Comunicato: Finalisti PREMIO DI POESIA EDITA “Dieter Schlesak e Vivetta Valacca” (2022)

Ho il piacere di comunicarvi che il mio libro di poesie PARABOLE è finalista al Premio di poesia edita ” Dieter Schlesak e Vivcetta Valacca (2022)

Cipriano Gentilino

Abbiamo il piacere di comunicare che la giuria del PREMIO DI POESIA EDITA “Dieter Schlesak e Vivetta Valacca” (2022) ha concluso la fase di lettura e…

Comunicato: Finalisti PREMIO DI POESIA EDITA “Dieter Schlesak e Vivetta Valacca” (2022)

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Ti aspettavo da sempre, di Alma Bigonzoni

Ti aspettavo da sempre, di Alma Bigonzoni

Poesia e Serenità

Ti aspettavo da sempre

Ti ho amato ancor prima che una parola 

potesse essere pronunciata, senza 

alcuna incertezza, senza sapere chi fossi. 

Forse è stato il caso a portarti da 

me, ti aspettavo da sempre, eri tu e 

nessun altro.

Ho attraversato giorni uguali, giorni 

solitari, gli oceani del tempo per trovarti. 

Ti ho cercato nei giorni insipidi e tediosi, 

tra panchine solitarie, nei giorni di 

pioggia, nei giorni vuoti e adesso ti ho 

trovato.

Non pensavo potesse accadere, 

all’istante mi sono innamorata di te, hai 

saputo parlarmi con gli occhi dell’amore.

Aspettavo te per poterti amare, sentire il 

profumo della tua pelle col

calore di una mano, il respiro fondersi 

con l’anima, un’armonia d’amore.

Ed io mi sento

una Dea

quando sono vicino a te.

_@Ab_

Amici di S. Maria e S. Siro

Amici di S. Maria e S. Siro: Concerto per violino e chitarra classica

Siamo giunti al quarto appuntamento del Maggio Musicale in S. Maria e S. Siro in Sale. Sabato 18 giugno, ore 21,15 sarà ospite una formazione inusuale, chitarra classica-violino, formata  da due valenti musiciste italo svizzere Virginia Arancio e Cordelia Hagmann, che promettono di regalarci intense emozioni. Eseguiranno  musiche di Schubert, Villa Lobos, Ramirez  e Piazzolla.  Ringraziamo la Fondazione Cassa di Risparmio di Tortona e la Fondazione Cassa di Risparmio si Alessandria che , con il loro contributo hanno reso possibile  questa  stagione in S. Maria e S. Siro in Sale 

A seguire una breve presentazioni delle artiste.

Virginia Arancio, alessandrina, per la precisione di Carbonara Scrivia , di nascita e formazione (diploma al Conservatorio di Alessandria sotto la guida di Guido Margaria) si trasferisce in Svizzera per specializzarsi in interpretazione della musica Contemporanea. Dal 2008 è docente di chitarra classica presso Conservatoire du Musique de la Broye (Svizzera francese) e dal 2011 è docente di chitarra classica presso la scuola di musica  Konservatoriun Bern e Konservatorium Winterthur.   Ha lavorato con diversi ensemble di musica contemporanea e di  musica da camera in varie formazioni 

Cordelia Hagmann, svizzera, anche lei insegna presso il Konservatorium Bern, è musicista  versatile che si esibisce sia in formazioni classiche che jazzistiche. Ha eseguito concerti negli Stati Uniti, in Europa e in Israele, come la Carnegie Hall, il Barbican Center e la Wigmore Hall di Londra, la Salle Pleyel e l’Olympia di Parigi, la Konzerthaus di Vienna, la Konserthus di Stoccolma, Heidelberger Frühling. Ha vinto in questi anni  premi e ottenuto diversi riconoscimenti.

Sapessi quante notti, di Rosalba Di Giacomo

Sapessi quante notti, di Rosalba Di Giacomo

Sapessi quante notti 

ho sognato il sole! 

Non quello che ti brucia la pelle,

ma quello che riscalda sfiorandoti,  

magari

con un raggio. 

Che lascia riverberi luminosi 

sulle lastre svegliando il mattino 

e sfiora le lenzuola candide 

ancora impregnate di sogni. 

Quel sole che desta il sonno

e accarezza il nuovo giorno

portando sospiri di mondi lontani 

che solo nell’onirico incontri. 

Sapessi 

quante volte ho sognato il sole!

Rosalba Di Giacomo

L’ETICA COMPORTAMENTALE, di Gregorio Asero

La cultura è cibo per l’anima, di Pier Carlo Lava

Gregorio Asero

L’ETICA COMPORTAMENTALE

Le nostre azioni di persone equilibrate che si rivolgono verso il prossimo, non si fermano semplicemente all’adempimento di correttezze comportamentale verso gli altri, almeno penso non solo in quella direzione, anche se con tali azioni possiamo dire di essere persone buone ed equilibrate. Ma dobbiamo anche rivolgerci verso noi stessi, verso un equilibrio bilanciato fra noi e la natura. L’uomo, anche se è un animale socievole e preferibilmente vive in gruppo, non lo è mai completamente in modo esclusivo. Ognuno di noi ha pensieri, sentimenti, istinti che a volte toccano le note più alte dell’animo umano e altre volte, al contrario, rasentano la barbarie e la stupidità. Per poter affermare che viviamo una vita degna di essere vissuta, è indispensabile che i nostri pensieri e le nostre azioni, siano rivolte verso un fine programmato da noi, perché solo così possiamo dire, di essere felici, anche se siamo soli. Bisogna impedire che il dovere sociale abbia il sopravvento sul dovere individuale. Attenzione con questo non voglio dire che bisogna coltivare il sentimento dell’egoismo, al contrario, io sono convinto che quanto più un essere umano è spiritualmente e interiormente felice, tanto più sarà predisposto all’altruismo e alla solidarietà. Solo un uomo mentalmente tranquillo, anche economicamente, perché no, è in grado di rispondere alle esigenze del prossimo.

Gregorio Asero

LETTERA AD UN PASSANTE CHE SALVAI IN SOGNO, di Rebecca Lena

LETTERA AD UN PASSANTE CHE SALVAI IN SOGNO

 · di Rebecca Lena · in lettere a sconosciuti. ·

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Caro passante,

non so come sono giunta fino a questo punto, seduta su una tribuna di Buti ad aspettare i cavalli del Palio, senza aver dormito, con la testa pesante e gonfia di raffreddore.

Ancora un’ora e mezzo qui da sola (e cinque ore dopo avrei scoperto di essermi sbagliata), fra le panchine  vuote. Per fortuna che c’è il sole che scalda il cappotto.

È questo il momento giusto per sentire il bisogno di te, chiunque tu sia. So che sei qualcosa.

La necessità di inventarti è ancestrale per tutti gli uomini, ma non parlo di Dio, tu sei un uomo in carne e ossa, ti ho assemblato io in ogni pezzo, con le parti di altri uomini o donne, proprio come il santo Nicolao che resuscitò le bambine morte reincollando le loro carni trovate sparse nella botte.

Proprio adesso sto rubando alcuni lembi dalla gente di questo luogo e ti creo, mio caro destinatario.

Già assaporo il momento in cui individuerò il tuo simulacro in una folla qualunque, o in un treno, quando ti porgerò questa lettera con viso impassibile che si scioglierà all’istante, dopo averti dato le spalle.

Ho deciso che hai gli occhiali spessi, proprio come questo signore calabrese che mi sembra tanto gentile nella sua miopia.

Gli occhiali ti induriscono i lineamenti, infatti è come se…

Eccomi di nuovo, cinque giorni dopo. Il palio è lontano, ha vinto San Rocco, ma Pievania era più divertente. In realtà a me i cavalli manco mi piacciono, io amo gli asini, la loro grazia è infinitamente superiore.

Adesso sono chiusa in una stanza bianca illuminata da grossi quadrati di neon.

L’intonaco per metà grigio e le tende azzurre mi ricordano una glaciale quotidianità che appartiene alla mia infanzia. Forse sono in una scuola.

Ero rimasta ai tuoi occhiali spessi. Credo di notare i tuoi occhi solo adesso, mentre riposizioni la montatura chissà dove, chissà quando.

Mi viene da dire, non so da quale parte remota del mio cervello: che ci fai in questo mondo? Tu dovresti essere altrove.

Infatti credo di conoscerti da tempo, mi sembra di averti visto da qualche parte, in un posto strano, un sogno?

Ecco! Mi sono ricordata, era davvero un sogno, la notte del 3 Luglio 2017.

Lo avevo segnato da qualche parte in un quadernino malconcio, voglio raccontartelo brevemente.

Userò il tempo presente come s’addice alla narrazione dei sogni. Inizia così: mi trovo in un paese sconosciuto, davanti all’alimentari c’è una coda molto lunga e pure un certo fermento di festa che trema nell’aria. Sull’insegna, incorniciata da led gialli e rossi, vi è stampata la foto di un ragazzo disteso a letto, morto. È il figlio dei proprietari del negozio, si era sentito male all’improvviso ed era morto quella mattina stessa.

All’interno dell’alimentari il padre taglia spesse fette di prosciutto e prepara panini senza fermarsi, con un ghigno di sgomento e forzata leggerezza.

Non capisco bene il perché di tutta quella gente felice, probabilmente i panini sono gratis per l’occasionale tragedia.

Salgo le scale e raggiungo il morto “esposto” sul letto. Guardo il suo viso grigio, i capelli un po’ incrostati sulla fronte e la pelle sgualcita. Non provo niente, non mi interessa poi così tanto.

Torno nella piazza affollata e scorgo alcuni ragazzini tristi che si ciondolano fra le panchine, sono i suoi amici. Mi avvicino e chiedo informazioni, mi raccontano di lui.

Comincio a passare del tempo con loro, giorni interi, ascolto le loro storie e mi affeziono un po’ al fantasma di quel ragazzo morto che non avevo mai conosciuto. Non ricordo bene cosa mi raccontassero, ma erano prevalentemente avventure forsennate ed esplorazioni boschive.

Passano alcuni mesi, forse abbiamo tutti diciassette anni.

Nel bosco c’è una scarpata di una trentina di metri e un giorno insegno loro a saltare senza morire, non so dov’è che ho imparato questa tecnica, ma so metterla in pratica molto bene: basta sentire la leggerezza all’interno del corpo e la forza di gravità può attenuarsi tanto da rallentare la caduta.

Quel giorno, giunti illesi sul fondo del dirupo, troviamo una costruzione strana, abbandonata, più o meno grande quanto una roulotte, ma molto antica e piena di ingranaggi metallici. Le finestre sono fessure rettangolari con vetro rosso. All’interno troviamo il foglio delle istruzioni: è una nave capace di viaggiare, forse nello spazio? Ci chiediamo.

Il foglio istruzioni è in verità una console di comando, basta scrivere e barrare alcune caselle per partire. Con trepidazione affondiamo una penna su quella carta e la navicella comincia a tremare; abbiamo la sensazione che si stia muovendo ad una velocità inimmaginabile, anche se in nessuna direzione.

In fondo al foglio c’è lo spazio per inserire una data. È una macchina del tempo allora. Io vorrei scrivere 1991, non so bene perché, forse solo per provare una data qualsiasi.

Ma all’improvviso balena a tutti un’idea incredibile. Uno dei ragazzi mi strappa il foglio di mano e scrive: 15 Maggio 2017.

Esattamente due giorni prima la fatidica morte del loro amico.

Dunque siamo catapultati a quel giorno, usciamo dalla navicella e raggiungiamo il paese di corsa.

Il ragazzo è seduto sul letto, vivo.

Tutti lo abbracciano increduli, lui è stupito e non capisce il motivo di tanta euforia. Anche io mi avvicino a lui e lo osservo vivo per la prima volta, lui mi guarda, non mi ha mai vista prima ma sgrana gli occhi.

Passano due giorni, ci raccontiamo storie, non oso rivelare lui il suo destino.

Il giorno 17 Maggio il ragazzo comincia a sentirsi male, i genitori non sanno come curarlo ed io cerco di far capire loro che ha bisogno di fiori di Cistus Laurifolius, noccioli di avocado, polvere di ossa di gabbiano, bozzoli di bachi da seta e burro di mirtillo. Ne sono sicura, ma non so spiegarmi il motivo. Ho come l’intuizione che quel ragazzo sia come un uccellino ferito, molto delicato, e che dunque abbia bisogno di un cibo speciale per sopravvivere.

Cerco disperatamente di procurarmi gli ingredienti necessari alla sua cura, lui nel frattempo continua a peggiorare.

Finalmente li trovo, impasto tutto in una tisana e lo costringo a bere il bicchiere. Mi sveglio.

Non ho mai saputo se lo avessi salvato. Quel dubbio poi si è attenuato negli anni. Eppure tu sei qui, sei lui, io credo, quel ragazzo sdraiato, sei cresciuto. Non ti ricordi più di quando stavi per morire e mi hai conosciuta per due giorni soltanto?

Forse nel delirio della malattia hai dimenticato il mio viso, di quanti lunghi minuti passassi china sul tuo, cercando di farti bere la mia medicina, di quando tu l’hai ingoiata tutta ed io d’un tratto sono svanita.

Adesso sono qui, incastrata fra queste righe, tu mi leggi e non mi vedi, io ti scrivo e non ti vedo, ma so che ci sei come ci sono io, e che un giorno, come me, dovrai pur smettere. Sparire all’improvviso.

Questa lettera altro non è che una macchina del tempo, abbandonata in un bosco inaccessibile. Qui possiamo rifugiarci per esistere più a lungo, cambiare le date dei giorni, viaggiare a velocità inimmaginabili pur restando saldi al mondo.

Sospesi, questo siamo: qui dentro. Le parole sono confortevoli piramidi di senso e di ragione, ma noi possiamo sgusciare oltre fra le fessure, aldilà, fino a diluirci in ciò che non c’è.

Quando ti sentirai debole, insulso, o malato, torna a queste pagine, vaga indietro con me, nel sogno, dove ci siamo salvati senza conoscerci affatto.

Spero tu stia bene adesso.

Tua domatrice di tempo e gravità.

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RIDIMENSIONARE, di Rebecca Lena

RIDIMENSIONARE

 · di Rebecca Lena · in quarantena. ·

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Il terzo giorno Santa Brigida era inghiottita da una nube finissima. Se fossi uscita forse avrei perso con me tutta la testa, soprattutto i capelli che ho fatto bianchi per confondere la fronte con la nebbia, e per lasciare le sopracciglia fuggire con gli angoli delle rondini stordite, e per concedere agli occhi neri, che in fondo sono solo buchi, di rimanere fra le trame e il frascame, a parlare di cose bagnate.

Il bosco piove, il corpo mio è una casa umida che respira in modo viscido, l’eco di una frana segretamente drammatica che la montagna tenta di nascondere. Santa Brigida, escrescenza di briciole antropiche sul suo ventre, sono io, forse scivolo nel dissesto, sospirando fra le crepe dei muri che si fanno più larghe. 

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COSE CHE NON TROVO, di Rebecca Lena

COSE CHE NON TROVO

 · di Rebecca Lena · in quarantena. ·

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Mi sono persa nel bosco, i cedri sono nudi e flettono il vento di modo che possa risuonare certe acute flessioni lignee. Cerco animali perduti, ma credo di essere la sola. 

Il tappeto sbiadito crepita nei passi svelti di un daino che somiglia a se stesso, somiglia a me, mi ricordo che la crosta del mondo respira attraverso questo scambio d’identità decomposte. 

Ovunque è l’ocra di un autunno atavico, cerco nel significante visivo un significato che mi riveli l’importanza del mio eremitare. Non lo trovo, non trovo niente che non sia il niente del sentire, l’esistere che è da sé, non per esistere, come l’acqua che scende giù dalle fauci delle rocce senza che le rocce abbiano mai avuto sete.

Eterno, un boato indistinguibile passa a setaccio la mente.

L’inutile presenza di un corpo, il mio, e delle fluide cose che lo attraversano; ma peculiare, l’assenza massiccia di desideri che contraddistingue il suo mistero. Ciò che non ha: non lo brama, ciò che ha: viene sospinto lontano; attorno a sé ogni presenza si appiattisce sul confine della potenzialità. Solo nel distante l’attrazione riconosce l’increspatura del sentire. 

Tutto è remoto alla mia pelle.

Io stessa sono remota al mio corpo, lo ascolto nella corsa di una bestia che non vedo. Fuggo, perché solo sfuggendo intuisco di esistere.

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XENOSTALGIA, di Rebecca Lena

XENOSTALGIA

 · di Rebecca Lena · in quarantena. ·

racconti-della-controra_-7Incapriccio i pensieri dentro una finestra. Forse rielaboro il valore dello spazio. La cornice che mi separa dal mio riflesso opaco sulle colline è l’asse di simmetria umana.Oltre la quadratura degli infissi è la dimensione sensibile, quella che muove il presente, a tendere i fenomeni: un’imprevedibile litomuscolo. Quando accade di vivere là in mezzo l’urto sensibile dell’attività altrui – atmosfericosmigeologicorganica – rimbalza piacevole sul fondo del mio timpano.  Ma adesso l’atto che non mi appartiene, l’altrui flessione sulla mia membrana, è così concretamente distante. Assente, cerco un nome che possa definirlo: è xenostalgia.  Ascolto lo smembrarsi del corpo che tace, che non muove perché non mosso. Non sono più corpo dentro questa scatola. 


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UN SOGNO CHE MI HA INARIDITA, di Rebecca Lena

UN SOGNO CHE MI HA INARIDITA

 · di Rebecca Lena · in quarantena. ·

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[Dodicesimo giorno da sola]

D’un tratto ho due trampoli sottili, surrealisti, che mi permettono di saltare venti metri per ogni passo. Mi fiondo subito verso una direzione qualsiasi ma vengo scoperta, cominciano a inseguirmi. La corsa mi è favorevole e presto raggiungo il limite della città; alcuni congegni sul suolo proiettano immagini sopra un muro di fumo, falsi paesaggi cittadini, sconfinati, solo illusioni ambientali. Scavalco con cura i proiettori luminosi, preziosi infusori di conforto, e la verità prende forma: colline ondulate, levigatissime, di legno. In realtà è una verità senza forma. Cielo assente, nessuna vegetazione, niente che non sia ebano limpido dalla temperatura incerta. Balzo sulle mie gambe lunghissime per metri e metri ma non vi è fine a questo mare solido. Tutto è piallato, le venature marroni del suolo mi ricordano banchi di anguille immobili.

I miei sequestratori sono lontani, li sento, non so di quali volti siano provvisti tanto non possono raggiungermi…raggiungermi dove? Lo sguardo si assottiglia sul rigido moto ondoso dell’orizzonte.

Continuo a involarmi fra la creste immote e l’euforia si spegne, il suolo pare più solido di quanto non sia mai stato, l’idea che non vi si possa scavare nemmeno un’urna in cui dormire mi avvizzisce tutti gli arti. Ogni estensione del corpo si fa spoglia di vita. Tale è il dolore che d’un tratto è mattino.

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GIUTURNA MALAKOS, di Rebecca Lena

GIUTURNA MALAKOS

 · di Rebecca Lena · in Racconti. ·

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Esiste un posto, all’interno di un bosco molto fitto, è un’oasi incredibile, c’è sabbia, terra rossa, il cielo infinito come in mare aperto. È un luogo sospeso fra gli occhi dipinti sui tronchi dei faggi. Al centro di questa pozza satura di stupore, in una vasca di fango caldo, vive un corpo. Un corpo umano, molle e sporco. Giuturna Malakos ruota lentamente sopra i suoi piedi di melma. Così lenta la sua esistenza, il suo gravitare, che il solo battito del ciglio è una persiana interminabile che si chiude sopra il cosmo. Bianchissima apparirebbe la sua pelle senza il velo argento che le fa da involucro, crisalide, tela di ragno che i suoi seni produce. È una cosa morta, lei, e più viva del mondo stesso. Giuturna cosa molle, sospesa nel reale, il reale marcio, che è viscido, è rifiuto, è fanghiglia, è odore di fiume, è umido, è intenso, è incantevole. È molle, è umano. È malato, come Giuturna. Guarda come sbiadisce la patina d’aria intorno alla sua danza rotonda, ti attacca la pelle al suo sudore con aliti di limo evaporato; e guarda che colori! Le nuvole si sono squagliate sopra l’ultimo bagliore – fatuo? – del sole, già morto. Già morte le nuvole. Tutta la montagna è già morta, tutto il solco del fiume è già morto, e ovunque il frascame, e la condensa dell’anima. È proprio incantevole – e guasto – questo cadavere del mondo, come il piccolo pesce che tiene lei in mezzo al palmo, tenero e morbido, lievemente freddo, o fragile come il geco nato da una perla segreta, nascosta dietro al suo ventre, proprio nella palpebra sacra del suo ombelico; è nato mentre dormiva ancora, senza dir nulla, che delicatezza, miele nella gola la sua soffice ruvidezza, e la piccola vipera maculata? Quella che ha sfiorato col dito, con la pelle elastica e il filo di lingua che taglia l’aria, ipnotica vipera mia, e pur il moscondoro docile che se ne sta aggrappato alla sua scapola, così lucida la corazza, la peluria paglierina, gli arabeschi affilati sulle punte delle zampe; che meraviglia di soffi quelle antenne che tremano sul suo collo. Estasi di pellegrino. Terra nera nel cuore sgualcito di spore, euforia intima in fondo al nocciolo, è una cosa molle, tutto è molle dentro, sopra Giuturna, intorno a Giuturna, col suo corpo bianco che ruota, e il frascame umido che si erge a colonna, dalle sue labbra, verso il cosmo.

[Dedicato a me stessa]

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DIVAGAZIONI LETTERARIE: “Charles Bukowsky” di Myriam Ambrosini

DIVAGAZIONI LETTERARIE: “Charles Bukowsky” di Myriam Ambrosini

Pubblicato il 11 giugno 2022 da culturaoltre14

Nuovo Documento di Microsoft Publisher

Ed apparteneva a quella inquietante genia dei reietti … Dei paria, degli alternativi pericolosi, degli inguaribili tossici: ma lui “faceva poesia”. E le sue poesie erano belle, profonde, ricche di sensibilità, nonostante la voglia di provocare, di stupire, persino d’insultare.
E Charles Bukowski giocò anche “con quel suo fare poesia”.
“Scrivo poesie per portarmi a letto le donne.” Affermò infatti … Ed era vero … Ma soltanto in parte. Alle donne piacciono le poesie e si mostrano inclini a chi le scrive – lo stesso non avviene al contrario -, ma il nostro Charles le scriveva perchè gli sgorgavano dal cuore; quel suo cuore malato perché non riceveva mai l’amore che avrebbe desiderato … MAI MAI MAI abbastanza amore.
Per questo beveva, per questo si drogava, per questo si disperdeva in mille corpi femminili.
L’amore che non si riceve, soprattutto nell’infanzia, diviene una ferita insanabile, un marchio di fuoco indelebile.

Charles Bukowski era infatti nato ad Ardernash, in una Germania devastata dalla prima guerra mondiale e prossima al tracollo economico, e si era trovato a vivere i suoi primi anni in un ambiente degradato dalle perenni difficoltà economiche e, dopo il trasferimento dei genitori negli Stati Uniti, dal non sentire mai alcun luogo come patria: bubboni che esplodono in quotidiano scontento, rabbia, violenza.
E quel Charles bambino che Bukowski era stato aveva respirato da subito quella violenza: un padre, perdente nella vita, che lo fustigava con una cintura di cuoio, un giorno sì e l’altro pure, anche quando non aveva commesso alcuna colpa, ed una madre assente, forse ormai inesorabilmente rassegnata.

Ed ora soltanto brevi cenni della sua autobiografia, perché mi sembra che l’ essenziale sia stato già detto, e poi farò parlare la sua voce, attraverso la citazione di alcune sue frasi o nel citare alcune ( ne scrisse a migliaia) delle sue bellissime poesie, dove ad un crudo realismo si contrappone spesso la delicatezza di una acuta sensibilità.

Henry Charles Bukowski nacque ad Andermach ( Germania) il 16 agosto del 1920. Il padre, Henry Bukowsky statunitense, ma di origini miste polacco/ tedesche, negli anni giovanili, era arruolato come sergente della Third United States, ma una volta emigrato negli Stati Uniti, rimase spesso disoccupato, fatto che acuì la sua tendenza alla violenza. Della madre – Katharina Fett, tedesca – Charles ci racconta assai poco, un chiaro segno della scarsa influenza che ebbe su di lui, nonché della lacunosa affettività di cui doveva essere dotata. I genitori si conobbero durante la prima guerra mondiale e si sposarono in tempi piuttosto brevi. Nel 1923 lasciarono la Germania devastata e raggiunsero gli Stati Uniti, sperando in un miglioramento delle loro condizioni, soggiornando dapprima a Baltimora nel Maryland e successivamente, nel 1930, a Los Angeles. Qui il piccolo Charles, oltre alle angherie paterne ed al silenzio materno, dovette anche subire la discriminazione dei suoi coetanei che ne contestavano l’accento linguistico ” pesante”, nonché il suo abbigliamento che non si affiancava ai canoni usuali e tacciato pertanto ” da femminuccia”.
“La mia infanzia come in un film dell’orrore” la definì lo stesso Bukowsky.
Quasi prevedibile, in una mente viva, ma particolare e scontrosa come la sua, il ricorso all’alcol … Un ” coupe de foudre” che avvenne a soli 14 anni e che si trasformerà in un amore dipendente per tutta la vita.
“Se succede qualcosa di brutto si beve per dimenticare. Se succede qualcosa di bello, si beve per festeggiare. E se non succede niente, si beve per fare succedere qualcosa”.
Afferma lui stesso.
Nel 1969, grazie all’offerta dell’Uditore della Black Sparrow, poté finalmente abbandonare l’odiato lavoro da postino e, per uno stipendio contenuto di circa 100 dollari al mese, si dedicò completamente alla scrittura.
” Avevo solo due alternative: restare all’ufficio postale e impazzire … O andarmene a giocare a fare lo scrittore e morire di fame. Decisi di morire di fame.”
Affermò, giustificando la sua scelta.

Anche i suoi rapporti con le donne furono molto burrascosi … E quando dico “donne” non mi riferisco ai tanti “corpi” posseduti, ma a quelle che nella vita dell’artista hanno avuto un ruolo, se non fondamentale, almeno determinante.
Tra queste ultime possiamo sicuramente annoverare: la poetessa Barbara Frye, che sposò nel 1957, per poi divorziare nel ’59.
Jane Baker, costituì il suo primo grande amore ed, in occasione della sua morte, le dedicò parecchie poesie, da dove si evince lo sconforto ed il dolore per quella morte prematura.
Un’altra donna importante fu Frances Smith, che gli diede l’unica figlia, Marina Louise.
Seguirono Liza Williams, poetessa e scultrice e Tannie o Tanyn.
Una delle ultime e forse, infine, la più importante, fu Linda Lee Brigale, proprietaria di un ristorante, che, tra separazioni e ravvicinamenti, finì per sposare nel 1985.
All’inizio del 1988 si ammalò di tubercolosi, ma seguito’ ugualmente ed ininterrottamente nella sua intensa attività letteraria. Morì a Los Angeles il 9 marzo del 1991 per una leucemia fulminante.

Innumerevole e svariata la sua produzione letteraria: sei romanzi, centinaia di racconti e migliaia le poesie composte. Tra le opere più rappresentative, voglio citare:
DONNE; PANINO AL PROSCIUTTO; POST OFFICE; L’AMORE È UN REGALO CHE VIENE DALL’INFERNO e lo scandalosissimo.” STORIE DI ORDINARIA FOLLIA”, da cui fu tratto anche un famoso film, che vide come protagonisti Ben Gazzara ed Ornella Muti.
Altri film riecheggiarono in seguito la figura di Bukowski, quali, ad esempio, “Banfly Moscone da bar
( Michey Rourke protagonista); Crazy love o Factotum ( Matt Dillon protagonista).
Ma è con alcuni suoi meravigliosi detti e con le sue poesie che intendo farvi salutare quest’uomo che mai conobbe l’equilibrio, ed ancor meno la felicità.

” Dentro ad un abbraccio puoi fare di tutto: sorridere o piangere, rinascere o morire. Oppure fermarti a tremarci dentro, come fosse l’ultimo.”

“Voglio mettere le mani sul viso e baciarti le rughe: gli anni dove non c’ero.”

“Tutto si riduce all’ultima persona a cui pensi la notte.”

“Parlatene Parlatene sempre di tutto, perchè i silenzi sono pietre e le pietre diventano muri ed i muri dividono.”.

” Scrivere poesie non è difficile: difficile è viverle.”

Cinico? Brutale? Depravato?
Se Bukowski fosse stato realmente così, non avrebbe mai potuto scrivere queste parole, che scaturivano comunque dalla sua anima … E ad un uomo così si può perdonare molto.

MYRIAM AMBROSINI

https://culturaoltre14.wordpress.com

Il punto di vista – “Giugno il mese della Repubblica” – di Mariantonietta Valzano

Il punto di vista – “Giugno il mese della Repubblica” – di Mariantonietta Valzano

Pubblicato il 13 giugno 2022 da culturaoltre14

lente ingrandimento

“Il punto di vista” di Mariantonietta Valzano

Il mese di giugno è iniziato con la Festa della Repubblica ed è proseguito con il Referendum del 12, il cui esito era purtroppo abbastanza scontato: poca affluenza con il 20%, dato mai così basso, sintomo evidente di poco interesse.

Lo strumento referendario da diverso tempo risente di vari problemi che ne rendono vana l’applicazione e l’efficacia. La formulazione dei quesiti alquanto manichei, che non rendono di facile comprensione l’oggetto stesso del Referendum, allontana il cittadino dall’ottemperare al suo diritto di voto. Ad esempio, quanto sarebbe più facile se invece del papello scritto in burocratese si fosse scritto: volete che un condannato in via definitiva sia escluso automaticamente dalla elezione degli organi di Stato? Volete che chi è accusato di aver commesso un reato violento, di mafia o terroristico, chiunque sia di reiterare il reato, venga trattenuto nella custodia cautelare?

Forse sarebbe stato più facile.

Vorrei sottolineare che ci sono paesi come la Svizzera che hanno fatto dello strumento referendario una consuetudine legislativa, con una affluenza alle urne della stragrande maggioranza dei cittadini proprio grazie alla semplicità dei quesiti proposti e alla nettezza della attuazione dei risultati conseguiti, attuando una efficace cittadinanza attiva e democrazia partecipata.

Un’altra criticità da evidenziare è la pertinenza dell’argomento referendario. Ci sono stati in questo periodo programmi televisivi che hanno più volte affrontato e spiegato i quesiti proposti, ma francamente la voce di popolo che si sentiva in giro era una corale richiesta di cosa si dovesse votare. Sinceramente, tranne la custodia cautelare e l’incandidabilità, gli altri argomenti erano prettamente tecnici e di conseguenza anche noi cittadini siamo in difficoltà nel giudicare e nell’orientarci per esprimere un qualsivoglia parere.

Ad esempio, sulla possibilità di far entrare come membri giudicanti dell’operato di giudici e magistrati, anche docenti universitari, quindi personale esterno all’ordine, è un tema che da profana mi porterebbe a sire  perché un parere esterno potrebbe essere super partes, ma anche no perché solo chi è interno all’ordine conosce l’effettiva portata dei problemi che ci sono. Mi sovviene, al tal proposito, il paragone con la professione docente: solo chi è in classe sa effettivamente quali siano i problemi e le attività che vengono messe in atto. A tal proposito, il comitato di Valutazione ha come membri dei docenti oltre al dirigente. Quindi come si può valutare una professionalità dall’esterno?

Altresì potrei esprimermi in ambo i modi riguardo alla separazione delle carriere: siperché in questo modo un giudice conoscerebbe anche le modalità operative dell’inquirente, arricchendo la sua esperienza e di conseguenza potrebbe essere più preparato, no perché nell’anomalia tutta italiana in cui i processi hanno una durata decennale, esiste la concreta possibilità di ritrovarsi come giudice assegnato un ex pubblico ministero che aveva coordinato le indagini.

Infine, in merito alle elezioni dei membri del Consiglio Superiore della Magistratura, è giusto avere dei membri di tutte le aree politiche, per una sorta di imparzialità?  Ma tale imparzialità non è già contemplata nel dettato costituzionale che rende indipendenti i tre poteri esecutivo, legislativo e giudiziario? Pertanto, risulta necessario avere sfere di influenza in una espressione della democrazia che è già indipendente per legge.

Forse nel nostro beneamato Paese ci sono delle anomalie che effettivamente rendono altresì anomala l’applicazione della Costituzione e la legiferazione stessa. Ad esempio, a mio parere, i processi non devono durare dieci anni e tantomeno non occorre alcuna indicazione partitica per eleggere membri responsabili di uno degli organi più importanti del nostro Stato quale è il CSM, ma è più che sufficiente garantire che siano elette persone capaci, imparziali rispetto alla politica e di specchiata moralità, cosa che da noi viene tanto sottovalutata mentre negli altri Paesi ci si dimette per scandali anche di poco conto.

Probabilmente non siamo pronti o peggio abbiamo perso la capacità e l’interesse alla responsabilità di cittadinanza, in virtù anche del fatto che in passato si sono fatti Referendum, come quello sull’acqua pubblica, e poi sono stati disattesi gli esiti con manovre machiavelliche. Inoltre, va anche detto che comunque la classe politica degli ultimi anni non riscuote grande fiducia. Si è transitatiti dalla prima Repubblica alla seconda, trasmigrando le stesse criticità clientelari che si sono intarsiate perfettamente tra euro e globalizzazione, con il risultato di considerare la politica non uno strumento per la salvaguardia della cittadinanza ma l’incarnazione del nemico del cittadino, anche sull’onda di strumentalizzazioni che comunque dirigono l’opinione pubblica non sempre per l’interesse della Res Publica.

Forse l’esercizio della democrazia non è quello che gli italiani attribuiscono allo strumento referendario e soprattutto del diritto al voto. Tuttavia, non dobbiamo dimenticare che tale diritto è una conquista che si deve difendere ed è l’unico modo con cui si possono fare le rivoluzioni efficaci che non abbiano rigurgiti violenti ed effetti duraturi.

E … forse… rivoluzioni positive, apportatrici di cambiamenti che rendano il nostro Tempo migliore rispetto al passato, che deve ancora liberarsi da mire autoritaristiche ed egoismo dilagante, generatore di guerre e distruzione dei diritti umani, forse… questo mondo sarebbe diverso. Chi lo sa, magari migliore.
Mariantonietta Valzano

https://culturaoltre14.wordpress.com

Lucia Triolo: vita in trappola

Una vita in trappola!
una in più di 
quelle che 
ci avevano partorito

per pochi euro abbiamo 
attraversato 
il fiume da una vita all’altra 
pedaggio proporzionato al poco valore
stringendo tra le cosce remi 
da non perdere

calzammo stivali di marca 
in nessun cammino
contammo pecore e merda
in desideri d’amore

con dita sottili e riccioli bruni
strimpellammo canzoni 
non issammo nessuna
bandiera

cercammo asili 
al riparo da ogni immaginazione
erano masturbate: 
nessun altro accesso che 
a se stesse!

ridemmo 
rubando facezie alle oche

lo spaventapasseri a guardia 
della vita felice
non ha annegato le altre 
nel fiume
né i respiri del sangue 
prima di finire per terra
bruciato

adesso sbrigati a uscir fuori dalla 
tenaglia
nessuno legge un libro 
sdraiato accanto a una donna
forse semplicemente,
non sono io lei

Ho capelli corti e rasati di fresco, Marina Donnarumma

Ho capelli corti e rasati di fresco, Marina Donnarumma

Ho capelli corti e rasati di fresco,

ho trecce di iuta e fili d’oro.

Gli occhi socchiusi a  vivere un sogno,

un altalena dal ceppo legnoso

con pampini e tralci 

sul far della sera.

Un altalena sospesa su colline di grano,

malinconica su abissi di dolore e paura.

Sussurrano parche sul nostro destino,

amore e vita,

amore e morte

all’ombra della mia quercia insonne

che ha sulla cima il sole che brilla.

Ninna,

ninna il nostro destino,

danza d’argento e di tulle

un funambolo dal cuore di carta,

sulla gota,

per sempre,

una lacrima di cristallo impressa.

Io parlo silenziosa al vento 

che piange di pioggia e stelle marine.

Curve di rami e tramonti di foglie

arpeggiano violini di note

che gemmano sui soffi di zefiro.

Ninna,ninna il cuore di fiamma 

canta nenie sul nostro destino.

Ho capelli corti e rasati di fresco,

ho nelle mie mani l’incerto destino,

ho in me l’anima mia.  Iris G. DM

Sul greto dai sassi sbiancati, di Giusy Del Vento

Giusy Del Vento

Sul greto dai sassi sbiancati

l’Ofanto ci raccontava

storie di eroi, eserciti e navi

Noi stesi al sole capivano solo

il verde delle canne e il vento

Che la storia vera, eravamo io e te

in quel momento

Anche dopo il tramonto tornando

sotto i nostri passi, l’odore del

finocchietto selvatico calpestato

urlò ‘tenetevi per mano!’

Il mormorio dolce del fiume in secca

divenne la cetra di Omero e cantava

di noi, come fossimo Diomede ed Evippe

Giusy Del Vento (inedita)

L’amore è per chi ha coraggio, Iris G. DM

L’amore è per chi ha coraggio, Iris G. DM

L’amore è per chi ha coraggio, 

L’amore è per gli eroi, per i sognatori,

Per chi è capace di mettersi in discussione.

Ci riempiamo con la parola amore, ma l’amore non è debole, è forte, incapace di mentire.Senza amore ci appartiene solo la solitudine, l’incapacità di amare ci chiude in una fortezza, difficilmente riusciamo a fuggire.Eppure è semplice, basta lasciarsi andare, basta amare perché il mondo si apra come una corolla, non c’è certezza, c’è solo amore nell’abbandono e non farsi troppe domande. Chi ha la forza, la potenza di farlo? L’amore è senza tempo, bisogna immergerci per restare eterni, tutto ciò che è amore profuma  di eternità. La solitudine non appartiene all’amore, e amare è un rischio , come è un rischio amare chi non lo sa fare, anche imparare ad amare. Iris G. DM