Scrive Daniela Patrian. Sono nata 56 anni fa a Milano, ho vissuto per trenta anni in questa splendida Metropoli che definisco una ricca ed elegante signora, generosa, ottima insegnante di vita..Il mio percorso scolastico non è dei piu’ brillanti, termina col diploma del liceo linguistico svolto in modo disinteressato, in quanto non coinvolta nel sistema di apprendimento, in parole povere sono una mente pensante ed imparare la lezioncina a memoria non mi ha entusiasmata, tuttavia amo la cultura e ho approfondito da sola. Sono una educatrice Oss, adoro la mia professione che svolgo nel sociale. Ho la passione innata per lo scrivere, disegnare, dipingere, ultimamente mi sto avvicinando anche alla fotografia digitale. Non ho un percorso fatto di partecipazioni letterarie o pittoriche numerose. Ho partecipato ad alcuni premi letterari, un paio di poesie sono state inserite nelle varie antologie. Ho numerose richieste per ritratti di artisti, poi stampati su magliette…
a farsi guardare il suo occhio rapido e triste lancia reti che compiono gli anni ogni giorno un singhiozzo sporge il capo dalla tana scaglia un pugno contando i dadi che stringe poi subito rientra
e quella crisi adolescenziale solo un’emicrania della speranza
Sui miei occhi
bende discostate
per assaporare flash della tua presenza.
E’ remota dai tempi degli sguardi
ma ancor sa meditare
di fibrillanti carezze di ciglia
mosse da un alito
d’animata follia.
Morde dolci inquietudini
sulla tremula linea di respiro
quasi indissolubile
pur essendo in bilico
su alture d’orizzonte.
Ne supera la maestà
nel suo rilasciare
morbida impronta digitale
nelle caviglie ansimanti
ch’eguagliano quasi la curva del vento
@Silvia De Angelis
Poeti e scrittori dall’Italia e dal mondo in collegamento live
Meravigliosa sessione del Panorama International Literature Festival. Congratulazioni a tutti i partecipanti.
Wonderful session of Panorama International Literature Festival. Congratulations to all the participants.
Maravillosa sesión de Panorama International Literature Festival. Felicitaciones a todos los participantes.
” Abbiamo respirato emozioni Respiramos emociones We breathed emotions…”
PANORAMA INTERNATIONAL LITERATURE FESTIVAL 2023: LIVE As part of the ongoing Panorama International Literature Festival 2023, we are proud to announce a live event curated by renowned writer and our Chief Advisor Joan Josep Barcelo from Spain.
Sunday, January 29 (5:30 p.m. .Spain) (11.30 AM EST) Via Zoom I Live on YouTube
■ IRENE DOURA-KAVADIA – Secretary General WCF – GREECE ■ JOAN JOSEP BARCELO – Curator and Moderator – SPAIN ■ FILIPPO PAPA – Co-moderator – ITALY ■ ELISA MASCIA – Co-moderator – ITALY ■ VASILIS PASIPOULARIDIS – GREECE
Preeth Nambiar – Irene Doura-Kavadia- Johanna Devadayavu -Vasilis Pasipoularidis -Filippo Papa -Elisa Mascia – Griselda Alicia Soriano -Mirtha Verde-ramo – Antonietta Micali -Dora Muñoz – Manuela Cecchetti -Riccardo Gaffuri – Montzerrat Licona. **** PANORAMA INTERNATIONAL LITERATURE FESTIVAL 2023: LIVE
As part of the ongoing Panorama International Literature Festival 2023, we are proud to announce a live event curated by renowned writer and our Chief Advisor Joan Josep Barcelo from Spain.
Presentation of the poetry book “ΚΩΝΕΙΟ” (Conium) by Vasilis Pasipoularidis published by Writers International Edition.
Sunday, January 29 (5:30 p.m. .Spain) (11.30 AM EST) Via Zoom I Live on YouTube
■ IRENE DOURA-KAVADIA – Secretary General WCF – GREECE ■ JOAN JOSEP BARCELO – Curator and Moderator – SPAIN ■ FILIPPO PAPA – Co-moderator – ITALY ■ ELISA MASCIA – Co-moderator – ITALY
■ VASILIS PASIPOULARIDIS – Head Writers Capital Youth Foundation – GREECE
Preeth Nambiar – Irene Doura-Kavadia – Johanna Devadayavu – Vasilis Pasipoularidis – Filippo Papa – Elisa Mascia
Jorge Luis Borges (1899 – 1986). Narratore, poeta e saggista, l’argentino Borges è famoso sia per i suoi racconti fantastici, in cui ha saputo coniugare idee filosofiche e metafisiche con i classici temi del fantastico, sia per la sua più ampia produzione poetica.
Siamo il tempo. Siamo la famosa parabola di Eraclito l’Oscuro. Siamo l’acqua, non il diamante duro, che si perde, non quella che riposa. Siamo il fiume e siamo anche quel greco che si guarda nel fiume. Il suo riflesso muta nell’acqua del cangiante specchio, nel cristallo che muta come il fuoco. Noi siamo il vano fiume prefissato, dritto al suo mare. L’ombra l’ha accerchiato. Tutto ci disse addio, tutto svanisce. La memoria non conia più monete. E tuttavia qualcosa c’è che resta E tuttavia qualcosa c’è che geme.
Nell’eventualità
che interferenze irriverenti
diano impulso
a un soggiacere
di mani mobili
s’appiattisce il bandire
teatralità impulsive
che governino ore del giorno.
Incenerite
da fuochi del profondo
che sappiano intrattenere
un astio tramandato
sorge un’incapacità
di trasmettere ai polsi
la direzionalità
di gesti tonanti
adottati da riflessi di silenzio.
@Silvia De Angelis
MI CHIAMO HADDAS di Carlo Molinari Mi chiamo Haddas e sono morto in una gelida mattina d’un giorno di gennaio. In quel posto brutto dove ci avevano portato i soldati vestiti di grigio, vidi mia madre senza capelli, tutta nuda che tremava per il freddo e per la paura. Mi disse di non guardarla. Un soldato le urlò di tacere, e le diede un pugno sul seno. Mio padre è da tanto che non lo vedo più, e non so dove sia andato. Quegli uomini cattivi, che gridavano sempre, e con i cani che mordevano le gambe a noi più piccoli, mandarono mio padre a fare la doccia. Lo vidi entrare in uno stanzone, tutto scuro, in fondo a un tunnel, mi salutò con la sua grande mano e non lo vidi mai più uscire. Mi chiamo Hadas e sono morto in una gelida mattina d’un giorno di gennaio. Io non so perché mi hanno ucciso. Avevo chiesto solo di giocare e avevo chiesto anche una caramella. L’avevo chiesta sottovoce. Un soldato cattivo, con grandi stivaloni neri, mi urlò di tacere. Io chiesi ancora, ma mi diede un potente schiaffo. Caddi in una pozzanghera e vidi un filo di sangue uscire dalle mie piccole narici. Iniziai allora a piangere e chiesi perché non potessi giocare, e perché non potessi avere una sola caramella. Quell’uomo mi disse che ero più lurido d’un cane con le pulci, e che i vermi più schifosi erano molto più belli di me. Chiesi ancora la caramella. Quell’uomo cattivissimo mi fece allora vedere il pistolino e ridendo come un matto mi fece la sua pipì in faccia. Io continuai a piangere, cercai di scappare ma ricevetti un forte pugno sul mio piccolo stomaco. Caddi di nuovo a terra per il dolore e iniziai a tremare per la paura. Mi rialzai di nuovo, pian piano in ginocchio, cercai di trovare le poche forze che mi erano rimaste e chiesi ancora la mia caramella. A quel punto iniziai a correre più che potevo, con grandissima fatica. Quell’uomo mi raggiunse subito, mi trascinò per la mia casacca a strisce, gridò qualcosa che non capii e mi diede un forte calcio sul petto. Il dolore fu tremendo, non mi veniva più il fiato, e mi lasciai scivolare di nuovo con la faccia a terra, nel fango. Mi uscì tanto sangue dalla bocca. Quell’uomo cattivissimo mi disse ridendo che facevo vomitare più d’una cacca appena fatta. Piangendo, gli chiesi ancora una caramella e gli chiesi perché fosse così cattivo con me. Volevo solo giocare come fanno tutti i bambini. A quel punto, l’uomo in grigio mi fece vedere la sua grande pistola, me la schiacciò in fronte e sentii il freddo di quella cosa. Gli chiesi tremando perché stesse facendomi tutto quel male. Il suo cane ringhiava, e poi non ricordo più niente. So solo che sono morto, in un freddo mattino di gennaio. Quell’uomo in grigio mi sparò in piena faccia. Per un attimo mi parve di sentire un dolore fortissimo, ma subito mi addormentai. Per sempre mi addormentai. Sono morto. Sono Hadas. Vorrei sapere perché quell’uomo cattivo non mi ha mai dato la caramella che gli avevo chiesto gentilmente, e perché mi ha ucciso senza motivo. Io ero un bambino come tutti gli altri bambini, non avevo fatto niente di male. Sono Haddas, e sono morto. Ma perdono con tutto il mio cuore quell’uomo tanto cattivo, perché forse non ha mai giocato con altri bambini e con la sua mamma, e forse non ha mai saputo in tutta la sua vita quanto sia buona una caramella all’arancia. Carlo Molinari
”Il mio nome Haddas” scritta in occasione della giornata della memoria il 27 gennaio 2022. Un nome che è tutti nomi di ogni bambino morto.
Spesso sono presa dalla ricerche di nuovi scrittori, non sempre facile perchè il web ormai è un minestrone di parole. Poi ecco un incontro, si! Mi incontro con delle parole che mi sbattono contro il muro e leggo tutto di un fiato ” Il mio nome è’Haddas”. Una poesia che ti entra e ti spacca, perchè ne senti tutto il dolore e l’intensità. Io non incontro gli scrittori, il mio colpo di fulmine è con le parole. Carlo Molinari uno scrittore che è un fiume in piena, lui vive per la poesia e la poesia vive per lui, in perfetta simbiosi. La sua vita è la poesia e lui la incontra dovunque. I suoi scritti sono un incontro di emozioni perdute, sperdute, un cocktail di sensazioni che butti giù di un fiato. In ogni poesia c’è la sua storia, il suo modo di vedere, anche di idealizzare. Se non idealizzassimo che poeti saremmo? Carlo si definisce da un punto di vita letterario un romantico, sicuramente con lui si ha la sensazione dell’uomo paladino, ma anche di colui che vede nella donna qualità incredibili. Nella donna vede ciò che lui desidera, la ricerca di un amore ideale e di grande sentimenti. Chi può dargli torto? Chi non desidera un amore di rispetto e di grande intensità? In lui, io vedo grandi romantici, visione Leopardiane, un pò di Keats, ma anche Baudelaire, neorealismo. Ovvio che lo stile è solo suo, personale intimo, esistenziale. Un artista completo, pittore, pianista, il suo vissuto l’ha trasformato in una persona dotata di percezione e grande sensibilità. I suoi scritti sono di un tessuto particolare, intuisci tra le pieghe, amore, dolore, voglia irrefrenabile di vivere e di apprezzare ogni cosa nella vita. Lui ha sempre un senso di rinascita e rinasce ogni volta che scrive. La sua forte empatia l’ha portato a contatto della sofferenza di altri e cosi che nasce un suo libro di forte impatto ” Voci da galera” raccoglie frasi e breve testimonianze di carcerati, con cui ha intrattenuto un intenso rapporto epistolare, doloroso e motivato. …Alle ore 15 del (…) si è suicidato nel carcere di (…) un detenuto che era arrivato lì da non molto: stava in carrozzella, gli avevano tolto anche la televisione, aveva il blindato chiuso 24 ore su 24 e le uniche “visite” che riceveva erano quelle dell’infermiere che gli misurava la pressione. Non si sanno le sue vicende processuali e nemmeno chi scrive lo conosceva di persona: non si sanno i motivi, né si sanno mai in fondo i motivi di un suicidio. Si è fatto la “corda” annodando più calzini, ha legato un’estremità alle sbarre della finestra della cella e l’altra al collo: poi, non potendo utilizzare le gambe, si è fatto scivolare giù dal letto… Chi mi ha dato oggi la notizia, ancora sconvolto dall’accaduto, ha provato a fargli il massaggio cardiaco, la respirazione bocca a bocca e intanto chiamava il medico: il quale ha solo dovuto constatare il decesso avvenuto (aveva 46 anni). Forse ne parlerà qualche giornale? Ne dubito fortemente: intanto ne parliamo noi…
(Fonte: lettera privata del 25/01/2000) LE CADUTE
Non pensate di non cadere nell’errore perché prima o poi ci si cade tutti. Però sappiate che rialzandovi, voi sarete maggiori, non inferiori, come si può pensare nel comune intendere. Nella vita se uno fallisce è escluso dal mondo. Invece no, qui no. Se uno cade rialzandosi, è più sapiente. Ma se la vostra superbia non vi permettesse più di riconoscere l’errore allora dovreste considerarvi finiti… Noi siamo deboli ed inclini al male, però la nostra capacità di ripresa dipende dalla volontà e dallo spazio che lasciamo alla misericordia di Dio. Non affliggetevi per le vostre cadute perché cadere è cosa umana. Preoccupatevi di rialzarvi subito dopo. Dio osserva tutto.
(Maurizio)
Due pezzi tratti dal suo libro” Voci da galera” Uno scrittore da leggere, ha scritto anche racconti per bambini e le sue storie sono state fonti di progetti scolastici.
Carlo Molinari è nato a Conegliano (TV) ed è laureato in Giurisprudenza. Inizia a scrivere poesie fin da bambino. Il pittore e poeta Nerone scrisse di lui: “Carlo Molinari è un poeta che cerca la poesia come se fosse il pane quotidiano (…), le sue poesie mi ricordano tanto quelle di Cesare Pavese”. Lo scrittore e poeta Filippo Fenara descrisse il suo stile come “maestria e denso di fascino e tecnica sopraffini”. Carlo Molinari ha ricevuto numerosi premi e riconoscimenti in premi letterari, anche a livello internazionale: nel 2007 ha ricevuto una “Menzione d’onore” a Melbourne (Australia) dall’Accademia Letteraria Italo – Australiana Scrittori. Ha pubblicato diciassette libri ed è presente con le sue poesie in svariate antologie e siti internet. Nel 2021 ha inviato una sua poesia dedicata alla Madonna a Papa Francesco e dopo pochi mesi ha ricevuto una lettera della Segreteria di Stato Vaticana in cui è stato messo in evidenza quanto il Santo Padre “abbia gradito il premuroso gesto”. Nel 2021 fonda il movimento poetico internazionale “Poeti2000 – Poetry in the World”, con l’obiettivo di radunare poeti e poetesse da tutto il mondo e promuovere la Poesia ad ogni latitudine. Il Movimento conta attualmente numerosi iscritti in Italia, Venezuela, Messico e America Latina. Molte sue poesie sono recitate su YouTube da Rodolfo Vettor (Premio alla Carriera), Antonio Sterpi (attore di teatro), Brunella Moro (voce recitante di “Radio Più”, Agordo – BL), Alberto Baroni (poeta e video maker) e Bruno Di Giovanni (video maker). Nel 2022 viene inserito in WikiPoesia, enciclopedia on line dei poeti contemporanei. https://carlomolinariit.wordpress.com/informazioni/
Carlo Molinari la prima domanda che mi viene in mente, visto che scrivi tantissimo , da quando lo fai?
Da che lo ricordo, ho sempre scritto, dal 2007 ne ho fatto il mio impegno principale.
So che sei molto preso dal sociale, hai fatto volontariato e ti sei occupato anche dei problemi connessi ai carcerati.
Avevo fondato un associazione negli anni 90 e ci occupavamo di volontariato epistolare, E’ andata avanti per 21 anni, ma la mia indole è portata alla poesia, di cui mi nutro e mi alimento h24, da quando ero bambino.
Ho letto con attenzione alcune tue poesie sulle donne, si intuisce una visione angelicata della donna, in una società dove la donna tutto è, fuorchè angelicata, la donna o la donna di cui parli, corresti che fossero cosi? Una tua idea personale sulla donna?
Ultimamente una delle mie poesie sicuramente mi è stata “ispirata” dalla lettura ascetica e divinizzante di Tagore, dal quale tuttavia non ho copiato nulla di nulla. Ho interpretato la Donna così come la sentivo ieri pomeriggio. Io ho una grande considerazione per la Donna: la considero una creatura che porta in sé il peso di tanti pesi, di qualunque tipo essi siano (figli, lavoro, rapporti d’amore non riusciti, violenze subite, psicologiche e fisiche). Tuttavia mi rendo benissimo conto che la Donna Millennium è molto emancipata e di questo non posso che essere felice e compartecipe. La Donna ha una grande forza in sé, molto spesso più dell’uomo, legato troppo sovente alla materia, alla terra. La Donna sa vivere, scegliere, sognare, innamorarsi, darsi da fare con grande fatica, molto più dell’uomo, a mio modesto parere. Il sesso “forte” non siamo noi uomini bensì le Donne. “Viene dalla costola di Adamo” ma nella Storia ha fatto molta strada in più del suo compagno dell’eden.
A tutte le donne
Pettirosso
piumato d’immenso,
tu canti il tuo salmo
sul ramo del mandorlo,
il tuo trillo attende
la primavera assopita
tra le radici della terra.
Sei solo com’è solo il sole.
Ti abbandoni alla luce
senza lamentarti mai
degli artigli di tanto freddo.
Il tuo canto s’innalza
ai raggi appesi al cielo mite.
Spargi soavità, tanta briosità,
su chi frena il suo passo
ad ascoltare con devozione
il tuo suono intriso di vangelo.
Sei la bellezza incarnata,
benedizione del Padre Nostro
che s’è chinato su di noi,
consacrate polveri nel cosmo,
silenzio di silenzi ancestrali.
Tu canti e non ti turbi,
il tuo ramo di mandorlo
attende di specchiarsi ad aprile
nei colori più delicati,
amorosi, leggiadri, succulenti,
che sa dipingere la stagione
dei morti tornati in vita.
Vieni da uno spazio infinito,
dal seme piantato per amore,
a ricordarci che la vita,
anche nell’angoscia,
può mutarsi in salmodia
offerta alle genti.
Nel tuo petto scarlatto
si nascondono natura,
germogli, poesia, stupore.
Amabile pettirosso,
piumato d’immensità,
così soave ed intrigante
è il tuo volo
di malva e di gerbera.
Resto attonito, inebriato,
dinnanzi alla tua dolce sinfonia.
Tu canti la sapienza
che mai avrei sperato,
io così debole, schiavo del male
di questa terra di pianto.
Sul tuo ramo di mandorlo
non ti stanchi d’esser mitezza.
Non volarmi lontano,
io sono cenere e nostalgia,
di te ho bisogno
come dell’acqua e del pane.
Fammi posto, accanto a te,
sul tuo ramo di nidi, figli e amori.
Fa’ ch’io possa, dipinto di gioia,
attendere la stella assonnata
e cantarle, come fai tu,
il mio alleluia
ricolmo d’amore eterno,
per questa vita
che pare uno sbaglio
e che invece è un valzer,
dove si balla insieme
appesi alla morte,
nell’attesa
d’esser tutti una luce
che ammutolisce l’infinito.
Quando scrivi lo fai sotto un impulso? come ti definiresti?
Io sono così, il mio animo tende ad essere ottimista e positivo, anche se a volte (causa di momenti di buio che ho attraversato nel passato) posso “cadere” in una certa visione decadente o pessimistica. Io vedo e tendo a vedere la luce, il bianco, il bello, l’amore, la positività. Di notte, quando scrivo e sono solo nella tenebra, il mio animo può anche altalenare tra il bianco e il nero, è la mia indole, quando scrivo non è la mia Ratio che ha il sopravvento bensì il mio inconscio. Io mi definirei un poeta dell’inconscio. Come dice Henri Michaux: “Il vero poeta prima crea, poi comprende, qualche volta”. E tante volte lascio che siano gli altri ad interpretare ciò che scrivo, io non me ne curo. Io sono un poeta dell’inconscio.
Vero, uno scrittore di una grande ricchezza interiore, ma a parte la poesia hai un sogno nel cassetto?
Il mio unico interesse è la poesia e il mio sogno è diffonderla ovunque, ho appena lanciato una petizione a livello mondiale per diffonderla ed insegnarla nelle scuole, una materia vera e propria.
Carlo Molinari un poeta singolare, una passione forte nei confronti della poesia, lui respira e suona con le parole. le sue poesie si innalzano come note e con la delicatezza e la fragilità di un fiore, ma nello stesso tempo con una forza e un intensità immortali. Grazie Carlo Molinari
da stasera iniziamo un’importantissima raccolta di firme on line con una petizione mondiale, seppur rivolta per il momento all’Italia: il Consiglio Direttivo di “Poeti2000 – Poetry in the World” promuove una raccolta firme da indirizzare poi al Ministro dell’Istruzione e del Merito on. Giuseppe Valditara, al fine che la Poesia sia presa in maggiore considerazione in tutte le Scuole della Repubblica Italiana e che possa essere considerata anche come “Materia Autonoma e Indipendente” di insegnamento e di studio, a tutti i livelli scolastici.
Chiediamo a tutti Voi di leggere la petizione (in italiano, spagnolo e inglese) presente nel nostro sito:
Chiediamo a tutti Voi di firmarla e di condividerla in tutti i Vostri Social, contatti via email, Whatsapp e Telegram, secondo le istruzioni riportate nel nostro sito web.
Chiediamo anche di condividere questo post nei Vostri profili Facebook al fine di raggiungere il più alto numero di firme on line possibile.
Grazie a tutti per la collaborazione: portiamo la Poesia in TUTTE le Scuole Italiane! Grazie a chi ci sosterrà in questo grandissimo impegno culturale/sociale/umano.
Il Consiglio Direttivo di “Poeti2000 – Poetry in the World”.
Il regno della Bellezza
Questa notte milioni e milioni
di fiammelle illuminano le stelle.
Non esiste più il buio fosco e tetro
ma un ciclone di luce che condanna.
Sono tutti i morti usciti dall’Ade
che guardano senza nessuna parola.
Un mare sterminato di uccisi, insultati,
ingannati, violentati, appesi alla forca.
Il fuoco si spegne e strepita il silenzio,
non c’è più niente da dire, solo vergogna.
Chi non ha mai compreso il linguaggio
dei derelitti assassinati dagli oppressori
e da mani sudice, perverse e scellerate,
è già sfracellato all’inferno dei maledetti.
Venite, c’è ancora posto per gli accecati
che non hanno mai voluto vedere.
Venite, c’è ancora posto per gli ossessi
che non hanno mai voluto ascoltare
l’urlo dei poveri, sepolti in questa terra
che doveva essere il regno della Bellezza.
Lasciateci qualche goccia di sangue,
qualcuno di noi vuole provare ad amare.
Articolo di Marina Donnarumma. Roma 28 gennaio 2023
Non sai assegnare nomi alle cose e bleffi la tua origine veloce con la smorfia del mandorlo in fiore la ragione è chiara: le collisioni blu spampanano lo sforzo di cogliere le voci della luce e i riflessi delle ombre. Forse ti attieni al fenomeno che rincorre i profili del pensiero quindi il respiro inventato dal principio tensioattivo, talora strazio nella culla termostatica. E le ombre che non entrano negli occhi ma furtive rappezzano divaricano le gambe strofinano le posture.
«Donne e bambini si tolgano le scarpe, prima di entrare nella baracca. Infilate le calze nelle scarpe. Quelle dei bambini dentro i sandali, le scarpe o gli stivaletti. Ordine, mi raccomando». E di nuovo: «Portate nei bagni gioielli, documenti, denaro, asciugamano e sapone… Ripeto…». Dentro la baracca femminile c’è la parrucchiera; nude, le donne vengono rasate a zero, alle più anziane tolgono la parrucca. È un momento strano, psicologicamente: le addette hanno poi sostenuto che di solito quella rasatura ante mortem convinceva le vittime che davvero sarebbero andate a lavarsi. Le più giovani si tastavano il cranio e, sentendo qualche punta ispida, capitava che chiedessero un ritocco. Solitamente dopo la rasatura le donne erano più tranquille, tutte o quasi lasciavano la baracca con in mano un pezzo di sapone e un asciugamano piegato. Tra le più giovani qualcuna piangeva le belle trecce perdute. Perché le rasavano? Per illuderle? No, perché la Germania aveva bisogno dei loro capelli. Erano materia prima… Ho chiesto a diverse persone che cosa se ne facessero, i tedeschi, della montagna di capelli che rasavano a quei cadaveri ancora in vita. Tutti i testimoni riferiscono che cumuli enormi di capelli neri, biondi e color dell’oro, di riccioli e di trecce venivano sottoposti a disinfezione, pressati nei sacchi e spediti in Germania (…)
Nude, le vittime vengono condotte a uno sportello, la «cassa», dove sono invitate a consegnare documenti e preziosi. E la solita voce ipnotica grida: «Achtung! Achtung! Chiunque venga scoperto a nascondere gioielli verrà ucciso! Achtung!».
…
Qui, alla «cassa», la svolta decisiva – qui finisce la tortura della menzogna che tiene le vittime in uno stato ipnotico di incertezza, in un delirio febbrile; nell’arco di qualche minuto si passa dalla speranza alla disperazione, da visioni di vita a visioni di morte. La tortura della menzogna era un elemento chiave nella catena di montaggio della morte, facilitava il lavoro delle SS. Ma quando sopraggiungeva l’atto finale, l’ultimo saccheggio di quei cadaveri ambulanti, la musica cambiava. E allora i tedeschi spezzavano le dita per strappare gli anelli alle donne, o laceravano loro i lobi per portarsi via gli orecchini.
Il tragitto dalla «cassa» al luogo dell’esecuzione richiede qualche minuto in tutto. Spronate dai colpi, stordite dalle grida, le vittime arrivano su un terzo piazzale e per un istante si fermano, interdette.
Il silenzio sopraggiungeva quando le porte delle camere a gas venivano chiuse. E le grida ricominciavano quando arrivava un nuovo lotto di donne.
Due, tre, quattro, anche cinque volte al giorno. Perché Treblinka non era un semplice luogo di morte. Era una fabbrica di morte, una catena di montaggio improntata a quelle della moderna produzione industriale su larga scala.
***
Queste parole sono di Vasilij Grossman, scrittore e giornalista sovietico, che nel 1944 entrò nel campo di sterminio di Treblinka, dove poté toccare con mano la ferocia nazista.
Non occorre aggiungere altro.
La farfalla della gentilezza
(La citazione è tratta da: Vasilij Grossman, L’inferno di Treblinka, Adelphi, 2013)
Ho preferito cominciare con questa condivisione della mia amica blogger della ” La farfalla della gentilezza”, uno dei tanti che raccontano l’orrore e mi lasciano inorridita, stupefatta, per questa umanità che si perpetra nell’orrore e poi ricorre alla ” giornata della memoria” per sgrullarsi un pò di sensi di colpa, alla fine chi non ha proprio colpa ha questi sensi di colpa, completamenti sconosciuti alle menti più abbiette nate su questo pianeta. Nei campi di concentramento prestarono servizio 55.000 guardie, circa 5000 erano donne. Una follia collettiva, che mi spaventa da morire, nessuno si mosse a pietà? forse qualcuno lo fece, ma il risultato furono morti e morti senza distinzioni, fame, torture, violenze, esperimenti, docce di gas, uomini e donne disumanizzati, perseguitati ridotte a larve, scheletri, giorno per giorno. La speranza morta per tanti, il dolore, la sofferenza. Raccontare, ricordare, raccontare di nuovo e poi? Personalmente ricordare mi fa male, troppe cose ho letto, troppe testimonianze di questo orrore!
Oggi è la giornata della memoria, una delle tante dove l’umanità, non ha nulla di umano.Gli uomini non hanno memoria delle loro nefandezze, tanto è vero che non le ricordano, continuano a farle e nel momento in cui le fanno le innalzano a patriottismi, guerra, con la scusa, c’è una scusa? L’uomo è l’animale più pericoloso, in assoluto della terra. L’ uomo, di cui parlo, ha solo una legge, potere e soldi, al di sotto e al di sopra non esiste altro dio che questo, potere, denaro e speculazione, un uomo per cui ” l’altro non conta” solo carne da macello.
Non avevo mai visto un carro di bestiame
e lì il mio inferno.
Un orrore di corpi morti su corpi vivi.
L’odore nauseabondo di umanità bruciata,
cadaveri vivi con piaghe marciscenti.
Ce l ho con te, mio Dio!
Dove sei!
Perchè questo male!
Ho fame ma, non lo posso dire,
ho sete ma,sto zitta,
ho dolore ma,sono in silenzio.
Dio mio!
Bambini come frecce lanciati in cielo,
senza vita sulla terra come un fiore triste
che ha perso la corolla di pochi stracci
e pochi anni!
Vivere ma, sei morta di mille morti
e non vorresti il respiro.
Ho la testa bassa, il mio cranio nudo
e io sono donna o sono uomo,
un umanità indistinta,
senza nome,
senza sesso, carne da macello ,
marchiata come bestie.
Le lacrime scavano solchi profondi
ma,il dolore urla muto disperato,
ce l’hai tutto negli occhi e nell’orrore
senza fine.
Sai ti ho pregato Dio!
Ho chiesto di te!
forse troppo debole per sentirti,
forse le nostre urla ti hanno distratto
dalle nostre preghiere.Iris G. DM
Ho il volto pallido della morte
di chi viaggia in piedi,
assiepata come bestiame,
lercia di letame.
Ho il seno sporco di latte
e sangue che scivola tra le gambe,
le mie braccia chiudono
la mia creatura senza respiro.
Ho il volto del terrore,
ho l’odore nauseabondo di fumo nero oleoso.
La mia identità un numero impresso nelle carni.
Hanno rasato la mia testa,
la mia testa!
Non ho capelli,
sono vestita della mia pelle troppo grande,
i miei piedi strusciano nel fango,
il mio corpo solo fango,
i miei occhi vedono solo cadaveri
che camminano,
sono un pigiama a righe
che veste un mucchio d’ossa scarnificate
da lacrime e dolore. Shoah. Iris G. DM
Articolo di Marina Donnarumma. Roma 27 gennaio 2023
Cara Anne, lo so di averti lasciata un po' nell" oblio, ma sai, qui le cose non vanno tanto bene, non abbastanza come dobrebbero e se ci fosti, sicuramente saresti molto delusa degli uomini. Cosicché colgo questo ritaglio di tempo d'una giornata sicuramente particolare per molta gente, oserei dire per il mondo, anche sé, il mondo tutto non lo sa, oppure ha dimenticato o peggio, se ne frega.
Eh sì Annuccia; perché da quel momento in poi sappi che non fu mai più lo stesso e purtroppo non hai avuto la possibilità di venirne a conoscenza. Cercherò di essere poco noiosa, (sei una ragazza inteligente), oggi voglio dedicarti un pò d'attenzione per farmi perdonare,spero ti faccia piacere o almeno, ti raserene sapereche che per quanto sia passato del tempo qualcuno ancora s'interessa di chiarire come fu una parte importante della nostra storia, della tua!
Ti ricordi?! Se ho iniziato a scrivere, quando avevo più o meno la tua età, è soltanto grazie a te; e le tue preziose pagine, che poi divennero un libro, ma questo te l'ho avevo già detto.
Sai Anne cara, tempo fa, son venuta a conoscenza che una scrittrice importante, ha raccolto in un libro, tantissima informazione, si parla sul fatto di chi rivelò il vostro nascondiglio segreto, come lo chiamavi. Cinque anni e una squadra investigativa composta da quasi duecento persone!!! Hai capito?! Ahimè... alla tua età, diventata famosa, tu diresti sicuramente, -dovuto a cosa?!, già tì sento!! Grazie alla preziosa e minuziosa informazione che col inchiostro è senza rendertene conto ci stavi lasciando come legado.
Dolce Anne, siete stati traditi d'un altro ebreo, come te, come tuoi famigliari e "coinquilini ", triste già, sarai rammaricata oppure sconcertata e ti capisco...
Ma non uno qualsiasi, tale "signore " chiamatosi, Arnold van den Bergh, notaio ebreo, membro del Consiglio ebraico di Amsterdam, sposato con tre figlie.
Pare facesse parte della commissione del Consiglio ebraico che, su ordine dei nazisti, doveva selezionare i nomi degli ebrei da inserire nelle liste di deportazione.
Era molto facoltoso sai!, era riuscito a farsi inserire nella lista del tedesco Hans Georg Calmeyer che, ufficialmente, addirittura dichiarò la sua non appartenenza alla razza ebraica. Per questo, nonostante il decreto nazista che obbligava i notai ebrei olandesi a cedere la loro attività, Arnold van den Bergh poté svolgere il suo lavoro fino al gennaio del 1943, fino a quando un collega ariano, destinato a occupare il suo studio, J. W. A. Schepers, lo denunciò alle SS e gli fece perdere i suoi privilegi.
Probabilmente, a questo punto, sarai un pò seccata? Forse, ma ho pensato che quello che v'è capitato e non solo a voi, è stata una tragedia imanne. E mi dirai, - ma è passato del tempo, a cosa serve oramai sapere, ricordare?, e io ti dirò una frase scritta da un signore, Primo Levi, che subì come te, perché ebreo, ma sopravvisse e divento una scrittore! Pensa te, il tuo sogno! E recita,
《"L'Olocausto è una pagina del libro dell'Umanità da cui non dovremo mai togliere il segnalibro della memoria"》.
Bene! Chissà cosa continuerai a scrivere, là, dove tu sia; spero siano cose colorate, radiose e piene di emozioni.
Ti abbraccio forte, carissima.
Ps: Sono molto soddisfatta di averti scritto e sedermi con te per terra sui pavimenti in legno, con le gambe incrociate come indiani, mentre tiepida filtra un raggio da qualche fessura Credo essermi ritagliata un pò "troppo " di tempo, alla prossima.
In occasione della Giornata della Memoria ho deciso di condividere i versi di una grande scrittrice e poetessa, testimone ancora vivente della Shoah, che con la sua arte ha raccontato l’orribile e disumana esperienza vissuta nei campi di concentramento di Auschwitz, Dachau e Bergen Belsen. Sto parlando di Edith Bruck e la poesia che ho scelto è un estratto del canzoniere ” Il Tatuaggio” (1975) ed è dedicata a sua madre.
Quel pensiero
Quel pensiero di seppellirti te l’hanno tolto con almeno trent’anni di anticipo! Abbiamo avuto una lunga festa d’addio nei vagoni stivati dove si pregava dove si facevano i bisogni in fila dentro un secchio che non profumava del tuo lillà di maggio e anche il mio Dio Sole ha chiuso gli occhi in quel luogo di arrivo il cui nome oggi irrita le coscienze, dove io e te restano sole dopo una selezione mi desti la prova d’amore sfidando i colpi di una belva umana anche tu madre leonessa a carponi per supplicare iddio maligno di lasciarti almeno l’ultima la più piccola dei tuoi tanti figli. Senza sapere la tua e la mia destinazione per troppo amore volevi la mia morte come la tua sotto la doccia da cui usciva un coro di topi chiusi in trappola. Hai pensato alla tua piccola con quel frammento di coscienza risvegliata dal colpo del portoncino di ferro con te dentro il mio pane amato mio pane bruciato! O prima ancora sapone paralume concime nelle mani parsimoniose di cittadini che amano i cani i poeti la musica la buona letteratura e hanno nostalgia dei familiari lontani.
Questi versi dal linguaggio forte e viscerale sconquassano la coscienza del lettore. Bruck descrive a chiare lettere, anche brutali, l’orrore dell’Olocausto, con immagini incisive che hanno la forza di scene cinematografiche. Quella di Edith Bruck è una poesia che esprime tutta la disperazione vissuta sulla pelle, il dolore per la morte della madre, diventata concime o sapone nelle mani di tante persone, ignare dell’orrore che si consumava in quei luoghi di sterminio. Quella di Bruck è una poesia fatta di sangue e dolore, sempre vivi e pronti a travolgere l’anima della poetessa. Siamo di fronte a una memoria del presente. Per Bruck la Shoah non rappresenta un fatto passato, ma un male che è ancora capace di logorare l’anima e la carne dei sopravvissuti. La scrittura diventa quindi un monito per tutti i popoli della terra: tenere viva la memoria affinché mai più si ripeta quello che è accaduto. Come lei stessa afferma: ” La memoria è vita per me. La memoria dovrebbe essere vita per tutti. Non possiamo cancellare il passato perché il passato è il nostro presente e il nostro presente sarà il nostro futuro. Il tempo è uno. Credo che la memoria riguardi tutta l’umanità, non solo coloro che sono stati deportati. Purtroppo dobbiamo parlare sempre noi perché gli altri vorrebbero appiattire, cancellare, allontanare, respingere, mistificare, rimuovere“.
Edith Steinschreiber, poi Bruck, nasce nel 1931 da una povera famiglia ebrea, in uno sperduto villaggio dell’Ungheria. Da bambina viene deportata in vari campi di concentramento, tra cui quello di Aushwitz. Sarà liberata, insieme alla sorella, nel 1945. I suoi genitori, un fratello e altri familiari non sopravvivono. Dopo la liberazione ritornerà in Ungheria, dove inizia la sua carriera di scrittrice raccontando l’orrore agghiacciante che ha vissuto. Ma ben presto scopre che le sue parole non sono accolte come spera. Nessuno s’interessa a quello che scrive, nessuno è disposto ad ascoltarla. Decide allora di lasciare il paese, dando inizio al suo pellegrinaggio. Prima tenta di raggiungere una delle sorelle maggiori (salvate da Perlasca) in Cecoslovacchia, ma il tentativo fallisce. Poi nel 1948, con la nascita del nuovo Stato di Israele, piena di entusiasmo vi si trasferisce. Qui, per evitare il servizio militare obbligatorio, si sposa assumendo il cognome che ancora oggi porta. L’entusiasmo da cui è animata, però, svanisce ben presto. I conflitti e le tensioni dello Stato di Israele la deludono e così nel 1954 decide, ancora una volta, di trasferirsi. Questa volta in Italia, a Roma, dove tutt’ora risiede. Qui sposa il poeta Nelo Risi, con cui instaurerà un’importante storia d’amore che darà vita anche a un sodalizio artistico. Ha scritto tutti i suoi romanzi in italiano. Ha pubblicato diverse raccolte poetiche in cui narra la sua esperienza di sopravvissuta all’Olocausto.
E’ nata a Mosca. Durante la guerra molti membri della famiglia del padre morirono nell’Olocausto a Riga (Lettonia), mentre molti familiari della madre morirono nell’Olocausto in Ucraina, dove allora vivevano. Nel 1972 con la famiglia emigrò dall’Unione Sovietica. Dopo un anno trascorso tra Israele e Roma, si stabilì prima a Cleveland e poi a New York, dove tuttora vive. Ha pubblicato tre raccolte di poesie in russo e in inglese, due raccolte di racconti e un romanzo in inglese.
Babi Yar
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La madre diceva tua sorella mi fa impazzire,
ma dov’è, oggi andiamo tutti a morire.
I fritzi* bussano alla porta, dobbiamo uscire.
Presto, svelto, perché quei libri, che te ne fai,
là dove andremo a stare non li userai mai.
Sei sempre l’ultimo, figlio mio, continuava a dire.
Roma racchiude tesori artistici di rara bellezza e mi sono davvero emozionata, visitando la basilica di San Giovanni in Laterano, di cui inserisco qualche particolare fotograficoCondividi
Vi ho amati? Male forse, ma eravate miei! ogni oggi forse ho sbagliato con voi eravamo gli inizi
Passavamo insieme le ore, i giorni ci assaggiavamo cannibali come cibo per la nostra carne. eravamo gli inizi
soffrivamo insieme le lacrime, i dolori la strana voglia di farla finita e la sua gemella: quella di di continuare con almeno qualcuno di me eravamo gli inizi
In attesa di chi? Di noi certo, ma di noi nuovi facevamo dei cenni tracce di roccia tra la bocca e il cuore
E siamo ancora in attesa l’uno con l’altro l’uno per l’altro della nostra novità di quell’inizio che eravamo
L’ andare via ha sempre un ritornare va sù, poi giù disegna come un cerchio magico che non si chiude mai.
La storia dell’ amore forse, non ci ha toccati. Ma io vi ho amati.