Sono nel bisogno, sì, nel bisogno più disperato, ma non d’oro o d’argento. Ho bisogno di un rifugio. Ho bisogno di un luogo ove posare il capo e i pensieri. Ho cercato in ogni locanda, e ho bussato a ogni porta, ma invano. Sono entrato in ogni negozio, ma nessuno si è dato pena di servirmi. Non sono affamato: sono ferito, Non sono stanco: sono deluso. Non cerco un tetto: cerco una dimora umana. Ho bussato alla tua porta mille volte, e non ho ricevuto risposta.
Ci sono gesti che hanno fatto la storia dello sport: il pugno guantato di Smith e Carlos a Città del Messico, le quattro medaglie d’oro di un esultante Owens davanti al razzista Hitler. Gli atleti statunitensi nel ‘68 avrebbero voluto boicottare i giochi. E la stessa sorte sarebbe potuta toccare ad Owens visto che il Comitato Olimpico americano aveva preso in considerazione l’idea di boicottare i giochi di Berlino. Le cose andarono diversamente. E l’immagine di Carlos e Smith sul podio dei 100 metri è ancora oggi uno dei più forti messaggi che lo sport sia stato in grado di trasmettere. C’è un’altra immagine, da oggi, che potrebbe entrare nella storia. E’ quella che la regia internazionale dei Mondiali in Qatar ha negato alla platea degli spettatori ma che ha fatto il giro del web più velocemente di quanto Infantino e la Fifa potessero immaginare. Perché censurare, oggi, è molto più difficile che in passato. E’ quella della squadra tedesca immortalata prima della gara contro il Giappone. Gli 11 calciatori si fanno ritrarre nella foto di rito con la mano davanti alla bocca. Censurati dalla Fifa ma convinti che i valori siano più forti di qualunque minaccia di sanzioni. Perché questo la Fifa aveva fatto: minacciare di ammonire i capitani che avessero deciso di indossare la fascia “One Love”, un chiaro riferimento alla libertà di amare, alla liberà di orientamento sessuale.
Di più. Infantino, Presidente della Fifa in odore di riconferma, aveva indirizzato a tutte le federazioni presenti al Mondiale un messaggio netto: che si parli solo di calcio. Vietate dunque prese di posizioni in favore dei diritti o riferimenti ai 6500 operai immigrati che hanno perso la vita per realizzare gli stadi e le infrastrutture del Mondiale più costoso della storia. Un invito al silenzio. Un paradosso per l’organismo calcistico planetario impegnato su campagne per il rispetto e contro ogni forma di razzismo. Un paradosso e una incapacità palese di cogliere il profondo rapporto tra il calcio e la vita. Isolare il gioco più amato del pianeta dalla vita nella quale è immerso quotidianamente è ignorare le ragioni stesse della sua profonda e radicata presenza nella cultura popolare di ogni emisfero. ’ stato un errore assegnare il Mondiale al Qatar, assegnarlo cioè ad un paese in cui manca il rispetto dei diritti umani e civili. Ed è fallito anche il tentativo di convincerci che proprio attraverso il Mondiale qualcosa sarebbe potuto cambiare anche nell’emirato. Gli impegni assunti dal governo qatariota sono stati disattesi, come ha denunciato Amnesty International. Hanno vinto i soldi. Un calcio sempre più vorace ha accettato di giocare il suo Mondiale nel paese che offriva di più; non ha vigilato sui diritti dei lavoratori durante la costruzione delle opere; ha ignorato i diritti delle donne calpestati. In cambio di denaro. Il calcio può vendere i diritti di immagine. Non può vendere la sua anima, pena smettere di essere sport e diventare puro spettacolo, come qualcuno vorrebbe. La minaccia di ammonire i capitani che avessero indossato la fascia arcobaleno, è la minaccia di ammonire chi si professa a favore dei diritti. Ed è semplicemente inaccettabile. l calcio deve stare fuori dalla politica. E’ vero. Ma i diritti non sono politica, sono diritti. Il gesto della squadra tedesca ci consegna un pizzico di speranza. La speranza che il calcio non cada in un baratro dal quale non sia più in grado di risollevarsi. Il calcio non può cambiare il mondo, ma può spiegare che il mondo può essere cambiato.
Il sistema della kafala, letteralmente, rapiva/sce dei lavoratori, la maggior parte stranieri che di propria volontà accettano questo “sistema”, desiderosi di un futuro migliore con un lavoro retribuito, purtroppo una volta firmato un contrato, non sa se ha venduto l’anima e corpo al Diavolo. Arrivati dall’India, Bangladesh, Egitto, Pakistan e tanti altri paesi vicini.
COS’È LA KAFALA
In arabo la parola kafalaha un duplice significato, perché si riferisce a elementi di tradizione islamica tribale e legale. Da un lato, significa “garantire” (daman) ed esprime il concetto di garanzia per conto di qualcuno quando si trattano affari economici. Dall’altro, significa “prendersi cura di” (kafl), e indica il comportamento da adottare quando si interagisce con un soggetto non indipendente o autonomo, come un minore.
Il sistema della kafala, presenta le stesse caratteristiche più o meno in tutto il Golfo. Questo sistema si basa sull’idea che un lavoratore straniero (migrante) ha necessariamente bisogno di un kafeel (sponsor) per varcare i del paese. A questo punto non sarà il governo centrale a fornire al migrante uno status giuridico; invece, la competenza per regolarizzare le condizioni formali del migrante è delegata dallo stato allo sponsor. Per tal motivo lo sponsor (che in genere è anche il datore di lavoro)
Detto ciò, la kafala condanna i lavoratori stranieri a una condizione di totale sottomissione ai loro sponsor, perché sono sfruttati doppiamente; da un lato, i migranti dipendono dal datore di lavoro che paga il loro salario; dall’altro, sono ulteriormente ” legati” allo stesso datore di lavoro, dal quale dipende l’approvazione del loro status di residente legale nel paese. In questo clima, viene a galla, il fatto che il rapporto tra datore di lavoro e dipendente è del tutto sbilanciato a vantaggio del primo, il quale detiene uno smisurato potere sul secondo.
La kafala è stata denunciata come lavoro forzato, in quanto impediva ai lavoratori migranti di cambiare liberamente datore di lavoro o di lasciare il Qatar, anche se venivano abusati. La kafala rendeva facile per i datori di lavoro sfruttare i lavoratori migranti attraverso la confisca dei passaporti e il rifiuto di fornire “certificati di non opposizione” (Noc) che permettessero ai lavoratori di cambiare datore di lavoro. I lavoratori migranti che fuggivano dai datori di lavoro venivano arrestati o erano costretti a pagare multe, oppure venivano deportati.
Secondo il professor Anh Nga Longva (Department of Social Anthropology), il sistema della kafala impone inoltre ai lavoratori stranieri una terza forma di sfruttamento. Tenendo conto che i migranti sono obbligati a rinunciare ai loro diritti individuali delegandoli ai loro datori di lavoro, sono destinati a cadere in una inesorabile impasse causata dal fatto che la persona che ne stabilisce i doveri è la stessa che abusa dei loro diritti.
Per di più, considerando la loro posizione dominante, i datori di lavoro con buona probabilità costringeranno i loro dipendenti all’obbedienza facendo ricorso a pratiche illegali e deleterie quali la confisca del passaporto, l’imposizione del pagamento delle tasse di collocamento, la sospensione del regolare pagamento dello stipendio e la minaccia di denunciare arbitrariamente i migranti alle autorità statali per mancata osservanza dei loro doveri.
In relazione a questa situazione, Qatar è stato uno dei primi membri del Golfo a rimuovere la clausola NOC richiesta imminente dall’occidente, visto i mondiali pianificati proprio lì, dove il diritto non è proprio di casa dove, le autorità del Qatar hanno in primo luogo abolito la clausola detta “No Objection Certificate” (Noc) – che costringeva i dipendenti a ottenere il consenso dei loro datori di lavoro per cambiare occupazione – e introdotto in secondo luogo un salario minimo per tutti i tipi di lavoratori, indipendentemente dal settore di attività e dalla nazionalità.
Recenti calcoli rivelano, il Qatar nel 2019 ha raggiunto una popolazione di 2,8 milioni di persone, costituita per l’89% da espatriati. La popolazione straniera può essere divisa in due gruppi principali: quello degli artigiani e degli operai e quello della cosiddetta popolazione urbana. I primi, che si stima costituiscano circa il 60% degli espatriati, sono di solito impiegati in progetti di mega sviluppo, come i cantieri della Coppa del Mondo; sono generalmente giovani (20-49 anni), maschi e single. Il secondo gruppo, costituito dal restante 40%, comprende professionisti o dipendenti nei settori dei servizi privati o governativi, e le loro famiglie. Per quanto riguarda la composizione della comunità di espatriati, gli indiani rappresentano il 28% della popolazione totale, seguiti da bengalesi (13%), nepalesi (13%), egiziani (9%) e filippini (7%).
Ma non tutto quello che luccica è oro; le pratiche di abuso salariale sono ancora eccessivamente frequenti per diversi motivi. In primo luogo, non tutte le imprese e i lavoratori del Qatar sono iscritti al Wps (sistema protezione salario) . Infatti, alcune categorie vulnerabili (come i migranti impiegati in lavori domestici o agricoli) , non sono regolamentate dalla legge sul lavoro, e quindi sono escluse dal Wps. In secondo luogo, l’operatività del Wps non in grado di rilevare alcuni tipi di abuso salariale, come i pagamenti inferiori al dovuto o il mancato pagamento delle ore di straordinario.
Qatar stadi mondiali: la strage degli schiavi neri (frame Youtube)
Anni di sfruttamento, privazioni dei diritti e violazioni salariali. Molto resta da fare.