Alle persone che vogliono un cane per il natale voglio ricordare che: il cucciolo che adotteranno ora vivrà almeno per 10 natali, 3650 giorni. Per tutto quel tempo dovranno dedicare 228 giorni, cioè 5472 ore solo per abituarlo alla nuova vita in casa.
Dovranno finanziare almeno 1460 kg di alimento base.
Dovranno raccogliere almeno 7300 volte i suoi escrementi.
Dovranno andare dal veterinario per le vaccinazioni e le cure un numero imprecisato di volte che aumenterà insesorabilmente all’aumentare dell’età del cane.
In cambio otterranno minimo 87.600 ore di incondizionata devozione impossibile da trovare in un altro essere vivente.
Siate responsabili, occupatevi dei vostri animali fino al giorno della loro morte, se una di queste esigenze vi sembra un lavoro eccessivo, non prendete un cane.
Copia e incolla sulla tua bacheca, vediamo se così riusciamo a far pensare la gente prima di fare del male gratuito a chi non lo merita ….vale anche per i gatti.
Nella mia ricerca smodata di scrittori interessanti mi imbatto in lui, Alessandro Monticelli. Un incontro non facile, perchè alla fine devono incontrarsi due menti e due anime. Lui un uomo di grandissima cultura, nasce come pittore e scultore, poi spunta la poesia nella sua vita. Alessandro non si definisce un poeta, direbbe che questa definizione è troppo alta per lui, allora accontentiamolo!
Infatti lui non è un poeta, ma molto di più, anche se lui non è come dire” un poeta maledetto” come Baudelaire, ma direi che ha delle assonanze con quest’ultimo.
Qual è il pensiero di Baudelaire?
Baudelaire, con la sua poetica e il suo pensiero, è sempre stato un ribelle in conflitto col mondo che lo circonda, con la mediocrità della società a lui contemporanea e coi sogni di progresso tanto cari alla società borghese di cui fa parte.
Una definizione che gli calza a pennello, ma calza a pennello a tanti di noi. Chi è che non è in conflitto con la società odierna? Chi non si rende conto, alla fine non ha un anima, perchè fa finta che non ce l’ha.
Un uomo interessante che ha tanto da dire, ma nello stesso tempo schivo, sfuggente, un pò narcisista, a tale proposito c’è una prefazione al suo libro molto interessante
Prefazione al libro ” le conseguenze” dello scrittore Alessandro Monticelli di Guerino Sciulli C’è un quadro di Hopper che si chiama A Room in New York. Risale ai primi anni Trenta e mostra una coppia in un interno borghese molto dignitoso, con lui immerso nella lettura di un giornale su una bella poltrona imbottita, e lei all’altro capo del tavolo, con un gomito appoggiato al pianoforte e un dito sopra la tastiera per ascoltare una nota che, forse, non arriverà mai. Siamo ancora lontani dalle camere d’albergo e dai letti sfatti che affolleranno la pittura di Hopper nei decenni successivi – tutti quei corpi assorti in un silenzio senza alternative – ma l’atmosfera è già quella, inconfondibile, dell’Hopper più maturo: due personaggi chiusi in una stanza, con grandi finestre aperte su una luce che non redime niente, e loro due tanto vicini quanto può esserlo una coppia in uno spazio chiuso, ma solo perché risalti al meglio il muro di estraneità che li divide. Un’atmosfera così tipica da sembrare archetipo; lo stesso, algido archetipo che aleggia spesso anche tra i versi di questa nuova, sorprendente raccolta di Alessandro Monticelli. Lei e lui, lui e lei. E quasi nient’altro. Ma è un ‘quasi’, quello, che spalanca abissi. Chi conosce la sua ricca produzione di poliedrico artista figurativo sa bene quanto la dualità in genere sia per Monticelli un modulo talmente ricorrente da apparire quasi un ossessione che tuttavia sarebbe ingenuo liquidare attribuendola solo al fatto che, di norma, le sue opere sono il prodotto di un lavoro a quattro mani, e dunque duplice per definizione. Perché in quelle opere il doppio assurge sempre al rango di tema consapevole, esposto di continuo a tutte le variazioni immaginabili, in un inesauribile, trionfale e a tratti funereo, perché infinitamente riproducibile, ritorno dell’identico. È il regno di Narciso, l’eterno adolescente perso nella contemplazione di sé stesso, che, ovunque si volti, non vede altro che specchi. E Narciso, non a caso, compare anche in una delle poesie di questa raccolta. Salvo che qui si tratta di un Narciso non più solo compiaciuto ma anche debole, ferito; un Narciso «che non si/rincuora nella sua immagine/ ma ne sente tutta l’inconsistenza e/precarietà»; un Narciso, dunque, che sta finalmente cercando di rompere lo specchio, perché ha ormai capito che stavolta c’è davvero qualcun altro, nella stanza; qualcuno con cui bisogna fare i conti, adesso, e non soltanto sesso. E allora l’ironia, il calembour, il gusto vagamente surreale, gli sghembi enjambement, gli echi colti e quelli pop, le scintille che sprizzano dal cortocircuito fra oscenità e preghiera, latrine e paradiso, e insomma tutto quel mix di malinconia e sprezzatura, cinismo e savoir vivre che costituisce la cifra più tipica del Monticelli poeta. Tutta questa sapida miscela diventa funzionale non più alla pura e semplice boutade, che per quanto brillante è comunque condannata a scivolare senza attriti sulla superficie, ma a evocare ferite e sangue autentici, reali, qualcosa che palpita e brucia sul serio. Qualcosa che affonda nella carne, senza schermi. Perché ironia e il distacco sono armi difensive che vanno usate con moderazione, pena il rischio di congelare tutto ciò che toccano, paralizzando la scrittura nel terrore dell’ingenuità e finendo così con l’inibire proprio l’essenziale: quella benedizione del lasciarsi andare, quella incondizionata fiducia nel fondo delle cose, quel raschiarsi l’anima da cui soltanto può sgorgare una parola vera. Parola che, con molta discrezione, lampeggia a tratti in molti versi di questa raccolta (che è quella di un poeta ormai vicino alla sua piena maturità espressiva), aggirandosi tra le strofe con la leggerezza di una regina inconsapevole, e perciò capace di aprirsi alle folgorazioni dell’epifania. Che per rivelarsi hanno assoluto bisogno di sobrietà e silenzio. O della tranquilla dimora di un paesaggio autunnale, per esempio, quando sul viale sono “solo foglie rosse e un ragazzo/dal viso allegro/che si allontana disinvolto/spingendo le ruote del suo carrozzino”. Guerino Sciulli.
Guerini Sciulli , coglie ” Hopper” nel suo modo di scrivere, lui il pittore della solitudine, Alessandro Monticelli, lui la scrive, la sente. Che strano ci sentiamo soli anche se circondati da persone, questo senso di inquietudine, di abbandono della vita e dalla vita! La mia, con lui un intervista insolita, faticosa, sfuggente, è stato come rincorrere lo scrittore nei meandri del suo essere, tra la comprensione e l’incomprensione. Un intervista che devi intuire e poi scrivere per non dimenticare le sfumature. Poi per cercare di capirlo leggi le sue poesie,
ad esempio questa:
Ho avuto nel cuore una piccola bestia Stupro continuo e indomabile Che si divora muore e rinasce ad ogni istante. Ho lavorato come scultore che toglie legno dal legno marmo dal marmo pietra dalla pietra ferro dal ferro. Gesti che sembravano grandi E che ora diventano miniature di luce. Oggi, che perso in un poco E’ già un bel ricordo il ricordare. Alessandro Monticelli
Il fruscio d’ali di questo amore non mi fa dormire Le sento sbattere e le vedo lacerarsi costrette dalle Sbarre della gabbia dove sono relegate. Cosi’ esco e mi tuffo tra la gente nel mercato Costeggiando banchine di frutta e verdure Merci deperibili Non come le illusioni Sempreverdi e immarcescibili In vendita sul banco dell’arte a meta’ prezzo. Alla fine del marciapiede mi imbatto nel demonio Che oggi e’ un uomo che chiede elemosina Con occhi chiari e liquidi degli anziani Ma non mi preoccupo piu’ di tanto Sai! Se penso che Robert Lowell mori’ sul taxi Che lo portava a casa della ex moglie Che lo aspetto’ inutilmente, sfruttando forse L’ultima occasione per rinnegare quel matrimonio. Amen. Alessandro Monticelli
Io gli domando – Alessandro perchè questo libro si chiama ” le conseguenze” ?
Mi risponde semplicemente con una risposta che dce tutto – Le conseguenze della vita-
Alessandro Monticelli, le conseguenze della sua vita, nel suo libro, nella sua poesia, che svetta in alto con un ” non so che”
di immortale e fatalistico, le sue risposte brevi e lapidarie.
Cosa significa per te fare poesia e che cosa è la poesia per te ?
Fare poesia è una conoscenza continua, un affinamento dei sensi e della percezione personale del mondo che si vive. Ed è una connivenza con i segreti della vita, che a volte si svelano, ma sta a noi capirne il significato.
Alessandro sente sua una citazione del poeta spagnolo Jorge Semprùn:” Tra scrittura e memoria: presenze di poeti
La voce della poesia: guida e frammento di un arte della memoria, metodo, letteralmente, cammino e itinerario per ritrovare le voci perdute, disperato ma ineludibile ascolto; la voce della poesia, frammento di vita che governa e rende possibile la trascrizione infinita della morte-
Il giorno spossato giunge a un finisterre Occhi di passanti tra granelli di sabbia Che scendono morbidi si susseguono In controluce. Come collisioni istantanee del sensibile Frammenti imprevedibili di dualità mai vinte Utopie febbrili di repertori danzanti e seducenti. Nella vita si muore più volte (E’) quasi un’eco di dolore. Alessandro Monticelli
Alessandro mi dice che per lui le parole sono come in uno spartito musicale, emergono con la musica e lui deve sentirle come tali, io trovo questa definizione straordinaria.
Vale la pena di leggerlo e lasciarsi cullare dalle sue parole, certo la vita non ci culla, ma chiudere gli occhi e sentire la musica delle sue poesie ci fa capire che non siamo soli a sentire, provare tempeste di emozioni e solitudini. Ogni sentimento si accompagna al suo totale opposto, chi ama intensamente, prova anche dolori intensi. A chi non è capitato’. ” Le conseguenze di Alessandro Monticelli sono le conseguenze di tutti, leggiamolo nelle righe e tra le righe, questo artista straordinario a 360 gradi, scultore, pittore e poeta, anzi scrittore del tormento del vivere.
Avrei dovuto fare di più Come incidere le nostre iniziali Su di una stella. Ora che tra le pieghe equivoche Del più celato e carnale privato Io muoio E tu indossi un abito appena comprato. Alessandro Monticelli
C’è una lenta bellezza
nella solitudine dei primi piani
In un lontano Arcobaleno
che non ha mai Inizio da qui
Si indugia a poche fermate di metró
tra indifferenza e amore
Nell’attesa di un gesto
che rimetta tutto a posto
La macchina barocca oramai è denudata semplice quasi purificata
Nello smarrimento di chi percorre
grandi strade e chi solo sentieri
Di sera buio e bellezza
restano nei nomi
di chi si incurva per il dolore
E in chi crescendo
ha imparato a deludere
Per cena solo Ossi di seppia. Alessandro Monticelli