Lucia Triolo propone Wallace Stevens: mentre lasci la stanza

Parli. Dici: il carattere di oggi non è 
uno scheletro uscito dall’armadio.  E nemmeno io.

Quella poesia sull’ananas, quella 
sulla mente che non è mai soddisfatta, 

quella sull’eroe credibile, quell’altra 
sull’estate, non sono ciò che pensano gli scheletri.

mi domando ho vissuto una vita da scheletro 
come un miscredente della realtà,

concittadino di tutte le ossa al mondo?
Ora, qui, la neve che avevo scordato diventa 

parte di una realtà prima, parte di 
un apprezzamento della realtà 

e con ciò un’elevazione come se andassi via 
con qualcosa che potessi toccare, toccare a fondo. 

Eppure nulla è stato cambiato se non ciò che è
irreale, come se nulla fosse cambiato affatto.

Lucia Triolo: vecchio cappotto

Perché non ho imparato 
quando arrivava il vento
cosa è stato per me
abbracciare l’inverno?
Ora forse avrei almeno un occhio!

Avrei dovuto vendere per tempo
il cappotto. Adesso è troppo vecchio
e nessuna bambola lo vuole.

C’è qualcosa di me che
si possa accettare
senza testimoni contro?
Forse ho smesso di galleggiare.

Perché non ho imparato 
quando arrivava il vento
a scaldare le tue mani 
con la borsa dell’acqua calda,
a stringerle bagnate di sguardi
come belve innamorate?

Carichi di universo ho gli occhi
e non ho insegnato alla 
paura
a chinarsi dinnanzi alle ragioni.
È una paura rozza, 
impreparata.

Mi basta solo per far tremare 
l’angoscia.
Lei ora se l’accomoda sulla pelle, 
la indossa con decisione
e rabbia.

Avrei dovuto vendere per tempo
il cappotto. Adesso è troppo vecchio
e nessuna bambola lo vuole.

Bambole nude
io rischio di affondare.

Lucia Triolo: Gloria

 e ci sei
a sbucciare semi di passato
per ricamare i giorni di domani 
mingherlina asciutta 
gentile 
sottoveste di seta e di ricordi

sto qui a strapparti
lo sguardo pronto 
all’altro
senza troppe parole

la mia saliva sapora
il gusto con te della memoria  
perché tu sei così: 
sei Gloria

Lucia Triolo: al centro del mondo

Oggi al centro del mondo 
non c’era nessuno
Forse solo un respiro,
spauracchio 
per altri mondi possibili
ancora liberi.

Tutto taceva al buio.
Era come se la voce
non provasse nemmeno più 
a giungere dove doveva
e la luce cercasse altrove la sua velocità

Oggi al centro del mondo
un chicchirichì 
cercava il gallo
un occhio cercava
lo sguardo,

una preghiera,
non fatta da nessuno,
trovava ugualmente 
il cielo,
l’anima ereditava
la fenditura dell’eternità

Lucia Triolo: il palio

per il rotto della cuffia
riuscivo a ripescarmi dentro armature da battaglia
in tornei a colori vivaci

dov’è strada
graffiate i piedi:
chi sta al galoppo, lancia in resta, 
volteggia sul nonsuo
per infilzarlo

ferraglia stravagante il suo
senza ironia
secco promemoria per i fulmini delle mani
che se la facevano con i tuoni dei piedi
durante il palio

una propensione per i quadri di Pollock

Lucia Triolo: la casa sul ring

all’angolo la strada quasi sbatte
contro di sè,

quella sagoma
su una sudicia stuoia
indefiniti i contorni
non vuol dir nulla.

nel fumo svaniscono i nomi
delle strade
e delle cose 
restano mucchietti

il mio pellegrinaggio
si slancia all’ assalto
sotto il lampione:
quel viandante si volterà?

la sua solitudine 
si gira
mi viene addosso
sgancia un pugno
poi un altro
sulla mia

rientro a casa
malferma sulle gambe:

la mia è
una casa sul ring

Lucia Triolo: compleanno

Vorrei abitare 
luoghi amati.
Sono 
nel pullman che va al mio
compleanno

Non è per caso
che una suola si logora
nel camminare l’amore:
la scarpa rimane sempre nuova.

Dove sono stata,
tutto è fermo e provvisorio 
insieme 
lì mi sono lasciata per ritrovarmi 

Conosco i bar con il caffè fumante
i panifici col pane fragrante
i giardini fangosi dopo la pioggia,
la persiana che non chiude bene,
i modi audaci
della gonna gialla, corta
il metrò su cui viaggia 
ora lenta ora veloce la memoria
e dice insieme
“scendo qui”, “possiamo andare”.

strana sensazione:
pienezza e insoddisfazione.
vivere nel ritorno e continuare
ad andare,
perché
ogni volta è la prima e l’unica
all’amore.

lucia triolo:l’oleandro rosso

Lo guardo e taccio.
Mi guarda e tace
l’oleandro rosso.

Non ha minuti nel suo orologio.
La sua forma ricama
il cavo della mia mano.
Non ha altro suono
che il mio respiro
inesorabile.
Silenzio. Immobile.

Geometrie discrete,
continue io e lui.
Solo frazioni di secondi.
Piccolo infinito.

E’ furioso con me stamane,
sa che devo partire
non potrò più vederlo
né all’alba
né al tramonto.
Non vuol lasciarmi andare,
ha bisogno del mio sguardo
in tralice.

Ma forse non è poi
così importante la sua opinione.
Lascerò detto che lo cambino di vaso
quando me ne sarò andata.

Lo cambino.
Un cambio,
qualcosa cambia…
me

Domani deponetelo
su di me.

Lucia Triolo: premio Lucini

ringrazio con gioia la giuria del premio Lucini per il lusinghiero terzo posto tra i finalisti (sezione raccolta inedita di poesie) concessa al mio testo “Dislocazione”. Di seguito un assaggio del testo

“nulla da nascondere!

racconta
la donna furtiva che
ti cammina accanto
della sua resa
(quando nessuno vede)
racconta delle squame che perdi,

ti finiscono in tasca i veterinari in pellegrinaggio
sul tuo nome
vogliono aggredirti le maschere del volto
sanno
quante varianti
può avere un lapsus

non cedere di amare
mi sono allontanata
solo per un momento”

Lucia Triolo: demone

E fuggivo da te

rubavi voce agli uccelli
non erano le cinque della sera
e le lucciole levavano stonate 
un coro muto.

Che demonio
hai scatenato
col tuo gesto perduto,
trucidata la mia eternità
ogni nervo hai appeso a un 
chiodo capovolto
terrorizzandolo di gioia
di ogni poro hai fatto ruga azzurra .

Quel demone furioso conserva
in un reliquiario
l’aria vana della felicità slacciata
che mi desti
e non si volta

fugge per le scale del mio 
ventaglio, 
canta piega su piega 
getta altrove il mantello.

Ogni me hai messo a nudo
sotto un’obliqua pioggia
come l’estrema delle terre
che hai avvistate.
e tu continui a non sapere

e io so che
se sapessi
lo rifaresti
ancora e ancora

tu non conosci mai

Lucia Triolo: non si pesta la polvere

“Gravemente ferito…
rimasi in silenzio, sprofondato fino al collo nei miei
fantasmi”
R. Bolano, i cani romantici

“in mezzo alla legione di innocenti”*
hai disdetto
ogni follia

lanciavi dalla bocca
attimi bendati
che non scompaginassero la ferita
sempre intatta.

Dicevi
“non si pesta la polvere sotto le scarpe
senza turbarsi”

Alla fine l’ ultima
immagine non era più
all’indice:

io ero andata via con tutti i giorni

*R. Bolano, i cani romantici

Lucia Triolo: Fino alla fine

“Fra noi, fino alla fine, tutto fu inizio. Perché l’inizio saturava le condizioni dell’amore”
L. Triolo, “Lettera a Nicola” da Dialoghi di una vagina e delle sue lenzuola

Non c’è 
un “prima d’incontrarti”
come uccelli che il vento non contiene
i nostri camuffamenti
baci come ossa saldati 
alla carne 
e senza indulgenza

noi che non scegliemmo le nostre trappole
non uccidemmo la nostra morte
tra noi fino alla fine
tutto fu inizio

Il Mudec mette in mostra l'identità culturale di Marc Chagall - la  Repubblica

Lucia Triolo: fin dove

“Per quanto sia cauto il tuo passo”
G. Caproni: “la vipera” e “la vita” da Il libretto

Ascolta,  
qualcosa che nacque
disparve
poi si lasciò scorgere davanti
al fuoco, 
eri tu il camino e
fu raggio per raccolte e per deserti

il passo dinoccolato ora
non dorme più

arrivare fin dove l’amore
può portare
poi finisce la strada

Lucia Triolo: brioche calda


pazzesco

quattro bufere fa
uno che aveva preso impegni seri
col suo silenzio
aveva osato gettarla
come osso al cane 
… e impazziva il vento  
in un giro di abbandoni
tra le foglie 

nessun indirizzo sulla busta
nessun destinatario, ne’ mittente
e dentro
forse 
a non scalfire i silenzi 
nessuna parola

l’ ultimo 

quattro stelle cadenti fa
la carcassa di un pensiero 
galleggiava in uno spruzzo 
d’acqua:
accendeva un ultimo rigagnolo                       
d’idea

la ragazza guardava
la gonna incuneata tra 
le cosce
ma chi può dire
vedesse?
teneva la carcassa tra le mani 
insieme alla lettera 
ma chi può dirne le mani?

gesto

non si tengono carcasse di pensieri
tra le mani
ne’ lettere che 
non scalfiscono silenzi
la ragazza
aveva qualcosa che somigliava
ai miei tratti
quelli essenziali che non ricordo 
mai

… e penzolava                                                        
il tempo
e la vecchia della 
porta accanto
che non aveva voluto
salutarla
la braccava inquietante dal
girello

offrile la brioche calda!

Lucia Triolo: innocenza e perdono

“Contro di te, contro te solo ho peccato”
dal salmo 50

lascia che il suo odore venga meno
sul materasso e
sul cuscino intatto!
il perdono risana
o strizza l’ innocenza?

E tu, che te ne fai?
Infischiatene!

lascia che accada l’assenza
e in me ne muoia
inquadrala nell’ultima danza
non soccorrerla:
nell’inquadratura la bestia
morde e ride
dita di fumo intride

la stanza insensata non ruota 
intorno a noi e
nell’armadio la tuta si rifiuta
alla gruccia
scivola per terra ostinata
come una
vecchia abitudine
deformata dal tempo e dagli dei

il perdono, mestiere di notte,
non dà senso
a un’invasione di spazi vuoti
non è una bambola

è uno scoiattolo
murato vivo

Lucia Triolo: antichi misteri

Non sospirare quando ti fai il letto
ai tuoi sogni potrebbe mescolarsi
il sudore dei morti
“,
N. Sachs, “A voi che costruite la nuova casa” da “Nelle dimore della morte”, ora in “Poesie”, Einaudi 2022

————

una donna, di antichi misteri 
incappucciata,
intona nenie 
senza trama
e scende cantilene
dondolando
mentre fugge
il sudore dei morti,

la fata Attraverso
l’accompagna
lungo un muro che il mondo 
respira,
sbirciando ogni tanto tra 
i chiavistelli
nel fondo del baule
il suo sudario

sopravvive a se stesso 
l’amore
?

Lucia Triolo: (non) senso: una suggestione surrealista

Ho sognato che un mio vecchio ombrello
quello azzurro, rotto, e poverello
sbucciava piangendo mezza cipolla
in una stanza con pareti a molla

Il mio occhio destro girava per la testa
era allegro e pronto a far gran festa
Quello sinistro era nel forno
e non finiva di guardarsi attorno 

Un braccio stava al posto di una gamba
stava storto, a ballare la samba
L’altro pietoso lo rifocillava
tra le mani mettendogli una clava

Le lunghe gambe poi non ne parliamo
avevano saltato il corrimano
facevan da lancette a un orologio
puntando verso Ambrogio, il cane mogio 

Sulla bocca c’era il solito orecchio
beveva il suon prima che fosse vecchio
L’ altro non sapeva dove andare
Cercava un pianoforte da suonare

Di nasi non ne avevo più uno solo
erano tre, pronti a spiccare il volo
per… non sapevano bene quale meta
volevano odorare della feta

C’era qualcosa da riordinare
In questo tutto un po’ particolare?
Oppure se tutto era già al suo posto
non c’era nulla da mandare arrosto?