È l’Altrove

Certi attimi…coinvolgenti, travolgenti, rapiscono in una dimensione senza tempo…

NAPOLI

Ricordo ieri.
Attimi di intenso oblìo,
vissuti nell’incoscienza
del nostro appartenerci.
Travolti dalla tempesta
perdemmo ogni senso.
È l’Altrove,
che ci rapisce
nella sua estatica
perfezione di piacere e
ci imprigiona con catene
di sensuale perfezione.

Imma Paradiso

Il colore della poesia. Iris G. D

Capita che,

ti passano accanto perfetti sconosciuti,

che vorresti conoscere.

Improvvisamente un occasione persa!

Vorresti corrergli dietro,

toccare la sua spalla,

dirgli follemente

– Ehi sono io, non mi riconosci!

Il mio cuore si è bloccato per un attimo,

e poi eccolo qui, a battere come un tamburo! –

Non ci riconosciamo tutti,

non tutte le anime lo sanno fare,

ed eccoci soli ad aspettare che qualcuni ci riconosca.

Il desiderio irresistibile di qualcosa che possa far ricordare!

Una carezza, la fioritura dei mandorli,

la penombra delle ninfe dei sogni,

l’ambra, sandalo odoroso,

in quale luogo, non ricordo!

La panchina di dura pietra,

grida azzurre nel cielo appariscente..

Ho le mani ferme a mezz’aria, ali senza corpo, destinate a cadere.

E il loro destino di solitudine.

Un istantanea in bianco e nero,

un attimo per potersi riconoscere,

perchè l’attimo dopo è già lontano. Iris G. DM

Potrebbe essere un contenuto artistico raffigurante 1 persona e fiore

Giornata internazionale dell’insegnante – “Il maestro giusto”

Da Frida la loka Lombardia)

I versi di Gianni Rodari sono unici nel loro genere, comunicano dei messaggi estremamente profondi attraverso un linguaggio semplice e diretto; in questo caso, i versi che compongono la filastrocca Il maestro giusto sottolineano l’importanza di trovare, lungo il proprio cammino, un maestro che sappia coltivarci nel migliore dei modi; creando anche un modo molto tenero ma efficace, proprio oggi, giornata mondiale degli insegnanti, di ringraziare un maestro per tutto quello che ha fatto per noi.

Il maestro giusto

C’era una volta un cane
che non sapeva abbaiare.
Andò da un lupo a farselo spiegare.
Ma il lupo gli rispose
con un tale ululato
che lo fece scappare spaventato.

Andò da un gatto, andò da un cavallo,
e, mi vergogno a dirlo,

Imparò dalle rane a gracidare,
dal bove a muggire,
dall’asino a ragliare,
dal topo a squittire,
dalla pecora a fare “bè bè”,
dalle galline a fare “coccodè”.

Imparò tante cose,
però non era affatto soddisfatto
e sempre si domandava
(magari con un “qua qua”):
“Che cos’è che non va?”.
Qualcuno gli risponda, se lo sa.
Forse era matto?
O forse non sapeva

L’importanza dell’insegnante giusto
Spesso si ignora l’importanza di trovare il maestro giusto lungo il nostro cammino; basta poco per smarrirsi lungo il percorso di studi o per impantanarsi in una strada senza via d’uscita. Se nel nostro cammino riusciamo a trovare il maestro giusto, che comprende le nostre potenzialità e sa come coltivarle al meglio, dobbiamo essere pronti a mostrargli tutta la nostra gratitudine, perché è grazie a lui se siamo riusciti a crescere come meritavamo.

Tua.

5 ottobre, 2022.

Dal blog personale

http://fridalaloka.com

LA VOLONTA’, di Silvia De Angelis

Come un turbine sembra prendere il sopravvento quel pensiero assillante e logorare, con la sua insistenza, le fibre mentali..quasi assottigliate nel  percepire un senso di malessere oscuro e opprimente .

Sembra incredibile, come il nostro senso di masochismo, sia a volte fortemente accentuato nella coscienza, quasi inabile a proporre, in quei momenti, considerazioni alternative o posarsi su inclinazioni mordenti, che possano, in qualche modo, risollevare l’andamento generale dell’organismo, fermentato di pigmenti negativi.

E’ davvero inspiegabile questa forma di autolesionismo che si genera in noi, con una forza inarrestabile, diretta a sottolineare, energicamente, l’inestricabile situazione  di cui siamo vittime, ingigantita all’ennesima potenza e avvolgente nelle sue spire soffocanti.

Accade poi casualmente, che un’inezia del giorno, con la sua diversità, ci allontani da quelle sgradevoli sensazioni e, ripreso, da parte nostra, il controllo della mente, si indirizzi l’attenzione sugli eventi del  momento, scanditi in un succedersi quasi innovativo che ci suggestioni  e ci trascini in una dimensione mentale sconosciuta, apportatrice di nuove sfumature, inedite  e riconducenti a un effetto inaspettato e piacevole che sembri risollevarci.

In realtà siamo noi a instradare le vie del pensiero e a condurle in luminosi orizzonti o inabissarle in melmosi meandri intransitabili. E in quei momenti d’inquietudine, riuscire a intravedere risalite planetarie, significa avere l’esatta cognizione di noi stessi e la padronanza, in ogni attimo, delle nostre reazioni che sono controllabili e mutabili  nel cromatismo della nostra volontà.

@silvia deangelis

Kavafis, anticonformista tormentato

Konstantinos Petrou Kavafis, noto in Italia anche come Costantino Kavafis (Alessandria d’Egitto, 29 aprile 1863 – Alessandria d’Egitto, 29 aprile 1933), è stato un poeta e giornalista greco. Kavafis era uno scettico che fu accusato di attaccare i tradizionali valori della cristianità, del patriottismo e dell’eterosessualità, anche se non sempre si trovò a suo agio nel ruolo di anticonformista.

NAPOLI

Pubblicò 154 poesie, spesso ispirate all’antichità ellenistica, romana e bizantina, ma molte altre sono rimaste incomplete o allo stato di bozza. Scrisse le sue poesie più importanti dopo i quarant’anni.ittoscorse ad Alessandria la maggior parte della sua vita, visitando la Grecia solo tre volte (nel 1901, 1903 e 1932).Di cospicua famiglia costantinopolitana poi decaduta, trascorse parte della giovinezza in Inghilterra; Il greco, la sua lingua poetica, lo dovette reimparare durante l’adolescenza. Impiegato per tutta la vita in un ufficio del ministero dei lavori pubblici d’Egitto coltivò quasi segretamente il suo amore per la poesia.
Un uomo riservato e decoroso, a tratti schivo, che conduce una vita ordinaria e quasi monotona: il lavoro presso l’ufficio irrigazioni del ministero dei Lavori pubblici d’Egitto, passeggiate – ma prevalentemente casa-ufficio-ufficio-casa –, qualche incontro con gli amici, i primi trentasei anni della sua vita vissuti con la madre e i dieci successivi con i fratelli. In realtà il lavoro, che pure svolge con meticolosa precisione, non gli piace affatto: è solo un mezzo che gli può garantire di vivere bene, lo odia e lo subisce come un furto al suo tempo, che dedicherebbe più volentieri all’arte. Nella vita di quest’uomo di  dis-ordinario c’è l’omosessualità, che percorre l’intera produzione poetica nella forma di amore vano, immorale, che non porta a nulla, e per questo meraviglioso, forte, importante. La società borghese cristiana in cui vive e di cui condivide idee e valori non gli impedisce di vivere la sua omosessualità – scoperta intorno al 1882 – con serenità, “come una cosa naturale, e quindi insormontabile, per la quale non è possibile sentirsi veramente in colpa”. C’è un solo ostacolo,  un ostacolo che blocca, che non permette di dire ciò che si pensa e si prova. Quest’ostacolo non è certo l’omosessualità, bensì la paura della non comprensione, oppure meglio, la certezza di non essere compreso dalla società in cui vive, che è imperfetta. Il godimento del piacere – è solo uno dei temi che rendono eterne, atemporali e così attuali le poesie di Kavafis. Kavafis nutrì per tutta la vita un senso di chiusura, di segregazione vergognosa e necessaria. Potenze oscure e indefinibili lo hanno murato “inavvertitamente” in una stanza buia, insieme figura della passione e della paradossale ascesi interiore e artistica cui essa lo spingerà, dove il poeta sa di non poter trovare una finestra aperta sul reale e sulla libertà, ed è al tempo stesso lambito dal pensiero angoscioso che l’impossibile finestra gli recherebbe la luce troppo cruda di scoperte ancora peggiori della presente oscurità.

“Candele”, è il frutto di una visione malinconica e nostalgica della vita, descritta come un percorso lineare che si consuma via via che si va avanti. . La metafora utilizzata da Konstantinos Kavafis è quella delle candele: quelle spente rappresentano la vita svanita, il passato, mentre quelle ancora accese rappresentano l’avvenire, quel pezzo di tempo che rimane da vivere. Ci si proietta verso il futuro, per quanto incerto e sconosciuto, per non annegare nella paura del tempo che passa inesorabile, mentre noi, distratti, ci avviciniamo sempre di più alla morte. Una poesia malinconica ed evocativa che parla di una sensazione che, probabilmente, molti fra noi hanno sperimentato e sperimentano ogni giorno.

CANDELE

Stanno i giorni futuri innanzi a noi
come una fila di candele accese,
dorate, calde e vivide.
Restano indietro i giorni del passato,
penosa riga di candele spente:
le più vicine danno fumo ancora,
fredde, disfatte, e storte.
Non le voglio vedere: m’accora il loro aspetto,
la memoria m’accora il loro antico lume.
E guardo avanti le candele accese.
Non mi voglio voltare, ch’io non scorga, in un brivido,
come s’allunga presto la tenebrosa riga,
come crescono presto le mie candele spente.

*Bella e profonda questa metafora della vita, le candele accese e vivide dei giorni futuri sono sempre meno, mentre si allunga la fila di quelle spente, il cui sguardo ci fa rabbrividire. Allora preferiamo guardare a quelle ancora accese Illudendoci che non finiranno mai.

L’ intervista, Giovanni Ciao scrittore: guaritore del corpo e dell’anima 2° parte, di Marina Donnaruma Iris G. DM.

L’ intervista, Giovanni Ciao scrittore: guaritore del corpo e dell’anima 2° parte

Roma: Author: irisgdm 22 ottobre 2022

Giovanni Ciao

“In tanti anni di onorata professione
ancora sto cercando la giusta terapia
per l’ipocrisia, per la carenza di compassione
E per tutti quegli strani effetti avversi
di un’altra endovena di questo nostro folle amore” Giovanni Ciao

Io mi innamoro delle parole, sono loro che giungono a me, io allora mi lascio avvolgere dalla loro magia. Cosi che ho incontrato lo scrittore Giovanni Ciao, medico nefrologo, che cura il corpo e l’anima. Le parole delle sue poesie brillano di luce propria, lui stesso dice” scrivo poesie non per vivere, ma per sopravvivere” Scritti nati da esperienze di vita molto forti a cui ci si aggrappa come fulcro per raggiungere un certo equilibrio
Sono versi intensi, intrinsechi, che si aggrappano all’anima, che si arrampicano, cercando vette più alte, più difficili, perchè se ne va della nostra vita. Tutto ciò Giovanni Ciao lo capisce benissimo, lui che sull’altalena della vita ci sta in prima persona, in un alternarsi tra la vita e la morte, che, lui , spesso, per via del suo lavoro, accompagna. Cosa è la vita? Noi siamo in questa terra provvisori, vicini o distanti alla morte. Spesso la sfioriamo e neanche ne siamo consci. Giovanni un uomo, un medico, uno scrittore, figure ugualmente intense ed innamorate, in una fusione superba, lui innamorato dell’amore, di cui scrive intensamente, con passione.
Nelle sue poesie d’amore, ci si sofferma particolarmente, perchè non sono solo ispirate, ma dedicate ad una donna, cioè sua moglie Paola. Padre, marito, medico amorevole, amante della lirica che canta con la stessa intensità della sua vita.
In un mondo come questo potremmo pensare che sia una figura aliena, eh no! In questo caso siamo noi, gli alieni! Coltivare i rapporti dovrebbe essere compito di ciascuno di noi, un impegno gravoso, ma che ci ripaga circondandoci di amore. L’amore non si dice, l’amore si fa e Giovanni Ciao, lo coltiva con i pazienti, con la famiglia, con ogni persona. Un mito? Sicuramente lo è, nell’aridità dei sentimenti lui è l’oasi, il sollievo con l’esempio della sua vita, con le azioni e con i suoi versi. Leggere Giovanni Ciao ti arricchisce dentro, lui è l’amico che vorresti avere vicino, che vorresti ascoltare, in questo caso che devi leggere, leggere per capire quanto sia profondo. Una intensità, una profondità che sicuramente è frutto del suo lavoro, ma di lui, persona estremamente sensibile, che ha conservato la sua umanità, che non ha fatto del suo lavoro un abitudine, ma un esperienza metafisica. Molti medici dimenticano l’umanità, freddi, distanti, poco disponibili, arroganti, bruschi, in malattie che invece ne hanno bisogno di tanta, tanta umanità. Lui l’umanità non la dimentica, la scrive, la vive, la dona. Cosa dire ancora di questo scrittore straordinario? Leggetelo, amate ciò che scrive, ciò che dona a tutti noi, in un mondo cosi ostile, desertificato di sentimenti, di emozioni.

  • Quando hai scoperto il tuo amore per la scrittura?

È difficile risalire ad una data precisa. Da ragazzo divoravo letteralmente libri, dai romanzi ai gialli, dalla fantascienza all’avventura. Ma non disdegnavo la letteratura, specie l’inglese romantica e l’americana dei primi dello scorso secolo. Ho cominciato ad apprezzare la poesia durante gli studi universitari. D’Annunzio rimane il mio preferito. Saba e Cardarelli di seguito. In età matura ho saputo apprezzare Caproni e Campana. Forse è da allora che ho cominciato a buttare su carta alcuni dei miei pensieri, ma sempre in maniera “destrutturata”. Non mi hanno mai convinto… Forse un giorno ritiro fuori quegli appunti, magari potrebbero sorprendermi nel rileggerli.

  • Perché la poesia?

Da medico ritengo di avere un pensiero prevalentemente analitico, forse è per questo che non mi sono mai dedicato alla prosa. La poesia in poche parole riesce a descrivere momenti ed emozioni che, tradotti in prosa, impiegherebbero decine di pagine. È un po’ come la fotografia e il cinema . La poesia ha il dono della sintesi tramite la parola. Arriva rapidamente all’animo del lettore e innesca reazioni che durano poi nel tempo. Penso, inoltre, che una poesia letta più volte, con stati d’animo diversi possa trasmettere emozioni altrettanto differenti. Mi piace perché è potente.

  • Bellissima risposta! mi piace sondare le persone. Tu fai un lavoro delicato, hai a che fare con malati gravi, certe volte non riesci a salvarli come vorresti. La poesia ti aiuta?

Esternare i propri sentimenti dovrebbe essere il fulcro intorno cui ruota la nostra esistenza. Condividere un proprio sentire facendo partecipe chi ci sta intorno è alla base di ogni psicoterapia di gruppo. Perché non farlo con la poesia? Certo sarebbe utopistico pensare ad un suo auspicabile potere salvifico, ma sicuramente potrebbe essere d’aiuto in diverse situazioni. La solitudine, la malattia, la morte… Il proprio senso di impotenza, la propria limitatezza. In questo senso, sì, mi aiuta. Esprimere su carta la propria frustrazione di fronte all’inevitabile fuggirsi della vita può, a volte, avere un potente valore catartico

  • Tu hai pubblicato diversi libri, per te è stato facile farti pubblicare, oppure hai fatto in self publishing?

Circa 10 anni fa, per curiosità mi sono iscritto su Facebook. Social certamente criticabile, che tuttavia, tra i tanti aspetti negativi, me ne ha fatto subito riconoscere uno decisamente positivo: la condivisione praticamente immediata e amplissima. Ho cominciato a pubblicare alcuni miei scritti, con un discreto riscontro, tant’è che una mia cara amica di Perugia mi ha suggerito di raccoglierli in una pubblicazione su carta, suggerendomi il nome di un Editore locale, Jean Luc Bertoni, cui provare a sottoporne il vaglio. Beh, quest’anno mi ha pubblicato la terza raccolta… In verità non simpatizzo molto per il self-publishing; un Editore ha una visione molto più ampia e professionale, segue passo passo l’editing, appoggia l’eventuale pubblicizzazione. Da non dimenticare, poi, che se un Editore pubblica un libro è perché comunque ne ravvede un valore. A me piace poco l’autoreferenzialità.

  • Cosa conta per te nella vita?

Viverla. Nel senso: dobbiamo renderci conto che comunque la vita è un dono. Da parte di Dio, se credi; è la Natura che l’ha reso possibile, o, molto più “terra terra” la nostra vita è un dono che mamma e papà ci hanno donato. E questa è l’opzione che preferisco. Scherzi a parte. La Vita va vissuta. Ogni singolo minuto non va sprecato. Cosa conta di più? Apprezzare tutto ciò che ci vive intorno. Capire che tutto questo non è un obbligo, un qualcosa che ci è dovuto. Ma un meraviglioso privilegio. Il sole che sorge e che tramonta, la donna che ti respira accanto, il passare dei giorni e delle stagioni, non sono banalità. Dobbiamo guardare tutto ciò come un miracolo. Ed è così che tutto ci conta nella vita.

  • Tu fai un lavoro che ti fa vivere vicino al dolore della gente, come affronti tutto ciò?

A volte è difficile, complicato. Stare vicino ad una persona che soffre ti fa capire quanto siamo fragili e ti riporta con i piedi per terra. Ma a lungo logora. Specie nei casi in cui è chiara l’evoluzione fatale del caso. Lì bisogna trovare il modo migliore per accompagnare il paziente, essere comunque vicini ai suoi cari e, soprattutto, vincere quel senso di frustrazione che tenta di sopraffarti. In questo lavoro bisogna vincere la voglia di presunzione, comprendere che un medico non è un padreterno e non può sostituirsi alla natura. È pericoloso, controproducente ed espone a quello che di più deleterio un medico può fare ad un suo paziente: accanirsi. Poi esco dall’ospedale, mi svesto del camice, della divisa, ma non dei pensieri, che a volte mi seguono fino a casa. La famiglia qui entra in gioco in maniera determinante: entro in un porto sicuro, accogliente e mi rassereno. Almeno fino al turno successivo.

  • Quanto influisce il tuo lavoro sui tuoi scritti?

Come dicevo, il mio lavoro mi continua ad insegnare ogni giorno i miei limiti. Mi pone dinanzi inesorabilmente la mia finitezza, non solo in termini professionali, ma soprattutto, per ciò che riguarda il mio vivere, che ha avuto un inizio e avrà certamente una fine. E, tra l’inizio e la fine, ritengo sia compito di ogni donna ed uomo cercare il “fine” di questo magnifico viaggio. Spesso scrivo di quanto mi circonda, della meraviglia che ho intorno, perché è necessario tornare a porre la dovuta attenzione a tutto ciò. Dovremmo riprendere a guardare il mondo con gli occhi di bambino e stupirci anche e soprattutto per le piccole cose, apprezzandone l’enorme valore. E la mia professione mi insegna ogni giorno che tutto questo potremmo perderlo, per un semplice soffio di vento.

  • Ho notato che spesso parli d’amore nelle tue poesie, lo conosci, lo vivi, ci credi? Nel senso che trovo le tue poesie non solo ispirate, ma dedicate.

“… e di cosa vorreste scrivere?” – Io? Del cuore! “E… voi lo conoscete?” -In parte… Questo per dirti: chi è che conosce l’amore, davvero, nella sua completezza? Intanto bisognerebbe definirlo, l’Amore. Accanto a me, da sempre, c’è una Donna, l’unica, che sempre più spesso è interprete principale dei miei pensieri, dei miei scritti. Dei miei giorni e delle mie notti. Ecco: lei, per me è Amore. E cerco di viverlo, goderlo ogni attimo del mio tempo. E lo temo. Ne temo la mancanza. È il mio incubo ricorrente.

  • Quest’ultima risposta mi ha commossa, un vero dono. Se ti dovessi descriverti cosa diresti di te stesso?

“Da sempre ho disdegnato le alte quote e non per il mio soffrire le vertigini Mi piace sguazzare nel mio pittoresco stagno E mentre soddisfatto guardo sopra di me volare in alto in cerchio aquile fiere e nobili falconi, io me ne resto qui Umile folaga nel mio inalienato domestico piccolo e sempre amato mondo antico Ed è proprio così che tra questa enorme folla anonima io mi procaccio i giorni E mi continuo a vivere””

Onorata di questa intervista, ho l’impressione di nuotare nel cuore, Grazie Giovanni Ciao.

Giovanni Ciao Scrittore: guaritore del corpo e dell’anima. 1° parte https://alessandria.today/2022/10/04/giovanni-ciao-scrittore-guaritore-del-corpo-e-dellanima-1-parte/

https://www.facebook.com/diGiovanniCiao. Versi Dispari – Pensieri di Giovanni Ciao

MI FAI RESTARE

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Mi fai restare qui con te

mi andrebbe sai di domandarti

Mi rimarrei in silenzio al fondo del tuo letto

mi basterebbe di vegliarti mentre tu respiri

Mi illuderei di carezzare a lungo i tuoi capelli

e di sfiorar le labbra tue quando nel sonno

sogni d’odor di fresie e di ginestre

Chissà, mi chiedo

se per un istante ci sarò

tra le tue ciglia già socchiuse

Se sarò io a farti sospirar più forte

e tu che ti dici, no, non voglio più svegliarmi

Chissà, se mai ricorderai poi

domani del tuo lieto dormire

e della mia fugace effimera presenza

A me resta tra le dita ancora l’eco profumata

di un tuo ti amo detto ad occhi chiusi

Dei desideri l’eterna mia notturna essenza

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©️✒Giovanni Ciao

(Art. 🖌Nirav Patel)

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https://www.mondadoristore.it/…/Giovanni-Ciao/aut03436179

ORA SIAMO AMORE

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Forse ho scoperto l’amore troppo tardi

Nei nostri abbracci alla stazione quando ritorno

Nel bacio sulla fronte mentre ancora dormi

Quando ti cerco la mano al parco nella nebbia

O in un sorridersi divertito nel mattino

con le labbra bianche e dolci di cappuccino

Sì, perchè prima facevamo l’amore

Ora lo siamo

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© ✒Giovanni Ciao

(Art. 🖌Stephen Shortridge)

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5 Ottobre 2022. Roma Articolo di Marina Donnarumma Iris G. DM