Spesso diciamo che per guarire da un'offesa bisogna scordare ... Il cuore guarisce solo quando riesci a capire e non quando dimentichi, la dimenticanza è sempre voluta e la ferita credo che rimanga a tutti... Spesso dico che non sono rancorosa e dimentico dopo un pò ... Ecco ... E' vero, ma so anche che scordare è uscire dalla propria storia, dal proprio vissuto ed io non dimentico del tutto, ma solo temporaneamente... Le tracce restano indelebili e allora io resto e non scordo, dimentico soltanto che è diverso... Resto accanto alla mia sofferenza del momento... Dimenticare è momentaneo, scordare ha un senso più profondo... Significa sradicare dal cuore e certi momenti non li sradichi... Puoi solo far finta di scordare ... Il tempo che serve per accettare un dolore ,una sofferenza, una sconfitta, una delusione o un addio che brucia... Occorre un pò di tempo e sarà un tempo più o meno breve, ma sarà il tempo che ci vuole per farci una carezza... Sarà quel tempo che occorre per dire a te stessa che in fondo è andata male, ma sei lì, non sei morta , devi solo ricostruire . Infatti ho imparato che alla fine non si muore ... No ...Alla fine ...Si rinasce dalle proprie ceneri . Quindi armatevi di pazienza e cercate di scordare per poter poi rinascere e ripartorirVi. Certe offese costruiscono muri... Il tempo che occorre per capire, è il tempo che occorre a costruire quella scala immaginaria che poi serve per avere la spugna per cancellare anche se non c'è spugna tanto grande a sradicare il dolore, la sofferenza, una tragedia... Una scala immaginaria che possa arrivare ad eliminare ogni traccia , non c'è... Quindi sarà una dimenticanza voluta ...
Desirè Kariny
Cuore e Anima
Desirè Karini – Poesie e riflessioni
https://desire876416000.wordpress.com/2021/07/13/dimenticare-non-e-scordare/
Alessandria: GIUSTA LA MOBILITAZIONE DEL COMITATO DI SPINETTA, MA LA BONIFICA NON SI OTTIENE CON LA CHIUSURA DELLA SOLVAY
“Condividendo molto le ragioni del Comitato che a Spinetta Marengo si batte per tutelare la salute degli abitanti, rivendicando nei confronti della Solvay la messa al banco delle produzione nocive e chiedendo agli Enti di controllo e alle Istituzioni un maggiore impegno e trasparenza nelle loro importanti funzioni, debbo però con franchezza dire che lo slogan “chiusura e bonifica subito” non mi convince e non mi trova d’accordo.
Infatti, oltre a contrapporsi ai lavoratori della Solvay senza offrire loro una credibile alternativa occupazionale, la storia industriale di questo Paese ci insegna che la chiusura delle aziende non porta mai alla bonifica, ma scarica i costi e le conseguenze di un sito inquinato non su chi lo ha causato, spesso aziende private, ma sul pubblico, cioè a carico della collettività che le risorse per le bonifiche sovente non ha.
Una battaglia giusta, ma molto difficile come quella condotta dal comitato di Spinetta ha bisogno, per risultare vincente, del pieno sostegno delle istituzioni (Comune, Provincia, Regione) e della condivisione da parte delle organizzazioni dei lavoratori, anch’esse interessate alla salute dei lavoratori, per non risultare isolata nei confronti delle iniziative della multinazionale belga. Da questo punto di vista l’esperienza unitaria del sindacato, del Comune e delle strutture sanitarie portata avanti, con costanza e per anni, nei confronti della Eternit di Casale Monferrato rappresenta un utile situazione da prendere come riferimento”.
Il più grande innovatore della poesia del primo Novecento è, senza dubbio, Guillame Apollinaire. Personaggio eclettico: poeta, scrittore, critico d’arte e commediografo. Rivestirà un ruolo fondamentale nello sviluppo dell’arte moderna, in particolare nel passaggio dal Simbolismo all’ Avanguardia. Nota distintiva di Apollinaire è la sua poesia visiva.
Guillame Apollinaire, pseudonimo di Wilhelm Albert Wlodzimierz Apollinaris de Vaz-Kostrowicki, nasce a Roma nel 1880, figlio naturale di un ufficiale borbonico napoletano e di una nobildonna di origine polacca naturalizzata russa. I genitori, però, si separano presto e lui si troverà a lasciare Roma per seguire la madre sulle orme di Parigi. Avrà una gioventù tormentata da amori difficili, ma sarà proprio a Parigi che avrà la possibilità di immergersi completamente nella realtà letteraria e artistica dell’epoca. In quel periodo, a cavallo tra fine Ottocento e inizio Novecento, il mondo affronta grandi cambiamenti dal punto di vista scientifico e artistico. Dobbiamo annoverare, infatti, la nascita di quattro movimenti artistici che influenzeranno non poco il pensiero e l’opera di Apollinaire: l’ Espressionismo, il Cubismo, il Futurismo e l’ Astrattismo. L’ estetica cubista sarà quella che condizionerà in maniera preponderante la sua attività letteraria, anche grazie all’ importante amicizia che coltiverà con Pablo Picasso. Si avvicinerà alle idee del movimento futurista italiano dopo l’ incontro con il fondatore del Futurismo, Tommaso Marinetti. Ha modo di apprezzare la pittura metafisica di Giorgio De Chirico e quella espressionista di Henri Matisse. A causa del suo carattere estremamente irrequieto, sarà accusato di essere l’autore del furto del dipinto della Gioconda, avvenuto il 20 agosto del 1911, a seguito del quale sarà arrestato e incarcerato, salvo poi essere rilasciato in quanto persona estranea ai fatti. Successivamente si saprà che l’autore del furto è l’italiano Vincenzo Peruggia, dipendente del Louvre, che dichiarerà di aver compiuto quel gesto per restituire la Gioconda all’ Italia. In piena sintonia con le idee futuriste, note per le loro manifestazioni interventiste, Apollinaire partecipa come volontario al primo conflitto mondiale, definendo la guerra “un grand spectacle“. Incredibilmente quel conflitto gli fornirà grande soddisfazione personale. Le vicende belliche diventeranno materia fertile per la sua ispirazione poetica. Nel 1916, però, rimane ferito a una tempia e subirà un delicato intervento chirurgico che lo vedrà costretto a ritornare a Parigi. Morirà nel 1918, due giorni prima dell’armistizio, colpito dal virus dell’influenza spagnola, assistito dalla moglie Jacqueline Kolb e dal poeta e amico Giuseppe Ungaretti, giunto presso di lui per comunicargli la vittoria dell’Intesa.
Esordisce con opere di narrativa, “Undicimila verghe” del 1907 e “Bestiario” del 1911; e con opere di saggistica, ” La poesia simbolista” del 1909 e “I pittori cubisti” del 1913. Ma saranno le poesie le opere in cui darà dimostrazione delle sue doti più eloquenti . Del 1913 è una delle sue raccolte più importanti, “Alcools“, in cui è possibile distinguere l’impronta del Simbolismo mista a una poesia triste e malinconica di romantica memoria. Ma, allo stesso tempo, la forma è ricca di suggestioni che rinnovano l’espressione letteraria dell’epoca. Già in alcune liriche di “Alcools” si sovrappongono e si contrappongono nella maniera più eterogenea immagini e motivi tipici dell’estetica cubista, ricercati in modo da impressionare il lettore. I temi dell’amore e della malinconia, tipici del Romanticismo, si alternano con parodie di poesie e poemi pittoreschi. La forma è caratterizzata dal verso libero, dall’assenza di punteggiatura, da ripetizioni e sinestesie. La raccolta più rappresentativa della poetica di Apollinaire, la più rilevante nel determinare l’innovazione estetica letteraria e la più ampiamente contraddistinta dall’ascendenza cubista è, sicuramente, “Calligrammes” del 1918. E’ qui che Apollinaire si dedicherà alla produzione della poesia visiva. Il calligramma è un componimento poetico in cui il poeta dispone le lettere e le parole del testo in modo da formare un disegno, un’immagine che coincida con il tema trattato dalla poesia. Se la poesia ha come soggetto la donna, le lettere saranno disposte in modo da formare l’immagine di una donna. Per dirlo con le sue parole: “Un insieme di segno, disegno e pensiero, la via più corta per esprimere un concetto e obbligare l’occhio ad accettare una visione globale della parola scritta.“
Calligramma “Versi per Lou“, dedicato alla sua amata. Fa parte della raccolta postuma ” Versi per Lou e altre poesie”
Riconosciti
Questa adorabile persona sei tu
Sotto il grande cappello da canottiere
Occhio
Naso
La bocca
Ecco l’ovale del tuo viso
Il tuo collo bellissimo
Ecco infine l’immagine non completa del tuo busto adorato
Visto come attraverso una nuvola
Un pò più in basso è il tuo cuore che batte La lirica che preferisco di Apollinaire appartiene alla raccolta “Alcools” e si intitola “Il ponte Mirabeau“. Apollinaire la compone in un periodo di profonda crisi d’amore, dopo la rottura con la sua amata, la pittrice Marie Laurencin. L’amore svanisce e porta via con sé ogni speranza. Nel testo l’amore è simboleggiato dall’immagine del fiume che scorre sotto il ponte. Come il tempo che passa inesorabilmente, così la felicità diventa sempre più irraggiungibile.
Il vuoto che lascia la perdita di una persona cara è incolmabile e la morte della madre, nella lirica di Gabriella Petrelli, è resa così tangibile e palpitante tanto da sentirsi presi dall’emozione pura e sofferta di ultimi e preziosi istanti. Versi che accarezzano un dolore e assecondano la disperazione quasi a voler lenire la lacerazione del distacco. Mi viene da pensare che sia un’elegia consolatoria che si sostanzierà nella nascita di un fiore, nella vita che si rigenera e ridona amore. Una lirica di una bellezza pura e accorata, dimostrazione di un Amore infinito che neanche la morte potrà mai annientare. [Maria Rosaria Teni]
Ti ho amata Tanto L’ anima lacerata Si curva docile Sull’assenza. È stato difficile Raggiungerti Nel buio del tuo dolore Dove ogni riverbero Della vita Si spegneva In un flebile pianto. Volevo recarti Il fuoco sacro Ma respingevi ogni scintilla. Lo accendero, madre, per me Così il tuo amore Sara in ogni gesto, Come un fiore Che mi sorprende Nella luce fioca dell’alba. Gabriella Petrelli
where dawn meets the dusk my arms outstretched for a hug became straight line
Kir stretches out his arms to embrace Zhenya passionately
With the help of a dark spell, she forces him to love her again but she chants the wrong spell and stops the fountain, the flow of water and time.
the season’simage reflection in calm water like soul’s mirror image
He deceives her in love but she loves him deeply After learning that she will be the mother of his child, she wants him back She meets a Yogini and learns a dark spell interestingly
In the wedding ceremony of the lovers, she recites, ‘I am yours and you are mine’ Thinks that her best friend and her groom are true lovers
She steps down and falls. The groom helps her, though it disrupts their wedding As she chants, her lover re-enters her life only to shower love like heavy rainfall
He is so engrossed in love that he is not even aware of the child Loves only and does not allow to take care of the baby Finally, bored and panicked, she becomes wild
Plans to kill him and an accident occurs Even after he dies, his soul yearns to become forever hers
Amo” I love you! love deeply from head to toe dark spell, drownsme in you
” Amo” means boss. She becomes the boss as she rules his soul. I tried to write idyll haibun for #tankatuesday-syllabic-poetry (one prose and one haiku) according to the rule, the title should connect to the poem.
Ίσως αύριο βρεις τη σκόνη μιας αβέβαιης μοναξιάς από λέξεις σκόρπιες στο κενό• εκείνα τα ανείπωτα λόγια από φόβο μήπως πεθάνεις στην εγκατάλειψη – και τότε θα καταλάβεις τη ζωή που κρύβεται κάτω από τα ψέματα μιας βαριά πληγωμένης ψευδαίσθησης προσμένοντας την ανυπαρξία . . forse domani troverai la polvere di una solitudine incerta di parole scadute nel vuoto quelle parole non dette per paura di morire nell’abbandono e allora capirai quella vita che si nasconde sotto le bugie di un’illusione gravemente ferita aspettando di non essere niente
potser demà trobaràs la pols d’una soledat incerta de paraules caducades en el buit aquelles paraules no dites per por de morir abandonat i llavors entendràs aquella vida que s’amaga sota les mentides d’una il•lusió greument malferida esperant no ser res . . maybe tomorrow you will find the dust of an uncertain loneliness of words scattered, in the void; those unspoken words for fear of dying in abandonment and then you will understand life that hides under the lies of a badly wounded illusion awaiting nothingness
joan josep barcelo English and Greek translations by Irene Doura-Kavadia
V erso un orizzonte limpido
E volve un enigmatico evento
R uotante su un ambiguo significato
I lluminato ora da schiette parole
T rainate da un senso di profonda lealtà
A nnunciata da coloro meritevoli di lode
@Silvia De Angelis
Essere fragili è tipico degli esseri umani: vi sono però persone che riescono bene a nascondere la propria fragilità indossando una “maschera” di forza e risolutezza. La fragilità denota una spiccata sensibilità, e non è un qualcosa di cui vergognarsi.
Alcuni individui ritengono che la fragilità sia una forma di debolezza, ma in realtà chi riesce a mostrare le proprie fragilità senza timore del giudizio altrui è una persona libera e quindi più felice.
Il segreto per stare bene con se stessi risiede nell’accettare le proprie debolezze e fragilità senza accanirsi contro di esse o combatterle come fossero dei nemici: fanno parte di noi e contribuiscono a renderci esseri umani unici e diversi da tutti gli altri.
Fragilità non significa necessariamente debolezza. Implica piuttosto la capacità di provare emozioni, empatia con gli altri. Le persone fragili non sono indifese come spesso erroneamente si ritiene: la loro forza è tutta nei sentimenti e nella capacità di entrare in sintonia con il prossimo.
Ho detto che non stavamo morendo. Non che non stavamo morendo di fame.
Ma comunque non mangeremmo le persone.
No. Non le mangeremmo.
Per niente al mondo.
No. Per niente al mondo.
Perché noi siamo i buoni.
Sì.
E portiamo il fuoco.
E portiamo il fuoco. Sì.
Ok.
Certo che dopo Cecità di Saramago, La strada non è certo la strada giusta per tirare un sospiro di sollievo.
Sono passata da una cecità bianco latte, ad un mondo grigio cenere.
“Notti più buie del buio e giorni uno più grigio di quello appena passato. Come l’inizio di un freddo glaucoma che offuscava il mondo”
La strada è un libro essenziale…in tutti i sensi.
…è una distopia essenziale, indispensabile leggerlo almeno una volta nella vita;
…è essenziale nella scrittura, una scrittura scarna, priva di fronzoli, di giri di parole, non esiste il superfluo, non c’è più nulla di superfluo, anche i puntini e le virgolette dei dialoghi sono di troppo;
…è essenziale nelle ambientazioni e nei colori: solo ed esclusivamente desolazione, terra bruciata grigio cenere, polvere, tanta polvere da sentirla quasi in bocca, riga dopo riga, alberi bruciati, animali estinti;
…è essenziale nelle sensazioni: fame, freddo, paura, dolore;
…è essenziale nella trama e nei protagonisti, un padre e un figlio in un mondo post-apocalittico che percorrono la strada verso sud in cerca di terre più calde…eppure
…eppure una volta terminata la lettura ci si accorge di quanto sia denso, intenso, commovente, pieno di piani di lettura, questo libro meraviglioso.
Un padre e un figlio, l’uno l’universo dell’altro, per i quali il passato non conta, esiste solo il presente, il futuro è inimmaginabile.
“Sapeva solo che il bambino era la sua garanzia. Disse: Se non è lui il verbo di Dio allora Dio non ha mai parlato”
Una storia con una potenza emotiva devastante, un libro non per stomaci deboli, eppure McCarthy ha saputo farmi arrivare tutto l’amore per la vita, la famiglia e la giustizia.
La vita, a cui padre e figlio sono aggrappati con tutte le loro forze e le energie, le poche che restano.
Camminano inesorabili verso sud, verso la speranza di un mondo migliore, una nuova vita. Il padre sa che sarà pressoché improbabile trovarla, ma non può e non deve privare il figlio della luce della speranza.
La famiglia, si sostengono, si aiutano, si consolano, si raccontano, litigano, discutono e profondamente si amano. Uno il sostegno dell’altro, uno la forza dell’altro, uno la ragione di esistere dell’altro.
Ti posso chiedere una cosa?
Sì, certo che puoi.
Tu cosa faresti se io morissi?
Se tu morissi vorrei morire anch’io.
Per poter stare con me?
Sì. Per poter stare con te.
Ok.
La giustizia, perché anche in un mondo disumanizzato, senza più regole sociali, dove gli uomini per sopravvivere si mangiano a vicenda, loro sono i buoni, coloro che nonostante tutto hanno un gesto d’amore e generosità verso un vecchio incontrato sul loro cammino, un vecchio che chiede aiuto, a loro che hanno pochissimo più di lui.
E allora nel peggior scenario che si possa immaginare, senza luce, senza vita, senza colori, quello che fa da contraltare è il fuoco, il fuoco che accendono per riscaldarsi, per cucinare il poco che trovano, per far luce nel buio denso della notte, il fuoco dell’amore che sono riusciti a conservare nei loro cuori.
Ed è questo fuoco, questo amore, che riapre alla speranza, alla fratellanza, all’accoglienza, non più solo individui ma collettività.
Non tocca a te preoccuparti di tutto.
Il bambino disse qualcosa che l’uomo non capì. Cosa?, disse.
Il bambino alzò gli occhi, il viso sporco e bagnato. Sì, invece, disse. Tocca a me
Confesso che mi sono avvicinata a questo libro con molta diffidenza. Avevo sentito dire che si trattava di un’opera dalla grande complessità dovuta al suo linguaggio oscuro e quasi incomprensibile. Dato che avevo già letto un libro tosto (L’Ulisse), non avevo molta voglia di ripetere l’esperienza, leggere dev’essere un piacere e non una forzatura.
Tuttavia, ho provato lo stesso a leggerlo, e non me ne sono pentita. Ciò che mi ha fatto innamorare di questo libro è lo stile evocativo e simbolico di Conrad. Un linguaggio che ti trasporta nell’oscurità più totale, nel buio dell’anima umana. Una poesia sul genere umano e sulle sue debolezze, che incanta chiunque abbia la fortuna di leggerla. Mi viene da paragonare la prosa di questo libro, al canto delle sirene dell’Ulisse. Irresistibile, penetrante, intenso e ammaliante.
Un “piccolo” ( per le dimensioni del libro) gioiello. L’inglese di Conrad è qualcosa di sublime e favoloso che fin da subito ti cattura nella sua rete di metafore e simbolismi di vario genere.
L’unica pecca è che sia troppo corto! Ma forse è proprio questo che lo rende un romanzo così speciale. I libri non devono essere necessariamente ‘corposi’ perchè possano venire apprezzati. E poi non conta il numero di pagine ma l’intensità del racconto che trafigge l’animo e che lì rimane, per l’eternità.
Ne consiglio vivamente la lettura (in versione originale poi è magnifico!).
Concludo con un brindisi a Conrad, che ci ha consegnato un romanzo seducente e indimenticabile. Che ci ha lasciato questo bellissimo diamante letterario da mirare e rimirare. A presto Conrad! Non vedo l’ora di leggere i tuoi altri capolavori…
In un giorno d’estate Pascoli sogna di tornare al paese natio, San Mauro; il paesaggio dell’infanzia è ricostruito con pennellate impressionistiche e sensazioni acustiche.
La lirica è onirica e visionaria, il transfert onirico trasforma il sentire qui in un vedere là. L’incipit è un indicatore semantico, una didascalia.
Ballata minima; rime: a bcbca dedea f ghghf ililf; unico verbo l’imperfetto indicativo, che esprime il passato nella sua durata. 22 versi settenari piani (accento sulla penultima sillaba), sono disposti in 4 strofe, più due isolati.
Nella prima strofa assuonano tra loro: ARE / ALE / ATE, nella seconda: OLE/ OSE, nella terza: INO/ ANO, nella quarta: ANE. Quindi la prima strofa è uditiva, la seconda visiva, la terza visiva/uditiva, la quarta uditiva. (Contini).
Pascoli, al solito, usa la sintassi franta (frasi spezzate), la paratassi (frasi brevi, coordinate), o lo stile nominale (frasi senza il verbo).
L’interrogazione improvvisa e inattesa del v. 18 chiude l’elenco in stile nominale della quarta strofa, interrotto dalla domanda improvvisa; il suono delle campane è il punto di svolta, l’agente acustico che rompe l’incanto del sogno, riportando il poeta alla realtà angosciante, perché prende coscienza della propria condizione di esiliato, della propria esclusione, neppure il cane riconosce “il forestiero che va a capo chino”.
Da rappresentazione di voci dell’estate (cicale, maestrale, le fasce polverose, ‘due bianche spennellate/ in tutto il ciel turchino’, indimenticabile, la trebbiatrice) si muta in evocazione del ricordo.
Il significato non conta, il primato spetta al significante, perché le parole sono scelte soltanto per il loro suono. (Beccaria).
Il Mausoleo Ossario Garibaldino sorge nel quartiere del Gianicolo, poco distante dal Fontanone e dalla Passeggiata del Gianicolo, oltre che alla Chiesa di San Pietro in Montorio.
E’ stato retto nella località nota come Colle del Pino, luogo in cui tra fine aprile ed inizio luglio del 1849 avvenne l’ultima difesa della Repubblica Romana, capeggiata da Giuseppe Garibaldi: tutto il Gianicolo è tempestato di ricordi e onorificenze alla memoria sua e dei suoi seguaci, per volere suo e del figlio Menotti, promotori di un progetto di raccolta dei corpi dei patrioti caduti e di degna sepoltura proprio nel cuore di questo quartiere romano.
Il Mausoleo Ossario Garibaldino, voluto fortemente dagli eredi dello stesso Garibaldi, è il culmine di tale progetto, affidato all’architetto Giovanni Jacobucci e inaugurato a novembre del 1941, con l’obiettivo esatto di accogliere i resti dei caduti nelle battaglie per Roma Capitale, negli anni che vanno dal 1849 al 1870.
Mausoleo Ossario Garibaldino
Il Mausoleo appare come un rettangolo recintato, quasi interamente costruito in travertino con tre archi su ogni lato, rialzati da una gradinata. Al centro dell’opera è posto un altare in granito rosso con figure allegoriche che richiamano l’impero romano. Agli angoli si trovano quattro bracieri di bronzo (accesi in occasione di ricorrenze particolari) sorretti da altrettanti piedistalli in travertino, su cui sono ricordate le battaglie più significative per la liberazione di Roma.
Dal retro del quadriportico si accede al Sacrario, chiuso da un grande portale di bronzo, al cui interno sono ricordati i nomi dei caduti e sono conservati i pochi resti, per lo più anonimi, che sono stati rinvenuti. Posto d’onore, in un sarcofago addossato ad una parete del sacrario, hanno le spoglie di Goffredo Mameli, poeta genovese ferito a morte proprio sul Gianicolo, famoso per aver scritto l’Inno d’Italia.
Mausoleo Ossario Garibaldino: informazioni utili
Il Museo si trova in via Giuseppe Garibaldi, 29. E’ visitabile, gratuitamente, tutti i giovedì dalle 10:30 alle 12:30.(WEB)
Mi hanno raccontato che le muse son "desaparecidas". Che parolieri; romantici; scrittori; sognatori; anzi che scrivere, piangono la loro assenza sorpresi, straniti; perdere le muse; come perdere la bussola.
Preoccupazione e incertezze assalgono, In atto, una mareggiata che arrassa con tutto quel'che trova nella sua corsa. Senza fonti d'ispirazione; vagano come zombies penna in mano, taccuino nell'altra.
Taccuino pieno di pagine ingiallite vuote e anche l'anima... Son " desaparecidas", che nessuno le ha visto in giro; corpi dei lineamenti delicati e volutuosi. Veli trasparenti ricamati saggiamente, che nella pudicizia, lasciano intravedere l'ombra o contorno d'un seno; un fianco... camuffati da lunghi e affascinanti cappelli ondeggianti donando alla pena, vita eterna, mille lodi; disperse nel nulla. Chissà sé Calliope smorza un'acenno di sornione sorriso?
Gli amanti delle muse, sono a secco, in attesa incerta Aspettano loro ritorno. Chissà sé lo faranno?... E i Dei? Vigorosi, incisivi, anch'essi sembra siano nel inferno, catapultati sotto terra? Tempo addietro, girovagavanno nel cosmo infinitamente stellato ed offrendo delle folgorazione mistiche. Mari burrascosi!, venti in tempesta!, preannunciavano l'ira! Oppure oggi, adagiati su qualche dirupo, corpi scolpiti, scrutano l'ira dell'uomo. Probabilmente lasciano a noi, le scelte, le decisioni, i patti, l'ordine, non divino, ma ordine...