Si amplificano
fogge e geometrie
addensando la percezione
d’ogni gamma di colore.
Vibra la profonda essenza
d’un talento esasperato
disarcionando
per l’occasione
antiche remore.
Si cattura la forza della vita
nell’esclusiva sua gestualità
allorchè sfiori
immagini elastiche
d’imbandite membra
fuori dal silenzio
della notte nera.
@Silvia De Angelis
Le masse non si ribellano mai in maniera spontanea, e non si ribellano perché sono oppresse. In realtà, fino a quando non si consente loro di poter fare confronti, non acquisiscono neanche coscienza di essere oppresse. Abbandonati a se stessi, continueranno, generazione dopo generazione, secolo dopo secolo, a lavorare, generare e morire, privi non solo di qualsiasi impulso alla ribellione, ma anche della capacità di capire che il mondo potrebbe anche essere diverso da quello che è.
George Orwell
Las masas nunca se levantan espontáneamente, y nunca se levantan porque están oprimidas. En realidad, hasta que no se les permite hacer comparaciones, ni siquiera se dan cuenta de que están oprimidos. Abandonados a sí mismos, generación tras generación, siglo tras siglo, seguirán trabajando, generando y muriendo, privados no sólo de cualquier impulso de rebeldía, sino también de la capacidad de comprender que el mundo también podría ser diferente de lo que es.
Voglio tornare all’infanzia. E dall’infanzia all’ombra. Te ne vai, usignolo? Vattene. Voglio tornare nell’ombra. E dall’ombra al fiore. Vai via, profumo? Vattene! Voglio tornare al fiore. E dal fiore al mio cuore Te ne vai, amore? Addio! [Al mio deserto cuore!]
A mezzo busto e con lo sguardo rivolto verso l’osservatore, come a richiamarne l’attenzione, Antoon Van Dyck si auto-ritrae con indosso un’elegante blusa di raso rosso, mentre con la mano sinistra solleva la pesante catena d’oro che gli cinge le spalle a sottolineare la sua condizione d’agiatezza economica, e con la destra indica il girasole che ha da poco finito di dipingere.
Simbolo di fedeltà, perché collegato al mito di Clizia, questo fiore, oltre ad assumere significati amorosi, negli stemmi nobiliari olandesi e inglesi indicava la fedeltà al sovrano.
Ignorando a chi fosse dedicato, non sappiamo se l’artista l’avesse dipinto per una donna o per Carlo I d’Inghilterra, per il quale nel 1633, anno della sua realizzazione, stava lavorando.
Certo è che questo autoritratto, per originalità della composizione e uso dei colori, figura fra i capolavori del fiammingo Antoon Van Dyck, nato ad Anversa il 22 marzo del 1599.
Col nostro Paese il maestro ebbe un feeling particolare perché nell’arco della sua breve vita trascorse in Italia circa sei anni, spostandosi fra Genova, Roma, Bologna, Venezia, Firenze e Palermo, per poi trasferirsi a Londra al servizio di Carlo I.
I Fiamminghi infatti, popolo laborioso che ha costruito il proprio benessere sui commerci e i traffici marittimi, sono sempre stati aperti al mondo in un proficuo interscambio non solo di merci, ma anche di idee, mode e cultura, in un quadro di generale tolleranza impregnata d’ideali calvinisti e improntata alla valorizzazione dell’essenziale, oltre che al fastidio per l’ostentazione fine a se stessa.
In quest’ottica non meravigliano gli stretti legami che in quel periodo li univano a coloro che in Italia rappresentavano un po’ i loro “gemelli”, seppure di parte cattolica: i Genovesi, anch’essi da sempre dediti al commercio ed ai traffici marittimi, laboriosi, austeri e poco propensi agli sperperi.
Così la prima tappa che il giovane Van Dyck fece durante il “Grand Tour” fu proprio Genova, dove sbarcò nel 1621 nel bel mezzo del “Secolo d’Oro” di questa città, che in quel periodo riuscì a sopravanzare per ricchezza e cultura la Firenze del secolo precedente.
Qui si mise al servizio delle famiglie del patriziato cittadino, nomi come gli Spinola, gli Adorno, i Doria, i Durazzo, i Lomellini e soprattutto i Brignole-Sale, per i quali realizzò i ritratti dei personaggi più importanti.
Molti di questi meravigliosi dipinti si trovano ancora in città e possono essere ammirati all’interno di quella straordinaria serie di Palazzi che impreziosiscono i due lati dell’attuale via Garibaldi formando la cosiddetta lista dei “Rolli”, Patrimonio dell’Umanità.
Il nostro si spostò poi a Roma dove realizzò il bellissimo ritratto del Card. Guido Bentivoglio, protettore della folta comunità fiamminga di Roma, e poi ancora a Bologna, Venezia, Firenze
e Mantova, luoghi in cui ebbe modo di ammirare quadri di Tiziano, Caravaggio, Paolo Veronese, Guercino e di chissà quanti altri artisti ancora, facendone tesoro per la propria arte.
Infine fece tappa a Palermo dove, oltre a realizzare il quadro di “Santa Rosalia incoronata dagli Angeli”, ebbe la straordinaria possibilità d’incontrare l’ultra-novantenne pittrice Sofonisba Anguissola, di cui ci lasciò un intimo ritratto eseguito a carboncino.
L’esperienza italiana gli permise d’imporsi a livello europeo come apprezzato ritrattista, tant’è che negli anni seguenti lavorò prima per la Regina di Francia Maria de Medici, e poi per Carlo I d’Inghilterra, di cui divenne il pittore di corte, trasferendosi a Londra dove sarebbe morto ancora giovane il 9 dicembre del 1641.
Fu sepolto nella londinese Basilica di San Paolo, in una tomba purtroppo andata persa in quello che, un paio di decenni più tardi , sarebbe stato il grande incendio di Londra.
Accompagna questo scritto l’”Autoritratto con girasole”, di Antoon Van Dyck, 1633, collezione privata del Duca di Westminster.
Mi piace definire questo scrittore con il titolo di un suo libro ”L’ anima non si arrende”. Marco Conti l’osservatore, l’uomo che scrive come un fiume in piena. Scrive dovunque, nelle pause dal lavoro, nelle file degli uffici, negli ascensori, lui nuota nelle sue parole, un mare di pensieri che lui sviluppa forsennatamente, senza darsi tregua. Vive intensamente nel suo aspetto poliedrico, dedicandosi anima e corpo a tutto ciò che fa parte della sua vita. Marco Conti scrittore, un uomo vulcanico, intenso in ogni cosa che fa. Le difficoltà della vita lo hanno fatto diventare anche più profondo, una persona che cammina con la propria anima, la sua anima che non si arrende, ma travolgente. Marco Conti investigatore dei moti delle emozioni, nei suoi libri esprime personaggi controversi e lui è in ognuno di loro. Il mondo dell’editoria una jungla malata, non sappiamo più distinguere, non abbiamo il discernimento e gli editori non sono più a caccia, ma di scoop. Non si vive di scrittura ,si vive di normalità, di pagine che prendono forma solo per l’amore di farlo, oggi come oggi chi scrive lo fa per amore assoluto, non per il proprio tornaconto. Leggiamo Marco Conti, scrittore, uomo dalle mille sfumature, della fatica del vivere, leggiamolo attraverso i suoi occhi entusiasti, le parole che lui ama tanto. Lui è uno, che sul serio, non si arrende.
MARCO CONTI SI RACCONTA
La passione per la scrittura, ha per me origini lontane. Fin da bambino amavo scrivere e mi affascinavano gli scrittori quelli veri, quelli che immaginavo perennemente seduti davanti alla macchina da scrivere, con una pipa in bocca e la testa immersa nei propri pensieri, nelle proprie idee. Ho scritto anche un libro, avrò avuto al massimo 10 anni. Per me è un cimelio da cui non mi sono più separato. Crescendo, ho dovuto dare sfogo a questa mia insistente idea di scrivere, di pianificare un vero e proprio romanzo e di portarlo finalmente a termine. Da allora non ho più smesso, trovo ispirazione anche da certi capolavori. Ad esempio Ad esempio Woody Allen che adoro, è un’altra mia grande fonte di ispirazione: nei suoi film, trovo sempre qualcosa su cui riflettere oltre a quel grande gusto di abbinamento fra fotografia, musica e storia che secondo me non ha eguali. In uno dei miei libri c’è un po’ tutto questo e c’è anche una parte di me
La mia intervista a MARCO CONTI
Dietro ogni scrittore c’è un uomo, unico nella propria identità di persona. Marco Conti chi è?
Quello che penso di essere è una persona molto vera che guarda la realtà, si può dire che una cosa che mi piace fare è osservare come si comporta la gente, come come girano le cose insomma e da questo trarne sempre spunto, ritengo anche di essere una persona che ha avuto i suoi bei bei colpi di scena pesanti, ma ho sempre cercato di trarne un messaggio positivo, mi danno fastidio le persone che danno tutto per scontato e che sia sempre tutto negativo eccetera. Ti faccio un esempio banalissimo. Ho sempre sentito parlare male dell’Italia tutto va tutto sempre tutto storto sempre tutto uno schifo eccetera. Quando è capitato a mio figlio mi sono reso conto che tutto il percorso che ha fatto, non ho tolto di tasca un euro e ne ha fatte veramente tante . E quindi dico queste cose,ma chi ne parla? Nessuno. E in più abbiamo una struttura qui a Bergamo che è veramente l’eccellenza. E anche di questo non si sente parlare, senti più la gente che critica tutto ecco, io non non sono così. Io cerco sempre di tirar fuori il buono da da tutto, ecco.
Da quando scrivi? Come hai scoperto la tua vena letteraria?
Si può dire che scrivo da sempre infatti sul mio blog, ho anche pubblicato il mio primo romanzo che ho scritto in quarta elementare con tanto di commenti della maestra E non ho non ho mai mollato . All’ età fra i sedici e i diciassette anni avevo in testa tutt’altro, ero più improntato a uscire con gli amici eccetera, quindi diciamo che l’ho un po’ abbandonato. Però una volta che mi sono sistemato, sposato, ho ricominciato a tempo pieno a scrivere, io scrivo spesso, giornalmente, la parola giusta è avere bisogno di farlo, ogni giorno scrivo qualunque cosa mi accada ,ogni giorno scrivo. Non ho scritto una sola parola, nel periodo in cui ero piegato dal dolore per quello che stava succedendo alla mia famiglia, non mi staccherò mai da questa passione , non ho bisogno di cose particolari o di guadagnarci , io scrivo perché ho bisogno di scrivere.
Quando hai scritto il primo libro a cosa ti sei ispirato? Quale storie preferisci raccontare?
Il mio primo libro è” in equilibrio sopra la follia ”, l’ispirazione è arrivata da una frase di una delle più belle canzoni di Vasco Rossi , a cui mi sono ispirato …la vita è un brivido che vola via è tutto un equilibrio sopra la follia… in questa frase c’è la vita, il bello è il brutto dalla vita, Vasco Rossi veramente è uno di quei cantanti le cui canzoni si può dire che sono la colonna sonora della mia vita, nel senso che ogni periodo della mia vita, i ricordi sono legati a una canzone di Vasco Rossi, quando l’ho ascoltata la prima volta è stata un’esplosione , per me, una frase potentissima e mi ha fatto riflettere su tante cose quindi sono arrivato a questo primo romanzo, che per assurdo è l’unico che ho ancora nel cassetto e su Amazon, ma da rivedere. Ho avuto una prima brutta avventura con un editore a pagamento con questo mio primo libro. Forse il migliore di quelli che ho scritto fino adesso è” l’anima non si arrende” forse anche più interessante perchè venuto fuori da una riflessione sugli scrittori che scrivono solo per fare cassa.
Marco, tu lavori, hai una famiglia, hai anche qualche hobbyes ? Come fai a conciliare tutto?
il mio hobby è la scrittura non ne ho altri perché già quello mi occupa tutto il poco anzi pochissimo tempo libero che ho fra lavoro e famiglia. Ovviamente leggo anche molto…ma quello lo faccio di notte
Praticamente non dormi mai o molto poco. Mi hai raccontato un brutto momento della tua vita, vorrei che mi specificassi come è cambiata la tua visione sulla vita.
Mi ha cambiato molto. La mia visione della vita diciamo che è limitata al presente. Se prima stavo a farmi mille progetti per il futuro, ora preferisco concentrare le mie energie sul presente godendomi ciò che ho di buono. Il 2020 mi ha aperto gli occhi. Non sono più la persona che ero e se da una parte ho perso qualcosa, dall’altro l’ho guadagnato perché so bene quali sono le cose che contano e vado avanti per la mia strada senza pensare a cosa pensano gli altri di me.
Il tuo difetto più grande, sincero però!
Cerco di dare sempre il 101 per cento in tutto quello che faccio. Non sono mai soddisfatto e faccio parecchia autocritica…forse troppa. Non so contare fino a due: quando mi arrabbio esplodo e dove colpisco colpisco. Però so anche chiedere scusa.
Oggi per uno scrittore, anzi per chi sa scrivere, è veramente difficile, questo perchè il web è pieno di persone che non lo sa fare, il mondo dell’editoria pensa solo a fare cassa con qualche nome famoso. Vorrei la tua opinione.
Molto deluso dell’editoria . Per noi esordienti quasi sconosciuti c’è ben poco spazio. Ora ho riposto le mie speranze negli editori con cui sto pubblicando uno dei quali in particolare è della mia città…speriamo.
Nel nostro paese si legge pochissimo, come ovvieresti a questo problema?
Mi piacerebbe che venissero sensibilizzati di più i bambini e i ragazzi con iniziative che li spingano a leggere. Con i miei figli lo faccio. Sono loro il futuro.
Se ti identificassi con un personaggio di un libro, chi vorresti essere?
Mi identifico sotto alcuni punti di vista col protagonista de “L’anima non si arrende” perché si aggrappa alla sua passione per dare un senso alla sua vita è perché alla fine è una persona che sa dare una seconda possibilità a chi sbaglia…io lo vedo come segno di forza!
Il libro del cuore di Marco Conti è ” l’anima non si arrende”, c’è poco o tanto di lui? Sicuramente leggerlo sarà una scoperta.
L’ANIMA NON SI ARRENDE. Una lettera, un improvviso tuffo nel passato per Matteo; scrittore di successo abbandonato da Sabrina e dall’ispirazione, che accetta l’invito dello zio Nicola: recarsi a Parigi per ascoltare le ragioni della sua sparizione, avvenuta quando Matteo era ancora bambino. Il viaggio a Parigi sarà l’occasione per riallacciare i rapporti col fratello Francesco e per riconciliarsi con il passato. Ad aspettarlo non sarà però Nicola, ma una scoperta inquietante. Emma, la sua compagna di viaggio, gli stravolge la vita; scompare, ma (forse) non per sempre…
Julio Cortázar, all’anagrafe Julio Florencio Cortázar Descotte (Ixelles, 26 agosto 1914 – Parigi, 12 febbraio 1984), è stato uno scrittore, poeta, critico letterario, saggista e drammaturgo argentino naturalizzato francese, maestro del racconto, particolarmente attivo nei generi del fantastico, della metafisica, del mistero.
E quando tutti se ne andavano e restavamo in due tra bicchieri vuoti e portacenere sporchi, com’era bello sapere che eri lì come una corrente che ristagna, sola con me sull’orlo della notte e che duravi, eri più che il tempo, eri quella che non se ne andava perché uno stesso cuscino e uno stesso tepore ci avrebbero chiamati di nuovo a svegliare il nuovo giorno, insieme, ridendo, spettinati.
Come probabilmente saprete, i gatti romani sono sempre stati presenti nei rifugi della città, infatti esistono numerose cartoline dei gatti di Roma. Largo Torre Argentina è un vero e proprio tempio felino, ospita 150 amici a quattro zampe, protetti nei più antichi templi di Roma che risalgono al 400-300 AC. Se la storia di Giulio Cesare è nota ormai in tutto il mondo, la storia dei gatti che popolano Largo di Torre Argentina è meno conosciuta, ma altrettanto affascinante, infatti ha ispirato libri, DVD, feste, manifestazioni e continua ad attrarre turisti da tutte le parti del mondo.
La storia dei gatti di Largo Torre Argentina
Il terreno sacro sul quale camminano questi gatti è stato condiviso anche da un altro romano, Giulio Cesare. Qui a Torre Argentina, nell’anno 44 AC, egli fu uno dei dittatori più illustri, pugnalato dal suo rivale Bruto. Sono passati quasi 20 secoli da allora, ma lo spirito di Cesare vive sicuramente in alcuni dei gatti aristocratici che frequentano e ormai dominano con orgoglio questi templi.
Le gattare del 1929
Il 1929 è l’anno in cui venne scavata l’area sacra di Torre Argentina, in cui è iniziata la storia della residenza dei gatti. Felini randagi e abbandonati cominciarono la loro avanzata e si rifugiarono nell’area protetta al di sotto del livello del suolo. Dal 1929 al 1993, i gatti furono nutriti più o meno regolarmente da una serie di donne amanti dei felini, che nella maggior parte dei casi ne possedevano più di 3 o 4, furono per questo definite: gattare.
Filmstar 1950
Una delle più famose amanti dei gatti è stata la grande star italiana Anna Magnani. Mentre lavorava al Teatro Argentina che confina con le rovine, si ricorda come la signora Magnani trascorresse le pause dal set a dar da mangiare ai suoi amici a quattro zampe. La Magnani è stata una vera e propria leggenda cinematografica, famosa per le sue esibizioni strazianti. È morta negli anni ’60 ma il suo mito continua a vivere… anche i suoi amati gatti.
Lia e Silvia 1993
Lia e Silvia hanno iniziato a lavorare con i gatti nel 1993 aiutando una donna che gestiva la loro salute da sola: nutriva, accudiva e sterilizzava tutti i gatti; i suoi generosi sforzi però, l’avevano portata sull’orlo di un collasso economico ed emotivo. Presto Lia e Silvia si resero conto che c’era molto più lavoro di quello che potevano svolgere le tre donne. In quell’anno la popolazione felina cresceva a causa dell’irresponsabilità delle persone che abbandonavano i loro gatti, forse per andare in vacanza, per pigrizia o per malvagità.
Il rifugio sotterraneo
Le condizioni di lavoro erano primitive per non dire altro. Un’area simile a una grotta sotto la strada, era stata involontariamente creata dalla forma della costruzione e dai pilastri che la sostenevano, diventando una vera e propria comunità di gatti molto prima che iniziasse ad essere un rifugio a tutti gli effetti. Sicuramente non è stato un lavoro facile, prendersi cura di più di 90 gatti in uno spazio sotterraneo umido, in posti così bassi che non si può stare in piedi, senza elettricità e acqua corrente. Per quasi un anno e mezzo Silvia e Lia hanno lavorato in queste condizioni, sperando in una svolta per uscire da questo periodo buio, dovuto non soltanto alla struttura in cui erano costrette a lavorare per prendersi cura dei felini.
A.I.S.P.A. 1995
Le loro preghiere furono esaudite nel 1995 quando arrivò una salvatrice: una donna inglese di nome Molga Salvalaggio. Raccontò a Silvia e Lia delle meravigliose conquiste di alcune organizzazioni inglesi che lavoravano nella protezione degli animali e li mise in contatto con A.I.S.P.A. (Società anglo-italiana per la protezione degli animali) che è stata la prima organizzazione a fornire materiale e supporto morale per la cura dei felini. Inoltre, hanno introdotto Silvia e Lia alle risorse inglesi riguardanti gatti randagi e hanno studiato le soluzioni di problemi come questo, dando vita a un lento processo di imitazione dei modelli inglesi. Nazioni Unite per gatti Il primo lavoro è stato quello di raccogliere fondi disperatamente necessari. La posizione così naturale e primitiva del sito storico aveva però un grande vantaggio: era un’attrazione turistica grazie al significato storico e archeologico delle rovine. Silvia e Lia cominciarono a notare che i turisti erano più interessati ai gatti che alle rovine e facevano volentieri donazioni. Incredibile ma vero: ha funzionato. Non solo hanno raccolto il denaro necessario, ma sono anche riuscite ad attirare un certo numero di volontari; per lo più donne di diversa nazionalità: italiana, francese tedesca, americana, inglese, brasiliana e olandese. Torre Argentina divenne ben presto una sorta di Nazioni Unite per i gatti. Per raccogliere più soldi iniziarono ad organizzare cene di raccolta fondi e lotterie con vendite al mercato delle pulci.
Cresce la reputazione nel 1999-2010: i bestsellers
Nelson, un gatto di Torre Argentina con un occhio solo, è stato il protagonista di un libro vincitore di numerosi premi. “Nelson: un re senza casa” è un libro che fu pubblicato nel 1999 e presto divenne un bestseller oltrepassando i confini del rifugio, attirando l’attenzione sulla triste condizione dei gatti abbandonati. Più o meno nello stesso periodo, Barbara Palmer, ha pubblicato “Cat Tales”: entrambi i libri hanno contribuito alla crescente reputazione del rifugio. Nel 2000 il Santuario è entrato nella nuova era con il sito web, http://www.romancats.com, soccorritori di animali olandesi e web designer professionisti, Micha Postma e Christiaan Schipper hanno sviluppato il progetto. Sul fronte interno, nel 2001, i gatti di Roma sono diventati un “patrimonio bio-culturale” con una proclamazione speciale del consiglio comunale. Le cose si muovevano nella giusta direzione: man mano che il Santuario cresceva, aumentava anche la consapevolezza della sofferenza degli animali randagi e del loro bisogno di protezione. I tempi erano maturi per una dichiarazione pubblica: nel 2003, il Santuario di Torre Argentina fu determinante nell’organizzazione di una marcia di dimostrazione, Cat Pride che ha visto scendere in strada diverse migliaia di partecipanti che chiedevano protezione e finanziamenti per i randagi di Roma. Nel 2004 la produzione del DVD Cats of Rome di Michael Hunt ha contribuito ulteriormente allo scopo. Tra il 2004 e il 2010, piccoli e grandi miglioramenti hanno a contribuito a migliorare la qualità della vita di felini e lavoratori. L’ultimo successo è del 2015 quando i gatti sono stati protagonisti di un calendario fotografico (WEB)
La conoscenza unilaterale tra voi e me si sviluppa abbastanza bene.
So cosa sono foglia, petalo, spiga, stelo, pigna, e cosa vi accade in aprile, e cosa in dicembre.
Benché la mia curiosità non sia reciproca, su alcune di voi mi chino apposta, e verso altre alzo il capo.
Ho dei nomi da darvi: acero, bardana, epatica, erica, ginepro, vischio, nontiscordardimé, ma voi per me non ne avete nessuno.
Viaggiamo insieme. E quando si viaggia insieme si conversa, ci si scambiano osservazioni almeno sul tempo, o sulle stazioni superate in velocità.
Non mancherebbero argomenti, molto ci unisce.
La stessa stella ci tiene nella sua portata. Gettiamo ombre basate sulle stesse leggi. Cerchiamo di sapere qualcosa, ognuno a suo modo, e ciò che non sappiamo, anch’esso ci accomuna.
Io spiegherò come posso, ma voi chiedete: che significa guardare con gli occhi, perché mi batte il cuore e perché il mio corpo non ha radici.
Ma come rispondere a domande non fatte, se per giunta si è qualcuno che per voi è a tal punto nessuno.
Epìfite, boschetti, prati e giuncheti – tutto ciò che vi dico è un monologo e non siete voi che lo ascoltate.
Parlare con voi è necessario e impossibile. Urgente in questa vita frettolosa e rimandato a mai.
Wislawa Szymborska: 2 luglio 1923 – 1 febbraio 2012, è stata una poetessa polacca, vincitrice del Premio Nobel per la letteratura nel 1996. Arguta, sensibile, ironica: la poesia della Szymborska vive delle piccole cose di ogni giorno e al contempo riesce a toccare temi universali e profondissimi. Amava le piccole realtà quotidiane, le coincidenze, la natura in tutte le sue forme. E aveva un dono, raro anche nei poeti più affermati: sapeva restituire la meraviglia e lo stupore per ogni avvenimento umano.
Non ti parlerò di marx e compagni né di circoli fumosi di atei massoni o vecchie coppole unte di niente in fila con uova di cova e conigli ancora caldi per due parole di nero né di un Marshall migrato dove arbeit macht frei, sono solo ricordi di fatti forse mai avvenuti, fiabe raccontate ai lupi mannari e lune stuprate nell’insonnia buia della notte. Te ne avrei forse parlato a ridosso di una cena di poesie e liceo e ne avremmo sorriso pagando il conto.
Rupert Chawner Brooke (1887 – 1915) è stato un poeta britannico, noto per i suoi sonetti di guerra scritti durante la prima guerra mondiale, fra i quali il più famoso è probabilmente The Soldier.
Vagavo sul ponte, per un’ora, stanotte sotto un cielo nuvoloso e senza luna; e sbirciavo nelle finestre, guardavo i miei amici a tavola, o giocando a carte, o in piedi sull’uscio, o venendo fuori nell’oscurità. Ancora nessuno poteva vedermi. ………………….Avrei pensato a loro – svagati, a una settimana dalla battaglia – con pena, fieri nella loro forza e nel peso e fermezza e compatta bellezza dei corpi, con pena che questa lieta macchina di splendore sarebbe stata presto spezzata, dimenticata, smontata, fatta a pezzi… …………………..Ma come sempre potevo solo vederli passare, davanti alla luce della lampada, come ombre colorate, più sottili di una membrana di vetro, deboli bolle, più tenui della tenue luce delle onde che…
In questo mondo pazzo, siamo passati dal sentirci orgogliosi e mettere in risalto i successi delle donne, al vergognarci di alcune azioni e di certe incongruenze di pochi che fanno troppo rumore.
Ma non perdiamoci, né da una parte né dall’altra, è chiaro che le donne sono state messe a tacere, annullate e maltrattate socialmente per molti anni, e grazie al grido di tante che sono state chiamate pazze, si è riconosciuto che, attualmente, viviamo ancora in un mondo pieno di ipocrisia in cui compiti come la pulizia della casa o la cura dei bambini sono attribuiti alle donne.
Molti ripetono che siamo pazzi nel vedere fantasmi dove non ce ne sono, ma ci sono, quello che succede è che viviamo in mezzo a loro da così tanto tempo che non li vediamo e li assumiamo come qualcosa di normale.
Il titolo del mio articolo è “Il cucchiaio della discordia”, perché tutta la discussione è iniziata con il cucchiaio della maionese. Ora ti ho davvero ingannato, giusto? Beh, dovevamo pranzare come tutti gli altri, guardando attraverso le piattaforme per vedere quali serie avremmo potuto vedere e parlando di come era andata la scuola per i bambini. Ho due gemelli, quindici anni ciascuno, dieci minuti sopra, dieci minuti sotto, e il fatto è che quella con la quale di solito litigo di più è mia figlia, visto che mio figlio di solito è politicamente corretto, e la sua adolescenza è più rilassata di mia figlia, ma quel giorno ha detto le parole sbagliate o forse le ha dette nel giorno sbagliato. Fatto sta che, quando tutti ci siamo seduti per mangiare le bistecche e le patate che avevo preparato, mio figlio dice: “hai dimenticato di portare di nuovo il cucchiaio per aggiungere la maionese, te ne dimentichi sempre, ti dimentichi tutti i giorni”.
Puoi già immaginare la mia faccia, in quel momento il mio sangue ha cominciato a scorrere per tutto il mio corpo, trasferendo la rabbia in ogni angolo di quella donna attivista e femminista che porto dentro. Potete immaginare la nostra discussione, ma in fondo la mia argomentazione era la tremenda sciocchezza che avevo appena sputato, la maionese era di tutti, i cucchiai erano di tutti, la casa era di tutti e, quindi, non avevo l’esclusività, eravamo una squadra e avevamo dovuto distribuire i compiti.
Dopo aver colpito ripetutamente il muro indistruttibile dell’adolescenza, l’unica cosa che mio figlio ha ripetuto è che mi aveva solo detto che se avessi portato la maionese, dovevo ricordarmi di portare il cucchiaio, che nella mia mente femminista vedevo cose che non ero.
Potete immaginare la mia frustrazione nel cercare di fargli capire che non me ne fregava niente del cucchiaio di maionese, che era il sottotono del suo commento a ferirmi, il semplice fatto che mi sentissero obbligata a fare tutto perché ero la madre. E per la cronaca che faccio tutto quello che faccio perché voglio, ma una cosa è farlo perché voglio e un’altra è credere che abbiano il diritto di pretenderlo da me.
Ad ogni modo, il cucchiaio di maionese ci ha fatto finire il pranzo più velocemente del solito, mia figlia e mio marito si sono persi e abbiamo guardato il telegiornale in silenzio.
Una volta al lavoro, non ho potuto fare a meno di trovare il lato umoristico della nostra discussione, da lì è nato Il cucchiaio della discordia, è vero che ho fatto di un chicco una montagna, ma ci sono tante donne che combattono ogni giorno per seguire i propri sogni ed essere brave madri, mi fa incazzare che tutto sia visto come qualcosa di normale, qualcosa che dovremmo fare perché siamo donne.
Vorrei citare una donna che ha realizzato i suoi sogni essendo una brava madre, una grande artista, una voce dolce che sta riuscendo e per la quale attendono tanti successi, mi riferisco alla cantante ecuadoriana Gabriela Franco, compositrice, interprete, e produttore musicale, che collabora come cantante alla compilation globale CANTO PLANETARIO, un progetto letterario, multilingue e artistico che sarà presto pubblicato da Ayame Editorial, il cui compilatore e responsabile culturale è stato lo scrittore e poeta nicaraguense Carlos Javier Jarquín.
Gabriella Franco, come altre donne, ha lottato per i suoi sogni, e ha dovuto unire il mondo della musica alla sua famiglia, sempre con il sorriso e tanta voglia, una donna che fa da ispirazione a chi semplicemente di essere madre non vuole arrendersi.
Ciò che è chiaro con il suo ultimo brano “My reflection”, lanciato in occasione della Giornata internazionale della donna, è che le donne non devono essere perfette, non devono sempre soddisfare le aspettative degli altri, devono semplicemente essere se stesse, lottare contro le avversità e si senta soddisfatta del suo cammino.
Grazie, Gabriella, per aver dimostrato che le donne non siamo solo fiori belli e stupendi, ma che, a volte, siamo cactus che resistono nel deserto e sopravvivono in un ambiente inospitale, infrangendo ogni previsione.
Nel seguente link puoi ascoltare l’ultimo singolo musicale che questa artista ecuadoriana ha pubblicato:
*** La cuchara de la discordia
Por María Beatriz Muñoz Ruiz
En este mundo de locos, hemos pasado de sentirnos orgullosas y destacar los logros de la mujer, a sentir vergüenza por algunas actuaciones y determinadas incongruencias de unas pocas que forman demasiado ruido.
Pero no perdamos el norte, ni hacia un lado ni hacia el otro, está claro que la mujer ha sido durante muchos años silenciada, anulada y maltratada socialmente, y gracias al grito de muchas a las que llamaron locas, se ha reconocido que, actualmente, aún vivimos en un mundo lleno de hipocresía en el que se le atribuyen a la mujer tareas como la casa o cuidar de los hijos.
Muchos se repiten que somos unas locas que vemos fantasmas donde no los hay, pero haberlos los hay, lo que ocurre es que hemos estado tanto tiempo viviendo entre ellos que no los vemos y los asumimos como algo normal.
El título de mi artículo es La cuchara de la discordia, porque toda la discusión comenzó por la cuchara de la mahonesa. Ahora sí que os he despistado, ¿verdad?, bueno, se suponía que íbamos a pasar un almuerzo como todos los demás, mirando por las plataformas qué serie podíamos ver y hablando de cómo les había ido a los niños el cole. Tengo mellizos, de quince años cada uno, diez minutos arriba, diez minutos abajo, y el caso es que con quien suelo discutir más es con mi hija, ya que mi hijo suele ser políticamente correcto, y su adolescencia está siendo más relajada que la de mi hija, pero ese día, dijo las palabras equivocadas o quizás las dijo el día equivocado. El caso es que, cuando estábamos todos sentados a punto de comernos los filetes y las patatas que había preparado, mi hijo dice: “ya se te ha olvidado otra vez traerte la cuchara para echarnos la mahonesa, siempre se te olvida, todos los días se te olvida”.
Ya podéis imaginar mi cara, en ese instante mi sangre comenzó a correr acelerada por todo mi cuerpo trasladando la ira a cada uno de los rincones de esa mujer activista y feminista que llevo dentro. Podéis imaginar nuestra discusión, pero básicamente, mi argumentación fue la tremenda burrada que acababa de soltar, la mahonesa era de todos, las cucharas eran de todos, la casa era de todos y, por lo tanto, yo no tenía la exclusividad, éramos un equipo y debíamos distribuirnos las tareas.
Después de darme una y otra vez contra el muro indestructible de la adolescencia, lo único que repetía mi hijo era que solo me había dicho que si me traía la mahonesa, debía recordar traerme la cuchara, que en mi mente feminista estaba viendo cosas que no eran.
Podéis imaginar mi frustración al intentar que entendiese que me importaba un carajo la cuchara de la mahonesa, que era el trasfondo de su comentario el que me había dolido, el simple hecho de que sintiesen que estaba obligada a hacer todo porque era la madre. Y que conste que hago todo lo que hago porque quiero, pero una cosa es que lo haga porque quiera y otra muy distinta que se crean en el derecho de exigírmelo.
En fin, que la cuchara de la mayonesa hizo que terminásemos de almorzar más rápido de lo habitual, mi hija y mi marido se perdieron, y vimos las noticias en silencio.
Una vez en el trabajo, no pude evitar encontrar el lado cómico de nuestra discusión, de ahí ha surgido La cuchara de la discordia, es cierto que de un grano, hice una montaña, pero hay tantas mujeres que luchan cada día por seguir sus sueños y ser buenas madres, que me cabrea que todo se vea como algo normal, algo que debemos hacer porque somos mujeres.
Me gustaría mencionar a una mujer que ha cumplido sus sueños siendo una buena madre, una gran artista, una dulce voz que está triunfando y a quien le esperan muchos éxitos, me refiero a la cantante ecuatoriana Gabriela Franco, compositora, intérprete, y productora musical, que colabora como cantante en la compilación global CANTO PLANETARIO, proyecto literario, plurilingüe y artístico que será publicado dentro de poco por Ayame Editorial, cuyo compilador y gestor cultural ha sido el escritor y poeta nicaragüens Carlos Javier Jarquín.
Gabriela Franco, al igual que otras mujeres, ha luchado por sus sueños, y ha tenido que compaginar el mundo de la música con su familia, siempre con una sonrisa y muchas ganas, una mujer que sirve de inspiración para aquellas que por el simple hecho de ser madres no quieren rendirse.
Lo que está claro con su último tema musical “Mi reflejo”, lanzado con motivo del día internacional de la mujer, es que la mujer no tiene que ser perfecta, no tiene por qué cumplir siempre con las expectativas de los demás, simplemente debe ser ella misma, luchar contra la adversidad y sentirse satisfecha de su camino.
Gracias, Gabriela, por demostrar que las mujeres no solo somos hermosas y bellas flores, sino que, a veces, somos cactus que resisten en el desierto y sobreviven en un ambiente inhóspito rompiendo cualquier predicción.
En el siguient enlace puedes escuchar el último sencillo musical que esta artista ecuatoriana ha publicado: https://youtu.be/Ml1mchMNVjA
“A ognuno la sua clessidra, per farla finita con la clessidra. Per continuare a disseminarsi nella cecità.”R. Char, Erbe aromatiche cacciatrici in “La dimora del tempo sospeso”, Quaderni di traduzioni LXXXII”, trad. di Francesco Marotta
hai messo la mia innocenza in una clessidra come una rivolta da sgocciolare con discrezione senza farne apparire il non senso, la cecità
e io sono venuta solo a guardare come vesti il mondo come sei vestito
WRITERS CAPITAL FOUNDATION & WRITERS INTERNATIONAL EDITION
“Le potenti virtù dell’umanità come solidarietà, altruismo, fratellanza, uguaglianza e pace nel mondo sono state celebrate dai poeti nel corso della storia. La Grecia, conosciuta come la terra di Xenius Zeus, sta promuovendo questi valori nell’era moderna ospitando illustri poeti provenienti da vari paesi per celebrare la Musa della Poesia e il linguaggio oltre i confini, che unisce le persone costruendo ponti tra di loro.”
The Writers Capital Foundation & the Writers International Edition – La rivista completa con il motto “Bridging Cultures, Uniting Nations” & Voula Memou regista, poeta e membro della Writers Capital Foundation hanno l’immenso piacere di invitarvi all’Evento Letterario di Atene sul tema: “POESIA – II linguaggio oltre i confini”
DATA: 23 MARZO 2023 ore 18.00
Luogo: “Il Giardino del Museo” – 44, 28° Oktobriou, Atene
Curatore: Irene Doura-Kavadia – Linguista – Autrice, Segretaria Generale della Writers Capital Foundation e rappresentante di Writers International Edition
Johanna Devadayavu (India), Joan Josep Barcelo (Spagna), Elisa Mascia (Italia), Marco Antonio Rodriguez Sequeiros (Bolivia), Sankha Sen (Germania).
L’evento è affrontato da :
Panagiota Zaloni – Presidente dell’Organizzazione Letteraria Xasteron, e della rivista Kelaino Kostas Karousos – Presidente dell’Associazione Letteraria EEL Angeliki Kovaiou-Psaki – Presidente dell’Associazione Letteraria PEL Ekaterini Batalia – Presidente Associazione Letteraria D.E.E.L Le poesie saranno recitate dai poeti greci: Maria Retali – Dimitrios Karousis – Nouli Tsagaraki
Gli autori Vassilis Papakostas & Toula Moraiti forniranno accompagnamento musicale.
Discorso di chiusura del Dr. Steven Vogazianos – Roy, Ph.D, membro permanente del Consiglio Generale dell’Università di Glasgow, membro dell’Accademia Internazionale di Scienze Sociali, Florida, USA e presidente del World Philosophical Forum Annex Grecia
L’evento è sotto gli auspici della Repubblica ellenica Regione Attica e del Comune di Atene
Sponsor media:
Hellenic Media Group, Emeis. gr, Museo della Radio & Arts Salonicco-Atene, Ermionida Magazine, Centri di lingua e traduzione dell’Accademia, Writers Capital Youth Foundation e supportato dalle Olimpiadi H20.
*** WRITERS CAPITAL FOUNDATION & WRITERS INTERNATIONAL EDITION
“The mighty virtues of humanity such as solidarity, altruism, brotherhood, equality, and world peace have been celebrated by poets throughout history. Greece, known as the land of Xenius Zeus, is promoting these values in the modern era by hosting distinguished poets from various countries to celebrate the Muse of Poetry and the Language Beyond Borders, which unites people by building bridges between them.”
The Writers Capital Foundation & the Writers International Edition – The Complete Magazine with the motto “Bridging Cultures, Uniting Nations”
& Voula Memou, director, poet and Member of the Writers Capital Foundation have the immense pleasure of inviting you to the Literary Event in Athens on the subject: “POETRY – The Language Beyond Borders”
DATE: 23 MARCH 2023 at 6.00 p.m.
Venue : “The Garden of the Museum” – 44, 28th Oktobriou, Athens
Curator: Irene Doura-Kavadia – Linguist – Author, Secretary-General of Writers Capital Foundation & representative of Writers International Edition
Online Guests: Johanna Devadayavu (India), Joan Josep Barcelo (Spain), Elisa Mascia (Italy), Marco Antonio Rodriguez Sequeiros (Bolivia), Sankha Sen (Germany).
The event is addressed by : Panagiota Zaloni – President of the Literary Organisation Xasteron, and Kelaino magazine Kostas Karousos – President of the Literary Association EEL Angeliki Kovaiou-Psaki – President of the Literary Association PEL Ekaterini Batalia – President of the Literary Association D.E.E.L
Poetry will be recited by the Greek poets: Maria Retali – Dimitrios Karousis – Nouli Tsagaraki Christos Sanos – Pantelis Velkos – Antonis Giannopoulos Michalis Griveas – Smaragdi Mitropoulou – Christos Papoutsis Vasilis Pasipoularidis – Efi Hatzouli
The authors Vassilis Papakostas & Toula Moraiti will provide musical accompaniment.
Closing address by Dr. Steven Vogazianos – Roy, Ph.D, permanent member of the General Council of the University of Glasgow, Member of the International Academy of Social Sciences, Florida, USA and President of the World Philosophical Forum Annex Greece
The event is under the auspices of the Hellenic Republic Region of Attica and the Municipality of Athens
Media Sponsors: Hellenic Media Group, Emeis.gr, Museum of Radio & Arts Thessaloniki-Athens, Ermionida Magazine, Academy Language & Translation Centres, Writers Capital Youth Foundation and Supported by the H2O Olympiad
Il trambusto in una casa Il mattino dopo una morte è la più solenne delle faccende compiute sulla terra Spazzolare il cuore e mettere da parte l’amore Non avremo più bisogno di usarlo Fino all’eternità.
Eccolo il benpensante, il conformista che legge il suo quotidiano reazionario! Si lecca l’indice e poi sfoglia il giornale del bar, anche se non è assolutamente igienico. E si infervora, si inalbera, si indigna, si sdegna per quei ragazzi che hanno imbrattato Palazzo Vecchio. “Che delinquenti! Ci vorrebbe il carcere per tutta la vita! Bisognerebbe gettare la chiave!”
È lui che dice quel che è giusto senza alcun dubbio, né incertezza, né titubanza. Così sentenzia, si guarda attorno, cerca consenso, sguardi di approvazione. Qualche suo amico ride e commenta e quindi rilancia. Ogni volta può nascere una discussione. Sono al bar e hanno la libertà di dire tutto quello che gli passa per la testa, incuranti di tutto. È una zona franca. Nel bar possono fare battute volgari a sfondo sessuale oppure omofobe. Poi si è tra persone perbene. Dieci minuti fa c’era un barbone seduto a pochi metri dal bar, ma il titolare gli ha offerto un cappuccino, a patto che si levasse di torno e non disturbasse più i clienti che entrano ed escono. Insomma un minimo di decoro! Ma ritorniamo all’imbrattamento di Palazzo Vecchio. Certamente hanno commesso un grave sbaglio. Certamente ci sono voluti 5000 litri d’acqua per ripulire tutto. Di sicuro hanno posto l’accento sulla causa ambientalista, ma è stato tutto controproducente, è stata una gravissima pubblicità negativa. Sono andati troppo oltre il consentito, oltre il buon senso, oltre la civiltà. Sono io il primo a pensarlo. Però vorrei che il benpensante si scandalizzasse e si arrabbiasse ogni giorno per tutti gli scempi e i disastri ecologici che avvengono nel mondo. Altrimenti finirà sempre per guardare il dito invece della luna! Io mi chiedo perché, in Italia almeno, finiscono per parlare d’ambiente e in malo modo solo dopo atti di ecoterrorismo? Eccolo di nuovo il benpensante. Si muove a suo agio, con leggerezza. Parla con tizio, caio e sempronio. Dice che Greta è una ragazzina disturbata, che non ha da insegnare niente a nessuno e poi già tanti ecologisti prima di lei avevano già detto quelle cose. Dice che quella ragazzina ha fatto la scoperta dell’acqua calda, ma che fa troppo casino e va fermata a ogni costo, anche usando la violenza, la criminalità organizzata, l’inganno. Dice che questi giovani fanno un casino memorabile solo per divertirsi e perché non hanno voglia di fare niente. Così facendo assolve tutta la sua generazione di boomer, che all’epoca non aveva coscienza ecologica alcuna e qualche colpa ce l’ha. Insomma qualsiasi escamotage è consentito per non fare parlare più Greta. Lo so bene cosa “pensa” il benpensante: in questo mondo non possiamo permetterci l’etica della responsabilità. Lui non lo dice espressamente, ma lo fa intendere. Ci penseranno i posteri! Il mondo è sempre andato avanti, sempre e comunque, nonostante tutto. Poi fa la battuta: è solo una Gretina! Mi chiedo da quale mondo arcaico e retrogrado, da quale cultura arretrata e paludosa venga fuori costui. E mi chiedo perché invece di chiedere l’ergastolo per le azioni degli anarco-ambientalisti (o così dice che siano quei giovani il benpensante) e di chiedere di fermare a ogni costo Greta non pensa a fermare i presidenti delle multinazionali che inquinano oltre il consentito, tutti quei governanti che non pongono fine all’inquinamento del pianeta? Perché non chiedere pene severe per chi comanda e non mette le basi per uno sviluppo sostenibile? Mi metto a riflettere. Finisco per pensare che se uno danneggia un’opera d’arte, l’umanità comunque sopravvive. Se si danneggia irreversibilmente la natura, allora l’umanità non sopravviverà. Mi dico che i danni degli ecoterroristi alla cultura sono infinitamente meno gravi rispetto al terricidio, all’Apocalissi a cui siamo prossimi. Finisco di consumare. Me ne vado dal locale. Saluto il barista. Il benpensante mi guarda incuriosito, forse con aria di sfida. Ma io vado verso l’uscita e non raccolgo il guanto della provocazione. È lui che comanda lì. È lui la maggioranza e io lo devo tenere presente.