(Adnkronos) – I dati del rapporto Influnet, 762mila italiani a letto solo nell’ultima settimana, ci dicono che “l’influenza è tornata peggio di come ci aveva lasciato nel 2019 ed è partita a razzo, siamo tornati alla forza propulsiva dell’influenza del 2009 con numeri alti anticipati rispetto alla stagione. Abbiamo numeri importanti già a fine novembre. Sicuramente oggi fa paura anche per tutto quello che si porta dietro con una quantità di virus paninfluenzali, patologie da pneumococco e anche polmoniti. Qualcuno dice rimettiamo le mascherine, io dico assolutamente no. Questi microorganismi devono circolare e hanno sempre circolato, ci dobbiamo proteggere ma come? Ad esempio, abbiamo perso molto la copertura per lo pneumococco, la vaccinazione da polmonite, ma anche quelle per l’influenza”. Così all’Adnkronos Salute Matteo Bassetti, direttore Malattie infettive ospedale Policlinico San Martino di Genova.
La curva influenzale “continuerà a crescere perché questo è solo l’inizio”, avverte l’infettivologo. “Oggi l’incidenza è altissima tra i bambini piccoli, ma dove arriveranno gli adulti e poi i nonni. I primi perderanno qualche giorno di scuola ma i nonni finiranno in ospedale? Gli anziani – suggerisce in conclusione Bassetti – in queste due settimane che ci separano dal Natale invece di correre a fare i regali correre a fare il vaccino antinfluenzale”.
La Polizia di Stato in azione nei comuni di Arquata e Serravalle Scrivia per un’incisiva attività di controllo del territorio.
Proseguono i controlli straordinari disposti dal Sig. Questore di Alessandria su tutto il territorio provinciale al fine di presenziare in quei luoghi e in quelle aree in cui, l’opera continua di osservazione oltre che alle preziose segnalazioni dei cittadini, ha fatto emergere la necessità di una più incisa presenza della Polizia di Stato per dare un segnale di operatività oltre che per garantire il principio sempre fondamentale di legalità.
Nei giorni scorsi, al proposito, è stato effettuato un servizio mirato nelle stazioni ferroviarie di Arquata Scrivia e Serravalle Scrivia e nelle aree adiacenti tramite il personale della Questura, del Posto Polfer di Novi Ligure, del Reparto Prevenzione Crimine di Torino, delle Polizie Municipali di Serravalle Scrivia e Arquata. Importante anche la presenza di Orso Grigio, il cane antidroga in servizio presso la Polizia Locale di Alessandria, grazie al suo infallibile fiuto, è stato possibile rinvenire nell’area verde adiacente la stazione di Serravalle Scrivia un involucro di cellophane a chiusura ermetica contenente della sostanza stupefacente, nella fattispecie marijuana del peso di 68.5 grammi. Sostanza che veniva sequestrata a carico di ignoti.
L’attività è stata svolta ad ampio raggio ed in particolare venivano controllati alcuni locali pubblici nei pressi delle stazioni ferroviarie. In uno di questi, gli operatori notavano un uomo che si dirigeva verso il bagno all’ingresso delle Forze dell’Ordine. Questo, dopo l’identificazione, veniva sottoposto a perquisizione personale da cui emergeva che era in possesso di modiche quantità di hashish e marijuana, mentre nel bagno dove si era appena recato venivano rinvenuti a terra un paio di frammenti di cellophane di colore bianco vuoti e con segni di termosaldatura, tipicamente utilizzati per confezionare sostanza stupefacente in polvere, tipo cocaina. L’uomo veniva segnalato all’Autorità Amministrativa ai sensi dell’art. 75 del DPR 309/90 (possesso per uso personale).
Complessivamente, nell’arco dell’interno turno di servizio, sono state controllate 40 persone di cui 10 con precedenti di Polizia.
I progetti di una maggior presenza sul territorio proseguiranno nelle prossime settimane anche e soprattutto per l’avvicinarsi del periodo natalizio, al fine di incrementare il senso di sicurezza nella popolazione.
Dentro il soffio labile
d’una vertigine
ravvedo il senso sconfinato
d’un vortice di buio.
Una collisione amara
di pensieri senza verbo
sorseggiati
nel deserto della sera.
E’allora che tracima la guazza
d’un’assenza lancinante
divenuta grave
dietro la tenda della vita
molestata dallo sguardo d’uno strige.
@Silvia De Angelis
Sonetto a rime incrociate e ripetute ABBA ABBA CDE CDE.
I puffini sono uccelli marini, dell’ordine dei palmipedi. In questo sonetto pare si chiamino, si salutino, ridano e gioiscano insieme (Lavezzi). Un quadretto impressionistico, disegnato con tratto preciso e raffinato, che alterna sensazioni visive e uditive in rapida successione. Il soggetto del quadretto, i puffini, compare solo al v. 7. Parafrasi. ‘un rigo di carmino’: una riga di rosso vivo; ‘recide’: taglia; ‘marezzate’: mosse da increspature con riverberi; ‘cerula’: azzurro chiaro; ‘randa’: vela trapezoidale; ‘Pur’: eppure; ‘garbino’: libeccio; ‘oziose’: la dieresi allunga il verso; ‘chiacchiericcio’: sostantivo onomatopeico; ‘ad ora ad ora’: a intervalli; ‘risacca’: le onde a riva; ‘stagliate’: visibili come se fossero ritagliate; ‘l’oro e il fuoco’: i colori dell’alba e del tramonto; ‘paranzelle’: barche da pesca piccole e veloci; ‘dondolano’: verbo onomatopeico; ‘mar liscio di lacca’: immobile e lucido.
LA GATTA, di Giovanni Pascoli, recensione di Elvio Bombonato
Era una gatta, assai trita, e non era d’alcuno, e, vecchia, aveva un suo gattino. Ora, una notte, (su per il camino s’ingolfava e rombava la bufera)
trassemi all’uscio il suon d’una preghiera, e lei vidi e il suo figlio a lei vicino. Mi spinse ella, in un dolce atto, il meschino tra’ piedi; e sparve nella notte nera.
Che notte nera, piena di dolore! Pianti e singulti e risa pazze e tetri urli portava dai deserti il vento.
E la pioggia cadea, vasto fragore, sferzando i muri e scoppiettando ai vetri. Facea le fusa il piccolo, contento.
GIOVANNI PASCOLI, Poesie Varie, 1885
La lirica è un quadretto di genere. Le gatte accudiscono i propri cuccioli fino al terzo mese, credo, poi li ignorano. La gatta è logora, randagia, anziana; mentre infuria la bufera, miagolando, affida il suo gattino al poeta, e sparisce. L’ultimo verso è tenerissimo. Troviamo alcuni topoi pascoliani: l’ambiente ostile che assedia il nido, la cui figura dominante è la madre.
Anche la gatta lo è. Il fuori è minaccioso, il dentro rassicurante perché la madre lo rende tale. La poesia è un sonetto canonico, di impronta petrarchesca, con endecasillabi piani. Rime: incrociata ABBA ABBA, e ripetuta CDE CDE. Lessico usuale, impreziosito da alcuni arcaismi: trassemi (pronome personale in fondo al verbo); singulti (singhiozzi, deverbale); sparve (sparì); cadea/facea (con uscita in ‘ea’, anziché ‘eva’). Un climax forte a quattro voci: pianti singulti risa pazze tetri urli. I tempi dei verbi sono il passato remoto e l’imperfetto.
Aman è Parola che vibra sensibile e altruista, nella sostanza più immedesimativa e compartecipata, perché di queste qualità sublimi è composto il suo cuore travagliato.
Si tratta di una sensibilità che non nasconde nulla, perché il suo canto dell’anima si mostra visibile e allo scoperto, anche nell’acutezza del proprio tormento esistenziale, senza filtri simbolici, senza melliflui giri di parafrasi e metafore, senza mezze misure, mai in compromesso con sé stessa, vera fino alla sorgente dello spirito colorato d’Amore, che si fa strada attraverso la roccia più dura e impietosa della vita. Le sue espressioni liriche sono monumenti alla sincerità.
Antonella, come me, è convinta che la grandezza del valore umano passa proprio dalla rappresentazione del “fragile, piccolo e debole”, per costituirsi verità a servizio perenne dell’umanità intera.
Gli addii (a Francesca) di Luciano Erba – recensione di Elvio Bombonato
potrebbe essere l’ultima volta che li vedo mi dici dei tuoi compagni di classe che ti hanno fatto far tardi oggi che è finita la scuola dovrei sgridarti e sto invece ad ammirare i tuoi quaderni ben ordinati (con qualche sbavatura d’inchiostro di dita sudate di giochi di giugno) in autunno andrai alle superiori e questa tua bella scrittura un po’ tonda potrebbe essere l’ultima volta che la vedo.
LUCIANO ERBA (1980)
La figlia adolescente ha finito la terza media, arrivando tardi a casa. Il padre si intenerisce, e pensa al tempo che vola. Un’Italia che non c’è più, come il corsivo dei quaderni di Francesca.
La quale non è una futura velina, che aspira a mostrarsi in televisione, e non ha lo smartphone. Sapiente andamento prosastico per riprodurre il lessico famigliare; assenza di punteggiatura – tranne l’inciso –, mimesi del parlato.
Notevole il telaio metrico: il primo verso e l’ultimo – quasi identici – sono di 14 sillabe; il secondo e il penultimo di 12; il v.6 è un decasillabo in mezzo ai v.5 e 7, endecasillabi.
EUGENIO MONTALE, SU UNA LETTERA NON SCRITTA, recensione di Elvio Bombonato
Per un formicolìo d’albe, per pochifili su cui s’impigliil fiocco della vita e s’incollaniin ore e in anni, oggi i delfini a coppiecapriolano coi figli? Oh ch’io non odanulla di te, ch’io fugga dal baglioredei tuoi cigli. Ben altro è sulla terra.
Sparir non so né riaffacciarmi; tardala fucina vermigliadella notte, la sera si fa lunga,la preghiera è supplizio e non ancoratra le rocce che sorgono t’è giuntala bottiglia dal mare. L’onda, vuota,si rompe sulla punta, a Finisterre.
EUGENIO MONTALE, agosto 1940; poi in “La bufera e altro”.
E’ una poesia di assenza e di lontananza; anche da Clizia (Montale). Lo sfondo di guerra c’è (Montale). Clizia è il senhal con cui M. indicava Irma Brandeis, la studiosa americana, con la quale ebbe una tormentata relazione amorosa a Firenze, dal 1933 al 1938.
Coppie di delfini giocano coi figli, immagine di innocenza e di gioia di vivere, alla quale si contrappone la realtà storica di distruzione e di morte (la II guerra mondiale iniziò quasi un anno prima): la fucina vermiglia. ‘Distilla veleno una fede feroce’ – il nazismo -: “Dora Markus”, la cui seconda parte fu scritta nel 1939. Nel buio cupo dei tempi è necessario respingere ogni tentazione o promessa di un’impossibile salvezza, ne fosse portatrice Clizia stessa (Dante Isella). Il messaggio contenuto nella bottiglia gettata nell’oceano, è inghiottito dall’onda, fino all’estremo promontorio dell’Europa. Ma la bottiglia è vuota, la lettera non è stata scritta, perché anche pregare per l’impossibile salvezza, è un supplizio. Come sempre in Montale, la tragedia della storia diviene dramma esistenziale, ossessione provocata dalla comunicazione interrotta dall’incertezza e dall’attesa della fine.
Questo commento al più noto e amatissimo libro di Charlotte Bronte è scritto unicamente per convincere gli scettici, repellenti ai presunti romanzi romantici, a leggere questo capolavoro.
Statemi a sentire: Jane Eyre non è una storia d’amore.
Jane Eyre è LA storia d’amore.
No, aspettate, non ci siamo certamente intesi: Jane Eyre è il tempio di un racconto in prima persona sull’amore per sé stessi.
E non c’è niente di più importante, necessario, salvifico che imparare ad amarsi.
Come? Strutturando la propria impalcatura personologica libera, ascoltando il proprio sentire e rimanendo fedeli a sé stessi con tutte le proprie forze anche andando contro le proprie pulsioni di Eros (e guardando dritto in faccia Thanatos).
L’autobiografia di Jane Eyre è tutto questo: una parabola ascendente meravigliosa della crescita umana e dell’evoluzione di una personalità magnifica, gigantesca in contrapposizione alla minutaggine del fisico e delle doti estetiche (più volte non a caso sottilineate dalla Bronte). Un accrescimento vitale e appassionato di una giovane donna che decide che amarsi e rispettarsi non è secondario a nulla, neanche all’amore per un uomo.
Il lettore respira, giace, soffre, urla e tace con Jane in ogni singolo episodio della sua esistenza, così meravigliosamente narrato dalla Bronte, che dai dieci anni d’età la porta a circa il ventesimo anno della sua esistenza.
I primi capitoli della sua infanzia sono uno strappo al cuore, lacerante e sofferto. I più bei capitoli romanzati sul maltrattamento infantile che io abbia mai letto in vita mia. Ho pianto, in diversi passaggi.
E poi il XXVII capitolo, il momento più importante e sconvolgente della sua esistenza in cui mostrerà la sintesi della sua fermezza e del suo essere salda, forte e risoluta.
Controcorrente, specie in epoca vittoriana, e allo stesso tempo estremamente emancipata da renderla una donna dei nostri giorni.
Jane è intelligente, misericordiosa, attenta, precisa, risoluta, saggia e impetuosa insieme, appassionata, gentile e onesta.
Come? Genetica certamente, ma più di tutto perché credente in un’unica fede: la moralità che nasce dall’educazione e dall’istruzione, dalla vera conoscenza delle cose di questo mondo, dai libri.
A questo Jane voterà tutta sé stessa e non sbagliera’ neanche un solo passaggio, costi quel che costi.
Oh, si, una storia d’amore per un uomo c’è certamente, ma è sempre narrata in funzione del compimento di una vita piena, di una scelta coerente di fedeltà a sé stessi.
Questo è un libro in cui non conta il finale, conta il processo.
Segui quest’attimo colmandolo di motivi per respirare, non concederti, non negarti,
non parlare solo per parlare.
Io non ti chiedo di andarmi a prendere
una stella celeste,
ora solo chiedo che il mio spazio
sia pieno della tua luce.
MARIO BENEDETTI, gennaio 2013
La lirica, autobiografica, si fonda sul parallelismo “io non ti chiedo/ ti chiedo”, anafora iterata sette volte, che la avvolge tutta, come una spirale in crescendo. La poesia è un cerchio, perché inizia e termina con “stella celeste” e “la tua luce”.
La tautologia dell’incipit richiama il ‘placido Don’ (romanzo di Solochov), e la gialla luna, sintagma replicato, sono due lacerti di paesaggio sereno e felice. Ma la poetessa è malata perché sola: il marito ammazzato dai sovietici, il figlio in prigione.
Due strofe di 9 endecasillabi l’una, priva di rime. L’omaggio al padre è arricchito da metafore notevoli: gli occhi aperti di sorriso, neri come le rondini del mare; la voce del padre; la notte ci ama fin dentro il sonno; gli uomini incamminati verso l’alba. Degna di stare accanto alla poesia di Sinisgalli e a quella di Quasimodo., entrambe dedicate al proprio padre.
è il primo Govoni (1884-1965), quello crepuscolare, il quale descrive la realtà umile e quotidiana di un pomeriggio estivo, con l’afa soffocante. Piccole cose, che provocano nel poeta delle sensazioni, tradotte in immagini. Come spesso in Govoni, è una poesia visiva, composta sfruttando il meccanismo dell’elenco. Alcune immagini sono delle analogie (metafore forti, con collegamenti insoliti e inattesi), piene di colori. Le poesie di Govoni sono ricche di colori, espliciti o sottintesi: è il loro fascino.
La poesia consta di quattro quartine, a rima incrociata: ABBA, CDDC, EFFE, GHHG. Nella seconda strofa DD sono una quasi rima assonanzata; ma i fonemi t e d sono dentali, sorda e sonora). I versi sono prevalentemente endecasillabi, con altri più brevi, dal novenario al ternario.
Si tratta di un elenco: il poeta cammina sotto l’afa e guarda le cose che lo circondano, prevale la paratassi (frasi brevi, coordinate), che dona immediatezza di scrittura e facilità di lettura. Il ritmo è lento, per rendere la calma; usa anche alcuni enjambement (quando la frase non finisce nel verso ma prosegue in quello successivo) volutamente, per pausa o rallentare la lettura. Già l’incipit: il primo verso, un settenario, è spezzato ma prosegue con lo stacco del soggetto dal verbo; l’antica / Certosa separa l’aggettivo qualificativo dal sostantivo che resta isolato. Altro enjambement troviamo ai vv. 7/8, forte perché stacca il soggetto dal verbo; ancora ai vv. 13/14 e nel finale (enjambement debole in quanto stacca solo il complemento di modo). La poesia è un cerchio perché il titolo e l’explicit (il finale) coincidono. Nella poesia moderna il titolo spesso fa corpo col testo.
– velata di fatica: l’afa pesante: analogia.
– in panna: fermo; analogia, l’aggettivo non appartiene al campo semantico del pomeriggio.
– Certosa: chiesa, antica dei certosini.
– l’azzurro crepiti; il cielo (metonimia: il colore al posto dell’oggetto); crepiti: l’aria secca pare provocare un crepitio ai passi del poeta (analogia fortissima, in quanto la spiegazione richiede una serie di passaggi per ricostruire la similitudine originaria: come la legna verde crepita nel focolare così i passi del poeta risuonano nell’aria resa pesante dall’afa).
– pugnali di sole: i raggi che feriscono (Il” trafitto da un raggio di sole” di Quasimodo verrà 30 anni dopo): altra analogia forte per la violenza del sostantivo, con spostamento del campo semantico dalle armi all’astronomia.
– tassi: alberi delle conifere.
– coppi: mattoni curvi, tegole.
– vento e pioppi: il vento agisce come un pettine (analogia).
– le campane spennellano l’aria: il movimento avanti/indietro delle campane somiglia al movimento del pennello di un pittore macchiaiolo o impressionista; analogia davvero originale, straordinaria perché visionaria,
– il micio (gattino) bianco solleva la pancia rosa come quella di un maialino: similitudine (paragone composto di due frasi collegate).
Ho contato almeno 11 immagini, trovate dallo sguardo del poeta, una festa di colori in quasi ciascun verso; alcune sinestesie (figure retoriche che accostano parole appartenenti a organi di senso diversi: v.5 udito/tatto; v.6: vista/udito; vv. 13/14: udito/vista).
L’immagine finale vale da sola tutta la poesia: unisce il gesto concreto del gattino al sentimento di affetto che esso suscita nel poeta e nel lettore.
Cristina Campo (Bologna 1923 – Roma 1977) fu una traduttrice eccelsa. Poetessa solitaria, riservata, “di natura anacoretica”, coltivava il culto per i mistici, come l’inglese del ‘600 John Donne e lo spagnolo Juan de la Cruz. Fu amica e sodale di Mario Luzi, Elémire Zolla, Roberto Bazlen. Questa lirica è la traduzione di una poesia dello scrittore tedesco Eduard Frederich Morike (1804 – 1875); concentrata e criptica, consta di 4 endecasillabi e 5 settenari, metricamente perfetti, in assenza di rime. La parola chiave, primavera, apre e chiude. Notevoli: Scioglie il suo nastro azzurro (il cielo); rigano di presagi; trasognate viole chiedono di sbocciare; un tocco d’arpa, chissà dove! L’ultimo verso ripete il titolo. Commento con una doppia citazione: “Poesia è l’arte di caricare ogni parola del suo massimo significato” (Ezra Pound) e “che ogni parola abbia un sapore massimo” (Simone Weil).
Non voglio svelare molto di questo libro estremamente intrigante, scritto benissimo.
Un treno, un racconto pubblicato su Le Monde, un esperimento dove l’erotismo gioca un gran ruolo. Una seduzione (non voglio spoilerare) che prenderà diverse strade.
Io amo il mare. Il mare che mi fu rapito da fanciullo. Allora capita che mi metta a sognare come sarebbe stata la mia vita con lui al mio fianco. Immagino che raramente sarebbe stato sempre lo stesso.
Esso è in continuo movimento come il mio animo, come i miei pensieri. Sarei somigliato a lui: mai quello del giorno prima e mai come quello di domani. Immagino che nelle giornate di vento, il mare mi avrebbe portato il calore di terre lontane.
E come in immensi campi, le onde avrebbero tracciato polverose strade fatte di schiuma. Le barche le immagino come solitarie e sperdute cattedrali, dove ognuna per suo conto, vagava in cerca di un porto sicuro. Le nubi e il vento avrebbero alternato, come artisti del colore l’illusione, che il mondo cambia, pur restando sempre lo stesso. Immagino che ci sarebbero stati continui alternarsi di umori, di caldo, di freddo, di quiete, di calma, di tempeste, così com’è il mio spirito, in continuo movimento. Io amo il mare, il mare che mi fu rapito da fanciullo.
Ancora un’ altra piacevole scoperta dalla mia biblioteca cartacea, un po’ trascurata di questi tempi, dove mi capita talvolta di trovare qualche libro che non avevo ancora letto; ed ecco qua I sette quadranti, libro un po’ atipico nella produzione della Christie. Infatti non si tratta del classico giallo ma di una spy story, anche se non mancano neppure un paio di morti.
Anche qua non è presente nessuno dei classici investigatori nati dalla penna della nostra scrittrice ma troviamo a condurre le indagini una giovane donna a cui non manca l’iniziativa, Eileen Brent, che si fa coinvolgere in un intrigo misterioso in cui compare una associazione segreta denominata I sette quadranti.
In un ambiente aristocratico molto britannico, che si muove tra la residenza di campagna di Chimneyes e Londra, sfilano davanti ai nostri occhi vari personaggi- giovani uomini, donne misteriose, ragazze indipendenti ed amanti del rischio, uomini più maturi, compreso un ispettore di Scotland Yard del tutto particolare – e non mancano i colpi di scena sino al chiarirsi del mistero che arriva proprio nel finale del libro, sorprendendo il lettore, anche se, ripensandoci, la Christie ha effettivamente disseminato qua e là un bel po’ di indizi, che comunque non è facilissimo cogliere, almeno secondo la mia opinione.
Pur non essendo questo romanzo uno dei migliori della Christie, è tuttavia un libro godibile, scritto con il solito stile classico ed elegante di questa scrittrice.
Una delle cose che amo di più è vagabondare tra gli scaffali delle librerie, e qui spesso incontro libri che diversamente non avrei avuto modo di conoscere.
E quasi sempre sono incontri belli, come è stato per questo libro, di un’autrice che non conoscevo.
Ambientato in un piccolo paese della Sicilia, è una storia d’amore, anzi di amori, sarebbe più preciso dire.
Tutto qui, direte voi. Ancora l’amore, per l’ennesima volta, già narrato con molteplici abiti di sempre diversi…
E no, invece, questa è una gran bella storia, che davvero val la pena di leggere, e che non si dimentica.
Amore per le proprie radici, per la propria terra, in questo caso la Sicilia, terra di sole e di mare, ma anche di di crimine e dolore, amore per le donne, che pur lungamente vessate da una cultura maschilista, sono parte integrante della vita degli uomini.
E sono forti e coraggiose le donne di questo romanzo.
Agata , che gestisce un tabacchino, bella e intangibile, con un amore che la vedovanza lascia inalterato, Lisabetta, l’erborista un po’ maga che cura il corpo e l’anima della gente, Lucia, che dalla solitudine di una vita si difende come può ,e la Saracina, una splendida tenuta che sarà un po’ al centro di tutta la narrazione.
Personaggi maschili molti, legati nel bene e nel male a queste donne, ma di questi non vi parlerò, dovrete scoprirli voi.
Una narrazione stilisticamente perfetta, con note dialettali che rimandano alla più pura tradizione letteraria siciliana, che fa capo al Verga e, in tempi più recenti a Camilleri, piacevole, musicale, volta alla composizione di una trama che confluisce in un’utopia vestita da sogno, un sogno bello , per un’avvenire migliore, che ha tutte le speranze e le possibilità di potersi avverare.
Bravissima questa scrittrice, sicuramente una delle migliori penne contemporanee.
Sicuramente un libro da non perdere, ma anche da conservare gelosamente per poterlo poi, rileggere.
Un segreto nascosto per anni, custodito, blindato dal resto del mondo. Tra i ricordi legati alla mia infanzia uno in particolare, irreale sotto alcuni aspetti, è un’esperienza di vita che mi è stata cara ed è ancora lì, nel mio cuore. È un ricordo singolare: basta un nonnulla per riattivare la memoria, perché noi siamo i ricordi e per questo ho cura di loro.
Un giorno qualunque, come di consueto, mi allontanai da casa per avviarmi in prossimità del bosco che era circondato da alte montagne: un posto che inseguito divenne il mio habitat. Una volta arrivata non persi tempo a iniziare il mio gioco preferito, quello di imitare il canto degli uccelli che a loro volta si mostravano lusingati per il mio tentativo di aprirmi a una relazione con l’ambiente circostante. Insieme a loro, in un’armonia festosa, avvertivo una suggestione. Un incanto alimentava quello strano concerto, quando a un tratto il silenzio fece da padrone. Udii un ritornello, cantato da una voce di donna, innalzarsi sopra di noi: una melodia che arrivava dalla collina. Incuriosita, m’inoltrai in direzione della voce, così acuta da zittire tutti gli animali abitanti della selva. La cantante era vestita con noncuranza, trasandata, disordinata, con un cappellino in testa, messo all’indietro come per dire: «È così!»
Quando ebbi il piacere d’incontrarla, lei generosamente mi sorrise, protese la sua mano e, presentandosi, mi disse il suo nome: «Marta».
Da quel giorno m’insegnò la sua musica, capace di trasportarmi in un mondo fantastico che, ancora, non ho capito cosa fosse di preciso. Il nostro canto sincronizzato, all’unisono, s’innalzava fino a toccare il cielo.
A Marta piaceva perdersi nei suoi monologhi, con il suo modo di parlare, gesticolando. Immaginava di scambiare parole con persone, oppure vedeva personaggi fantasiosi che, pontile si affacciavano nella testa. Quando Marta camminava in paese, i bambini, in compagnia degli adulti, la prendevano in giro e si divertivano schernendola.
Nell’osservarli, soffrivo molto, anche perché inevitabilmente al suo passaggio si sussurravano credenze erronee o cupe fantasie. Marta, incurante, per tutta risposta li guardava e passava. Devo confessare che, in sua compagnia, mi sentivo una principessa e lei diventava la mia regina, e come per magia la sua voce, mentre bevevo ogni sua parola, mi dava la sensazione di assaporare uno squisito gelato. Assaporavo tutto quello che lei diceva.
Estasiata, non volevo perdermi nulla.
Il tempo scorreva, come sempre, e al tramonto ci salutavamo per rientrare nelle nostre rispettive dimore.
Ricordo che, una sera, mia madre a tavola, in presenza della famiglia, mi riprese con queste testuali parole: “Tu con quella pazza non devi avere nulla a che fare, capisti!»
Annuii con la testa osservando mio fratello, di fronte soddisfatto, mentre mi faceva la linguaccia, contento per il rimprovero. Con mio dispiacere, anche gli altri presenti si unirono a dare ragione alla mamma. Solo mio padre prese le mie difese: «Lasciala stare! Non fanno niente di male, cantano e basta! Cosa vuoi che sia un canto? Male non fa! “Mia madre non si diede per vinta e disse: «Tutto il paese considera Marta strana per non dire pazza… Non vorrai che su tua figlia cada la stessa insinuazione?!»
Papà si alzò di scatto con voce autorevole, per farsi sentire anche dai sordi: “Hai detto bene: insinuazioni! Questi sono solo pettegolezzi di persone che sono sempre lì a giudicare il prossimo! Noi dobbiamo essere lontani da questo bisbiglio continuo: un sussurrare che non ci appartiene. Eva non commette alcun errore a frequentarla. Le ho osservate nel bosco e non hanno fatto altro che cantare e ridere; questo non mi sembra affatto strano! Non voglio più sentirti riprendere la bambina per queste stupidaggini. Lasciala libera, non è scema!» Detto questo si ritirò nella sua camera, non prima di avermi strizzato l’occhio in segno di approvazione.
Mamma rimase a bocca aperta, non fece nessun commento all’omelia del marito e, nel guardarmi, alzò le spalle come per dire: veditela tu!
Da quel giorno spesso andai a trovare Marta nel bosco. Il silenzio mi aiutava a carpire la sua presenza. La seduzione del posto dove ci s’incontrava si sentiva a pelle e, nonostante la mia tenera età, captavo quell’attrattiva ogni volta che mi trovavo in sua compagnia. Marta, una donna con mille risorse, grazie alla sua ricchezza interiore affascinava tutti quelli che riuscivano a conoscerla per davvero. Non a caso si avvicinò a lei, prima come amico e poi come marito, un giovane del posto molto sensibile, e Marta non rifiutò le sue attenzioni. Un giovane geologo che, appieno titolo, conquistò il cuore di Marta, fino a farla diventare sua sposa e madre dei suoi figli.
Tutto il paese fu incuriosito dall’evento del matrimonio di Marta.
In chiesa accorsero numerosi per guardare la sposa che non disdegnò l’attenzione dei presenti regalando loro sorrisi luminosi. Il mormorio, alle spalle della coppia, sembrava non avere fine, tanto è vero che il parroco fu costretto più volte a invitare i fedeli al silenzio. Persino la mia famiglia, nonostante fosse a conoscenza della nostra amicizia, non risparmiò i commenti senza curarsi della mia presenza. Per mio conto continuai a guardare felice la coppia, strizzando l’occhio come faceva mio padre, che era assente, quel giorno, per ragioni di lavoro.
In seguito, nonostante Marta avesse impegni di moglie e madre, non smise di venirmi a cercare nel nostro spazio, lì nel bosco, per parlare e ridere anche di cose banali che, però, a noi bastavano.
Una volta arrivò in compagnia del suo gatto dallo sguardo umano. Avvertivo un certo disagio e facevo fatica a osservarlo, ma Marta mi rassicurò nel dirmi che il suo gatto, in un’altra vita, era stato una persona e che ora la sua anima era prigioniera nel corpo di un animale. Mi disse che anche lei in passato era stata una volpe furba e intelligente. A questo punto mi chiesi io chi fossi stata, e non feci in tempo a formulare il pensiero che Marta mi anticipò rispondendomi: «Tu eri uno scoiattolo rosso, vivevi nella foresta, eri disseminatore all’interno del bosco, grazie all’abitudine tipica degli scoiattoli di sotterrare e nascondere scorte alimentari, proprio come fai adesso che mi porti avanzi di pranzo e altro per consumarli nei nostri incontri!»
Replicai: «Bello essere stato uno scoiattolo carino con i dentini sporgenti, un roditore autonomo, libero di muoversi nel suo spazio, non come noi che abbiamo dei limiti circoscritti: questo si può fare, quest’altro no! Ci sono delle regole da osservare per il bene di tutti, non è vero?»
«I codici di comportamento a volte sono validi, altri sono stati attuati per tenerci buoni e trattenerci dal fare tutto quello che si vuole; se così non fosse vivremmo in un mondo per sbranarci a vicenda! Ti chiami Eva come la prima donna, almeno per quello che dice la Bibbia sei stata la prima figura femminile nella storia dell’umanità. Chi può negare il contrario? Chi può averne la certezza? Chi può fare da garante a tutto questo?»
«Ma allora… siamo in un mondo d’incertezze pronte a dispensare confusione!»
«Ebbene sì! Però la forza del pensiero supera i confini: possiamo pensare liberamente quello che vogliamo. Eva, parliamoci chiaro: quando tu pensi c’è qualcuno che ti mette le catene o ti proibisce di pensare?»
«No!»
«Allora noi siamo gente libera nell’immaginazione, nell’osservazione, nell’intelligenza; questo spirito non può essere chiuso, imprigionato…Nessuno ha questo potere! Tu, ragazzina, non farti mettere i piedi in testa dalla prepotenza altrui. Io sono quello che sono, nonostante alle mie spalle si continui a schernire il mio essere, ovvero una donna fuori dagli schemi fissati dai protocolli di comportamento. Io sono libera perché sono diversa da tutti gli altri e mi accetto per quello che sono!»
Mi precipitai a rispondere: «Tu mi sei piaciuta così come sei e nessuno mi ha impedito di avvicinarti per conoscerti ed esserti amica. Sei bella! Non ti serve altro! Ho capito che il giudicarti da parte nostra non è corretto. Io voglio essere come te che: anche da sposata, trovi ugualmente spazio per continuare a essere te stessa e spesso vieni in questo posto con i bambini a insegnare loro l’amore per la natura! Felice di essere parte di questo gruppo e che tu, in questa esperienza, sia stata anche la mia insegnante!»
«Sono lusingata per le cose belle che pensi di me. Quest’altopiano mi chiama come un’attrattiva che nessuno riuscirebbe a comprendere, perché da questi alberi emana un’atmosfera magica che la mia fantasia non può fare a meno di trascurare; intravedo figure storiche del passato che hanno dato lustro alla nostra letteratura in tutto il mondo. Per questa ragione cammino a qualsiasi ora per venire in questo posto, perché alcune voci mi chiamano per salutarmi prima di partire!»
Ascoltavo con la bocca aperta: «Davvero… tu vedi personaggi importanti?!»
«Certo! Attenta, ti farò vedere il rito…La prima cosa è quella di accendere un piccolo fuocherello per poi gettarvi sopra una polvere magica custodita sempre nelle mie tasche; una spolverata capace di formare una nube di fumo che si dissolverà con la comparsa di gente che passeggia.»
E così fu! Un rito magico accompagnato da formule e invocazioni con alcuni nomi complicati mai sentiti. Ma non ebbi paura nemmeno quando lo sguardo penetrante di Marta si posò su di me.
«Si! Tu mi devi credere se ora ti confermo di vedere un letterato sotto braccio al suo maestro Virgilio passeggiare in questa selva. Si avviano per soffermarsi di fronte alla fiamma, sorridenti mi cercano per scambiarci i pensieri, per poi salutarmi e proseguire il cammino fino a scomparire. Sono una visione operata da un potere soprannaturale.»
Impaziente, per l’eccitazione dello scenario, chiesi: «Ma che cosa dovrei fare per vederli?»
«Ci vuole pazienza, il tempo ti dirà come fare.»
«Sono i soli, ospiti di questa collina? “Domandai ancora, ansiosa di sapere.
«No. Ci sono altre persone. Ancora adesso, nel nostro tempo, si parla di loro: un certo filosofo con un suo seguito di discepoli che si ferma a tratti per spiegare loro il Demiurgo, l’artefice dell’universo; un musicista sordo, che se ne va in giro con una bacchetta in mano e continua a fare il direttore d’orchestra senza sentire musica, perché lui nel suo silenzio è già uno strumento musicale; l’imperatore Nerone, che è stato il più amato e allo stesso tempo il più odiato imperatore dei romani, per aver causato l’incendio di Roma, fugge inseguito da sua madre Agrippina che con la scopa in mano rincorre il figlio incendiario per continuare a colpirlo; infine c’è Petrarca che cerca ancora la sua Laura con le trecce morbide sull’affannoso petto.»
Esclamai: «Mamma mia! Cosa mi dici! Per questo vieni qui! Tu non sei sola come tutti credono, ma in compagnia di personaggi incredibili. Dimmi… anche i tuoi figli riescono a vedere qualcosa?»
«No! Non credo. Questo è un dono, che appartiene ad alcune persone sensibili, la cui anima che va oltre la sensibilità comune.»
Impaziente di capire chiesi: «Ma come si fa ad avere questa sensibilità rara?»
«Si nasce! Poi a un certo momento della vita senti dentro un richiamo che t’invita ad allontanarti da tutti per cercare te stessa. Solo raggiunto questo traguardo cominci ad avvertire dei suoni, scorgi immagini che si accavallano e che piano piano si focalizzeranno nella memoria con la volontà di vederci chiaro.»
Quel giorno particolare vive dentro di me, limpido e incollato nel ricordo di aver conosciuto una persona che, oltre l’immaginario, è stata per la mia fanciullezza una persona speciale che mi ha spinta a non smettere di sognare, perché attraverso i sogni si raggiunge l’impossibile, il desiderio e la speranza si riaccendono per darci la forza di andare avanti fino alla fine del mondo. Io non sono mai riuscita a vedere le cose e i personaggi da lei descritti, però è come se lo avessi fatto: attraverso i suoi occhi ho visto quello che lei vedeva.
Il suo amore verso la natura ancora oggi mi commuove, quando ricordo quel periodo ricco di fantasia che solo una mente speciale come Marta è riuscita a darmi; quella purificazione necessaria a proseguire questo viaggio da sola senza di lei.
Per mesi rimanemmo tranquille a improvvisare e sognare l’impossibile, ma tutto questo a un certo punto finì: per qualche oscura ragione, di Marta non si seppe più nulla. A giorni alterni mi assentavo da casa per recarmi al solito posto, ma lei non veniva per consolare il mio pianto, che non dava segno di fermarsi. Uno di quei giorni, a oscurità inoltrata, ritornai dalla mia famiglia che era lì in pensiero per la mia assenza prolungata oltre l’orario prestabilito.
Mamma e papà, con gli occhi spalancati, mi chiesero la ragione delle mie lacrime. Risposi di essere triste per la mia amica Marta che sembrava essere svanita: «Qualcuno sa dirmi cosa è successo?» domandai.
«Certo! Sappiamo che Marta con la sua famiglia si è trasferita in un’altra città lontana. Suo marito ha accettato una proposta di lavoro importante per tutti loro. Tu non ti devi preoccupare per Marta: lei, con il suo temperamento e la sua particolare genialità, si farà apprezzare in qualsiasi luogo.»
«Ma… come, è andata via senza salutarmi, lei che mi ha sempre detto di volermi bene? … Perché mi ha fatto questo?!»
Mia madre, stranamente, si avvicinò e, nel baciarmi per consolarmi, mi disse: “Bambina mia, le sorprese non finiscono mai… Non disperare, un giorno si farà rivedere o sentire, e tornerete a essere amiche.»
Sono passati molti anni dalla sua scomparsa… Ma non dal mio cuore che continua ad amarla per la sua stranezza peculiare. So bene di non aver incontrato mai più una persona che mi ricordasse il suo sorriso. Non sentii più la sua voce inconfondibile danzare nell’aria, la sua melodia preziosa rimuovere le foglie per echeggiare e diffondersi, per attaccarsi nella memoria di chi, come me, non riesce a scordarla.
Confesso che, nonostante Marta non venisse più nel bosco, più volte tornai per sentirla vicina in qualche modo, come accadde quel pomeriggio con il sole amico che filtrava tra la siepe e gli alberi ondeggianti. Mi sembrò di vederla in compagnia di poeti e sofisti intenti a raccontarle leggende legate a eventi che hanno lasciato il segno. La meraviglia mi regalò pochi attimi di gioia, e devo ammettere che in quel momento io mi sentii Marta.
Ho imparato che la diversità è un valore aggiunto, che le cose strane fanno parte della nostra esistenza e anche oltre. Nulla è sbagliato, e tutto può entrare a far parte della logica se accettato dalla ragione che, illuminata dal cuore, non risparmia di suggerirci la via del bene
È così la sera, simile a un drappo che si apre con l’acerbità di un cenno. La mano rovista, mette a nudo separa l’inutilità dal vero dell’affanno. L’indomani, andando per le strade, tenersi alla scia: farne un luogo di culto da non disperdere, non rimescolare. E tanti domani, troppi da accalcare sul raggio mite che si prolunga nella fuga. Tanti, voglio sommarli su una fune che si svolge a legare gli attimi, quando riposano sul greto del respiro. Il sonno che ci assorbe permeato da una luce immobile e la voce ancora che apparecchia sillabe per mandarle a vivere in tre (o infinite) dimensioni.
Fiabe Italiane del Piemonte: un libro di fiabe per regalare un sorriso ai bimbi in ospedale.Dal 1 al 31 Dicembre, per ogni libro acquistato “Fiabe Italiane del Piemonte” scritto da Paolo Menconi e presentato da Loredana Cella, una copia verrà donata ai bimbi ricoverati in ospedale. Una iniziativa dell’Associazione Culturale AEDE in collaborazione con la Fondazione FORMA Onlus dell’Ospedale Regina Margherita di Torino.Il libro di fiabe è disponibile su Amazon:https://www.amazon.it/dp/B0BMSZLDG5/
Fiabe Italiane del Piemonte di Paolo Menconi Presentazione di Loredana Cella Lo scopo di questo bel libro è raccontare ai bambini le antiche fiabe, rendendole attuali, in modo che la cultura e la saggezza delle nostre genti non vada persa, ma venga anzi trasmessa con una rinnovata energia. Un modo diretto per valorizzare e tramandare la cultura di una regione, il Piemonte, che ha avuto così grande importanza nelle vicende italiane. Link a Fiabe Italiane del Piemonte
Le alleghiamo la Copertina del libro, un banner per promuovere l’iniziativa benefica e il Comunicato Stampa con preghiera di pubblicazione.Con l’augurio che possiate pubblicare il Comunicato Stampa contribuendo al successo di questa iniziativa che ci auguriamo possa regalare un sorriso ai bimbi in ospedale, la ringraziamo per l’attenzione e cogliamo l’occasione per porgere i nostri più cordiali saluti.Dr. Paolo Milani SEZIONE CULTURA
Un libro di fiabe per regalare un sorriso ai bimbi in ospedale.Dal 1 al 31 Dicembre, per ogni libro acquistato “Fiabe Italiane del Piemonte” di Paolo Menconi, un libro verrà regalato ai bimbi in Ospedale con la Fondazione Forma onlus dell’Ospedale Regina Margherita di Torino.A Dicembre, acquista un libro di Fiabe e uno verrà regalato ai bimbi in Ospedale!Una iniziativa dell’Associazione Culturale AEDE in collaborazione con la Fondazione Forma Onlus dell’Ospedale Regina Margherita di Torino.“Fiabe Italiane del Piemonte” è una raccolta di 10 appassionanti fiabe piemontesi, reinterpretate e raccontate ai bambini da Paolo Menconi.Le Fiabe della tradizione, ricche di una antica saggezza popolare, raccontate in un libro per regalare un sorriso ai bimbi in ospedale e alle loro famiglie.Milano, Novembre 2022 – L’antica saggezza e le antiche fiabe della tradizione piemontese, reinterpretate e arricchite, come in una ballata, da nuove divertenti filastrocche e stornelli, sono state raccontate in un libro, scritto da Paolo Menconi. In occasione del Natale, il libro si pone anche un importante obiettivo quello di regalare un sorriso ai bambini in Ospedale: per ogni libro acquistato, uno verrà regalato ai bambini in Ospedale. Una bella iniziativa che vede la collaborazione dell’Associazione Culturale AEDE con la Fondazione FORMA Onlus dell’Ospedale Santa Margherita di Torino.
Loredana Cella nella Prefazione del libro parla del valore delle tradizioni:“… questa incantevole raccolta di Fiabe Piemontesi, prende spunto dagli antichi racconti che si rigenerano, si rinnovano e si trasformano in storie nuove e coinvolgenti, con un linguaggio intriso del sapore della saggezza antica, ma attualizzato secondo i dettami del nostro tempo. Questo libro racconta ai bambini le antiche fiabe, rendendole attuali, in modo che la nostra cultura e la saggezza delle nostre genti non vada persa, ma venga anzi trasmessa con una rinnovata energia.”
Paolo Menconi, afferma: Attualizzare le storie della tradizione è, forse, il modo migliore per incamminarsi sui sentieri che portano ad un futuro ricco di saggezza e di conoscenza; un modo diretto per valorizzare e tramandare la cultura di una regione che ha avuto così grande importanza nelle vicende italiane. Per parlare dell’iniziativa, durante tutto il mese di Dicembre 2022, per ogni libro acquistato de “Fiabe Italiane del Piemonte” di cui sono l’autore, un libro verrà regalato ai bimbi in ospedale attraverso la Fondazione FORMA Onlus di Torino. Mi auguro che molte persone ci aiutino di regalare un libro ai tanti bimbi che vivono in ospedale situazioni difficili, con un piccolo gesto che può regalare loro un sorriso. Grazie a tutti per la preziosa collaborazione.Link Amazon:https://www.amazon.it/dp/B0BMSZLDG5/ Book Trailer:https://youtu.be/o8xYvNvdfI8Per informazioni: Dr. Paolo Milani info@associazioneaede.it www.associazioneaede.it
FORMA onlus – FORMA Onlus è la Fondazione del Regina Margherita di Torino. È nata nel 2005 dalla volontà di un gruppo di famiglie di aiutare l’Ospedale dei bambini, coinvolgendo gli amici e poi gli amici degli amici per acquistare apparecchiature all’avanguardia, per rendere gli ambienti di degenza più sereni, colorati e accoglienti, e favorire un ambiente familiare e amico, aiutando i bambini meno fortunati, italiani e non, che necessitano di un sostegno economico ad accedere ai servizi del Regina Margherita. FORMA Onlus – Piazza Polonia, Torino – Tel 0113135025 – fondazioneforma.itAssociazione Culturale AEDE – L’Associazione Culturale AEDE opera per la diffusione e il sostegno della Musica e della Cultura, attraverso l’organizzazione di concerti, pubblicazioni, incontri culturali, attività di formazione e master musicali. AEDE Associazione Culturale, Milano – www.associazioneaede.it