Cosa possono fare i poeti, nell’ora buia della storia…quando quella sottile, intima, meravigliosa e terribile capacità chiamata empatia fa da eco al lamento del mondo…affidare al cielo il verso e una preghiera.
NAPOLI
Le strade del mondo mi raccontano di giorni di sgomento. Se chiudo gli occhi il vento è un lamento.
Muti fantasmi non hanno più nemmeno voglia di pensare…
Ed io inerme affido al cielo il verso e una preghiera, il verso e una preghiera.
Saffo nacque tra la fine del VII secolo e l’inizio del VI secolo a.C. sull’ isola di Lesbo. Trascorse la sua vita nella città di Mitilene, anche se alcune fonti la vorrebbero nativa di Ereso. Certamente fu in buoni rapporti col poeta Alceo, anche lui di Mitilene, che le dedicò un celebre verso:
“Cinta di viole, pura, riso di miele, Saffo.”
Entrambi di origine aristocratica, nutrivano una certa avversione per i parvensus, ovvero per coloro che non erano ricchi. Entrambi, inoltre, appartenevano a una sorta di club. Alceo all’eteria, mentre Saffo al tiaso, dove esercitò il ruolo di educatrice. L’eteria era un circolo aristocratico e militare che univa persone della stessa età, dello stesso sesso e delle stesse idee politiche. Le discussioni che avvenivano all’interno dell’eteria erano quasi tutte a sfondo politico. Per quel che riguarda il tiaso, invece, per molto tempo si è pensato che fosse una specie di educandato per ragazze di buona famiglia per apprendere tutto quel che fosse necessario prima di dedicarsi al doveroso ruolo di spose e di madri. Ma a un’analisi più attenta, basatasi proprio su alcuni frammenti delle poesie di Saffo, è stato ipotizzato che si trattasse piuttosto di un corrispondente femminile dell’eteria, ovvero una sorta di comunità che sicuramente esplicava un ruolo educativo, ma che era, allo stesso tempo, caratterizzata da forti connotati religiosi che miravano al raggiungimento dell’ideale di perfezione attraverso una serie di pratiche liturgiche e sociali, in cui grande spazio era dedicato al culto di Afrodite. Le ragazze del tiaso vivevano una vita all’insegna della grazia e della raffinatezza. Erano immerse in una sorta di mondo irreale, in una dimensione estatica in cui erano frequenti allucinazioni e visioni della divinità. Un elemento fondamentale del tiaso era l’amore tra le fanciulle, ovvero l’amore saffico. Saffo aveva un marito e una figlia ma ciò non le impediva di intrattenere relazioni con le sue ragazze, relazioni che avevano un forte aspetto educativo. Ciò stupisce, e non poco, dal momento che le donne nella cultura greca avevano scarsi rapporti col mondo esterno. Sull’isola di Lesbo, invece, le donne avevano la possibilità di ricevere la stessa formazione culturale riservata ai maschi. Celebre è il testo “Ode alla gelosia“, il più letto e il più tradotto di tutta la letteratura greca:
Mi sembra che sia simile agli dèi
quell’uomo che dinanzi a te
siede e da vicino dolcemente parla-
re ti ascolta
e sorridere amorosamente. E ciò davvero
il cuore nel petto mi fa sobbalzare:
come infatti per poco ti guardo, così di voce
neppure un soffio mi viene,
ma la lingua resta spezzata, sottile
subito sotto la pelle un fuoco mi scorre,
con gli occhi nulla più vedo, rom-
bano le orecchie,
un sudore mi bagna, un tremito
tutta mi prende, più pallida dell’erba
io sono e dalla morte poco lontana
sembro ( a me stessa).
In questi versi, Saffo esprime liberamente i propri sentimenti nei confronti di una ragazza. Secondo alcune fonti si tratterebbe di un epitalamio, ovvero, di un canto scritto per le nozze di una fanciulla e l’uomo che compare al secondo verso sarebbe il promesso sposo. Per altri, invece, sarebbe una sorta di corteggiamento da parte di colui che ” sembra che sia simile agli dèi” nei confronti della ragazza, di fronte al quale Saffo esprime tutta la sua sofferenza per la gelosia provata nei confronti della fanciulla. Saffo fa dell’eros la sua stessa ragione di vita arrivando a trasformare questa sua profonda passione in una sorta di “filosofia”. Lei stessa ce ne parla nei versi intitolati “La cosa più bella”:
Alcuni di cavalieri una schiera, altri di fanti,
altri di navi dicono che sulla terra nera
sia la cosa più bella: io invece
ciò che si ama.
Assai facile render comprensibile
a tutti ciò: infatti colei che di molto superò
in bellezza gli umani, Elena, lo sposo,
insigne di tutto
abbandonò e venne a Troia per mare
e non della figlia nè dei cari genitori
affatto si ricordò, ma la travolse
folle d’amore Cipride
ed ora di Anattoria mi fa ricorda-
re, che non è qui:
di lei l’amato incedere vorrei
vedere e la luce che le brilla in viso
più che i carri dei Lidi e nell’armi
i fanti schierati a battaglia.
Al di là delle vicende personali di Saffo, è bene precisare che l’eros all’interno del tiaso era regolato da un codice di comportamento collettivo, che aveva le sue regole positive e i suoi divieti. Su tali norme vigilava la stessa Afrodite che era garante di giustizia (dikh), la cui violazione coincideva con il rifiuto dell’amore o con il tradimento. In poche parole, per Saffo, Elena non è nè colpevole nè vittima, ma una prescelta di Afrodite, ed è meritovole di stima perchè obbedisce alla dikh della dea. I grammatici alessandrini suddivisero le poesie di Saffo in nove libri, di cui l’ultimo raccoglieva gli epitalami, una serie di canti destinati a riti nuziali che Saffo scrisse quasi sicuramente su commissione. Ma negli epitalami ci sono anche versi che Saffo riserva ai suoi affetti familiari, versi in cui incontriamo una Saffo diversa da quella dei canti amorosi. Alcuni frammenti ci restituiscono un’immagine più privata della poetessa, legata soprattutto all’ambito della famiglia. Si tratta di poesie dedicate alla figlia Kleis, alla quale fu sempre legata da un profondissimo affetto.
Ho una bella figlia, che a fiori d’oro
simile ha l’aspetto, l’amata Kleis:
in cambio di lei nè tutta la Lidia nè l’amabile
(vorrei avere)
Purtroppo gran parte dell’opera di Saffo è stata perduta e quel che abbiamo a disposizione sono solo frammenti. Gli studi più recenti, però, hanno gettato nuova luce sulla sua figura così eccezionale da costituire un caso unico nella storia della letteratura occidentale. Concludo con una celebre affermazione del critico E. Thovez, il quale dichiarò che sarebbe stato disposto a dare tutta la letteratura latina per un solo verso di Saffo. Si tratta sicuramente di un’esagerazione, ma serve a darci un’idea di quanto sia grave la perdita che, purtroppo, abbiamo ereditato di gran parte della sua opera.
L’uomo/donna appartiene al regno animale e ha, o meglio dovrebbe avere, un’anima.
Noi umani associamo la parola anima al divino. L’anima per noi umani è la sede dei sentimenti.
Per molti di noi l’anima è immortale e ci sopravvive dopo la morte del corpo.
Purtroppo però spesso molti di si scordano di averla e, o per ingordigia, o per sete di potere, o per tantissimi altri egoismi terreni, la mettono da parte per poi ricordarsene al momento della morte per paura di sprofondare nel profondo regno degli inferi. Attraverso la religione chiedono perdono delle loro malefatte.
Questo non accade alle specie che consideriamo animali, ai quali molti non attribuiscono il possesso dell’anima ma li considerano esseri inferiori da utilizzare a loro piacimento, uso e consumo.
Invece gli animali hanno una gerarchia ben precisa, si accoppiano solo con gli esseri della loro specie ( tra noi umani esiste persino la zoorastia ), rispettano i loro cuccioli, ovviamente per quanto riguarda i selvatici con la selezione per la sopravvivenza della razza.
Quelli che noi consideriamo animali non hanno inquinato il mondo, non hanno distrutto foreste, non hanno estinto altre specie di animali ma hanno, o meglio avrebbero, mantenuto l’equilibrio naturale del pianeta.
Buona giornata degli animali al lupo che a fatica sta tornando sulle nostre montagne per via della caccia spietata di alcuni umani ma, per fortuna, con la salvaguardia di altri.
Buona giornata degli animali all’orso che ha la stessa sorte del lupo.
Buona giornata degli animali alla volpe, alla quale attribuiscono colpe che spessissimo non ha, per lucrare sulle sue presunte malefatte, e per usare la sua splendida pelliccia per sciocche donne che non per questo diventano più belle.
Buona giornata degli animali ai gufi, alle civette, alle aquile, ai tassi, ai procioni, ai topolini, agli scoiattoli che si apprestano ad affrontare il letargo insieme alle marmotte, insomma buona giornata degli animali a tutti gli animali di tutto il creato e anche a quegli umani che un’anima la possiedono davvero.
Non è obbligatorio prendere un cane, anzi se non lo considerate uno della famiglia lasciatelo a chi lo merita. Non pensate di prenderlo per fare la guardia. Se avete paura dei ladri prendete un antifurto, non mangia, non fa’ i bisognini, non si ammala, non invecchia, non muore, non lo possono avvelenare e costa una volta sola. UN CANE È UN COMPONENTE DELLA FAMIGLIA
La lettera J sul vetro smerigliato della porta del mio ufficio è praticamente scomparsa, della P invece ne è rimasta quasi la metà. Cognome e attività al momento reggono: Fournier, investigatore privato. Il telefono squilla mentre giro la chiave nella toppa: dopo mesi di silenzio mi sembra un suono celestiale, finalmente un po’ di ossigeno!
Palmiro è scomparso da venti giorni e bisogna fare di tutto per ritrovarlo, costi quel che costi, mi dice la voce all’altro capo del telefono. Siamo tutti addolorati e preoccupati ma Sophie, da allora, non fa che piangere, rifiuta il cibo e non si alza dal letto. Ho paura, aggiunge la voce. che possa fare una sciocchezza, o ammalarsi, perciò la prego non mi dica di no, la pagherò bene.
Messa a posto qualche carta, chiudo tutto e mi avvio verso Place des Vosges per un sopralluogo. È la prima volta che mi capita un caso di persona scomparsa, e sono alquanto in ansia. Se le casse non fossero state vuote avrei decisamente rifiutato. Il mio campo è pedinare infedeli e adultere, frugare fra le intemperanze dei corpi e nei bassifondi della carne. Non è il massimo, lo so, ma è quello che ho imparato a fare meglio e che, sino ad ora, mi ha dato da mangiare. Sarà il timore di non essere all’altezza del compito, fatto sta che il passo è lento ed ogni occasione è buona per una sosta. Berrei volentieri un caffè ma non ho il becco di un quattrino e, in zona, non conosco nessuno che possa farmi credito. Mio malgrado, in Rue de Rivoli, mentre aspetto che il semaforo diventi verde, gli occhi cadono sulla mia immagine riflessa in una vetrina, e il cuore ha un sobbalzo. Non è certo una novità, ma quell’uomo insignificante che mi guarda mi fa una grande pena. Un perdente, in buona sostanza, il cui mediocre avvenire era già segnato, strozzato sul nascere da dinamiche malate tra le mura domestiche. Indotto a rimanere in casa a evitare fatti e persone, confronti ed esperienze, non poteva non crearsi un mondo tutto suo, fatto di fantasticherie, avulso dalla realtà. Frustrato costantemente nell’autostima, nelle emozioni e nei sentimenti, disapprovati se non scherniti, non poteva fare altro che soffocarli il più possibile e, pur di ottenere l’approvazione, divenne un finto adulto in un finto bambino. Allevato nei silenzi e nella solitudine disimparò rapidamente a dialogare e condividere. Quell’uomo, dunque, non poteva che pagare dazio una volta fuori l’ovile, una volta affacciatosi in se stesso, oltre che alla vita. Perciò si tuffò sconsideratamente in un connubio già deceduto in partenza, che non fece che ingarbugliare lo stato di fatto suo e quello di un’altra disturbata; perciò procreò senza alcun criterio e perciò disperse il suo patrimonio culturale. In altre parole aggiunse danno al danno, creando ulteriori disastri e vittime, e compromise per sempre qualsiasi tentativo terapeutico.
Il 61 di Place des Vosges è un edificio abitato da benestanti. Cioè pullula di parvenu e cialtroni , espressione tipica dello scadimento culturale imperante, del progresso.
Marito e moglie, in un’atmosfera di ostentata opulenza, mi accolgono non senza manifestare con lo sguardo il loro disprezzo: sicuramente stanno pensando che il mio reclutamento sia stata una leggerezza imperdonabile. Comunque fatto buon viso a cattivo gioco mi espongono i fatti. Sophie, intanto, al centro di una stanza stracolma di giocattoli e di altre cianfrusaglie, esterna il suo dolore davanti a un televisore gigantesco, ammazzando figure antropomorfe col joystick, nel mentre la fantesca di colore, in grembiule e cuffietta di pizzo, la imbocca.
Piango senza ritegno mentre, di corsa, scendo le scale dopo aver accettato l’elemosina per un oltraggio.
Palmiro, la foto lo identifica senza dubbi, mi viene incontro scodinzolando nel bel mezzo dei giardini della piazza. Soppeso le tre opzioni a mia disposizione solo per qualche istante, poi lo porto via con me. Domani poi si vedrà. https://gieffe00.wordpress.com/2022/10/02/place-des-vosges/
“C’è un ape che si posa su un bottone di rosa: lo succhia e se ne và… Tutto sommato, la felicità è una piccola cosa.”
Un piccolo cantico, che d’impatto potrebbe apparire solo inusuale per la sua brevità, ma che riletto attentamente, sa racchiudere un profondo significato, non agibile a tutti.
Infatti, in molti, non riescono ad essere appagati dalle piccole gestualità del quotidiano, che, nel loro insieme ci permettono di condurre una vita piuttosto agiata, fatta di comodità e di tutti quei particolari che rendono gaie le ore del nostro giorno.
Gli individui, in genere, spesso sono alla ricerca di cose astruse, al di fuori della loro portata, per appagare un ego incontentabile e insoddisfatto, causa spesso, di forme di depressione.
Eppure basta osservare l’intensità del cielo e del mare, per appropriarsi d’un’infinita gioia di vivere, accompagnata da tanti piccoli particolari del contorno, che nel loro insieme, ci permettono di condurre un percorso abbastanza soddisfacente e in grado di mettere da parte, l’energia necessaria, per superare quei momenti complessi che la vita, prima o poi, riserva.
Quindi , tornando ai versi del Trilussa, cogliamone il senso più appropriato, cercando di catturare quella felicità dell’attimo, che abbiamo a portata di mano (@Silvia De Angelis
Jean Baptiste Para (1956) è un poeta, critico d’arte e traduttore francese.
Perdere quel che avrebbe potuto essere ha lasciato una traccia, una parola mancante nel lato del fogliame in cui gocciola il tempo. L’inerte ha in sé una velocità che non raggiungerò mai. È la nostra stanza sulla strada. Vorrei guardarti in viso nell’attimo in cui il mondo prende fuoco. Ma tutto ciò che è soffre ad essere tradotto. Chi potrebbe separare le ombre perché tornino a conoscere l’attesa? La poesia s’impara strisciando fra le ortiche. So bene che devo soffocare la mia voce. (Traduzione di Lucio Mariani)
Le poesie di Sergio Carlacchianitradotte da Joan Josep Barcelo
Foto : Sergio Carlacchiani
Il grande poeta e traduttore Joan Josep Barcelo, caro amico, mi fa questo straordinario dono, traducendo in catalano e in spagnolo, tre miei inediti… Sergio Carlacchiani
Da “Poesie d’ospedale” 1 Ottobre 2022 Tre inediti.
Irraggiungibile amore appena risvegliato divinità umana sei all’orizzonte ingrato appari non ti conosco pigoli ma che pena
non avere pane per te.
Primi li vediamo arrivare raggianti l’aurora ed io stormi di versi colorati innamorati della vita posano sui nostri cuori
la scrutano e beccano lieti.
Umile stremato amore nel cuore silente giaci puro prezioso inutile quale tesoro nascosto! Bevo la tua offerta nella conca delle mani.
(in catalano)
Amor inabastable acabat de despertar ets divinitat humana a l’horitzó desagraït apareixes no et conec gemegues però quina pena no tenir pa per a tu.
Els veiem arribar primers radiants l’alba i jo estols de versos de colors enamorats de la vida reposen en els nostres cors la miren i picotegen feliços.
Amor humil esgotat en el cor silenciós reposes pur preuat inútil com tresor amagat! Bec la teva oferta al buit de les mans.
Joan Josep Barceló i Bauçà
(in spagnolo)
amor inalcanzable recién despertado eres divinidad humana en el horizonte ingrato apareces no te conozco gimess pero que pena no tener pan para ti.
Los vemos llegar primeros radiantes el alba y yo bandadas de versos coloridos enamorados de la vida descansan en nuestros corazones la miran y picotean alegremente.
Humilde amor agotado en el corazón silencioso reposas puro inútil precioso ¡Cómo tesoro escondido! Bebo tu oferta en el hueco de las manos.
San Francesco è poeta dell’Uomo. Poche parole che hanno dietro concetti e visioni (e queste sì che si avvicinano al Misticismo) che riescono a perforare il cuore degli Uomini, Il Cantico delle Creature”. Già nel titolo, San Francesco, dichiara “la forma” della sua poetica: Cantico. Cantare, dunque. E si canta in versi, si sa. Il Cantico delle Creature si presenta come una prosa ritmica, che richiama i ritmi delle litanie, con la presenza di versi di varia lunghezza, stilizzati in base alle consonanze e alle assonanze oltre che alle rime, conosciuto anche come Il cantico di Frate sole e Sorella Luna, è senza dubbio fra i primi importanti componimenti poetici della lingua volgare e rappresenta la più famosa poesia religiosa di sempre della letteratura italiana. Hermann Hesse, scrittore del ‘900 e attento studioso del pensiero e della parola poetica di San Francesco d’Assisi, lo definisce “Il saluto di Dio sulla terra”. Il fatto che uno scrittore protestante, che sarebbe diventato uno dei maestri delle generazioni a venire, abbia dedicato un libro ad un faro della cattolicità, fa pensare. Il Cantico è stato composto a San Damiano, in tre diversi periodi della vita di Francesco, contrassegnati dalla sofferenza fisica, dalla gioia per la pace raggiunta tra podestà e vescovo di Assisi e dall’appressarsi della fine. Rimane un’opera di poesia assoluta che ha influenzato molti artisti e scrittori nel corso dei secoli, realizzata da un uomo che, pur in possesso di una cultura media per il suo tempo, aveva rinunciato a tutto ciò che apparteneva a quella società e a quel modo di intendere la cultura. Francesco non era contro la cultura, ma contro la verbosità, la leziosaggine, il vuoto delle parole fini a se stesse. Francesco dimostrava che la poesia vera è quella che nasce fuori dai condizionamenti e dalle mode.
NAPOLI
Francesco d’Assisi, nato Giovanni di Pietro di Bernardone (Assisi, 1181/1182 – Assisi, 3 ottobre 1226), è stato un religioso e poeta italiano. Diacono e fondatore dell’ordine che da lui poi prese il nome (Ordine Francescano), è venerato come santo dalla Chiesa cattolica e dalla Comunione anglicana; proclamato, assieme a santa Caterina da Siena, patrono principale d’Italia il 18 giugno 1939 da papa Pio XII, il 4 ottobre ne viene celebrata la memoria liturgica in tutta la Chiesa cattolica. Era figlio di Pietro di Bernardone, un ricco mercante di stoffe che desiderava per il figlio una carriera nel commercio. Le aspettative dell’uomo, però, andarono deluse. Fin dalla giovane età, infatti, San Francesco si dedicò alla carriera militare e partecipò a molti combattimenti, venendo fatto perfino prigioniero. All’improvviso, nel 1205, una crisi religiosa lo spinse però a convertirsi: mentre era in viaggio per essere nominato cavaliere, infatti, un sogno lo spinse a tornare ad Assisi per mettersi al servizio di Dio. Passando per Foligno, vendette il proprio cavallo e i propri ricchi abiti e indossò poveri panni. Donò così tutti i suoi beni ai poveri e chiuse i rapporti con la famiglia. Ben presto, intorno a San Francesco d’Assisi, cominciarono a raggrupparsi alcuni compagni (fratres), che dormivano dove capitava, si vestivano con stracci e camminavano scalzi. Essi assunsero il nome di frati minori e si dedicarono soprattutto al restauro delle chiese in rovina e alla cura dei malati di lebbra, che nessuno voleva accudire per paura di essere contagiato dall’orribile malattia. Qualche anno dopo, San Francesco e i suoi fratres decisero di imitare alla lettera il modello della vita apostolica e, vestiti con una rozza tunica cinta da un cordone, iniziarono a predicare nell’Italia centrale, esortando le popolazioni a fare penitenza. Poiché la predicazione dei laici era vietata dalla Chiesa, nel 1210 i fratres decisero di chiedere il riconoscimento della loro forma di vita religiosa e presentarono una breve Regola a papa Innocenzo III: dopo qualche esitazione, il pontefice diede una prima approvazione informale.La Regola fu poi approvata ufficiosamente da papa Onorio III solo nel 1223, quando nacque ufficialmente l’ordine francescano. In generale, l’attività principale di San Francesco era quella della predicazione: parlava con tutti – con gli esseri umani ma, secondo la leggenda, anche con gli animali, inclusi uccelli e lupi feroci – ed esortava tutti a comportarsi con amore l’uno verso l’altro. Ben presto, però, tra i suoi seguaci – diventati sempre più numerosi – si verificarono dei contrasti: molti di essi, infatti, non volevano vivere nella totale povertà ordinata da Francesco, che lasciò la guida del gruppo, rimanendone un punto di riferimento solo spirituale. San Francesco d’Assisi morì nel 1226, ormai malato e colpito dalle stigmate, che aveva ricevuto qualche anno prima sul monte Verna: nel 1228, intanto, Francesco d’Assisi venne fatto santo: è il santo patrono d’Italia. San Francesco d’Assisi non fu un filosofo nel senso preciso del termine, ma le sue riflessioni sulla vita, sulla morale, sulla religione e sulla natura ebbero una rapidissima diffusione: nacque così il francescanesimo, che ebbe una grandissima influenza nell’Europa del XIII e XIV secolo. L’amore di San Francesco è ancora più grande nei confronti di Gesù, figlio di Dio, nato e morto per la salvezza degli uomini. L’amore dimostrato da Gesù verso gli uomini può essere glorificato in un solo modo, cioè seguendo il suo insegnamento presentato nel Vangelo: «Dobbiamo amare molto l’amore di colui che ci ha molto amati».
Il Cantico è strutturato come una lode a Dio per la bellezza del creato, e mescola elementi della tradizione dell’Antico Testamento con espressioni linguistiche tipiche del volgare popolare del tempo.Il componimento è come una preghiera, un momento in cui si ringrazia il creatore per la sua opera di bellezza presente in ogni dove, ma presente è anche la morte che anch’essa glorifica Dio. All’uomo non spetta che il compito di accettare umilmente e serenamente tutto ciò che proviene da Dio e farne tesoro.
Altissimu, onnipotente, bon Signore, tue so’ le laude, la gloria e ’honore et onne benedictione. Ad te solo, Altissimo, se konfàno et nullu homo ène dignu te mentovare. Laudato sie mi’ Signore, cum tucte le tue creature, spetialmente messor lo frate sole, lo qual è iorno, et allumini noi per lui. Et ellu è bellu e radiante cum grande splendore, de te, Altissimo, porta significatione. Laudato si’, mi’ Signore, per sora luna e le stelle, in celu l’ài formate clarite et pretiose et belle. Laudato si’, mi’ Signore, per frate vento et per aere et nubilo et sereno et onne tempo, per lo quale a le tue creature dài sustentamento. Laudato si’, mi’ Signore, per sor’aqua, la quale è multo utile et humile et pretiosa et casta. Laudato si’, mi’ Signore, per frate focu, per lo quale ennallumini la nocte, et ello è bello et iocundo et robustoso et forte. Laudato si’, mi’ Signore, per sora nostra matre terra, la quale ne sustenta et governa, et produce diversi fructi con coloriti flori et herba. Laudato si’, mi’ Signore, per quelli ke perdonano per lo tuo amore, et sostengo infirmitate et tribulatione. Beati quelli che ’l sosterrano in pace, ca da te, Altissimo, sirano incoronati. Laudato si’ mi’ Signore per sora nostra morte corporale, da la quale nullu homo vivente pò scappare: guai a quelli che morrano ne le peccata mortali; Beati quelli che trovarà ne le tue santissime voluntati, ka la morte secunda no ’l farrà male. Laudate et benedicete mi’ Signore’ et ringratiate et serviateli cum grande humilitate
*La poesia è l’espressione più alta dei sentimenti e delle emozioni che nascono dal cuore. Questo canto di ringraziamento e di lode ne è un esempio mirabile, letto, studiato e fonte d’ispirazione per tanti uomini di cultura al di là della sua valenza religiosa. Primo esempio di componimento in lingua volgare del tempo.
Articolo di Marina Donnarumma Iris G. DM. Roma 4 ottobre 2022
Giovanni Ciao
“In tanti anni di onorata professione ancora sto cercando la giusta terapia per l’ipocrisia, per la carenza di compassione E per tutti quegli strani effetti avversi di un’altra endovena di questo nostro folle amore” Giovanni Ciao
dottor Giovanni Ciao
Sono un medico. Ma non solo. Ho bisogno di esprimermi e condividere il mio sentire. Mi fa stare bene. Giovanni Ciao
“Hai sbagliato tutto, uomo Potrai fiaccarle i fianchi Rasarle il capo Privarla del piacere Potrai toglierle il tempo Potrai imporle un dio e la forza del tuo pugno Ma hai sbagliato tutto, credimi Perché le hai lasciato gli occhi Per piangere Per soffrire Per sorridere Per arrossire Per gioire Per amare, ancora Potrai renderla schiava, uomo Ma non potrai strapparle via la libertà di farsi guardare dentro l’animo”
Io mi innamoro delle parole, sono loro che giungono a me, io allora mi lascio avvolgere dalla loro magia. Cosi che ho incontrato lo scrittore Giovanni Ciao, medico nefrologo, che cura il corpo e l’anima. Le parole delle sue poesie brillano di luce propria, lui stesso dice”scrivo poesie non per vivere, ma per sopravvivere” Scritti nati da esperienze di vita molto forti a cui ci si aggrappa come fulcro per raggiungere un certo equilibrio Sono versi intensi, intrinsechi, che si aggrappano all’anima, che si arrampicano, cercando vette più alte, più difficili, perchè se ne va della nostra vita. Tutto ciò Giovanni Ciao lo capisce benissimo, lui che sull’altalena della vita ci sta in prima persona, in un alternarsi tra la vita e la morte, che, lui , spesso, per via del suo lavoro, accompagna. Cosa è la vita? Noi siamo in questa terra provvisori, vicini o distanti alla morte. Spesso la sfioriamo e neanche ne siamo consci. Giovanni un uomo, un medico, uno scrittore, figure ugualmente intense ed innamorate, in una fusione superba, lui innamorato dell’amore, di cui scrive intensamente, con passione. Nelle sue poesie d’amore, ci si sofferma particolarmente, perchè non sono solo ispirate, ma dedicate ad una donna, cioè sua moglie Paola. Padre, marito, medico amorevole, amante della lirica che canta con la stessa intensità della sua vita. In un mondo come questo potremmo pensare che sia una figura aliena, eh no! In questo caso siamo noi, gli alieni! Coltivare i rapporti dovrebbe essere compito di ciascuno di noi, un impegno gravoso, ma che ci ripaga circondandoci di amore. L’amore non si dice, l’amore si fa e Giovanni Ciao, lo coltiva con i pazienti, con la famiglia, con ogni persona. Un mito? Sicuramente lo è, nell’aridità dei sentimenti lui è l’oasi, il sollievo con l’esempio della sua vita, con le azioni e con i suoi versi. Leggere Giovanni Ciao ti arricchisce dentro, lui è l’amico che vorresti avere vicino, che vorresti ascoltare, in questo caso che devi leggere, leggere per capire quanto sia profondo. Una intensità, una profondità che sicuramente è frutto del suo lavoro, ma di lui, persona estremamente sensibile, che ha conservato la sua umanità, che non ha fatto del suo lavoro un abitudine, ma un esperienza metafisica. Molti medici dimenticano l’umanità, freddi, distanti, poco disponibili, arroganti, bruschi, in malattie che invece ne hanno bisogno di tanta, tanta umanità. Lui l’umanità non la dimentica, la scrive, la vive, la dona. Cosa dire ancora di questo scrittore straordinario? Leggetelo, amate ciò che scrive, ciò che dona a tutti noi, in un mondo cosi ostile, desertificato di sentimenti, di emozioni.
GIOVANNI CIAO Nato a Pescara(1960) da genitori assolutamente meridionali; da loro ha imparato ad apprezzare la spontaneità del carattere siciliano e la vivacità del pensiero campano. È comunque sempre vissuto a Perugia. Medico di professione (nefrologo) ha provato sulla propria pelle la sofferenza umana. Nonostante la formazione scientifica ha da sempre amato la letteratura classica. Ha pubblicato tre raccolte poetiche, con Bertoni Editore, Perugia. La prima, “Appunti di vita”, del 2017 racconta attraverso la poesia l’attenzione alla famiglia, alla natura e alle piccole cose quotidiane, sentimenti così fortemente trasmessi dai suoi genitori. Si tratta di una sorta di album fotografico, dove sono presenti non scatti, ma poesie di ciò che circonda l’Autore, con chiari richiami al suo spirito mediterraneo La seconda pubblicazione “E canterò di te”, 2020 raccoglie poesie dedicate alla Donna. Donne, madri, figlie, compagne…l’esaltazione della femminilità. In questa raccolta l’Autore pone su un amorevole piedistallo la Donna nel suo universale valore, con particolare attenzione alle donne che più gli sono quotidianamente accanto. La terza raccolta si intitola “Giorni alla finestra”, sempre edito da Bertoni, 2022, a cura del Gruppo Letterario “Women@work”. La narrazione assume l’aspetto di un diario che si dipana in un anno di segregazione in corso della recente pandemia. Giorni vissuti per lo più dietro i vetri delle finestre, guardando con ansia ciò che là fuori si viveva. Un ritrovarsi in spazi domestici, a volte angusti, ma per l’Autore sempre fortemente amati. Ha partecipato alle antologie “Donne che parlano agli uomini. Uomini che parlano alle donne” – ed. La casa degli Artisti – Quaderni; “Inno all’amore” – Bertoni Editore. L’Autore asserisce spesso: “…scrivo poesie non per vivere, ma per sopravvivere…”
Le visite, al tempo del Covid
(Memorie di un medico di campagna)
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“Un mio paziente, un mio caro amico, l’altro giorno è venuto in ospedale, alla visita di controllo.
Si è parlato di tutto, meno che di salute.
Lui ha la passione per la fotografia.
Ma più che altro per la vita.
Mi dice che legge con piacere i miei scritti.
Lui le chiama “poesie”…
Mi dice:
“Posso chiederti una cosa? Puoi anche non rispondermi”
“Dimmi”
“Leggo sempre con interesse ciò che scrivi, ma… dì la verità: ma è proprio vero che hai trovato l’amore della tua vita?”
Ha pubblicato tre raccolte poetiche, con Bertoni Editore, Perugia. La prima, “Appunti di vita”, del 2017 racconta attraverso la poesia l’attenzione alla famiglia, alla natura e alle piccole cose quotidiane, sentimenti così fortemente trasmessi dai suoi genitori. Si tratta di una sorta di album fotografico, dove sono presenti non scatti, ma poesie di ciò che circonda l’Autore, con chiari richiami al suo spirito mediterraneo
La seconda pubblicazione “E canterò di te”, 2020 raccoglie poesie dedicate alla Donna. Donne, madri, figlie, compagne…l’esaltazione della femminilità. In questa raccolta l’Autore pone su un amorevole piedistallo la Donna nel suo universale valore, con particolare attenzione alle donne che più gli sono quotidianamente accanto. La terza raccolta si intitola “Giorni alla finestra”, sempre edito da Bertoni, 2022, a cura del Gruppo Letterario “Women@work”. La narrazione assume l’aspetto di un diario che si dipana in un anno di segregazione in corso della recente pandemia. Giorni vissuti per lo più dietro i vetri delle finestre, guardando con ansia ciò che là fuori si viveva. Un ritrovarsi in spazi domestici, a volte angusti, ma per l’Autore sempre fortemente amati. Ha partecipato alle antologie “Donne che parlano agli uomini. Uomini che parlano alle donne” – ed. La casa degli Artisti – Quaderni; “Inno all’amore” – Bertoni Editore. L’Autore asserisce spesso: “…scrivo poesie non per vivere, ma per sopravvivere…”
A dir il vero, oggi mi hai sorpresa. La giornata mi hai donato; e sai che ho un debole per te.
Sei comparso quando ormai non ci aspettavo... all'improvviso. D'altronde, lo fai sempre, giochi di speculazione?, un segno in codice per dire: - ci sono? oppure semplicemente un accenno del tuo baglior giallo-verde per rassicurare anime volubili.
E io ho raccolto questo mazzo di raggi dorati, come un bouquet appena preparato per me, fresco e tiepido al contempo e l'ho annusato come candidi gelsomini in primavera.
Corpo luminoso prediletto sei tu, sei tornato e avrei giurato che hai pure schizzato un febbril sorriso autunnale,anche questo; solo per me.
Illusa e conformista, questa sono; sognatrice di utopie azzurri verdi che tolgono il fiato.