
EUGENIO MONTALE, SU UNA LETTERA NON SCRITTA, recensione di Elvio Bombonato
Per un formicolìo d’albe, per pochi fili su cui s’impigli il fiocco della vita e s’incollani in ore e in anni, oggi i delfini a coppie capriolano coi figli? Oh ch’io non oda nulla di te, ch’io fugga dal bagliore dei tuoi cigli. Ben altro è sulla terra.
Sparir non so né riaffacciarmi; tarda la fucina vermiglia della notte, la sera si fa lunga, la preghiera è supplizio e non ancora tra le rocce che sorgono t’è giunta la bottiglia dal mare. L’onda, vuota, si rompe sulla punta, a Finisterre.
EUGENIO MONTALE, agosto 1940; poi in “La bufera e altro”.
E’ una poesia di assenza e di lontananza; anche da Clizia (Montale). Lo sfondo di guerra c’è (Montale). Clizia è il senhal con cui M. indicava Irma Brandeis, la studiosa americana, con la quale ebbe una tormentata relazione amorosa a Firenze, dal 1933 al 1938.
Coppie di delfini giocano coi figli, immagine di innocenza e di gioia di vivere, alla quale si contrappone la realtà storica di distruzione e di morte (la II guerra mondiale iniziò quasi un anno prima): la fucina vermiglia. ‘Distilla veleno una fede feroce’ – il nazismo -: “Dora Markus”, la cui seconda parte fu scritta nel 1939. Nel buio cupo dei tempi è necessario respingere ogni tentazione o promessa di un’impossibile salvezza, ne fosse portatrice Clizia stessa (Dante Isella). Il messaggio contenuto nella bottiglia gettata nell’oceano, è inghiottito dall’onda, fino all’estremo promontorio dell’Europa. Ma la bottiglia è vuota, la lettera non è stata scritta, perché anche pregare per l’impossibile salvezza, è un supplizio. Come sempre in Montale, la tragedia della storia diviene dramma esistenziale, ossessione provocata dalla comunicazione interrotta dall’incertezza e dall’attesa della fine.