Con Alicia Antonia Muñoz Verri, nome d’arte Guainy, l’arte, la musica, la danza, le tradizioni, la moda, la cultura poetica e letteraria si diffondono sempre a 360 ° in tutto il Pianeta… È produttore e presentatrice di programmi televisivi e radiofonici in Radio Satelitevision e Americanvision e oggi dal Perú condivide le interviste a poeti e scrittori.
Ti invito ad ascoltare le interviste di 𝟭𝗘𝗥𝗔 𝗙𝗘𝗥𝗜𝗔 𝗗𝗘𝗟 𝗟𝗜𝗕𝗥𝗢 𝗜𝗡𝗧𝗘𝗥𝗡𝗔𝗖𝗜𝗢𝗡𝗔𝗟 🇵🇪 tramite Facebook:
Con Alicia Antonia Muñoz Verri, nombre artístico Guainy, el arte, la música, la danza, las tradiciones, la moda, la cultura poética y literaria siempre se extiende 360° por todo el Planeta… Es productora y presentadora de programas de televisión y radio en Radio Satélite y Americanvisión y hoy desde Perú comparte entrevistas con poetas y escritores.
Te invito a escuchar las entrevistas de la 𝟭𝗘𝗥𝗔 𝗙𝗘𝗥𝗜𝗔 𝗗𝗘𝗟 𝗟𝗜𝗕𝗥𝗢 𝗜𝗡𝗧𝗘𝗥𝗡𝗔𝗖𝗜𝗢𝗡𝗔𝗟 𝗧𝗨𝗠𝗕𝗘𝗦 🇵🇪 a través de Facebook :
La bellezza dell’autunno della vitaSono candide le mie tempie, il capo è calvo. La dolce giovinezza ormai è svanita e devastati sono i denti. Della vita gioiosa ormai mi resta solo il ricordo del suo tempo breve. Spesso mi lamento per la paura degli inferi. Tremendo è l’abisso dell’Ade e inesorabile la sua discesa. (Anacreonte). Spesso l’autunno è comparato ad una stagione della vita che ai nostri tempi è molto meno amata e rispettata che in passato, quella della vecchiaia, un crepuscolo destinato a condurci all’inverno che è morte. Eppure, come per l’autunno, ci sono segni di fascino e di bellezza anche in questa fase dell’esistenza e soprattutto c’è una lezione di vita da offrire. L’autunno della vita, in Oriente, è l’età del ritiro, di quel periodo in cui, assolti i compiti della famiglia e del lavoro, si comincia ad affrontare i temi più profondi della vita. Si parla di ritiro in quanto l’essere umano ritorna a se stesso, non più concentrato verso l’esterno, il mondo materiale, ma verso la conoscenza del senso della vita. In poche parole l’autunno dovrebbe essere periodo di consapevolezza, di ricerca interiore, d’assolvimento alle domande della vita vera. Ritirarsi non significa rifiutare la vita quotidiana, anzi, in questo periodo l’essere umano diviene più maturo, più ricco d’esperienza e quindi più idoneo e preparato ad assolvere compiti sociali, per la comunità, la nazione.Tratta dalla raccolta “Il dono“, pubblicata nel 1936, “Sole d’ottobre” della poetessa Ada Negri, costituisce infatti un autentico elogio del presente, dell’istante in cui siamo immersi, nell’autunno della vita. I componimenti de “Il dono” sono dedicati alla cara amica Delia Pavoni, reduce dalla traumatica perdita del figlio Massimo, appena ventenne. Le poesie racchiuse nel libriccino sono intrise di delicatezza, di affetto, di sincerità e di amorevole cura.Sole d’ottobre di Ada NegriGodi. Non hai nella memoria un giornopiù bello, un giorno senza nube, comequesto. E forse più mai ne sorgeràun altro così bello, pe’ tuoi occhi.Se pur l’ultimo fosse di tua vita– l’ultimo, donna -, sii contenta: rendinegrazie al destino.È così pura questagioia fatta di luce e d’aria: questaserenità ch’è d’ogni cosa intornoa te, d’ogni pensiero entro di te:quest’armonia dell’anima col puntodel tempo e con l’amor che il tempo guida.Non più grano né frutti ha ormai la terrada offrire. Sta limpido l’autunnosul riposo dell’anno e sul riposotu non temi la morte. Ora che il grembonon dà più figli, e quelli che ti nacqueroa’ tuoi begli anni già son fatti espertidel mondo e van per loro audaci vie,che t’importa morir? Quand’è falciatala spiga, spoglia la pannocchia, rossoil vin nei tini, e le dorate nocichiaman l’abbacchio, e fuor del riccio scoppiala castagna, che importa la minacciadell’inverno, alla terra?..O veramentetuo questo tempo, donna: o tua compiutaricchezza! O, fra due vite, la caducae l’eterna, per te libera sostadi grazia! Godi, fin che t’è concessa.Non sei più corpo: non sei più travaglio:solo sei luce: trasparente luced’ottobre, al cui tepor nulla maturaperché già tutto maturò: chiarezzache della terra fa cosa di cielo.*Versi belli e forti, apparentemente lievi come quel pallido sole d’autunno. È chiaro l’invito della poetessa, come la terra in autunno si prepara al meritato riposo dopo aver offerto ricchezza di frutti durante tutta l’estate così la donna, dopo il fulgore, la maternità e i doni offerti nella giovinezza ha il diritto di godersi con soddisfazione la nuova stagione cogliendo ciò che di bello le offre con la consapevolezza della completa maturità.
Sono candide le mie tempie, il capo è calvo. La dolce giovinezza ormai è svanita e devastati sono i denti. Della vita gioiosa ormai mi resta solo il ricordo del suo tempo breve. Spesso mi lamento per la paura degli inferi. Tremendo è l’abisso dell’Ade e inesorabile la sua discesa. (Anacreonte). Spesso l’autunno è comparato ad una stagione della vita che ai nostri tempi è molto meno amata e rispettata che in passato, quella della vecchiaia, un crepuscolo destinato a condurci all’inverno che è morte. Eppure, come per l’autunno, ci sono segni di fascino e di bellezza anche in questa fase dell’esistenza e soprattutto c’è una lezione di vita da offrire. L’autunno della vita, in Oriente, è l’età del ritiro, di quel periodo in cui, assolti i compiti della famiglia e del lavoro, si comincia ad affrontare i temi più profondi della vita. Si parla di ritiro in quanto l’essere umano ritorna a se stesso, non più concentrato verso l’esterno, il mondo materiale, ma verso la conoscenza del senso della vita. In poche parole l’autunno dovrebbe essere periodo di consapevolezza, di ricerca interiore, d’assolvimento alle domande della vita vera. Ritirarsi non significa rifiutare la vita quotidiana, anzi, in questo periodo l’essere umano diviene più maturo, più ricco d’esperienza e quindi più idoneo e preparato ad assolvere compiti sociali, per la comunità, la nazione.
NAPOLI
Tratta dalla raccolta “Il dono“, pubblicata nel 1936, “Sole d’ottobre” della poetessa Ada Negri, costituisce infatti un autentico elogio del presente, dell’istante in cui siamo immersi, nell’autunno della vita. I componimenti de “Il dono” sono dedicati alla cara amica Delia Pavoni, reduce dalla traumatica perdita del figlio Massimo, appena ventenne. Le poesie racchiuse nel libriccino sono intrise di delicatezza, di affetto, di sincerità e di amorevole cura.
Sole d’ottobre di Ada Negri
Godi. Non hai nella memoria un giorno più bello, un giorno senza nube, come questo. E forse più mai ne sorgerà un altro così bello, pe’ tuoi occhi. Se pur l’ultimo fosse di tua vita – l’ultimo, donna -, sii contenta: rendine grazie al destino.
È così pura questa gioia fatta di luce e d’aria: questa serenità ch’è d’ogni cosa intorno a te, d’ogni pensiero entro di te: quest’armonia dell’anima col punto del tempo e con l’amor che il tempo guida. Non più grano né frutti ha ormai la terra da offrire. Sta limpido l’autunno sul riposo dell’anno e sul riposo tu non temi la morte. Ora che il grembo non dà più figli, e quelli che ti nacquero a’ tuoi begli anni già son fatti esperti del mondo e van per loro audaci vie, che t’importa morir? Quand’è falciata la spiga, spoglia la pannocchia, rosso il vin nei tini, e le dorate noci chiaman l’abbacchio, e fuor del riccio scoppia la castagna, che importa la minaccia dell’inverno, alla terra?..
O veramente tuo questo tempo, donna: o tua compiuta ricchezza! O, fra due vite, la caduca e l’eterna, per te libera sosta di grazia! Godi, fin che t’è concessa. Non sei più corpo: non sei più travaglio: solo sei luce: trasparente luce d’ottobre, al cui tepor nulla matura perché già tutto maturò: chiarezza che della terra fa cosa di cielo.
*Versi belli e forti, apparentemente lievi come quel pallido sole d’autunno. È chiaro l’invito della poetessa, come la terra in autunno si prepara al meritato riposo dopo aver offerto ricchezza di frutti durante tutta l’estate così la donna, dopo il fulgore, la maternità e i doni offerti nella giovinezza ha il diritto di godersi con soddisfazione la nuova stagione cogliendo ciò che di bello le offre con la consapevolezza della completa maturità.
I giorni, i mesi, gli anni dove mai sono andati? Questo piccolo vento che trema alla mia porta, uno a uno, in silenzio, se li è portati via. Questo piccolo vento foglia a foglia mi spoglia dell’ultimo mio verde già spento. E così sia.
Io mi innamoro delle parole, sono loro che giungono a me, io allora mi lascio avvolgere dalla loro magia. Cosi che ho incontrato lo scrittore Giovanni Ciao, medico nefrologo, che cura il corpo e l’anima. Le parole delle sue poesie brillano di luce propria, lui stesso dice” scrivo poesie non per vivere, ma per sopravvivere” Scritti nati da esperienze di vita molto forti a cui ci si aggrappa come fulcro per raggiungere un certo equilibrio Sono versi intensi, intrinsechi, che si aggrappano all’anima, che si arrampicano, cercando vette più alte, più difficili, perchè se ne va della nostra vita. Tutto ciò Giovanni Ciao lo capisce benissimo, lui che sull’altalena della vita ci sta in prima persona, in un alternarsi tra la vita e la morte, che, lui , spesso, per via del suo lavoro, accompagna. Cosa è la vita? Noi siamo in questa terra provvisori, vicini o distanti alla morte. Spesso la sfioriamo e neanche ne siamo consci. Giovanni un uomo, un medico, uno scrittore, figure ugualmente intense ed innamorate, in una fusione superba, lui innamorato dell’amore, di cui scrive intensamente, con passione. Nelle sue poesie d’amore, ci si sofferma particolarmente, perchè non sono solo ispirate, ma dedicate ad una donna, cioè sua moglie Paola. Padre, marito, medico amorevole, amante della lirica che canta con la stessa intensità della sua vita. In un mondo come questo potremmo pensare che sia una figura aliena, eh no! In questo caso siamo noi, gli alieni! Coltivare i rapporti dovrebbe essere compito di ciascuno di noi, un impegno gravoso, ma che ci ripaga circondandoci di amore. L’amore non si dice, l’amore si fa e Giovanni Ciao, lo coltiva con i pazienti, con la famiglia, con ogni persona. Un mito? Sicuramente lo è, nell’aridità dei sentimenti lui è l’oasi, il sollievo con l’esempio della sua vita, con le azioni e con i suoi versi. Leggere Giovanni Ciao ti arricchisce dentro, lui è l’amico che vorresti avere vicino, che vorresti ascoltare, in questo caso che devi leggere, leggere per capire quanto sia profondo. Una intensità, una profondità che sicuramente è frutto del suo lavoro, ma di lui, persona estremamente sensibile, che ha conservato la sua umanità, che non ha fatto del suo lavoro un abitudine, ma un esperienza metafisica. Molti medici dimenticano l’umanità, freddi, distanti, poco disponibili, arroganti, bruschi, in malattie che invece ne hanno bisogno di tanta, tanta umanità. Lui l’umanità non la dimentica, la scrive, la vive, la dona. Cosa dire ancora di questo scrittore straordinario? Leggetelo, amate ciò che scrive, ciò che dona a tutti noi, in un mondo cosi ostile, desertificato di sentimenti, di emozioni. ” Sono un medico. Ma non solo. Ho bisogno di esprimermi e condividere il mio sentire. Mi fa stare bene. Giovanni Ciao ”
APPUNTI DI VITA – Bertoni Editore – 2017 È la prima raccolta pubblicata dell’Autore. Qui si racconta attraverso la poesia l’attenzione alla famiglia, alla natura e alle piccole cose quotidiane, sentimenti così fortemente trasmessi dai suoi genitori. Si tratta di una sorta di album fotografico, dove sono presenti non scatti preparati in studio, ma istantanee, immagini in versi di ciò che circonda l’Autore e da lui più amato, con forti richiami al suo spirito mediterraneo. Un viaggio, quasi, a visitare le stanze del proprio sentire, le più nascoste, di cui l’Autore fornisce generosamente la chiave. Lo stile espressivo è evidentemente classico, con ricordi della letteratura dei primi dello scorso secolo.
E CANTERÒ DI TE – Bertoni Editore – 2020 La seconda pubblicazione dell’Autore. Raccoglie poesie dedicate alla Donna. Donne, madri, figlie, compagne…l’esaltazione della femminilità. In questa raccolta l’Autore pone su un amorevole piedistallo la Donna nel suo universale valore, con particolare attenzione alle donne che più gli sono quotidianamente accanto. Ma l’intento travalica la domesticità raccontando anche di tempi e spazi distanti dall’entourage più prossimo all’Autore, narrando così anche di realtà femminili purtroppo condivisibili in tutte le società ed epoche culturali.
I ragazzi di una quinta della Scuola Primaria dell’Alto Casertano torneranno a casa, abbraccerano i loro nonni e reciteranno loro una poesia
Non una di quelle presenti nei libri di testo, nelle antologie con i Poeti, quelli veri
Ma un semplice scritto, un pensiero di un perfetto sconosciuto: Giovanni Ciao …
Penso a questi ragazzi che dicono a memoria quello che ho scritto per una persona anziana
Ed è un’immagine che mi emoziona
Mi riempie di gioia. E di umile orgoglio
Un caro grazie alla Maestra Nicolina, per aver pensato a me e consegnato il mio sentire agli occhi e al cuore di questi ragazzi distanti da me centinaia di chilometri e ora a me così tanto vicini
E un abbraccio a tutti i Nonni e non, comunque nostre sorelle e fratelli anziani
Un poeta rimane comunque una donna o un uomo, con i propri limiti legati all’essere umano. Non me la sentirei mai di idolatrare un poeta solo perché scrive cose “belle”. Dico solo che il vero poeta esprime sentimenti (ch’essi siano di rabbia, d’amore, di compassione, di ribellione o quant’altro) che sono realmente sentiti, anche se poi, per i propri limiti appunto, non sempre vengono messi in pratica. Giovanni Ciao.
Penso che il vero valore di chi scrive poesia sia quello di trasmettere un sentimento condivisibile, che possa poi far “nascere” in chi legge un sentimento analogo. Qui, secondo me, sta lo spirito della poesia: la parola che fa (ri)nascere. Giovanni Ciao
Tutto questo ed ancora, è Giovanni Ciao. Persona di grande spessore e umanità, le sue parole ci entrano di getto, una sorsata di acqua fresca e rigenerante.
Innella tratta di sé in questi bei versi senza cadere nell’egolatria. Supera addirittura un raffinato egotismo stendhaliano, che lo aveva contraddistinto molti anni fa. Con questa raccolta dimostra di aver superato la sua “notte dell’anima”. Queste poesie sono frutto di un combattimento interiore. Quando una persona fa meditazione per anni e intraprende un cammino spirituale spesso le capita di lottare contro i propri elementi fantasmatici. Ognuno ha le sue fratture psicologiche e i suoi fantasmi. Importante è saperli affrontare. Il poeta scrive a riguardo di “antiche presenze, che infestano da sempre la mente”. Chi nega di avere dei fantasmi mentali non è onesto intellettualmente o non si conosce abbastanza. Per dirla alla Bion ognuno ha i propri nuclei psicotici. Il nostro poeta li affronta. Ma le “antiche presenze” possono anche essere immagini primordiali antiche, archetipi appunto. Il percorso interiore e poetico di Innella consiste nello scavo di sé, nel lavoro di sé per rendere conscio l’inconscio. Ci riesce in modo egregio. Innella ha lottato e ha vinto questa lotta interiore. A mio avviso è approdato all’equilibrio interiore o almeno a stati di coscienza, di consapevolezza superiori. Intendiamoci subito: diventare persone spirituali non è cosa per niente facile perché ci sono tanti ostacoli, tante difficoltà. Nella migliore delle ipotesi nelle nostre vite, se si è persone oneste, dobbiamo sempre convivere nostro malgrado con “la comunella di malvagi” di cui scriveva Michelstaedter. Se mi chiedete però se Innella è un uomo pienamente risolto vi posso solo rispondere che nessun uomo e nessuna vita interiore sono pienamente risolte. Se considerate alla fine di ogni vita qualsiasi parabola esistenziale c’è sempre qualcosa di incompiuto. Il poeta a ogni modo lascia parlare nelle sue poesie il caro daimon socratico e lo fa in modo impeccabile. Il poeta percorre “la via interiore”: quella del “mistico silenzio” che porta a trascendere i conflitti interiori. Ora il discorso è che una parte della critica, come reazione avversa all’ipertrofia dell’io di molti autori neolirici, auspicherebbe la rimozione dell’io lirico. Ma mi chiedo io quanto io c’è nel mondo e quanto mondo c’è nell’io? Impossibile distinguere con esattezza il viaggio di andata e ritorno che ognuno compie tra il proprio io e il mondo. Non si può discernere con esattezza. È un gioco di specchi incredibile, fatto di introiezioni del mondo nell’io e di proiezioni dell’io nel mondo, la nostra vita. C’è un’interazione continua tra io e mondo. Inoltre in Innella non c’è traccia di superomismo né di culto della propria personalità. Poi per dirla all’Innella è inutile cercare di scacciare l’io perché ritorna sempre. Piuttosto ci vuole autoconoscenza e visione delle nostre problematiche interiori. In questa raccolta abbiamo lo smarrimento di un io che prende visione della miseria ontologica pascaliana (cioè essere una minuscola cosa di fronte all’immensità: Innella a tal proposito scrive di essere “un frammento dell’Assoluto”). Il poeta parla con il cuore in mano a tutti. Affronta tematiche complesse e spinose in modo comprensibile. Le sue belle poesie possono essere comprese dai più, anche se talvolta hanno il doppio, il triplo fondo e possono avere svariati livelli, diverse chiavi di lettura. Di sicuro questa raccolta è stata una lettura piacevole, anche perché ogni parola, ogni espressione è ponderata, calibrata, misurata; ogni parola ha il suo posto preciso e di ogni parola viene stabilito il suo peso specifico. Nel peggiore dei casi queste poesie vi consoleranno perché Innella interloquisce con voi, conosce bene i vostri animi, sa che siete suoi simili e suoi fratelli. Dispiace che questo autore, che spicca per bravura e umanità, non sia adeguatamente conosciuto in un Sud che avrebbe bisogno di ascoltare la voce di poeti come lui. Ma il discorso si fa più ampio perché l’Italia intera disconosce, mortifica, bistratta poeti validi, che restano sconosciuti ai più. Tra i tanti che scrivono versi il nostro si distingue per la ricerca interiore e la sobrietà stilistica, anche se essere poeti oggi è impresa da folli e la strada è impervia, è tutta
Si racconta di una dolcezza su gambe da trampoliere. Prese in ostaggio un desiderio inestinguibile e parlava tutte le lingue come gli alberi nel bosco parlano il vento
Soverchiante epifania chi mai avrebbe potuto sopportarla?
Per questo il tempo è stato diviso in anni gli anni in mesi i mesi in giorni e poi io e te
(Tradotto e ripubblicato da Frida la loka) – Lombardia
È morto l’argentino candidato al Nobel di Letteratura 2022. Si chiamava Noé, e con i suoi 94 anni, era il patriarca degli scrittori argentini. Esiliato dovuto alla dittatura.
Era Cavaliere delle Arti e delle Lettere in Francia e quest’anno, candidato al Premio Nobel.
《Non l’ho mai conosciuto, ma quando lesse la saga ” Africa “, mi recapito un commento molto riconoscente, esagerato sicuramente, oggi compare nella sovraccoperta dei miei 5 libri》
H. Lanvers
Dicono ch’era l’uomo più esperto nella Letteratura argentina e non solo, a livello umano era un brav’uomo e molto onesto, come successe con Borges. Il Premio Novel ha perso un’altro personaggio incredibile.
Fra mille e mille di alunni e lettori che lo ricorderanno con affetto se n’è andato il vecchio saggio della Aldea della Cultura argentina .
Abbiamo perso a Noé Jitrik .
Ha diretto una monumental opera composta da 12 volumi, intitolata ” Historia crítica de la literatura argentina” (Storia critica della letteratura argentina), che scrisse tra tanti altri libri.
Foto a sinistra: Jitrik con lo scrittore J. Saramago* in attesa della cottura della grigliata nel cortile della legendaria Libreria Notanpuán, in San Isidro, Buenos Aires.
*(José de Sousa Saramago è stato uno scrittore, giornalista, drammaturgo, poeta, critico letterario e traduttore portoghese, insignito del Premio Nobel per la letteratura nel 1998). Wikipedia.