INTUIZIONI ATOMIZZATE, di Rebecca Lena

INTUIZIONI ATOMIZZATE

di Rebecca Lena 

Vorrei rifugiarmi dentro una storia compiuta, perfettamente strutturata, con valli disegnate tutte intorno e colline che si incastrano nettamente; coi ruderi disposti dove la composizione più vi aggrada, e certi esseri perfettamente interessanti che pascolano, al momento giusto, vivendo un’esistenza consequenzialmente stabile.

Basterebbe soffermarsi su uno o un altro punto dello scenario per pescare azioni e poi storie, anch’esse così bene incastrate ed esattamente chiare poiché la luce ben si confà alle loro protuberanze. La luce, appunto, sparpagliata ovunque per scandire il tempo con le sue fasi naturali. 

Piacevoli, quelle storie con quei personaggi, perché iniziano e si concludono proprio come statue, e hai tutto il tempo per affezionarti (o provare pietà). In esse il racconto si fa torrente, docile comprensione immersiva sotto la quale proteggermi. Da cosa?


Dalla nebbia. Questa nebbia che in verità ammutolisce i pori e sfalda la chiarezza; non distrugge, scioglie soltanto, e non c’è scampo per ombre o flussi che persuadono i pensieri lungo alvei liscissimi. La nebbia intinta di guazza inghiotte la mia finestra tutta intera. Nebulizza la volontà di pensare, il potere di capire.  Allora gli esseri non sono, le colline nemmeno. Tutta l’aria non è. Ovunque è solo il tempo senza dimensione, omogeneo e immobile.

Vorrei rifugiarmi dentro qualcosa che non sia questa nebbia, ma non posso. Perché lo spazio stesso non è spazio, niente ha profilo o confine; e il ritagliarsi un bacino di realtà richiederebbe uno sforzo interminabile assolutamente vano (come costruire con la sabbia asciutta).

Magari è meglio – mormoro fra me e me – piuttosto che un paesaggio vivido di abitualità, questa finestra senza sguardo, fra la nebbia in cui non fare, non parlare.


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