprendere che la moglie Euridice s’è tolta la vita dopo esser stata colpita dalla notizia della morte del figlio: resta così solo, chiuso nel suo dolore.


L’opera appartiene al ciclo di drammi tebani ispirati alla drammatica sorte di Edipo, re di Tebe, e dei suoi discendenti. Altre due tragedie di Sofocle, l’Edipo re e l’Edipo a Colono, descrivono gli eventi precedenti, benché siano state scritte anni dopo.

Sébastien Norblin, Antigone donnant la sépulture à Polynice – Public Domain via Wikimedia Commons

Antigone ed Emone, rispettivamente figli di Edipo e Creonte, erano profondamente innamorati e legati da una promessa matrimoniale.
Creonte, zio di Antigone oltre che spasimante respinto, era riuscito a mettere le mani sul trono di Tebe dopo che i legittimi eredi, Eteocle e Polinice, fratelli di Antigone, si erano affrontati in un duello mortale per entrambi.
Spinto dalla propria natura empia e malvagia, il Tiranno aveva ordinato di non dare sepoltura ai corpi dei due caduti.
Contravvenendo a quell’ordine, però, Antigone innalzò una pira e vi adagiò sopra il corpo di Polinice, cui la principessa era legata da profondo affetto.
Dall’alto di una terrazza, Creonte vide il bagliore delle fiamme del rogo e si precipitò sul posto, sorprendendo Antigone.
In preda alla collera per essere stato disubbidito e cogliendo in quella, l’occasione per potersi vendicare del rifiuto di Antigone, Creonte ordinò al figlio, il principe Emone, di seppellire viva la ragazza nella tomba di Polidice.
Emone finse di ubbidire. In realtà sposò l’amata e la mise in salvo affidandola ad un gruppo di pastori, tra i monti.
Antigone ebbe un figlio che, come tutti nella sua famiglia, portava impresso sul corpo il segno del serpente. Quando, molti anni dopo, ormai cresciuto, il ragazzo si presentò ad una gara con l’arco, Creonte lo riconobbe dal segno, lo catturò e lo fece mettere a morte.
Invano Emone tentò di salvare il figlio; alla fine uccise se stesso e l’infelice Antigone.

https://storia-e-mito.webnode.it/products/antigone-ed-emone-il-sopruso-e-la-tirannia/

Tua.

3 gennaio, 2023.

Ripubblicato su

http://alessandria.today

Tutto ha un’inizio

Di Frida la loka

Quando ho iniziato a scrivere, non sapevo da dove iniziare, ancora oggi sono confusa, nel cosa…

Volevo scrivere e basta, avevo bisogno di trasmettere, di condividere,  ma no, come nei social, a mio parere molto più, se mi passate la parola, superficiali.  Scrivevo e non riuscivo ad arrivare alle persone, mi sentivo no capita, ho addirittura, giudicata.

Qui, ho trovato un posto molto accogliente,  come per tanti che abbiamo fatto un salto nel vuoto, lasciando ognuno la loro terra.

Non ho mai aspettato niente di nessuno,  né i likes, né parole belle nei miei confronti.  Sorpresa mia, non sono da sola, non mi sento sola, anche sé nel quotidiano lo sia e affrontare,  malattia, famiglia e quello che arriva improvvisamente,  e non aspetti.

Volevo solo ringraziare ogni singola persona che mi ha letto, ha lasciato qualche parola o messo un mi piace.

Non avete idea del peso psicologico che possiede,  in positivo!!! Anche sé,  quest’anno è stato davvero duro per me.

RINGRAZIO A TUTTI VOI!

Avete alleggerito ogni singolo giorno di quest’anno,  mi auguro di cuore che proseguirà…

BUON 2023
A TUTTI VOI
Grazie

Vostra

1 gennaio, 2023

Dal blog personale

http://fridalaloka.com

Feci dei ricordi un giardino

Di Frida la loka(Lombardia)

Ne avevo tanti… già, sin da quand’ero piccola, alcuni sbiaditi con il passar del tempo, altri avrei voluto proprio cancellarli con qualcuno sono riuscita,
e quelli immancabili dove voglio ancora oggi tuffarmi, perché puri, nobili, sinceri, pieni d’affetto, amore e perché no passione.

I ricordi non li possiamo maneggiare come cartelle in ufficio; non possono essere classificati, belli, meno belli, brutti…

Sono sempre in aguatto, di quando in quando giungono, sempre senza preavviso, ti fanno sorridere a creppa pelle e mille volte piangere, non solo di malinconia…

Parlano, parlano d’un tempo che fu, parlano di passato, immagini che trafiggono il cuore che pensavi non siano mai esistiti..

Uno dei tanti ricordi è, che ho accumulato una quantità non indifferente perciò, ho deciso di starne un pò alla larga e ho fatto un giardino chiuso con un lucchetto in bronzo. A volte penso d’essere troppo rigida e torno adagio; oltre i miei fiori e cespugli preferiti.

Tolgo il lucchetto, apro la porticina e le cerniere fanno il classico rumore di mancanza di cura, do uno sguardo intorno a me, una tiepida brezza, con profumo di libri ingialliti mi da il benvenuto, il cappello vola dalla mia testa e oscilla fra foto vecchie, fa un giro di farfalla e compare sul muretto che divideva casa mia con quella dalla vicina.

Poi impazzita dalla mia presenza ruota e cambia direzione, mi porta verso un cielo stellato e mi ci vedo sdraiata sul pratto, nel buio della notte, sdraiata, fa caldo, ho solo una leggera camiciola in raso, le braccia incrociate dietro la testa e naso in su e le palpebre che aprono e chiudono lentamente, e le pupille che rimpicciolliscono e allargano, non perdono le sconfinate forme che le stelle formano…

D’un tratto, tutto è finito. Si vede che il lucchetto è tornato al suo posto, la prossima occasione porterò con me un rametto dei fiori del sentiero che conduce al giardino e dell’olio!, per aggiustare la porta… tuttosommato, son parte di me; anche d’essi, dovrei prendermi cura.

Tua.

31 dicembre, 2022

Ripubblicato su

http://alessandria.today

Cammino all’alba (racconto brevissimo natalizio)…

“È Natale il 24

non riesco più a contare

la vita va così

Ho una folle tentazione

di fermarmi a una stazione

senza amici e senza amore.”

(Piero Ciampi, cantautore e poeta)

Cammino all’alba nella nebbia, che per qualche istante soltanto mi confonde i pensieri. Solo i miei passi nell’aria che riecheggiano. Pontedera è addormentata. Ho i capelli molto corti. Mi sono fatto la barba e lo shampoo, appena alzato. So a memoria queste strade, questa piazza. Per il resto poi sembra una mattina come le altre, se non fosse che è Natale. Il cielo è nuvoloso. Non si apre ancora uno spiraglio di luce tra le nuvole.  I lampioni con una luce fioca e obliqua  illuminano il mio cammino. Attorno non c’è nessuno. Giungo davanti all’ospedale e tutti i bar sono chiusi. C’è una donna fuori di sé che urla dal suo appartamento. Continuo facendo finta di niente. Non mi volto. So chi è e non è nuova a dare in escandescenze. Ha spesso delle crisi di nervi e parla a voce alta. Prima o poi del resto ognuno ha le sue crisi, dei momenti puntuali o dei veri periodi di insoddisfazione e di depressione. A volte le crisi scaturiscono da cose futili, dopo aver accumulato strati di cose negative. Ora vedo affiancarsi una macchina. Sento il vocio di due giovani fidanzati che litigano. La ragazza inveisce, gesticola, quindi scende furiosa dalla macchina, sbattendo lo sportello; lui alterato suona il clacson e quindi riparte sgommando. Due infermiere e un dottore con la borsa fanno finta di nulla, non si intromettono, entrano in ospedale. Anche la guardia robusta e imponente fischietta, si fuma nervosamente una sigaretta e finge di non aver visto i due fidanzati né di aver mai udito le urla della donna, poco distanti. Continuo a camminare. Ecco il cinguettio dell’alba. L’edicolante naturalmente è chiuso. C’è una macchina che sfreccia a velocità elevata e io mi metto da parte. Intravedo la sagoma di un passante, che forse va al lavoro. Arrivo alla stazione. C’è gente di passaggio. Io sono un estraneo, uno straniero tra estranei, tra stranieri. Non c’è più nessuno che abbia una sua identità e che si sente a casa sua: ammettiamolo candidamente, la crisi è di ognuno, la crisi è di questa epoca e di questa società  e tocca tutti, più o meno. Tutti sono in una terra di nessuno psichica, esistenziale, mentale, prima ancora che geografica. C’è chi si sente di non appartenere a questo luogo perché arriva da molto lontano. Io non mi sento più di qui perché qui sono l’eterno rifiutato, quello scartato, quello messo in un angolo buio, quello riposto lontano e dimenticato. Io non mi sento di qui perché qui a conti fatti non ho una vera vita sociale e lavorativa, perché la mia è una non vita che ha però a tutti gli effetti la parvenza di una vera vita, perché non sono mai voluto partire per un posto più accogliente e ora è inutile fare recriminazioni o avere rimpianti. Cammino all’alba nella nebbia fino a quando non giungo al bar. Penso che è Natale, anche se si è perso il senso più profondo e autentico del Natale. Ha prevalso il consumismo e fino al 24 la gente ha fatto carte false per fare o ricevere i regali più belli e costosi. La cosa migliore è stare assieme con la famiglia per Natale e considerarsi fortunati di avere una famiglia. Rifletto sul fatto che certe festività possono davvero far male a chi è solo o è povero, a chi non è stato considerato da nessuno, ma il trucco è tollerare, sopportare questi giorni e aspettare la quotidianità dei giorni qualsiasi, quelli in cui non c’è l’obbligo sociale, il bisogno socialmente indotto di essere felici insieme agli altri a tutti i costi. Penso a chi è solo, a chi si sente solo, a chi è in difficoltà economica. Guardo l’insegna illuminata. Entro dentro. Saluto la titolare. C’è solo un avventore. Faccio colazione.  Poi la saluto, lei ricambia il saluto e mi fa gli auguri e io contraccambio.  Esco fuori e una barbona settantenne, che sta fumando una sigaretta, mi fa gli auguri e mi dà il buongiorno. Anche io faccio gli auguri e mi incammino verso il mio destino. La gentilezza e la convivialità sincera di queste due donne mi hanno rincuorato, mi hanno scaldato il cuore. A volte ci si riconosce tra estranei, tra stranieri e la nostra umanità ha la meglio sulla nostra crisi. È l’alba. Questo giorno non è ancora sbocciato, la luce non ha ancora rischiarato questa mattina, questa cittadina. E mentre ascolto il suono dei miei passi penso che l’esistenza è fatta di cose semplici, che a ogni modo è sempre meglio semplificare che ingarbugliarsi nelle astruserie e negli intellettualismi, che spesso per restituire la complessità della realtà si finisce per perdersi nei meandri del niente, che ci sono già tante sfaccettature della vita che la complicano, che non bisogna moltiplicare gli enti o gli specchi (in fondo già Berkeley aveva intuito che i principi che governano la natura e la scienza sono pochi, semplici, essenziali e lo stesso Einstein aveva rafforzato il concetto, dicendo che quando la risposta è semplice è Dio che risponde, alla faccia di ogni epistemologia della complessità). Cammino all’alba nella nebbia, che per qualche istante mi confonde i pensieri. Sembra una mattina come le altre, se non fosse che oggi è Natale. 

Tutta colpa di chi o di che cosa (tanto per sorridere)…

È tutta colpa della borghesia imperialista, delle beghine, degli acari, dei giorni sempre uguali.  

È tutta colpa delle guerre sante, delle bombe intelligenti, di Putin, di Biden, delle mezze stagioni che non esistono più, dei figli dei Pooh, della poesia che non vende, di chi ha venduto l’anima per i soldi.

È tutta colpa delle cassiere della Coop, delle insegne al neon, delle sigarette, della ludopatia,  delle rotonde che sostituiscono i semafori, dei mafiosi che riciclano denaro sporco, del racket della prostituzione, dei ricatti sessuali, delle raccomandazioni, delle speculazioni, della disonestà,  della corruzione, dei ladri di galline, dei tuttologi, dei nientologi, delle donne che non ci sono state e di quelle che ci sono state, delle passanti, dei giochi di sguardi, dei cipigli,  dei paesini in cui tutti sanno quante volte va in bagno il prossimo, del traffico della metropoli. 

È tutta colpa del comunismo e del fascismo, della democrazia cristiana, del nuovo che è uguale al vecchio, dei corsi e ricorsi della storia, dell’eterno ritorno, della politica e dei politici tutti, degli eletti che dovrebbero sempre essere meglio degli elettori e invece non lo sono.

È tutta colpa delle droghe leggere, delle droghe pesanti, delle forze dell’ordine, dell’anarchia, della dittatura, del qualunquismo, del conformismo, del menefreghismo, dei vecchi cantautori e dei rapper, degli esseri pensanti, degli esseri senzienti, dell’orgasmo,  della pace interiore, del Nirvana, dello stress lavorativo, della disoccupazione,  dei meme, del rischio imprenditoriale calcolato, del posto fisso, dei contratti a termine, del mobbing, dei lavori sottopagati, della sottoccupazione, del dileggio, dell’ironia, del silenzio, della musica, del rumore, dell’invecchiamento, delle ingiustizie, dell’inflazione, della pandemia, dei complotti e delle teorie del complotto, dell’ignoranza e degli intellettuali. 

È tutta colpa di chi ha colpa e poi non c’è nessuno che non ha una colpa. Abbiamo tutti il peccato originale. È tutta colpa della colpa. Tutti colpevoli, nessuno escluso. 

È tutta colpa di chi incolla, di chi scolla, di chi ti si incolla addosso. È tutta colpa di chi ti addossa la colpa. È tutta colpa degli scienziati, dei tecnici, degli imprenditori,  dei lavoratori, degli artisti, dei nullafacenti, dello show business, della moda, della pornografia,  delle statine, degli psicofarmaci e degli psicologi, degli ingegneri, della televisione generalista, di Internet, della fame nel mondo, degli arricchiti, dell’egoismo capitalista e del senso di colpa terzomondista.

È tutta colpa dello Stato, del mercato, dei medici che non rilasciano fattura, degli avvocati delle cause perse,  dei mangiapane a tradimento, delle mogli infedeli, dei guardoni, delle esibizioniste, delle orge, dei consumatori occasionali di cannabis, dell’alcol, dei pub, delle commissioni delle carte di credito, dell’inferno terreno, delle vacanze intelligenti,  delle strade dissestate, dell’inquinamento,  della plastica nei  mari, del turismo mordi e fuggi, del colesterolo, del politicamente scorretto e del politicamente corretto, delle gite col prete, dei bit, degli atomi, delle cineserie, delle anticaglie, delle ragazze emancipate, del maschio e della donna alfa, dei petrolieri, delle tasse, dei conflitti di interesse, degli economisti, della statistica, degli italiani che non leggono, dei troppi libri pubblicati, dello smog, delle polveri sottili, delle scritte sui muri, degli annunci nei cessi delle stazioni, dei caffè degli autogrill, del vino della casa, delle osterie che non ci sono più, degli amici persi di vista, di tutti coloro che non vogliono diventare miei amici, dei rompicoglioni, degli attacchi di ira, dei momenti di depressione, di chi ti demoralizza.

È tutta colpa di chi diffama, dei genocidi, della gelosia tra coniugi, dei divorzi, delle separazioni con addebito, degli opinionisti televisivi e degli opinion leader di paese, degli stati negli stati, delle ruffianerie, dell’amore, dell’odio, dell’indifferenza, di chi mente e di chi dice la verità,  di chi si vanta, di chi domina, di chi si umilia, degli schiavi e dei padroni, degli equilibrati neutrali, di chi non soccorre, dell’effimero e dell’eterno, del vuoto e del pieno, della morale e della mancanza di morale, delle scarpe slacciate, delle mutande con l’elastico rotto, della bellezza, della bruttezza, della chirurgia estetica, della ricchezza, della povertà,  degli assegni in bianco, delle rate non pagate, delle multe, del querelante e del querelato, di chi capisce troppo e di chi non capisce nulla, del dolore, della morte, della felicità passeggera, del caso, dell’intenzione, del libero arbitrio, dei calciatori, delle fotomodelle, dei banchieri e dei bancari, degli insegnanti che non insegnano e degli allievi che non imparano, delle prostitute senza vocazione. 

È tutta colpa di questa cittadina, di tutti i paesaggi che ho visto, della noia che ho provato, delle volte che mi sono fatto male e delle volte che ho fatto male a qualcuno, di tutte le volte che ho fregato e che mi hanno fregato, di chi ho illuso e di chi mi ha illuso, dei treni che ho preso e dei treni che non ho preso, dei miei viaggi, del sesso, dell’assistenza sessuale, dell’astinenza sessuale,  delle cattive compagnie e della solitudine, degli assassini, dei ladri, dei truffatori, dei santi,  di chi ho incontrato e di chi non ho mai incontrato.

È tutta colpa di Dio, del demonio, degli uomini, dei senzadio, del nichilismo occidentale.

Però ora ragazza non sputare e butta giù,

(non lo dico a nessuno), altrimenti potrei avere

una crisi depressiva (tutti i salmi devono finire

in gloria), che abbiamo poco tempo,

sono di corsa e devo ritornare quanto prima a casa,

che la colpa è di tutti e di nessuno,

la colpa, come si dice in Toscana, morì fanciulla, 

la colpa è di tutti e di nessuno,

nessuno escluso. 

Legenda – Edgar Allan Poe (ES)

Da Frida la loka ( Lombardia)

LA INSPIRACIÓN?

Un día del año 1830 cierta prostituta fue estrangulada en las afueras de Nueva York. Varios testigos vieron huir al asesino, pero no pudieron distinguir su rostro, aunque advirtieron que iba uniformado como los cadetes de West Point.

Las investigaciones efectuadas por los agentes de la ley dejaron constancia de que aquel día todos los cadetes tenían una coartada irrefutable, con solo dos excepciones.Uno de los posibles sospechosos era el joven Jack Marlowe, muchacho de buena familia y expediente intachable. El otro era un individuo de costumbres disolutas y mente algo desequilibrada, al que sus escasos amigos solían llamar Eddy.

Con semejantes antecedentes, no es de extrañar que este último se convirtiera en el blanco de todas las sospechas. O, mejor dicho, de casi todas, pues uno de sus compañeros había hecho buenas migas con él y creía en su inocencia. Así pues, Robert Reynolds decidió investigar el caso por su cuenta, para echarle una mano a su amigo Eddy antes de que alguien decidiera ahorcarlo.

Aquella noche consiguió salir de la academia sin que su fuga fuera advertida y se acercó a la ciudad, concretamente al depósito de cadáveres. Tras sobornar al guardia, examinó el cadáver de la desdichada prostituta y, tras hacerse con una buena lupa, examinó atentamente las marcas que los dedos asesinos habían dejado en su cuello. Tras una larga observación, se guardó la lupa en el bolsillo y se dijo:

-A juzgar por la posición de las marcas, quien asesinó a esta desgraciada debía de tener unas manos bastante grandes. Las de Eddy son más o menos como las mías (lo sé porque nos hemos echado unos cuantos pulsos). Las de Marlowe no sé cómo serán, nunca me he fijado en ese detalle. Pero él es un hombre bastante alto y fuerte, así que lo lógico sería pensar que tiene unas manos grandes.
Pero aquel era un indicio demasiado vago para satisfacer a Reynolds.

Además, Marlowe no era de los que frecuentan la compañía de las prostitutas y, desde luego, no estaba loco.
¿Qué razón podía tener para matar a una desconocida?

Entonces Reynolds decidió acercarse al barrio donde se había cometido el crimen y, tras otro soborno, pudo hablar con una compañera de la víctima. Esta no tenía ni idea de quién podía haber estrangulado a la pobre Betty, así que Reynolds optó por preguntarle directamente:

-¿Le habló alguna vez su amiga de un cadete llamado Marlowe?

La apenada prostituta caviló en silencio durante unos segundos y luego dijo:

-Creo que no. Recuerdo que hace pocos días Betty mencionó a un tal Marlowe, con el cual se había acostado varias veces. Pero, por lo que dijo de él, debía de ser un pez más gordo que un simple cadete. Además, lo mencionó precisamente para decir que había muerto.

Como aquella línea de investigación parecía cerrada, Reynolds se despidió de la prostituta con una generosa propina y volvió a West Point antes de que alguien notara su ausencia.

Una vez allí, buscó a un veterano ordenanza llamado Seymour. Este era un hombre astuto, que, sin ser amigo de nadie, conocía los entresijos de todo el mundo.Normalmente era un tipo discreto, pero Reynolds obtuvo el placer de su conversación a cambio de unos cuantos dólares. Tras asegurarse de que nadie los escuchaba, le preguntó:

-Seymour, ¿sabe si recientemente ha fallecido algún pariente del cadete Marlowe?

-En efecto. Y me extraña que usted lo haya descubierto, porque es un asunto del cual se ha hablado muy poco por estos lares. El hermano mayor de Marlowe murió la semana pasada, después de que se disparara por accidente la pistola que estaba limpiando. Ya sabe: la típica tontería que se cuenta para ocultar un suicidio.

-¿Y qué motivo podía tener ese hombre para suicidarse?

-Según tengo entendido, iba a casarse con una señorita de alta alcurnia, pero el compromiso se rompió bruscamente pocos días antes de la boda. Al parecer, ese individuo quiso comer entremeses antes del banquete nupcial y hubo un entremés que no mantuvo la boca cerrada. No sé si me entiende.
Da Tenor
Reynolds entendía perfectamente y pensó que la pobre Betty había sido un entremés demasiado parlanchín. Si el hermano de Jack Marlowe se había suicidado por culpa de sus habladurías, entonces ya había un móvil para el asesinato. El cadete Marlowe podía ser un hombre irreprochable en muchos aspectos, pero en varias ocasiones había manifestado un carácter arrogante y vengativo, incapaz de perdonar.

Tras unas palabras de Reynolds con el jefe de policía, se procedió al arresto de Jack Marlowe, quien consiguió escapar antes del interrogatorio. Aquella fuga se consideró un indicio evidente de culpabilidad y así Eddy dejó de ser sospechoso.

Éste abrazó a su amigo Reynolds con lágrimas en los ojos y le dijo:

-Muchas gracias, Robert. No sabes cuánto te debo.

-No exageres, Eddy. De todas formas, no había ninguna prueba contra ti.

-No me refiero a eso. Ya sabes que quiero ser escritor cuando abandone esta maldita academia. Y tú me has inspirado la creación de un nuevo género literario.

Varios años después Eddy, cuyo nombre completo era Edgar Allan Poe, creó la literatura de misterio.

Tua.

12 dicembre,  2022.

Dal blog personale di:

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Ripubblicato su:

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Volevo solo aiutare… ma questo mondo crudele…

Bergamo, ore 23:00

link al mio blog: https://idelirididraconius.wordpress.com/

Link a questo articolo nel mio blog: https://idelirididraconius.wordpress.com/2022/08/30/volevo-solo-aiutare-ma-questo-mondo-crudele/

Un mio carissimo amico, che voglio bene come a un fratello, è nei guai fino al collo… Intende fare un gesto estremo che non starò a nominare… tanto l’avete già capito.

Questo mio amico, sta per essere sfrattato di casa, è un invalido e trovo INCONCEPIBILE che uno, nelle condizioni in cui sta lui, venga sfrattato…. è questo ciò in cui sta per finire…. come si fa a sfrattare un invalido??

E’ da tanto che mi parla di se, e io l’ascolto, cerco di tirarlo su di morale, cerco di aiutarlo, di ascoltarlo, di venirgli incontro… mi dice che sono l’unico a pensare a lui… a cercare di aiutarlo… Ma ieri notte, ho passato tutta la notte a chiedere a me stesso: “Che uomo sono se non lo aiuto? Cosa dovrei fare? Lasciarlo andare nel buio della notte?”

E mi sono continuato TUTTA LA NOTTE a dirmi “La cosa è al di là delle mie possibilità… se c’era mio padre potevo farcela ma senza di lui…?”

Ho già perso una cugina per colpa di queste cose… io e mio padre non potevamo aiutarla (o così pensavamo) e lei ha fatto un gesto estremo… ora non c’è più… tutti mi stanno dicendo la stessa cosa: “… non puoi farci niente!”

Ma la cruda verità è che NON POSSO accettare che un innocente paghi per le colpe di altri…. soprattutto una persona che ha bisogno di aiuto…. una persona mia amica tra l’altro….

Così, quella mattinata ho chiamato i carabinieri e gli ho detto tutto… loro sono andati da lui e… NIENTE… non si è fatto nient’altro che una stramaledettissima chiacchierata!!! CHE ASPETTANO A FARE QUALCOSA?! CHE FACCIA UN GESTO IRREVERSIBILE!? E mi sa che glielo ha pure detto che non intende vivere così! Cos’altro vi serve per capire che una persona che dice questo, sta chiaramente chiedendo aiuto…. e se non glielo date voi un aiuto, che altro deve fare??

Io ho rischiato la mia amicizia con questo giovane uomo affinché voi Carabinieri interveniate! Vi ho detto tutto! Mi sono fidato di voi!…. E ora che fate? Una chiacchierata e basta?! ERO CAPACE ANCHE IO DI CHIACCHIERARE! Cosa aspettate a intervenire?! Cioè… vi rendete conto di cosa state facendo? Che responsabilità avete a non fare qualcosa! Dannazione e maledizione a me!…

Io non so più che altro fare… a chi rivolgermi o a chi chiedere aiuto! Io sono invalido…. ma non vorrei tirarmi indietro!

Prego il Signore onnipotente che possa aiutare questo mio amico, e che possa salvarsi dall’inferno in cui si trova…

Ormai più di questo non posso fare…. mi sento una falla in mezzo al cuore…. non ce la faccio….

Che Dio mi perdoni, e mi perdoni anche questo mio amico per ciò che ho fatto…. non lo ho fatto per cattiveria ma SOLO perché gli voglio bene…. e… VORREI SALVARLO MALEDIZIONE!!!

Per me, c’è stata salvezza, a me è stata data una chance, a me è stato dato un modo per sopravvivere…. volevo solo che l’avesse anche lui…

Tutti meritiamo di vivere dignitosamente…

Nimbus… da Fridalaloka

(Lombardia)

Nimbus si preparano da tempo, radunandosi e preparandosi ad uno sciopero o rivolta, non saprei di preciso; che non può ni deve andare ad oltranza, si devono far vedere, si devono far sentire. Sonno pronte, cariche, gonfie di rabbia contenuta fin da tropo tempo. Era questione di tempo e si farebbero vive.

Non sono sole; un frastuono gli accompagna da dietro, come il “cacerolazo” che si fece sentire ovunque, da nord a sud, da est ad ovest, in un’ Argentina martoriata, violentata, saccheggiata impunemente; dove ogni utensile di cucina diventò strumento di protesta; mestolo di legno contro una pentola, due coperchi a modo di piatti in lata da scagliasi uno contro l’altro e far suonare il più forte possibile, d’un balcone, d’una casa, una, mile!!!

Ed il caos arriva, prima o poi, l’ultima goccia contenuta nelle buffe bolle di forma indefinita e d’un denso bianco, da il via, soltanto l’ultima goccia. Sembrerebbe inocua, ma non è da sola… sono tante, disperse dappertutto; questione di tempo e saranno finalmente tutte insieme e proclameranno ad alta voce, quello non dicono da tanto tempo.

Aspettiamo con ansia, questo momento di ribellione,  che bagnino le anime impure e avare; che trascini feroce la cattiveria umana; che lavi i peccati commessi di coloro che in nome di ” lesa umanità ” perpetra dietro le quinte spilorcie e  menefreghiste idee. Que non sono degni dell’acqua benedetta; acontententatevi con questa, ch’è già un gran dono.

Tua.


30 agosto, 2022.

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Racconti: Spesso mi domando se siamo quello che dimostriamo oppure quello che nascondiamo, di Iris G.DM

Spesso mi domando se siamo quello che dimostriamo oppure quello che nascondiamo.

Molti sono abituati ad indossare una maschera per dimostrare agli altri come sono bravi, disponibili, affabili, animatori, sostenitori. Come delle salamandre mimetizzano il loro vero io e hanno la capacità di capire e di carpire come fare ad affascinare. Vogliono essere sempre i protagonisti delle scene,costruiscono una facciata cosi reale da sembrare reale.

Questi appartengono alla categoria degli affabulatori, cioè quelli che incantano con le loro parole e i loro modi. Ne incontriamo ogni giorno, ogni giorno ognuno di loro ci incanta e poi ci uccide. Si uccide in molti modi, non solo con un arma ma, anche con le parole quando sono false e ipocrite. La caratteristica degli affabulatori è la vigliaccheria e non affrontare le situazioni di petto ma, facendo le vittime.In realtà sono loro che mietono vittime, con un indifferenza cosi glaciale che sconvolge. Ne fanno parte uomini o donne che nascondono quello che in realtà sono.

Avere a che fare con queste persone è distruttivo ma evitarle è impossibile, perché quando te ne accorgi solitamente è troppo tardi. A questa categoria appartengono ad esempio i politici, i traditori seriali che negano fino alla morte e tutte quegli individui soprattutto maschili che hanno anche un certo carisma, perché se non l’avessero non attirerebbero l’attenzione e gli interessi.

Hanno una forte componente narcisistica che li porta ad avere anche una sorta di disprezzo nei confronti del prossimo, che mascherano sapientemente e non esitano a camminare sui cadaveri delle persone che manipolano per i loro scopi, qualsiasi siano.

Molti di loro sono anaffettivi, smettono di sembrare sinceri e disponibili quando ormai l’altro costituisce, secondo loro, un problema. Riempiono di belle parole ma, quando si tratta di agire passano ad altro nascondendo l'”effettiva realtà con menzogne, scuse e troncano i rapporti facendo in modo che la colpa ricada sulla vittima designata e quest’ultima è capace anche di sentirsi in colpa. Poi ci sono le persone che sono quello che dimostrano di essere e solitamente sono le vittime degli affabulatori. Alla fine è un mondo quasi tutto di maschere, è un mondo triste perché in ognuno vorresti scoprire la bellezza del proprio essere.

Per quanti sforzi facciamo queste persone si nascondono bene e la categoria delle persone che sono sempre quelle che sono, in genere vedono sempre la parte bella degli altri, pensano che tutti possano essere uguali dentro e fuori.Se tu sei onesto, pensi che anche gli altri siano come te. Se non sei abituato a mentire o lo fai per mascherare situazioni gravi e in casi del tutto eccezionali, sei del parere che anche gli altri siano così. Vivere nella menzogna è cosa grave e cosa grave è arrivare a credere alle proprie bugie. Possiamo salvarci da queste persone? Sinceramente non lo so.

Dobbiamo fidarci in genere? Sinceramente non lo so. Si può vivere non fidandosi continuamente. Questo lo so. Non si può vivere non fidandosi mai, bisogna pur vivere e alla fine le persone sincere dimostrano sempre attraverso i fatti quello che sono. Prima o poi la maschera cade

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Racconti: Noi donne sotto un apparenza fragile e gentile, nascondiamo una grande forza e volontà, di Marina Donnaruma

Noi donne sotto un apparenza fragile e gentile, nascondiamo una grande forza e volontà. Stranamente la nostra fragilità ci fa essere forti , energiche, combattive.Siamo idealiste e romantiche, crediamo nella forza dell’amore e pensiamo che tutto possa cambiare grazie a questo sentimento grande che ci appartiene. Cambiare, cambiare si può per amore, questo lo crediamo e quasi mai avviene.

La nostra forza fisica è limitata e proprio per questo siamo tenaci, resistenti, perspicaci, abbiamo una sopportazione del dolore fisico e morale che nessun uomo possiedera’mai! Amiamo sempre, anche a costo del martirio fisico e psicologico! Amiamo perché pensiamo che per amore si possa cambiare! Noi lo facciamo, per i nostri figli, per il nostro compagno o semplicemente perché dobbiamo adattarci.

Viviamo sempre in mezzo a sentimenti di colpa, ho sbagliato, ho fallito, non sono stata capace! Se veniamo trattate male, pensiamo che il nostro comportamento ha generato quel tipo di situazione. Se veniamo schiaffeggiate, prese a calci, controllate, minacciate, pensiamo che forse siamo noi generare un certo tipo di comportamento!

La violenza fisica è visibile, la violenza psicologica invece non è visibile, possiamo viverla ogni giorno, siamo colpevoli di ogni cosa, la casa non è pulita abbastanza, il cibo fa schifo, non sei capace a fare la madre, figli e compagni che ti prendono a male parole. Non ti senti all’altezza, non ti senti adatta, tutto ciò che fai è sbagliato, fatto male!

Sei una poveretta, non capisci nulla e noi donne ad ascoltare il cumulo di parole che ci cadono addosso, prima come pietre poi come macigni che ti schiacciano e ti annullano. L’uomo è forte fisicamente e con le parole ma, fragile dentro e l’unica arma contro di noi è la sua forza e la sua violenza. Ci distrugge con l’unica arma che sa di possedere, la forza fisica.

Quando l’uomo perde terreno e sa che le violenze verbali, fisiche non bastano più per tenersi la sua donna, di proprietà, sa che dovrà compiere l’atto estremo, ucciderla, ucciderle i figli, sfigurarla con la complicità di una società che scusa e perdona la fragilità del povero uomo! Nessuno riesce a fermarli, nessuno ha la volontà di fermarli, nessuno li condanna abbastanza duramente e noi continuiamo a morire, morire perché abbiamo amato, morire perché abbiamo sperato, morire perché dovevamo morire per un amore malato che invece speravamo di cambiare.

L’ennesimo delitto in cui l’uomo manifesta la sua paura e fragilità ma, anche l’ennesimo fallimento dell’essere uomo. Non si può chiamare uomo chi compie un atto cosi bestiale, non portiamo fiori a tutte le donne morte per mano di un essere che uomo non è, portiamo a tutte le donne giustizia una volta per tutte. Iris G. DM

Racconti: UN FOGLIO ACCARTOCCIATO, di Roberto Busembai

Zia Molly

UN FOGLIO ACCARTOCCIATO

Mi sento come un foglio bianco usato e stropicciato, un foglio dove forse non c’è scritto niente o invece ci sono una miriade di parole, ma nonostante tutto un foglio accartocciato che non si sa ancora se stracciare e gettare o aprirlo stirandolo alla meglio con le mani facendo rimanere impresse tutte le pieghe. Non sono affatto affranta o delusa, sono in stallo tra il sorriso e il pianto, quel momento giusto che in natura si chiama autunno e io lo sento dentro il cuore. Colori caldi, rossi e gialli intensi che portano tanto senso d’amore ma al tempo stesso lasciano aperto quel brivido di pensare e pensare a volte anche sbagliato, gli ultimi colori dorati in un azzurro grigio perlato di un mare già agitato per la fretta di cambiare. E in questo stallo, tra due piedi e due emozioni, vedo che il tempo sta scorrendo e siamo già a Natale.

Io con il Natale ho sempre avuto un rapporto particolare, al di la della fede e del senso religioso, che può essere certamente personale, a me quel senso commerciale invasivo, quella felicità “obbligata e concentrata”, quell’essere cordiali e umani all’improvviso e in quel determinato momento, ebbene non mi hanno mai rapita nel cuore e nella mente.

Ho trascorso ormai tanti mai di quei Natale che tanti si accomunano e pochi sono quelli speciali da potere ricordare, al di la delle tradizionali cene o pranzi con tutti ( e dico e sottolineo tutti) i parenti anche quelli che non avevi mai conosciuto e che improvvisamente ti venivano vicini e con un sorriso a 32 denti ti accarezzavano e con la faccia tosta di conoscerti da sempre ti rifilavano la tipica frase fatta…..”come sei cresciuta! Ti stai facendo davvero carina, tutta la zia…. ( l’ennesimo nome di una zia morta che tutti conoscevano tranne io!).

Ho odiato quella zia che mi somigliava e io non ci ho mai comunque creduto.

Ho trascorso Natale, sola con me stessa, raccolta in una coperta per ripararmi dal freddo che abitava ormai in quella casa di quattro mura, dove il riscaldamento era una stufa a legna, ma legna non ce n’era perchè per averle bisognava pagare e al tempo il mio lavoro era assai precario e mal remunerato, e sola mi stringevo la coperta e sospiravo a tempi migliori con la speranza di cambiare.

Natale pieno di doni e di regali, doni fatti per partecipazione e regali insignificanti, ripetitivi e assolutamente inservibili, obbligo della società e obbligo al consumo anche e soprattutto del superfluo.

I Natale più belli li ho trascorsi quando avevo i figli ancora piccoli e allora tutto era dedito per loro, per loro ci addossavamo il faticoso lavoro dell’albero, faticoso nel sceglierlo, addobbarlo e poi sfarlo, il presepe che ogni anno doveva essere diverso per poi finire ad essere sempre uguale ma con uno spirito di gioia sempre diverso.

Troppo presto parlare di Natale?….Ma se nei supermercati e nei centri commerciali i Panettoni e i Pandoro sono quasi terminati, se le luci nonostante ci sia una crisi energetica in giro, a me paiono molto più numerose e brillanti di un tempo e già da quasi un mese sono accese!

E la guerra in corso? E le persone che muoiono dai soprusi dei più? E …..ma già queste cose non fanno il senso della festa e del Natale, tanto, come ieri contro la violenza sulla donna, come sempre si sono usate scarpe rosse, bende all’occhio e nomi di donne filmate su un muro colorato di rosso sangue o rosa sbiadito, e oggi tutto è già passato, come passerà anche la guerra e la morte, e l’appuntamento è “convenzionale” al prossimo anno a “ricordare”.

Ecco che riprendo il foglio bianco accartocciato e nonostante lo abbia stirato con le mani, le rughe ovvero le piegature rimangono impresse e non si possono più eliminare.

Buon Natale ve lo auguro la prossima volta.

Zia Molly

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Finì in un bicchiere di dalmata, di Stefano Galli

Stefano Galli pittore

Finì in un bicchiere di dalmata

Non so per quale motivo, pur sapendo che lei si stimasse una gran cuoca, quando le chiesero quale fosse il suo piatto migliore, io mi inserii dicendo “bruciato di arrosto”. Qualcuno rise, era una semplice, innocente spiritosaggine, ma lei no; Licia si offese a tal punto che non mi guardò in faccia tutta la sera. Un piccolo incidente che minò il nostro amore; a nulla valsero le mie scuse e poi le preghiere. Ci lasciammo dopo un paio di mesi. Lei tenne la gatta le cui fusa ancora mi mancano ed oggi che freddamente ripenso a quanto accaduto, un particolare spicca nitido sul nebbioso bailamme dei ricordi.

Andavamo spesso in cima alla collina dove a fianco di un convento di frati, sopravviveva una specie di osteria dalla quale, seduti su un muretto, ammiravamo il mare e lì sorseggiavamo un bicchiere di vino dalmata del quale, chissà per quale strano motivo, l’oste ne era sempre provvisto. L’ultima volta Licia non bevette ma lasciò il vino libero di asciugarsi al sole e questo, ricordo bene, fu prima del mio bruciato di arrosto. Che intrigate sono le cose del mondo e che fesso sono stato a non capire che Licia mi aveva già lasciato.

https://www.artmajeur.com/…/la-trattoria-del-piccolo.

Racconti: Il punto nero al centro del foglio bianco, di Cinzia Perrone – Autrice

Cinzia Perrone – Autrice

Ieri alle 22:00  · 

Il punto nero al centro del foglio bianco

Un giorno, un professore entrò nella sua classe e chiese ai suoi allievi di prepararsi per un test a sorpresa. Tutti seduti nei propri banchi aspettavano con ansia affinché l’esperimento avesse inizio.

Come faceva di solito, l’insegnante consegnò a ognuno di essi un foglio di carta poggiandolo con il testo rivolto verso il basso. Una volta completata la distribuzione, invitò gli studenti a girare il foglio.

Rimasero tutti stupiti nel vedere che non c’erano domande, soltanto un punto nero nella parte centrale del foglio bianco. Notando l’espressione di meraviglia nei loro occhi, il professore spiegò: “Desidero che voi descriviate ciò che vedete”. Pur se confusi, gli alunni cominciarono la prova “misteriosa”.

Terminato il tempo stabilito, il professore ritirò tutti i fogli e iniziò a leggere ciascuno degli scritti ad alta voce davanti agli studenti.

Tutti quanti, senza alcuna eccezione, in un modo o nell’altro, avevano definito il punto nero cercando di spiegarne la forma o la sua posizione centrale nel foglio. Dopo che tutti i compiti furono letti e in aula era sceso il silenzio, il professore cominciò a spiegare:

“Non ho alcuna intenzione di assegnare un voto per questo. Ho voluto soltanto darvi qualcosa su cui pensare. Come potete notare, nessuno di voi si è espresso sulla parte bianca del foglio, nonostante sia la più estesa. Tutti vi siete concentrati sul piccolo punto nero; la stessa cosa accade nella nostra vita. Noi ci ostiniamo a focalizzare solo il punto nero, che rappresenta un problema che ci infastidisce. Nonostante le macchie scure siano molto più piccole rispetto a tutto ciò che la vita ci dona, sono quelle che inquinano le nostre menti. Rivolgete il vostro sguardo lontano dai punti neri della vostra esistenza. Gioite delle benedizioni che in ogni momento la vita vi dona.”

Vernazza, in provincia di La Spezia, di Why we love Italy

Why we love Italy

Vernazza, in provincia di La Spezia, è uno di quei pittoreschi borghi che compongono le Cinque Terre. Sorge arroccato alle pendici di uno sperone roccioso, ed è rivolto romanticamente verso il mare. Vernazza è stata dichiarata nel 1997 Patrimonio Mondiale dell’Umanità dall’UNESCO, insieme alle altre quattro località che costituiscono il territorio delle Cinque Terre: Monterosso al Mare, Corniglia, Manarola e Rio Maggiore, tutte ben collegate tra di loro e che è possibile visitare nel giro di una settimana in modo molto semplice.

A Vernazza ce n’è da ammirare, dal porticciolo naturale, alle case-torre colorate, dai panorami visibili lungo i sentieri verticali, alle piazzette di paese che i cittadini chiamano “u cantu de musse”, ossia l’angolo delle chiacchiere. 🇮🇹❤👏👋

Vernazza, in the province of La Spezia, is one of those picturesque villages that make up the Cinque Terre. It stands perched on the slopes of a rocky outcrop, and is romantically facing the sea. Vernazza was declared a World Heritage Site by UNESCO in 1997, together with the other four towns that make up the Cinque Terre area: Monterosso al Mare, Corniglia, Manarola and Rio Maggiore, all well connected to each other and can be visited in a week very simple way.

In Vernazza there is much to admire, from the natural harbour, to the colorful tower-houses, from the panoramas visible along the vertical paths, to the small squares that the citizens call “u cantu de musse”, that is, the corner for chatting. 🇮🇹❤👏👋

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Italia Unita per la Storia: 22 novembre 1220: Federico II diventa Imperatore del Sacro Romano Impero

Italia Unita per la Storia

22 novembre 1220: Federico II diventa Imperatore del Sacro Romano Impero

Federico apparteneva alla nobile famiglia sveva degli Hohenstaufen. Discendeva per parte di madre dai normanni di Altavilla (Hauteville in francese) conquistatori di Sicilia e fondatori del Regno di Sicilia.

Conosciuto con gli appellativi stupor mundi (stupore del mondo) Federico II era dotato di una personalità poliedrica e affascinante che, fin dalla sua epoca, ha polarizzato l’attenzione degli storici e del popolo, producendo anche una lunga serie di miti e leggende popolari. Il carisma di Federico II è stato tale che all’indomani della sua morte, il figlio Manfredi, futuro re di Sicilia, in una lettera indirizzata al fratello Corrado IV citava tali parole: “Il sole del mondo si è addormentato, lui che brillava sui popoli, il sole dei giusti, l’asilo della pace”.

Il suo regno fu principalmente caratterizzato da una forte attività legislativa moralizzatrice e di innovazione artistica e culturale. Federico fu un apprezzabile letterato, convinto protettore di artisti e studiosi: la sua corte fu luogo di incontro fra le culture greca, latina, germanica, araba ed ebraica. Uomo straordinariamente colto ed energico, stabilì in Sicilia e nell’Italia meridionale una struttura politica molto somigliante a un moderno regno, governato centralmente e con un’amministrazione efficiente.

Federico II parlava sei lingue (latino, siciliano, tedesco, francese, greco e arabo) e giocò un ruolo importante nel promuovere le lettere attraverso la poesia della Scuola siciliana. La sua corte reale siciliana a Palermo, dal 1220 circa sino alla sua morte, vide uno dei primi utilizzi letterari di una lingua romanza (dopo l’esperienza provenzale) il siciliano. La poesia che veniva prodotta dalla Scuola siciliana ha avuto una notevole influenza sulla letteratura e su quella che sarebbe diventata la moderna lingua italiana. La scuola e la sua poesia furono salutate con entusiasmo da Dante e dai suoi contemporanei, e anticiparono di almeno un secolo l’uso dell’idioma toscano come lingua letteraria d’Italia

Grappoli come uva, di Giuseppe Scolese

Photo by Nicky Pe on Pexels.com

Giuseppe Scolese

Grappoli come uva

Grappoli come uva, acini succosi, è dentro dei piccoli semi. E ogni seme è una possibile pianta. Accorgersi è bello, capire di più.

Il seme in sostanza è già albero e grappoli d’uva, chi dice questo? La scienza, ma anche la fede, che mi fa sperare che seppellendo un piccolo seme, nasce un albero. Capire questo è scienza, prima, molto prima era intuizione, l’uomo intuisce che la pianta è frutto del seme e a sua volta diviene creatore del seme.

È consapevole il seme di divenire pianta? Non lo sappiamo, perché il suo livello di coscienza è differente dal nostro. Differente, non migliore o peggiore.

Tutto nasce, cresce, vive e muore. Tutto è già lì, solo non lo sappiamo, e quindi è mistero, ma solo finché non viene svelato. Possiamo scoprire tutti i misteri del mondo, eppure non sapremo mai come sia possibile che un piccolo seme abbia in sé la futura vita dell’albero che sarà e magari anche il tempo esatto che vivrà, sempre che non intervenga un fatto anomalo a decidere per lui.

Giuseppe Scolese

Il bellissimo comune di Bellagio

Why we love Italy

Il bellissimo comune di Bellagio è un borgo lombardo che si affaccia sul lago di Como. Incantevole meta turistica e culturale, Bellagio è celebre per la sua posizione geografica davvero esclusiva: il borgo si trova sull’estremità settentrionale del Triangolo Lariano, proprio nel punto in cui si dipartono i due rami del lago di Como. Sormontato dalle Alpi, questo incantevole comune è uno dei luoghi più visitati del comasco.

Il centro storico di Bellagio, chiamato anche “il Borgo“, con i suoi numerosi negozietti situati lungo strette viuzze a gradoni, intervallate da infiniti passaggi e portici, è rinomato in tutto il mondo e attira ogni anno migliaia di turisti.

L’atmosfera che si respira tra le sue vie è quella di un borgo molto vivace ed elegante, dal passato sfarzoso ed internazionale, fatto di eventi culturali, artistici e mondani di alto profilo. Teatri dalla fitta programmazione, grandi e lussuosissimi alberghi, che già nell’800 facevano concorrenza per eleganza a quelli delle principali capitali europee e botteghe artigianali di altissima qualità hanno fatto la storia di questo paese. 🇮🇹❤👏👋

The beautiful town of Bellagio is a Lombard village overlooking Lake Como. An enchanting tourist and cultural destination, Bellagio is famous for its truly exclusive geographical position: the town is located at the northern end of the Lariano Triangle, right at the point where the two branches of Lake Como branch off. Surmounted by the Alps, this enchanting town is one of the most visited places in the Como area.

The historic center of Bellagio, also known as “il Borgo”, with its numerous shops arranged along narrow stepped alleys, interspersed with infinite passages and arcades, is renowned throughout the world and attracts thousands of tourists every year.

The atmosphere that reigns in its streets is that of a very lively and elegant village, with a sumptuous and international past, made up of high-profile cultural, artistic and social events. Theaters with a dense program, large and very luxurious hotels, which already in the 19th century competed in elegance with those of the main European capitals and high-level artisan shops have made the history of this country. 🇮🇹❤👏👋

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Ossa rotte II, e il sole è sorto..

Di Frida la loka ( Lombardia)

Sorto come la fenice, dall’oscuro nulla e infame o dal fuoco amagliante e accogliente dell’universo.

Ho spalancato finestre, lenzuole scaraventate contro il muro ma… ossa e carne, sono troppo deboli ancora per disfarmene.

Successione infinita di fotogrami, pasato a colori, presente nero bianco, il futuro non s’intravede chissà, magari è più vicino di quanto pare, ragomitato, la giù, in un angolo dietro il lampione fuori.

Trascorrono le ore, il mio andare è affannoso e lento, direi affaticato e poco imbogliato.

Libreria multimediale W.press

Per oggi non ho molte aspettative, né fisiche, né mentali; quindi magro uso d’un mecanismo perfetto ( quasi)…

Tua

25 novembre, 2022.

Dal blog personale di

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Ripubblicato su

Raccontino scritto in un’ora tanto per scacciare la noia che mi assale…

I due amici di vecchia data camminano di notte in una strada di periferia deserta. Vanno verso la macchina. La macchina è ancora lontana. Camminano mentre una pioggia fine lì bagna appena, ma loro non se ne curano.  Devono smaltire del pessimo vino, ingurgitato in fretta, tracannato per avere uno stato alterato di coscienza, per rompere gli schemi, per evadere dal grigiore abituale. Uno senza lavoro, disoccupato cronico e solo. L’altro invece sposato con prole, sempre di corsa, sempre stressato e indaffarato. Il disoccupato ha troppo tempo per pensare. Invece l’altro vorrebbe avere più tempo per sé.  Ognuno raccoglie gli sfoghi dell’altro. Ognuno cerca di comprendere l’altro. Parlano di vecchie amicizie, di vecchie conoscenze. Qualcuno ha detto che frequentandosi tra coetanei non si invecchia mai. 

Il disoccupato cronico esordisde: “Si è presa gioco di me. Mi ha fatto soffrire. Sono solo, mentre tutti si amano. E non posso dirlo che a te. I giovani ridono della solitudine perché pensano che non li riguarderà mai. Tutti qui sono deterministi economici. Per loro l’amore e le questioni esistenziali sono cose borghesi di nessun conto, a cui non bisogna prestare ascolto. Io ormai non sono neanche più borghese.  Tutti qui vogliono escludermi. Spesso penso che non mi perdo niente. Penso che per rompere la mia solitudine dovrei sopportare troppa superficialità,  troppa stupidità.  A volte mi dico che mi basta già la mia di stupidità; mi basta già il mio vuoto. Penso che il vuoto altrui non riempirà il mio vuoto. Al vuoto non si può aggiungere altro vuoto.”

“Si credeva una regina. Aveva molti privilegi. Aveva il privilegio di far innamorare, di giocare con i sentimenti altrui, di far soffrire. Rideva di te, della tua persona, delle tue parole, del tuo  lavoro… quando avevi un lavoro. Immaginiamoci come si comporterebbe con te ora che non hai un lavoro. Eri sotto scacco, non eri in te perché eri in suo potere. Lei non ti apprezzava, non ti voleva. Non sono questi i drammi. Comprendo i tuoi problemi. Il tempo passa, cura le ferite e fa scomparire la bellezza sui volti,  sui corpi. Si credeva invincibile, eterna, bellissima. Pensava che niente e nessuno avrebbero potuto fermarla. Aveva i suoi amanti e rideva di te con loro. Guardala ora come è patetica. Guardala ora che cerca una rispettabilità piccolo-borghese, che si è sposata e ha un figlio. Adesso è la sua stagione dei rimorsi, dei sensi di colpa. Adesso rinnega la sua giovinezza. Ma nel suo sguardo c’è ancora una luce, che ricorda vagamente quell’ardire, quella fierezza, quella presunzione. La vecchiaia, la malattia, la morte vincono sull’amore, che è una sciocchezza e niente più.”

“A me non è stato dato l’amore ricambiato. A me non è toccato l’amore. Passano gli anni e mi dico che ho sofferto e vissuto inutilmente, se poi alla fine morirò solo. E per la gente qui io sono solo uno che ha il lusso di poter sprecare il suo tempo. Quante parole sull’amore quando in amore tutto si riduce a un chiedere e a un dare, a un consenso o a un rifiuto. Tutto il resto è puro parlarsi addosso.”

“La vita è un senso unico alternato. Prima o poi tocca tutti a tutto. Dimenticatela. Ci sono miliardi di donne a questo mondo. È stata una ragazza qualsiasi che tu hai idealizzato. Solo un piccolo paese, una cittadina possono condannarti alla solitudine. Lo so. La gente di questo posto vuole importi la sua visione del mondo e condannarti alla solitudine. Poi vanno a servire e a strisciare come vermi di fronte ai nuovi potenti, ora che è cambiato il vento. Non sanno cosa siano la coerenza e la dignità.  Allora molto meglio la tua coerenza e la tua dignità di essere solo. Solo un piccolo mondo di provincia può condannarti alla solitudine. Solo alla morte non c’è rimedio. Si trova sempre il modo, la maniera. Non sprecare il tempo che ti rimane. Vai oltre la cattiveria locale. Il mondo è molto più grande di questa cittadina. Il mondo intero non condanna nessuno alla solitudine. Ricordati sempre che nel mondo tu non sei solo.”

I due amici di vecchia data camminano di notte in una strada di periferia deserta. Vanno verso la macchina. La macchina è ancora lontana. Camminano mentre una pioggia fina lì bagna appena, ma loro non se ne curano. Ci vuole una volta al mese un’uscita, una cena. Ci vuole qualcuno con cui ritrovarsi, ridere assieme, sfogarsi, raccontarsi vecchie storie andate e mischiarle con sciocchezze, come del resto è l’amore o la sua parvenza.  Bisogna ritrovarsi una sera tra amici per il solo gusto di chiacchierare assieme senza alcun secondo fine, senza alcuna ipocrisia e senza alcun filtro,  mentre tutto il mondo sembra imporre la scelta solita abituale, ovvero fottere o farsi fottere. 

 Poi all’improvviso i due amici guardano di sfuggita il cielo. Ora non è più tutto nuvoloso. Si è aperto un piccolo varco. C’è un piccolo corridoio nel cielo ritagliato apposta da chissà chi perché loro due guardino di sfuggita le stelle e si sentano allo stesso tempo più confusi, meno certi delle loro certezze e meno soli perché tutti apparteniamo a qualcosa di più  grande di cui ci sfugge il senso, la logica. 

“A Bindo Altoviti fece il ritratto suo quando era giovane, che è tenuto stupendissimo”, di Anselmo Pagani

“A Bindo Altoviti fece il ritratto suo quando era giovane, che è tenuto stupendissimo”, di Anselmo Pagani

“A Bindo Altoviti fece il ritratto suo quando era giovane, che è tenuto stupendissimo”: così il Vasari, nella biografia di Raffaello, fa riferimento ad uno dei più famosi ritratti eseguiti dal grande Maestro urbinate attorno al 1514.

Il bel giovane, dall’età apparente d’una ventina d’anni circa, è raffigurato di spalla mentre si volge quasi di scatto verso l’osservatore, come se si sentisse chiamato. In effetti coi suoi occhi azzurri, i tratti delicati e sensuali, la lunga capigliatura fluente e infine la basetta che costituisce l’unico accenno di peluria presente su un viso altrimenti imberbe, non può non richiamare l’attenzione altrui.

Il suo abbigliamento, al tempo stesso semplice ma raffinato ed elegante, insieme all’anello d’oro che porta al dito indice, ci fa capire che siamo di fronte ad un personaggio forse aristocratico, di certo benestante, in ogni caso ben rappresentativo dello splendore del nostro Rinascimento.

E Bindo Altoviti, nato a Roma il 26 novembre del 1491, nobile e ricchissimo lo era per davvero, essendo l’erede dell’aristocratico fiorentino Antonio, trasferitosi nell’Urbe durante il penultimo decennio del Quattrocento dopo aver sposato Dianora Cybo, nipote di Papa Innocenzo VIII, ed essere così diventato tesoriere pontificio, carica che in pochi anni gli permise di accumulare un’ingente fortuna.

Rimasto orfano del babbo a sedici anni, il bel Bindo seppe non soltanto conservare, ma anche ampliare il già considerevole giro d’affari della famiglia, sempre all’ombra delle corte papale, della quale si contese anche a colpi d’intrighi e bustarelle varie i favori e i lavori con l’altro “Rockefeller” romano dell’epoca: il ricchissimo banchiere Agostino Chigi, di origini senesi.

Già il suo matrimonio con la fiorentina Fiammetta Soderini, appartenente ad una famiglia di note simpatie repubblicane, costituì per lui una precisa scelta di campo in chiave antimedicea, cui sarebbe rimasto fedele per tutta la vita, al costo persino d’armare di tasca sua alcune compagnie di ventura, poi impegnate con scarso successo nelle battaglie di Montemurlo, nel 1537, e infine di Marsciano, nel 1554, combattute sempre dalla parte dei fuoriusciti fiorentini contro le truppe del duca Cosimo I de’ Medici.

E all’insegna ancora dei famosi versi danteschi “Libertà vo’ cercando ch’è sì cara / come sa chi per lei vita rifiuta”, riportati persino sul suo vessillo personale, si spense il 22 gennaio del 1557, poco dopo aver prestato la colossale somma di 300.000 scudi al re di Francia Enrico II, marito di un’altra acerrima nemica di Cosimo I, la lontana cugina Caterina de’ Medici, nella vana speranza che quest’ultimo l’impiegasse per muovere contro la Firenze medicea per liberarla dal “giogo dell’oppressione”.

Nello splendido Palazzo cinquecentesco degli Altoviti, situato proprio davanti a Ponte Sant’Angelo a Roma, questo capolavoro di Raffaello sarebbe rimasto sino al 1808, per poi prendere mestamente la via della Baviera e infine degli Stati Uniti d’America.

La stessa residenza familiare non sarebbe sopravvissuta molto al suo allontanamento, perché nel 1888 sarebbe stata una delle tante vittime sacrificali delle “ruspe postunitarie”, venendo impietosamente demolita per lasciare spazio al lungotevere e relativi muraglioni.

Accompagna questo scritto il “Ritratto di Bindo Altoviti”, di Raffaello, 1514 circa, National Gallery of Art, Kress Collection, Washington.

(Testo di Anselmo Pagani)

Lo scopo della lettura, di Cinzia Perrone – Autrice

Lo scopo della lettura

Tanto tempo fa, c’era un insegnante che aveva tanti studenti.

Un giorno, uno dei suoi studenti gli chiede

Ho letto moltissimi libri, ma ho dimenticato tutto quanto. Qual è lo scopo della lettura?

Sentendo quella domanda, l’insegnante rimase zitto.

Da lì a pochi giorni, l’insegnante dette allo studente un setaccio logoro ed in bruttissime condizioni.

L’insegnante gli chiese di recarsi nel fiume vicino per portargli l’acqua.

Allo studente non piacque affatto questa richiesta, ma non poté rifiutare.

Si recò sulle sponde del fiume, riempì il setaccio di acqua ed iniziò il suo viaggio di ritorno.

Qualche passo dopo aver iniziato a camminare, tutta l’acqua che prima c’era nel setaccio è andata via attraverso i buchi.

Tornò sulle sponde del fiume a riempire di nuovo il setaccio.

Fece questa cosa tutto il giorno, ma non riuscì a portare a termine il compito.

Ritornò dall’insegnante e disse con l’espressione tipica di chi dice di aver fallito: “Non sono capace di portarle l’acqua con questo setaccio. Sono proprio una delusione!”

Il suo insegnante gli sorrise.

“no, non hai fallito”.

Gli indica il setaccio.

“è diventato come nuovo. Quando tentavi di portarmi l’acqua, si è pulito”.

Gli spiegò il reale motivo dietro a tutto ciò.

Disse: “Mi hai chiesto il reale scopo della lettura se non ricordi cosa hai letto; Ora, considera questo esempio.

Setaccio = intelletto

Acqua = scibile umano

Fiume = libro

Se non ricordi tutto quello che hai letto, è perfettamente normale!

Nonostante ciò, la tua mente sarà diventata più lucida.

La lettura ha un impatto notevole nella nostra mente, nel nostro cervello.

Ti aiuta ad essere una migliore versione di te stesso. Avviene nel tuo subconscio.