MANIFESTO
di Rebecca Lena

Non voglio intrattenere, ma guidare in tratte nere. Tutto ciò che dico è verità ricostruita e non finzione che ha origine nella verità. Non posso che sentirmi libera nello smembrare i miei organi come tessuti sfilacciati sul margine di un fiume. È nella frantumazione delle parole che credo di respirare davvero; l’avvicendarsi dei segni – del senso – è condotto dal ritmo e dal profumo condiviso, lungo un sentiero inconscio che talvolta è precluso persino alla mia ragione. Le righe tuttavia non sono flutti della coscienza, piuttosto lucidi voli veritieri e compositivamente rampicanti, come l’edera intorno al busto levigato del tempo presente.
Ma è morte la lunghezza del testo, la storia compiuta, il finale. Perché la fine, se esiste e cara al lettore, è menzogna; non può esistere – per me e per tutti quanti – se non nella mera forma sgretolata, o sbriciolabile. Sono vivi solo gli inizi e le nuove origini o i mille preludi, quasi quanto automi improvvisamente destati che si autoassemblano, si agitano e scoprono il frastuono dell’esistenza quale cigolio stesso dei loro arti.
È inutile immaginare la fine quando non si può viverla. Così io plasmo, rivelando, poi mi sfaldo di nuovo, ed è sospensione piacevole.
