Poeti: Dante Alighieri, Inferno Canto V ” Paolo e Francesca” di Caterina Alagna – Salerno

Possiamo dire con certezza che sono tra i versi più belli del panorama letterario italiano. Sto parlando del V canto dell’Inferno e nello specifico dei versi che decantano il  grande amore che unisce due innamorati ( adulteri), Paolo e Francesca. 

Dopo l’incontro con Minosse, Dante e Virgilio s’inoltrano in un luogo buio tempestato da una violenta bufera che trascina i dannati sbattendoli da una parte all’altra del cerchio, mentre questi emettono grida e bestemmie. Dante intuisce che si tratta dei lussuriosi le cui anime, trascinate, formano schiere simili a quelle degli stornelli. Dante poi s’accorge di un’altra schiera di anime che in volo forma, invece, linee simili a quelle delle gru. Virgilio gli spiega che si tratta di tutti i lussuriosi morti violentemente e tra questi gli indica Didone, Cleopatra, Elena, Achille, Tristano. Dante nota due anime che camminano affiancate l’uno all’altra e dichiara a Virgilio il desiderio di poter parlare con loro. Virgilio acconsente e Dante le chiama a sé. Le due anime, staccatesi dalle altre, gli vanno incontro. Sono un uomo e una donna e quest’ultima ringrazia Dante per la pietà mostrata per loro. Dice di essere nata a Ravenna e di essere indissolubilmente legata all’uomo che è ancora accanto a lei . Si tratta appunto di Paolo Malatesta e Francesca da Rimini che in vita erano cognati ( Francesca era la moglie di Gianciotto, fratello di Paolo) uniti da un grande amore. Dante colpito dalla loro unione, chiede a Francesca di raccontargli in che modo sia iniziata la loro relazione. La donna allora narra che un giorno, presi dalla lettura del libro che racconta la storia dell’amore tra Ginevra e Lancillotto, vengono travolti da una profonda passione finendo per scambiarsi un bacio tremante  che segnerà l’inizio del loro amore. Alla fine troveranno la morte per mano di Gianciotto. 

Avremmo letto questi versi centinaia di volte, ma non possiamo nascondere che a ogni nuova lettura, i nostri sensi tremano di fronte a quest’opera  di straordinaria levatura, di fronte all’immenso e profondo amore che ha condotto Paolo e Francesca alla stessa morte e che dura finanche all’Inferno.  Volendo dirlo con le parole di Dante:  ” Amor che a nullo amato amar perdona,/mi prese del costui piacer così forte,/ che, come vedi,  ancor non m’abbandona”. Dante profondamente colpito dall’intensità di questo amore così forte e vero, perde i sensi, e “cade come corpo morto cade”.

Di quel che udire e che parlar vi piace,
noi udiremo e parleremo a voi,
mentre che ‘l vento, come fa, ci tace.

Siede la terra dove nata fui
su la marina dove ‘l Po discende
per aver pace co’ seguaci sui.

Amor, ch’al cor gentil ratto s’apprende,
prese costui de la bella persona
che mi fu tolta; e ‘l modo ancor m’offende.

Amor, ch’a nullo amato amar perdona,
mi prese del costui piacer sì forte,
che, come vedi, ancor non m’abbandona.

Amor condusse noi ad una morte.
Caina attende chi a vita ci spense».
Queste parole da lor ci fuor porte.

Quand’ io intesi quell’ anime offense,
china’ il viso, e tanto il tenni basso,
fin che ‘l poeta mi disse: «Che pense?».

Quando rispuosi, cominciai: «Oh lasso,
quanti dolci pensier, quanto disio
menò costoro al doloroso passo!».

Poi mi rivolsi a loro e parla’ io,
e cominciai: «Francesca, i tuoi martìri
a lagrimar mi fanno tristo e pio.

Ma dimmi: al tempo d’i dolci sospiri,
a che e come concedette amore
che conosceste i dubbiosi disiri?».

E quella a me: «Nessun maggior dolore
che ricordarsi del tempo felice
ne la miseria; e ciò sa ‘l tuo dottore.

Ma s’a conoscer la prima radice
del nostro amor tu hai cotanto affetto,
dirò come colui che piange e dice.

Noi leggiavamo un giorno per diletto
di Lancialotto come amor lo strinse;
soli eravamo e sanza alcun sospetto.

Per più fïate li occhi ci sospinse
quella lettura, e scolorocci il viso;
ma solo un punto fu quel che ci vinse.

Quando leggemmo il disïato riso
esser basciato da cotanto amante,
questi, che mai da me non fia diviso,

la bocca mi basciò tutto tremante.
Galeotto fu ‘l libro e chi lo scrisse:
quel giorno più non vi leggemmo avante».

Mentre che l’uno spirto questo disse,
l’altro piangëa; sì che di pietade
io venni men così com’ io morisse.

E caddi come corpo morto cade.

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