In una danza che emana luce all’ Universo, la poesia “La signora del derviscio” del poeta prof. Kareem Abdullah-Iraq, pubblicazione di Elisa Mascia-Italia

Foto cortesia del prof Kareem Abdullah -Iraq

Signora del Derviscio

Attorno alle tue luci verdi, danzo ebbro nel cielo,

porgendo una mano bianca che trattiene i fili d’amore, l’altra li abbraccia,

li pianta come sorgenti che sbocciano nella tua terra generosa.


M’illumino nel momento della rivelazione, un fiore di narciso che spezza le catene del tempo, in cerca del mio amore che dimora nelle profondità del mio cuore, la mia unica guida nel mio peregrinare.


Ogni volta che chiudo gli occhi, ti vedo con l’occhio della mia intuizione, o fiume di perle le cui sorgenti sono il cielo, che scorre dolcemente, inondando il mondo di luminosità.
Non permettere che i dubbi diventino eserciti a occupare il tuo cuore, altrimenti periranno i fiori della certezza.


Non mi rivedi in te? Non vedi insieme a me come si dissipano le montagne della disperazione?
Non vedi che il linguaggio dell’amore penetra la sordità nel disegno delle porte dell’oscurità? Non vedi come Dio ti ha creata e ti ha prescelta come compagna dell’anima?
Non vedi come ti ho scelto come mia compagna?

Vieni, amiamoci e rivestiamoci di benedizioni che riempiono l’universo di melodie.

Kareem Abdullah -Iraq

سَيِّدةُ الدرويش
حول أنواركِ الخضراء، أرقصُ ثَمِلاً في السماء، أمدّ يدًا بيضاء تُمسكُ خيوطَ المحبّة، تحتضنها أُخرى، تغرسها ينابيعَ تتفجّرُ في أرضكِ السخيّة. أتوهّجُ لحظةَ التجلّي، زهرةَ نرجسٍ تفكّ قيودَ الزمن، تبحثُ عن معشوقٍ يسكنُ شغافَ القلب، دليلي الوحيد في طوافي. كلّما أغمضتُ عينيّ، رأيتكِ بعينِ بصيرتي، يا نهرًا من الجُمان، منابعهُ السماء، يتدفّقُ سلسبيلاً، يغمرُ الدنيا بالضياء. لا تجعلي للشكِّ جيوشًا تحتلُّ قلبكِ، لئلّا تموت أزهارُ اليقين. ألا ترينَ فيكِ نفسي؟ ألا ترينَ معي كيف تتبدّدُ جبالُ اليأس؟ ألا ترينَ لغةَ العشق تخترقُ صممَ أبوابِ العتمة؟ ألا ترينَ كيف خَلَقكِ اللهُ واصطفاكِ نديمةً للروح؟ ألا ترينَ كيف أصطنعكِ رفيقةَ دربي؟! تعالي نعشق أنفسنا، وننهمر كراماتٍ تورقُ أنغامًا تملأُ الكون.

Leggi anche altri articoli dell’autrice Elisa Mascia, grazie

https://alessandria.today/?s=Elisa+Mascia


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“Sospesi tra Luci e Ombre: Una Riflessione su ‘Il ponte della speranza’ di Lucia Triolo”. Recensione di Alessandria today

Lucia Triolo, nella sua poesia “Il ponte della speranza”, ci trasporta in una dimensione metaforica dove il ponte rappresenta non solo un passaggio, ma una vera e propria esperienza di transizione e di introspezione. La costruzione di questo ponte “dai bordi trasparenti” simboleggia la fragilità e la trasparenza del percorso umano, dove vediamo ciò che attraversa – “frustate di luce e tenebra” – ma restiamo ignari delle sue vere origini e destinazioni.

Triolo utilizza immagini potenti e una scelta di parole evocative per dipingere una lotta interiore tra la vita e la morte, il noto e l’ignoto. L’uso di “sguardi d’aquila e lupo” evoca una dualità di visione: l’aquila che può vedere da lontano con chiarezza, e il lupo che introduce un elemento di selvaggio e di mistero. Questi animali, simboli di potere e istinto, enfatizzano il dinamismo del ponte, che è al tempo stesso luogo di passaggio e di osservazione.

Il verso finale, “sbriciola i grumi della morte che di continuo chiede di me e di te”, suggerisce una riflessione sul significato dell’esistenza e sulla inevitabile presenza della morte nelle nostre vite. Il ponte, in questo contesto, diventa un simbolo di speranza, un luogo dove le peggiori paure possono essere affrontate e forse superate.

In conclusione, “Il ponte della speranza” di Lucia Triolo è una poesia intensa e ricca di simbolismo. Attraverso una struttura semplice ma profondamente significativa, la poetessa ci invita a riflettere sui grandi temi dell’esistenza, della mortalità e della speranza. Con una maestria linguistica che tocca il cuore, Triolo riesce a rendere un’immagine quotidiana uno straordinario viaggio emotivo e filosofico.

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“La Fuga dall’Invisibilità: Il Grido Silenzioso. “Divinità irascibili” di Luisa Triolo”. recensione di Alessandria today

La poesia di Lucia Triolo, “divinità irascibili”, è una metafora penetrante dell’esistenza umana e della sua ineludibile visibilità agli occhi del destino. La divinità, in questa lirica, assume il ruolo di forza imperiosa e inflessibile, che ricerca tenacemente il soggetto, un punto insignificante così esposto da diventare invisibile.

Triolo esplora il tema dell’insignificanza apparente e della vulnerabilità umana. La metafora delle scarpe rovinate, con suole staccate e tacchi rotti, evoca un’immagine di viaggio faticoso e di percorso di vita dissestato, carico di difficoltà e inevitabili cadute. La condizione umana è resa ancora più precaria dalla mancanza di eredità e riconoscimento; nemmeno i figli o le semplici possessioni sembrano portare il marchio dell’individuo.

In questo scenario, le domande, simboleggiate dalla carta con ali spezzate, non possono più volare ma bruciano in un inferno privo di risposte. Il finale della poesia, con la menzione di un deserto senza lingua, è un potente simbolo di isolamento e incomprensione, che sottolinea l’impossibilità di comunicare o di essere compreso nel vasto vuoto dell’esistenza.

“divinità irascibili” si rivela così una meditazione intensa sul destino, sulla solitudine e sulla ricerca di significato in un mondo che sembra spesso indifferente alle nostre lotte e alle nostre speranze. Triolo ci consegna una lirica che invita a riflettere sulla natura della nostra visibilità e sul nostro posto in un universo che a volte sembra governato da divinità irascibili.

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“Alda Merini. L’eroina del caos” – Un Viaggio nel Cuore di una Poetessa Incontrastabile. Recensione di Alessandria today

“Attraverso il Caos, la Poesia di Alda Merini”

Annarita Briganti, in “Alda Merini. L’eroina del caos”, ci porta nell’intimo mondo di Alda Merini, una delle più grandi poetesse italiane, esplorando la sua vita travagliata, la sua arte sconvolgente e la sua lotta contro la malattia mentale. Questo ritratto biografico non si limita a narrare eventi, ma tenta di catturare l’essenza di una donna la cui esistenza è stata segnata da un genio poetico indissolubilmente legato al tumulto emotivo e creativo.

Briganti ci presenta una Merini che vive nel caos, lo affronta, e lo trasforma in arte. Con un linguaggio che si fa specchio del suo soggetto, l’autrice dipinge una figura di inestimabile importanza nel panorama letterario, mostrando come la sua poesia emerga dalla disordine come qualcosa di puro, necessario e inevitabile.

Il libro è una narrazione intensa e commovente che, attraverso interviste, aneddoti e analisi, ci fa conoscere la Merini non solo come artista, ma anche come donna, amante, madre e paziente psichiatrica. Ci porta a comprendere che il caos, per Merini, non era soltanto una condizione esistenziale, ma un luogo creativo, una fonte inesauribile di ispirazione.

“Alda Merini. L’eroina del caos” è quindi un viaggio che va oltre la biografia per divenire un’esplorazione della condizione umana, un omaggio a una donna che ha vissuto in bilico tra dolore e bellezza e che ha lasciato un’impronta indelebile nella cultura italiana. Per chiunque sia affascinato dal legame tra creatività e follia, o per chi cerchi di capire come la poesia possa nascere dal più profondo disordine, questo libro è una lettura fondamentale.

Poesia: ” Una tazza di cielo” di Caterina Alagna

Bevo una tazza di cielo stasera

mentre le tue dita come ali

frullano sulla tastiera.

Nel silenzio mi par di sentire

il profumo dei fiori,

il cinguettare di una primavera

ancora troppo lontana

e che tuttavia trasuda dalle mura,

dai tessuti consunti della mia casa.

Persino tra le lame sfavillanti 

dei coltelli mi sembra di scorgere 

la timida luce di aprile.

Scorrono le tue dita

e scrivono di numeri,

di sterili liste della spesa

mentre s’appresta nel mio cuore

un gracile gracidare di rime

rabbuiate nelle notti d’inverno 

a scolpire il roseo canto

di un placido sole di maggio.

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Poesia: “Sciacqui d’amore” di Caterina Alagna

Sciacqui d’amore

lavano il buio dalla mia vita,

dalla mia anima intorpidita

che a lungo ha vegliato 

all’ombra di un alito diafano

a osservare le orme desolate

del mio canto solitario.

Sciacqui d’amore

inondano, ora, i meandri dell’anima

e la passione già s’incarna 

in una voce di musa sovrana,

in un canto gemmato di perla

assetato di carezze e desideri carnali.

Su d’un talamo 

imbevuto di balsamo e miele

un germoglio di sussurri amorosi

ingravida il cielo di sospiri 

e canti erotici

LE DONNE DI ARTEMISIA, di Rita Stanzione

La poesia dalle parte delle donne

il concorso letterario: LE DONNE DI ARTEMISIA promosso da Poesie Metropolitane e MomentiDiversi.

Dopo il successo delllo scorso anno,  Poesie Metropolitane insieme al Blog MomentiDiversi rinnova l’impegno sociale attraverso la poesia per parlare ancora una volta del femminile con la seconda edizione del contest letterario “Le donne di Artemisia”.

Oggi più che mai è necessario un intervento per il sociale, un cambio di rotta, volto a sensibilizzare l’opinione pubblica, cercare di restituire alle donne la loro dignità, il loro posto nel sociale; spronarle a sognare, raggiungere i loro obiettivi, denunciare la violenza anche attraverso la forza delle parole. Il concorso letterario nasce allo scopo di premiare poesie e racconti con la pubblicazione in un’antologia che si vorrebbe portare nelle scuole, per strada, per farlo diventare un appuntamento annuale ma anche un progetto di crescita, un’opportunità per tutte le donne e per chi voglia cambiare idea su alcuni concetti. Anche questa edizione si arricchisce della collaborazione con la rivista Momenti DiVersi di Irene Mascia che ospiterà alcuni testi meritevoli nella nuova edizione.

L’antologia sarà pubblicata verso il finire dell’anno 2023. All’interno del libro oltre ai vincitori tante voci di donne che lavorano nel sociale che offriranno al lettore le loro storie.

Il concorso letterario in questione ha durata 13 luglio – 15 ottobre a seguito della recente proroga; il tema proposto è “Noi donne”. Un contest poetico dedicato all’universo del femminile, alla sensibilizzazione e al contrasto della violenza di genere, a ogni tipo di azione quotidiana che può ledere la dignità della persona, con attenzione al racconto di ogni sfaccettatura del femminile.

Il contest si suddivide in due sezioni:

A: Poesia in lingua italiana (massimo 25 versi);

B: Racconti oppure Storie autobiografiche (massimo n. 1 cartella).

La quota di partecipazione per ciascuna sezione è di 10 euro.

Dieci poesie vincitrici nelle Sezione A del concorso saranno pubblicate sull’antologia cartacea “Le donne di Artemisia” e nel LibroAgenda 2024. Le prime cinque classificate saranno pubblicate anche sulla rivista “Momenti DiVersi”.

Cinque storie autobiografiche saranno pubblicate nell’antologia “Le donne di Artemisia” e nel LibroAgenda 2024. Il racconto primo classificato verrà pubblicato sulla rivista Momenti DiVersi.

A ciascuno dei vincitori sarà consegnato un attestato di merito.

Per ulteriori informazioni e per scaricare la modulistica di partecipazione, è possibile consultare il link:
https://www.poesiemetropolitane.com/regolamento-le-donne-di-artemisia-ii-edizione-contest-letterario-dedicato-al-mondo-femminile-dal-13-luglio-al-30-settembre/2023/07/13/

Poesia: “Parole avvelenate” di Caterina Alagna

Espiro un manto di luce

a guarire parole emarginate

bagnate da un livido barlume

come l’icore di ferite putrefatte

che purpureo si condensa in un magma d’odio

a procurare una lenta eutanasia.

Come un macigno le parole avvelenate

si trascinano sulla pelle,

nello sguardo di una fanciulla ribelle

che, intrepida, brama ruscelli di vita

e un portento fulgore di indomite stelle che a fiotti

pulsa tra l’anima e le dita.

Come un fulmime, un vento di passione

squarcia l’anima in fiamme.

Accanto a un germoglio divelto

si apre l’immagine di un fiore nascente,

di un profumo di malva vivente

a inseminare nei giorni di nuovo la vita.

Poesia: “Campi di grano” di Caterina Alagna

D’una coltre di grano

s’indorano i campi

e fiero il contadino

distende lo sguardo

a carezzare il suo raccolto di luce

che trasuda sacrifici

e lacrime di ore buie.

Con il peso sulle spalle-già

la falce lo conduce-

va incontro al destino

abbracciando la sua croce.

Con gli occhi umidi di fatica

bacia la sua terra, bagnata di sudore.

In palpiti d’amore

si consuma il cuore

nel veder nascere una spiga

sul sole che muore.

Io non voglio morire, ma devo – di Karin Boye

Pubblicato da Frida la Loka, Lombardia

Tragico verso tratto da una lirica premonitrice di Karin Boye (Göteborg, 1900 – Alingsås, 1941), poetessa e critica letteraria svedese morta suicida a soli 41 anni.

Foto: Francesco Ungaro. Foto di portata: Jeff Nissen

Le stelle

Ora è finita.
Ora mi sveglio.

Ed è quieto e facile l’andare,
quando non c’è più niente da attendere
e niente da sopportare.

Oro rosso ieri, foglia secca oggi.
Domani non ci sarà niente.

Ma stelle ardono in silenzio come prima
stanotte, nello spazio intorno.

Ora voglio regalare me stessa,
così non mi resterà alcuna briciola.

Dite, stelle, volete ricevere
un’anima che non possiede tesori?

Presso di voi è libertà senza difetto
lontana la pace dell’eternità.

Non vide forse mai il cielo vuoto,
chi dette a voi il suo sogno e la sua lotta.

Salva

Il mondo scorre da fango,
vuoto lo riempie.
Ferite, che il giorno ha aperto, si chiudono, quando è sera.

Calma, calma inclino il capo
a una santa visione, il tuo ricordo che indugia.
Tempio; rifugio; purificazione;
santuario mio!

Sulle tue scale lontana la tenebra, salva,
serena come un bimbo mi addormento.
La breve esistenza della Boye, divenuta celebre grazie al romanzo distopico 'Kallocaina', che anticipava l'avvento dello Stato mondiale raccontato da Orwell in '1984', è marcata in modo drammatico dalla scoperta della sua omosessualità all'età di 18 anni. La donna vivrà sempre con tormento questo orientamento affettivo, condannato all'epoca dalla Legge e dalla morale comune della sua nazione.

Nel '32 si trasferisce a Berlino, dove convive con la compagna Margot Hanel, e decide di curare una profonda depressione con la psicoanalisi. Invano: come aveva previsto nel suo diario lo stesso terapeuta, la poetessa si toglierà la vita, seppur diversi anni dopo.

*Valeria Consoli: laureata in Letteratura Moderna e Contemporanea presso l’Università degli Studi di Milano con una tesi sulla scrittrice Fausta Cialente.

Tua

5 giugno, 2023

Dal blog personale di http://fridalaloka.com

Ripubblicato su http://alessandria.today/Frida la Loka

Cultura: Premio letterario “Per Agnese” VII edizione

È partita la VII edizione del Premio letterario per Agnese 2023. Sono on line, sul sito www.sebbenchesiamodonne.com , il nuovo Bando, il Regolamento e la Scheda di partecipazione.

Il Premio si articola in varie Sezioni:

Sezione A – INEDITI DI POESIA

Ogni concorrente partecipa con massimo 3 componimenti di max 30 versi ciascuno.

Sezione B – VOLUME EDITO DI POESIA

Ogni concorrente partecipa con un’opera pubblicata dopo il 1 gennaio 2015, anche autopubblicata

Sezione C – RACCONTAMI UNA STORIA. Racconti e favole per bambini e ragazzi “Giovanna Marchese”

Ogni concorrente partecipa con un racconto di max 5 cartelle di 1.800 battute ciascuna

Sezione D – NARRATIVA EDITA

Ogni concorrente partecipa con un romanzo o un racconto edito dopo il 1 gennaio 2015, anche autopubblicato

Sezione E – VERSI E PAROLE IN CLASSE “Lucio Marino”

Sezione dedicata alle scuole di ogni ordine e grado. La partecipazione a questa Sezione è gratuita.

La quota di partecipazione per ogni Sezione è di € 15,00, tuttavia la partecipazione a più sezioni comporta il versamento di max due quote.

Tutte le quote di partecipazione saranno, come sempre, devolute all’AIRC e alla Fondazione Ricerca Fibrosi Cistica.

La Giuria prevede, inoltre, l’assegnazione del PREMIO SPECIALE LIBERA, all’opera che ha meglio saputo raccontare il percorso delle donne nella conquista dei propri diritti.

PREMI

Per i primi classificati delle Sezioni A-B-C-D e per il Premio Speciale LIBERA € 300,00 + targa

Per la Sezione E € 100,00 in materiale didattico

REGOLAMENTO

Ogni partecipante può concorrere per più Sezioni, versando al massimo due quote di iscrizione.

Le OPERE INEDITE potranno essere inviate in formato elettronico alla mail: sebbenchesiamo@libero.it (2 file, uno anonimo e uno con nome, indirizzo e telefono).

Le OPERE EDITE potranno essere inviate in formato elettronico alla mail: sebbenchesiamo@libero.it .

La SCHEDA DI PARTECIPAZIONE (scaricabile dal sito www.sebbenchesiamodonne.com) dovrà essere compilata da tutti i partecipanti in tutte le sue parti, firmata in modo leggibile e spedita, contestualmente alle opere, via  email.

Le MODALITA’ DI PAGAMENTO della quota di partecipazione* sono elencate nella SCHEDA DI PARTECIPAZIONE.

I concorrenti premiati sono tenuti a presenziare alla premiazione; i premi in denaro non riscossi personalmente verranno trattenuti per l’edizione successiva.

Le opere dovranno pervenire entro il 31 ottobre 2023. Le opere della Sezione “Versi e parole in classe – Lucio Marino” dovranno pervenire entro il 30 novembre 2023.

La partecipazione al concorso implica l’accettazione del presente regolamento.

Ai sensi del DLGS 196/2003 e della precedente Legge 675/1996 i partecipanti acconsentono al trattamento, diffusione e ufficializzazione dei dati personali da parte dell’organizzazione o di terzi per lo svolgimento degli adempimenti inerenti il presente premio letterario.

*Le quote di partecipazione saranno devolute all’AIRC (Associazione Italiana per la Ricerca sul Cancro).

*Le quote di partecipazione per la Sezione C saranno devolute alla Fondazione Ricerca Fibrosi Cistica.

https://sebbenchesiamodonne.com/il-premio-letterario-per-agnese/

Poesia : “Utopia” di Caterina Alagna

Potessero le mie mani sfogliare

petali bagnati di cielo

e impregnare di vita la pioggia

che scroscia lungo le vie del pensiero.

Potessero le mani afferrare

lo sciabordio di ardite favelle

che scorre come cascata 

di luce e sfavillanti stelle,

o accogliere il seme dei sogni,

il soffio soffuso di tacite nuvole

rannicchiato sulla cime dei monti

a offuscare foreste incolte.

Potessero le nuvole avvolgere i miei occhi,

scardinare immagini avvinghiate

a lastre di dolore,

cancellare le orme tracciate

da un amaro ricordo

che olezza di vento e d’un lacrimare sordo.

Dal mio blog https://farfallelibereblog.blogspot.com/

Poesia: “Sull’orlo dei miei versi” di Caterina Alagna

Link al mio blog :https://ilmiocantopoetico.altervista.org/sullorlo-dei-miei-versi/

Sull’orlo dei miei versi

nevicano fiocchi di miele

che consumano acuminati pensieri

fino a smussarne i bordi

ricoperti d’antichi veleni.

La poesia s’avvinghia all’anima mia

e s’inerpica lungo arbusti

di fervide immagini d’amore

che si sciolgono in metafore armoniose,

in languide rime

da cui emerge, nascosto da una docile foschia,

il timido accenno di un cuore pulito

che non s’arrende a un cielo

mancante d’amore.

Giornata della donna. Poesia: “Pensiero di vita” di Caterina Alagna – Salerno

Ti vedo piangere, donna

per i dubbi del domani

e per lo strazio delle cicatrici

generato dagli intenti criminali

di uomini che stringono 

la polvere nel cuore delle mani. 

Il loro amore si è impegolato

in paludi di falsa poesia

che sboccia sul fiore delle labbra

e cela una serpe velenosa

sulla punta della lingua.

Vorrei vederti sorridere, donna

tu che sei pensiero di vita

che germoglia fin dentro le ossa

e si staglia sulle tenere fronde

delle nuvole

che sussurrano al vento

il vellutato chiarore del tuo animo

gemmato di rose

che s’espande come intenso profumo

d’un delicato fiore. 

Caterina Alagna

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Poeti: Dante Alighieri, Inferno Canto V ” Paolo e Francesca” di Caterina Alagna – Salerno

Possiamo dire con certezza che sono tra i versi più belli del panorama letterario italiano. Sto parlando del V canto dell’Inferno e nello specifico dei versi che decantano il  grande amore che unisce due innamorati ( adulteri), Paolo e Francesca. 

Dopo l’incontro con Minosse, Dante e Virgilio s’inoltrano in un luogo buio tempestato da una violenta bufera che trascina i dannati sbattendoli da una parte all’altra del cerchio, mentre questi emettono grida e bestemmie. Dante intuisce che si tratta dei lussuriosi le cui anime, trascinate, formano schiere simili a quelle degli stornelli. Dante poi s’accorge di un’altra schiera di anime che in volo forma, invece, linee simili a quelle delle gru. Virgilio gli spiega che si tratta di tutti i lussuriosi morti violentemente e tra questi gli indica Didone, Cleopatra, Elena, Achille, Tristano. Dante nota due anime che camminano affiancate l’uno all’altra e dichiara a Virgilio il desiderio di poter parlare con loro. Virgilio acconsente e Dante le chiama a sé. Le due anime, staccatesi dalle altre, gli vanno incontro. Sono un uomo e una donna e quest’ultima ringrazia Dante per la pietà mostrata per loro. Dice di essere nata a Ravenna e di essere indissolubilmente legata all’uomo che è ancora accanto a lei . Si tratta appunto di Paolo Malatesta e Francesca da Rimini che in vita erano cognati ( Francesca era la moglie di Gianciotto, fratello di Paolo) uniti da un grande amore. Dante colpito dalla loro unione, chiede a Francesca di raccontargli in che modo sia iniziata la loro relazione. La donna allora narra che un giorno, presi dalla lettura del libro che racconta la storia dell’amore tra Ginevra e Lancillotto, vengono travolti da una profonda passione finendo per scambiarsi un bacio tremante  che segnerà l’inizio del loro amore. Alla fine troveranno la morte per mano di Gianciotto. 

Avremmo letto questi versi centinaia di volte, ma non possiamo nascondere che a ogni nuova lettura, i nostri sensi tremano di fronte a quest’opera  di straordinaria levatura, di fronte all’immenso e profondo amore che ha condotto Paolo e Francesca alla stessa morte e che dura finanche all’Inferno.  Volendo dirlo con le parole di Dante:  ” Amor che a nullo amato amar perdona,/mi prese del costui piacer così forte,/ che, come vedi,  ancor non m’abbandona”. Dante profondamente colpito dall’intensità di questo amore così forte e vero, perde i sensi, e “cade come corpo morto cade”.

Di quel che udire e che parlar vi piace,
noi udiremo e parleremo a voi,
mentre che ‘l vento, come fa, ci tace.

Siede la terra dove nata fui
su la marina dove ‘l Po discende
per aver pace co’ seguaci sui.

Amor, ch’al cor gentil ratto s’apprende,
prese costui de la bella persona
che mi fu tolta; e ‘l modo ancor m’offende.

Amor, ch’a nullo amato amar perdona,
mi prese del costui piacer sì forte,
che, come vedi, ancor non m’abbandona.

Amor condusse noi ad una morte.
Caina attende chi a vita ci spense».
Queste parole da lor ci fuor porte.

Quand’ io intesi quell’ anime offense,
china’ il viso, e tanto il tenni basso,
fin che ‘l poeta mi disse: «Che pense?».

Quando rispuosi, cominciai: «Oh lasso,
quanti dolci pensier, quanto disio
menò costoro al doloroso passo!».

Poi mi rivolsi a loro e parla’ io,
e cominciai: «Francesca, i tuoi martìri
a lagrimar mi fanno tristo e pio.

Ma dimmi: al tempo d’i dolci sospiri,
a che e come concedette amore
che conosceste i dubbiosi disiri?».

E quella a me: «Nessun maggior dolore
che ricordarsi del tempo felice
ne la miseria; e ciò sa ‘l tuo dottore.

Ma s’a conoscer la prima radice
del nostro amor tu hai cotanto affetto,
dirò come colui che piange e dice.

Noi leggiavamo un giorno per diletto
di Lancialotto come amor lo strinse;
soli eravamo e sanza alcun sospetto.

Per più fïate li occhi ci sospinse
quella lettura, e scolorocci il viso;
ma solo un punto fu quel che ci vinse.

Quando leggemmo il disïato riso
esser basciato da cotanto amante,
questi, che mai da me non fia diviso,

la bocca mi basciò tutto tremante.
Galeotto fu ‘l libro e chi lo scrisse:
quel giorno più non vi leggemmo avante».

Mentre che l’uno spirto questo disse,
l’altro piangëa; sì che di pietade
io venni men così com’ io morisse.

E caddi come corpo morto cade.

Cultura: Matera, Città dei Sassi di Caterina Alagna

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Definita dall’Unesco patrimonio mondiale dell’umanità, la città di Matera è unica nella sua bellezza. Matera è una città che ti abbraccia con la sua arte e con la sua tranquilla, ma mai spenta, vita cittadina. Non poche le cose da vedere che ti lasciano a bocca aperta. La città antica, meglio conosciuta come I Sassi, sorge su due nuclei: il Barisano e il Caveoso. Una volta che ti inoltri nei vicoli, vieni avvolto da un’aura di rara bellezza che però mostra segni di un passato di sofferenza. E’ possibile visitare alcune case, oggi musei, che sono state arredate con i mobili e gli utensili originali del periodo in cui erano abitate, donati dai discendenti delle famiglie che vi abitarono fino a metà del secolo scorso. Le case, scavate nelle grotte, non hanno all’interno l’aspetto delle nostre case, sono piuttosto caratterizzate da una sola stanza senza finestre, con un povero mobilio costituito da una piccola tavola, qualche mensola, da un’umile dispensa e un cassettone. Negli angoli di questa unica stanza troviamo minuscoli vani: il vano cucina,  il vano stalla ( all’esterno non c’era spazio per gli animali per cui li ospitavano in casa) e il vano notte costituito da un un letto e una piccola culla. Queste case erano abitate da poveri contadini, erano luoghi molto umidi privi di luce, di finestre, di porte e di acqua corrente. Possiamo solo immaginare, quindi, le condizioni malsane in cui vivevano: scarsa igiene, poco cibo, odore nauseabondo anche a causa della presenza degli animali in casa (dove immaginiamo espletassero i loro bisogni fisiologici). Inoltre erano abitate da nuclei di famiglie molto numerose. Ogni famiglia, infatti, aveva in media otto figli. Si veniva a creare un vero e proprio microclima deleterio per la salute. In questi territori erano diffuse molte malattie che provocavano vari focolai endemici: tubercolosi, leishmaniosi, rachitismo, polmoniti, malaria. Altissima la mortalità infantile, che arrivò  tra il 1923 e il 1933 a raggiungere percentuali addirittura del 45%. Nel 1945 Carlo Levi nel suo capolavoro “Cristo si è fermato ad Eboli” pose la questione materana all’attenzione della politica nazionale. Nel 1948, il leader del Partito comunista italiano, dopo avervi fatto visita,  definì Matera “la vergogna nazionale”. Dello stesso avviso fu il primo ministro Alcide De Gasperi quando vi fece visita nei primi anni ’50 e con una legge del 1952 impose lo sgombero delle case grotte. I cittadini vennero trasferiti in nuove strutture che poi costituirono le abitazioni della città nuova. Solo negli anni ’80 i Sassi vennero di nuovo rivalutati e iniziò un graduale percorso di recupero che portò nel 1993 l’Unesco a definire Matera patrimonio mondiale dell’umanità. Nel 2019 Matera è stata capitale europea  della cultura. Ad ogni modo, oggi quando ti inoltri nei piccoli vicoli dei sassi, una forte emozione ti strugge il cuore. Grande attenzione merita il complesso di chiese rupestri scavate nelle grotte. Tra le  più importanti troviamo Santa Lucia alle Malve,  Santa Maria di Idris che sorge sulla sommità dell’omonima rupe e San Pietro Barisano che ospitano al loro interno numerosi affreschi importanti purtroppo deteriorati dal tempo ( alcuni ormai quasi totalmente perduti). Meritano una visita anche tutte le meravigliose chiese della città nuova. Sono in realtà molto antiche anche se costruite fuori dai sassi. Alcune risalgono al 1200. Degne di nota sono le grotte del Paleolitico nel parco materano della Murgia in cui sono stati ritrovati utensili e pitture rupestri risalenti a 400.000 anni fa, periodo in cui visse l’Homo Habilis e successivamente l’Homo Erectus. Insomma Matera è un esempio di un ecosistema  straordinario che parte dalla preistoria e arriva fino ai nostri giorni attraversando vari piani: culturale, artistico, architettonico, naturale e urbanistico.


A Matera ho voluto dedicare dei versi 

“A Matera”

Matera

dai vividi splendori, 

ti ergi su due cuori 

di sassi e di dolori.

Tempio consacrato alla 

filosofia povera,

adornato di atavici stenti 

e di giorni iti alla 

malora.

Tu,

intima alcova

di un’anima nuda

che nell’amore di Maria

si ristora.

Si eleva sincera 

la tua umile pietra 

che di arte e di gloria 

lasciò il suo segno

nella storia.

Matera,

la mia anima si sposa

alla tua pietra,

la tua magnificenza

gli occhi mi sottrae

mentre deliziata affondo

nella tua terra 

di bellezza soave.



Caterina Alagna

Giornata della Memoria. Edith Bruck, “Quel pensiero”- Per non dimenticare mai, di Caterina Alagna

In occasione della Giornata della Memoria ho deciso di condividere i versi di una grande scrittrice e poetessa, testimone ancora vivente della Shoah, che con la sua arte ha raccontato l’orribile e disumana esperienza vissuta nei campi di concentramento di Auschwitz, Dachau e Bergen Belsen. Sto parlando di Edith Bruck e la poesia che ho scelto è un estratto del canzoniere ” Il Tatuaggio” (1975) ed è dedicata a sua madre. 

Quel pensiero


Quel pensiero di seppellirti
te l’hanno tolto con almeno trent’anni di anticipo!
Abbiamo avuto una lunga festa d’addio
nei vagoni stivati ​​dove si pregava dove si facevano
i bisogni in fila dentro un secchio
che non profumava del tuo lillà di maggio
e anche il mio Dio Sole ha chiuso gli occhi
in quel luogo di arrivo il cui nome
oggi irrita le coscienze, dove io e te
restano sole dopo una selezione
mi desti la prova d’amore
sfidando i colpi di una belva umana
anche tu madre leonessa a carponi
per supplicare iddio maligno di lasciarti almeno l’ultima
la più piccola dei tuoi tanti figli.
Senza sapere la tua e la mia destinazione
per troppo amore volevi la mia morte
come la tua sotto la doccia
da cui usciva un coro di topi
chiusi in trappola.
Hai pensato alla tua piccola con quel frammento
di coscienza risvegliata dal colpo
del portoncino di ferro
con te dentro il mio pane amato mio pane bruciato!
O prima ancora
sapone paralume concime
nelle mani parsimoniose di cittadini
che amano i cani i poeti la musica
la buona letteratura e hanno nostalgia
dei familiari lontani.

Questi versi dal linguaggio forte e viscerale sconquassano la coscienza del lettore. Bruck descrive a chiare lettere, anche brutali, l’orrore dell’Olocausto, con immagini incisive che hanno la forza di scene cinematografiche. Quella di Edith Bruck è una poesia che esprime tutta la disperazione vissuta sulla pelle, il dolore per la morte della madre, diventata concime o sapone nelle mani di tante persone, ignare dell’orrore che si consumava in quei luoghi di sterminio.  Quella di Bruck è una poesia fatta di sangue e dolore, sempre vivi e pronti a travolgere l’anima della poetessa. Siamo di fronte a una memoria del presente. Per Bruck la Shoah non rappresenta un fatto passato, ma un male che è ancora capace di logorare l’anima e la carne dei sopravvissuti. La scrittura diventa quindi un monito per tutti i popoli della terra: tenere viva la memoria affinché mai più si ripeta quello che è accaduto. Come lei stessa afferma: ” La memoria è vita per me. La memoria dovrebbe essere vita per tutti. Non possiamo cancellare il passato perché il passato è il nostro presente e il nostro presente sarà il nostro futuro. Il tempo è uno. Credo che la memoria riguardi tutta l’umanità, non solo coloro che sono stati deportati. Purtroppo dobbiamo parlare sempre noi perché gli altri vorrebbero appiattire, cancellare, allontanare, respingere, mistificare, rimuovere“.

Edith Steinschreiber, poi Bruck, nasce nel 1931 da una povera famiglia ebrea, in uno sperduto villaggio dell’Ungheria. Da bambina viene deportata in vari campi di concentramento, tra cui quello di Aushwitz. Sarà liberata, insieme alla sorella, nel 1945. I suoi genitori, un fratello e altri familiari non sopravvivono. Dopo la liberazione ritornerà in Ungheria, dove inizia la sua carriera di scrittrice raccontando l’orrore agghiacciante che ha vissuto.  Ma ben presto scopre che le sue parole non sono accolte come spera. Nessuno s’interessa a quello che scrive, nessuno è disposto ad ascoltarla. Decide allora di lasciare il paese, dando inizio al suo pellegrinaggio. Prima tenta di raggiungere una delle sorelle maggiori (salvate da Perlasca) in Cecoslovacchia, ma il tentativo fallisce. Poi nel 1948, con la nascita del nuovo Stato di Israele, piena di entusiasmo vi si trasferisce. Qui, per evitare il servizio militare obbligatorio, si sposa assumendo il cognome che ancora oggi porta. L’entusiasmo da cui è animata, però,  svanisce ben presto. I conflitti e le tensioni dello Stato di Israele la deludono e così nel 1954 decide, ancora una volta, di trasferirsi. Questa volta in Italia, a Roma, dove tutt’ora risiede. Qui sposa il poeta Nelo Risi, con cui instaurerà un’importante  storia d’amore che darà vita anche a un sodalizio artistico. Ha scritto tutti i suoi romanzi in italiano. Ha pubblicato diverse raccolte poetiche in cui narra la sua esperienza di sopravvissuta all’Olocausto.

Cultura. Poesia: “I rintocchi del mare” di Caterina Alagna

I rintocchi del mare

ritornano come echi lontani

e germogliano nell’anima

remoti scenari

di un paradiso marino

che avevo vissuto sulla pelle,

e nello spirito con movimento suadente

le onde lavano i residui

di un dolore tagliente.

Il mare cura ogni male fervente

e il profumo della salsedine 

sboccia come un prato di fiori

seminando il sale nel cuore,

il sale della sapienza e della riflessione

che respiro ogni volta

che uno spiraglio di azzurro marino

bagna le mie impronte.

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Cultura. Poesia: “Venezia” di Caterina Alagna

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Sulle sponde della mia pelle

Venezia cosparge il suo canto serafico,

una melodia che risuona di stelle

e  mi inebria il cuore di chiarore romantico.

Illuminato nasce un sorriso 

che si squarcia profondo e senza fiato,

innamorato  s’inoltra nelle  vie  del paradiso 

fino a perdersi nel cuore di San Marco.

Sulla loggia della Basilica

estasiato ho lasciato il mio viso 

e nella laguna che di delizia brulica,

s’incendiano i miei occhi d’oro intriso.

Brillantate dai raggi di dorate increspature,

movenze sinuose trascinano i canali,

per le calli dissolvono ataviche paure 

e sotto i ponti mietono i sospiri degli innamorati. 

Venezia ha posto sul mio capo un diadema,

davanti alla sua immagine idilliaca

la mia carne ancora trema,

s’immerge nel ricordo del suo lirico splendore,

un sigillo che s’incarna come emblema

scolpito nell’anima da brividi d’amore. 

Cultura. Poesia:” Ode al primo giorno dell’anno” di Pablo Neruda.

Lo distinguiamo dagli altri
come se fosse un cavallino
diverso da tutti i cavalli.
Gli adorniamo la fronte con un nastro,
gli posiamo sul collo sonagli colorati,
e a mezzanotte lo andiamo a ricevere
come se fosse un esploratore
che scende da una stella
.

Come il pane assomiglia al pane di ieri.
Come un anello a tutti gli anelli: i giorni
sbattono le palpebre
chiari, tintinnanti, fuggiaschi,
e si appoggiano nella notte oscura

Vedo l’ultimo giorno
di questo anno
in una ferrovia, verso le piogge
del distante arcipelago violetto,
e l’uomo
della macchina,
complicata come un orologio del cielo,
che china gli occhi
all’infinito
ripetersi delle rotaie,
alle brillanti manovelle,
ai veloci vincoli del fuoco.

Oh conduttore di treni
fuggiasco
verso stazioni
nere della notte.
Questa fine dell’anno
senza donna e senza figli,
non è uguale a quella di ieri, a quella di domani?

Dalle vie
e dai sentieri
il primo giorno, la prima aurora
di un anno che comincia,
ha lo stesso ossidato
colore di treno di ferro:
e salutano gli esseri della strada,
le vacche, i villaggi,
nel vapore dell’alba,
senza sapere che si tratta
della porta dell’anno,
di un giorno scosso da campane,
fiorito con piume e garofani.

La terra accoglierà questo giorno
dorato, grigio, celeste,
lo dispiegherà in colline,
lo bagnerà con frecce di trasparente pioggia
e poi, lo avvolgerà nell’ombra.

Così è:
piccola porta della speranza,
nuovo giorno dell’anno,
sebbene tu sia uguale agli altri
come i pani a ogni altro pane,
ci prepariamo a viverti in altro modo,
ci prepariamo a mangiare, a fiorire, a sperare.

Ti metteremo
come una torta
nella nostra vita,
ti infiammeremo
come un candelabro,
ti berremo come
un liquido topazio.

Giorno
dell’anno nuovo,
giorno elettrico, fresco,
tutte
le foglie escono verdi
dal tronco
del tuo tempo.

Incoronaci con acqua,
con gelsomini
aperti,
con tutti gli aromi
spiegati,
sì,
benché
tu sia solo un giorno,
un povero giorno umano,
la tua aureola palpita
su tanti cuori stanchi
e sei,
oh giorno nuovo,
oh nuvola da venire,
pane mai visto,
torre permanente!

In questa poesia il poeta cileno affronta un tema caro a tutti gli uomini: la speranza. Il primo di gennaio che s’appresta ad affacciarsi sul mondo, sarà accolto come un giorno speciale, un giorno nuovo, un giorno portatore di cambiamenti, sebbene per la terra non è altri che un giorno come un altro ( nuovo giorno dell’anno/sebbene tu sia uguale agli altri/come i pani/a ogni altro pane). In questi versi Neruda tiene a farci presente che in realtà il primo dell’anno non è portatore di nessuna novità imminente, ma è piuttosto un giorno la cui importanza è legata a un elemento culturale e convenzionale. La gente, pur consapevole che si tratta di un giorno sostanzialmente uguale ad altri che ha già vissuto, si prepara ad accoglierlo con aria di festa, di allegria e di speranza. Nei versi finali, il poeta sottolinea la necessità di questa speranza. Nonostante il primo dell’anno sia solo un povero giorno umano, ha l’animo di consolare e supportare tanti cuori stanchi che trovano così la forza di continuare a vivere e costruire un avvenire migliore. L’aggettivo finale, permanente, riferito alla torre, sta ad indicare proprio la volontà di edificare un futuro stabile e duraturo, ed è in quest’ottica che il pane, seppur sempre uguale, appare come mai visto, come pane fresco ricco di nutrienti per i futuri giorni da vivere.

Cultura. Poesia: “L’ora del Natale” di Caterina Alagna

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Sfavillano le luminarie 

di rosso e di oro nelle case,

per le antiche vie 

delle borgate si espande 

l’aroma del Natale.

Morbido  si adagia

sui vicoli delle città

a festa colorate

e sulle bocche, a fiotti, 

fioriscono parole cantate. 

Per tutti un augurio sincero

di un Natale sereno.

Un pensiero speciale

lo voglio dedicare 

a chi dalla vita riceve tanto male,

a chi non ha i denti,

a chi si veste di spine e arde di stenti,

a chi ha smarrito la speranza,

a chi degli affetti resta 

solo la mancanza. 

E’ Natale a ogni ora

della vita

se lasci cantare la poesia,

se lasci che risplenda nel tuo cuore

un barlume di tenerezza

che soffi sulle labbra una carezza,

che ti guidi nel buio dell’incertezza,

che ti aiuti a sprofondare 

fin nelle viscere del cielo 

anche per un solo briciolo 

di amore vero.

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Poesie natalizie: “Natale” di Salvatore Quasimodo

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Visto il clima preoccupante e bellicoso che da mesi si mostra protagonista del nostro tempo, è difficile pensare al Natale senza sperare che la sua atmosfera di amore e di pace, possa aprire un varco fra le rocce dell’odio per accedere al cuore degli uomini.

La sublime poesia “Natale” di Salvatore Quasimodo è ancora attuale. Partendo da semplici immagini, il poeta riesce a suscitare forti emozioni e profonde riflessioni. Nel guardare l’atmosfera di serenità e di amore che anima il presepe, Quasimodo medita sull’odio che regna nel cuore degli uomini che ancora, dopo secoli, non conoscono la pace e si chiede se ci sarà mai qualcuno pronto ad accogliere il vero significato del Natale, significato che si traduce nell’amore per il prossimo di cui Cristo è portatore. Per dirlo con le parole del poeta:

Ma c’è chi ascolta il pianto del bambino
che morirà poi in croce fra due ladri?

Natale

Natale. Guardo il presepe scolpito,
dove sono i pastori appena giunti
alla povera stalla di Betlemme.
Anche i Re Magi nelle lunghe vesti
salutano il potente Re del mondo.
Pace nella finzione e nel silenzio
delle figure di legno: ecco i vecchi
del villaggio e la stella che risplende,
e l’asinello di colore azzurro.
Pace nel cuore di Cristo in eterno;
ma non v’è pace nel cuore dell’uomo.
Anche con Cristo e sono venti secoli
il fratello si scaglia sul fratello.
Ma c’è chi ascolta il pianto del bambino
che morirà poi in croce fra due ladri?