La sconfitta della ragione. Sciascia e la giustizia

La sconfitta della ragione. Sciascia e la giustizia

Alberto Mittone 12 Giugno 2022

DOPPIOZERO

L’interesse di Leonardo Sciascia per i temi della giustizia, quella sociale e quella amministrata, è sempre stato centrale. Non stupisce quindi che i giuristi se ne siano occupati e, ancora di recente, dopo Diritto verità giustizia a cura di Cavallaro e Conti (Cacucci, Bari, 2020), ne approfondiscano i contenuti un’altra coppia di autorevoli studiosi, i professori Amodio e Castellano (La sconfitta della ragione, Leonardo Sciascia e la giustizia penale, Sellerio, 2022)

Il saggio prende le mosse dalla ricognizione sui riferimenti culturali di Sciascia, in particolare quelli relativi a Pirandello e Manzoni, ed esplora la sua rappresentazione del processo penale, soprattutto con i limiti che lo rendono debole e spesso soccombente di fronte alla verità da accertare. Mentre la verità letteraria non incontra ostacoli, quella processuale ha un suo canone rigido. La dichiarazione di responsabilità richiede prove certe da acquisire secondo regole prefissate, in mancanza delle quali vacilla l’accusa. Alla verità letteraria si arriva invece anche attraverso sentimenti che si insinuano tra le parole e i racconti delle storie estranei alle aule giudiziarie. 

Il saggio sviluppa i temi classici del rito processuale calandoli nella produzione di Sciascia e cogliendo la permanenza di una duplice ossessione, per la giustizia e per il potere. Da un lato, la giustizia coinvolge e stringe a sé la verità, la libertà, la dignità umana, il rispetto tra uomo e uomo, dall’altro, secondo le parole del Presidente Riches, rivolte all’ispettore Rogas in Il contesto, essa è un mistero impenetrabile, infallibile, insensibile all’umanità come la transustanziazione, ovvero la trasformazione del vino e del pane in Cristo che avviene sempre e comunque, nonostante i limiti e le indegnità del sacerdote. “Così è un giudice quando celebra la legge: la giustizia non può non disvelarsi, non compiersi. Prima il giudice può arrovellarsi, macerarsi, dire a se stesso: non sei degno, sei pieno di miseria, greve di istinti, torbido di pensieri, soggetto a ogni debolezza e a ogni errore, ma nel momento in cui celebra non più”.

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