Certe volte ho bisogno di spegnere le mie paure, salire quella china che mi fa stare bene, la brezza marina che accarezza la schiena, mirto, rosmarino selvaggio, elicriso, io su quella cresta dove l’onde batte forte.Ti arrivano schiaffi salini che ti mozzano il respiro, intensi, pieni. Cosi rimuovi, i ricordi che ti fanno male, elimini dalla memoria il passato, per guardare avanti e avere la forza giorno dopo giorno. Che stranezza la vita!non fa altro che rimuovere sogni,che rimpiazzi con altri o gli stessi! Una sfida aperta, necessaria per dire oggi ce la farò.Se quel giorno non ce la fai, domani sarà diverso, puoi sempre provare, soccombere e provare.Poi preghi, perché ci provi sempre, in qualche modo credi, poi capisci che Dio non ti dà, ma tu ne trai forza per continuare. Non è mai semplice, non è mai come vorresti, però ogni volta il coraggio di portarti in salvo da sola, puoi contare solo sulle tue braccia, sulla tua forza di amare, sulla tua capacità di contenere il dolore e di non spargerne a tua volta. Superare la nostalgia di ciò che non è stato, altrimenti diventa malinconia, tristezza e non possiamo permettercelo. La vita è un insieme di attimi, in cui muori e risorgi, dobbiamo avere la forma della vita, dell’acqua che ci avvolge, del vento nitido sui nostri contorni.
Cercare le cose nel fondo del nostro cuore, tirarle fuori per consolarci, donarle, essere felice
con le piccole cose, le grandi cose crollano, le piccole si conservano, come un fiore in un libro, una poesia in un quaderno, un cuore piccolo può essere grande e fare grande ogni cosa intorno. Iris G. DM
Nello sconfinato panorama della storia poetica italiana, furono pochi gli autori che riuscirono a raggiungere le vette liriche di Giovanni Pascoli (1855-1912), considerato ancora oggi uno dei poeti più preziosi ed emblematici della storia italiana ed europea. Tra le sue grandi passioni spicca un particolare interesse per il mondo del vino e della vite. È noto che ci tenesse molto ad avere una cantina ben fornita e che avesse un gusto particolare per la tavola e per i prodotti di alta qualità, qualsiasi essi fossero. Addirittura, durante le sue trasferte in veste di insegnante e accademico, raramente mancava di procurarsi bottiglie particolarmente pregiate tramite i numerosi contatti in tutto il Paese. ll rapporto di Pascoli con il vino fu sempre complicato, in precario equilibrio tra la passione, coltivata sin dalla gioventù a San Mauro di Romagna (oggi San Mauro Pascoli), e una vera e propria dipendenza dall’alcool, aggravatasi negli anni del ritiro a Castelvecchio e tra le cause principali della sua morte a Bologna nel 1912. Forse proprio per un inconscio pudore o per vera e propria vergogna dei propri eccessi, Pascoli non menzionò quasi mai il vino direttamente nelle sue opere, fatta eccezione per qualche accenno in liriche come “Germoglio”, contenuta nella grande raccolta Myricae (1891-1903). Anche nella celebre I Tre Grappoli, poesia contenuta nella stessa raccolta, i riferimenti al vino sono sempre vaghi e ambigui. Chissà che il poeta non volesse, in qualche modo, parlare della sua stessa sofferenza – mettendo in versi il lento declino dovuto alla sua dipendenza – e invitare, sé stesso e noi, a fermarci al primo grappolo. I primi bicchieri sono un grande piacere, i successivi ti sollevano dai dispiaceri, poi, però, non bere più. Se vai oltre, cadrai ubriaco e da ubriaco ritorneranno nella tua mente quei dolori antichi, per cui hai già pianto. L’invito a bere con misura, diventa l’amara constatazione che l’uomo non ha rimedi contro le proprie sofferenze.
I TRE GRAPPOLI
di Giovanni Pascoli
Ha tre, Giacinto, grappoli la vite. Bevi del primo il limpido piacere; bevi dell’altro l’oblio breve e mite; e… più non bere:
ché sonno è il terzo, e con lo sguardo acuto nel nero sonno vigila, da un canto, sappi, il dolore; e alto grida un muto pianto già pianto.
*Purtroppo nonostante questi versi, il poeta morì a 57 anni per cirrosi epatica proprio a causa dell’eccessivo uso dell’alcol. Probabilmente trovava nel vino rifugio al peso della depressione, del suo animo fragile come molti talenti dilaniati tra dolore e genio.
(IT) Antonio Machado fu un poeta di Siviglia (Spagna), nato nel 1875. Lascia un’importante eredità nel Modernismo spagnolo. Formó parte della denominata Generazione del ’98, scelto anche como membro della Real Academia Española. Tra i suoi libri si distaccano: “Soledades” (1907), “Campos de Castilla” (1912) y “La Guerra” (1937).
(ES) Antonio Machado fue un poeta sevillano nacido en 1875 que dejó un gran legado dentro del Modernismo español. Formó parte de la denominada Generación del 98, y fue escogido miembro de la Real Academia Española. Entres sus libros publicados destacan algunos como “Soledades” (1907), “Campos de Castilla” (1912) y “La Guerra” (1937).
Notte d’estate (IT)
È una bella notte d’estate Le alte case tengono aperti i balconi del vecchio paese sulla vasta piazza Nell’ampio rettangolo deserto, panchine di pietra, evonimi ed acacie simmetrici disegnano le nere ombre sulla bianca arena. Allo zenit la luna, e sulla torre la sfera dell’orologio illuminata. Io in questo vecchio paese a passeggio solo, come un fantasma.
Noche de verano (ES)
Es una hermosa noche de verano. Tienen las altas casas abiertos los balcones del viejo pueblo a la anchurosa plaza. En el amplio rectángulo desierto, bancos de piedra, evónimos y acacias simétricos dibujan sus negras sombras en la arena blanca. En el cénit, la luna, y en la torre, la esfera del reloj iluminada. Yo en este viejo pueblo paseando solo, como un fantasma.
La saeta (ES)
¡Oh, la saeta, el cantar al Cristo de los gitanos, siempre con sangre en las manos, siempre por desenclavar! ¡Cantar del pueblo andaluz, que todas las primaveras anda pidiendo escaleras para subir a la cruz! ¡Cantar de la tierra mía, que echa flores al Jesús de la agonía, y es la fe de mis mayores! ¡Oh, no eres tú mi cantar! ¡No puedo cantar, ni quiero a ese Jesús del madero, sino al que anduvo en el mar!
La saetta (IT)
¡Oh, la saetta, il cantar al Cristo degli erranti, sempre con sangue in mano, sempre per schiodar! Canto del popolo andaluzo, che ogni primavera va chiedendo una scala per salir alla croce! ¡Cantar della terra mia, Che getta fiori al Gesù dell'agonia, ed è la fede dei miei vecchi! ¡Oh, non sei tu il mio canto! ¡Non posso cantar, ne voglio, a quel Gesù del legno, bensì a quello che andò per mare!