Oggi, per la ricorrenza del diciannovesimo anno della morte della mia mamma Itala, vorrei parlare dei cani che si lasciamo andare fino a morire per la mancanza dell’amato due zampe.
Mia madre Itala
Tanti non credono che un cane dopo la mancanza del padrone possa lasciarsi andare fino a morire.
Invece ciò è possibile, al mio è successo.
Tra l’altro non sono l’unica ad aver avuto questa dolorosa esperienza, ci sono molteplici testimonianze in merito. Io, tanto tempo fa, abitavo in una casa col giardino e sopra di me e mio marito abitava la mia mamma Itala.
Lei era la persona che si prendeva cura dei nostri cani e gatti durante la nostra assenza.
Allora avevamo quattro cani e 4 gatti.
I cani: Ginetto un meticcio incrocio setter dalmata, Petrus un pastore tedesco, Nebbia una pastore bergamasco e Oreste un meticciotto incrocio volpino e non si sa. I gatti: Susy, la gatta che amava la mia mamma e che dopo la sua morte è sparita una settimana, Brunello, Attila, Lemonsoda.
Io, allora giovane donna, portavo, come faccio ancora, i cani attivi a correre con me.
Oreste non amava fare sport, aveva una passione innata per il divano, o meglio per la poltrona che troneggiava nel salotto della mia mamma, la quale all’epoca era malata e stava seduta su quella di fronte a quella dove c’era Oreste.
Oreste, il cane di mia madre, si lasciò morire di dolore dopo la dipartita della mia carissima mamma
Mentre lei sorseggiava te e tisane, sgranocchiando biscotti, mentre leggeva un buon libro, o guardava la televisione oppure ascoltava la radio, lui se ne stava lì ad osservarla con sguardo adorante. Ogni tanto elemosinava qualche biscottino.
Mia mamma venne ricoverata per un intervento chirurgico che non riuscì a superare.
Portammo la bara in casa sua e lasciammo salire Oreste che si infilò sotto all’altezza della tesa della mamma. Da quel giorno Oreste smise di essere felice.
Passava ore in giardino ad osservare l’orizzonte per poi rivolgere lo sguardo sul terrazzo dove lei lo chiamava come se dovesse comparire da un momento all’altro.
Da allora iniziò ad avere crisi cardiache sempre più frequenti e devastanti.
Come un polpo sbattuto ancora vivo contro lo scoglio si arricciolavano i miei pensieri a Bari fra le barche verdi e gli inviti favolosi dei venditori di quella iridescente pena; ma io non avevo che una moneta d’impazienza e di notte, una moneta nera dei paesi dell’interno, che soffoca le case fra orizzonti di corda su cui oscilla la tarantola – un’altra pena; e tu un’altra, quando dicesti: la pietà è più forte dell’amore. Più rapida è volata che il mio odio la mano sulla tua guancia.
Irriverente la sagoma del mattino
nell’alone d’un indefinito malessere
coniugato in un bizzarro menù
nell’evasione del buio.
Lontana dal parafrasare capriole
annuso fior di magnolia
distinti dall’essenza di vigna
tipica di giorni d’uva.
Lievi contorni di luce nella mano
raccontano di trame scontrose
in un pressappoco di nubi
galleggianti in un far di vento
che le accorpi in un aquilone fluttuante
simbolo d’un ipotetico sogno
borbottante
nel fondo d’un cielo cercato…
@Silvia De Angelis
“Come una freccia scagliata contro il futuro A men of no fortune and with a name to come In mancanza dell’io, ogni teoria umana è una cospirazione L.M. Panero “Sartor resartus” Prefazione a Peter Pan non è che un nome
Siamo quel che resta di una nascita lontana sempre quanto un dito mignolo in mezzo il presagio di una morte cui ancora non siamo interessati
Ci chiamiamo l’un l’altro con un nome che sta per arrivare
Un’ eventualità essenziale ci infilerà tra le braccia di una sonora risata e sarà un diverso modo per noi di tremare
Mi senti? È sempre in serbo il sipario di un altra profezia da sollevare per attraversare il burrone controsenso per alleggerire il peso di questo cielo vuoto
Travestiti da assenza conta fino a dieci scappa e poi povera e pazza no non ti voltare.