lucia triolo: cercavi forse i poeti?

Verità,
chi volevi rendere felice
con quella tua promessa
tra ingenuità e furbizia?

tieni insieme 
il senso e il non senso
nella casa 
quella di sempre piena d’ ombra,
quella dietro il tempo

e noi sempre diversi
dalla mattina alla sera a giocare
col tempo e a non capirlo

chi ti guarda
conosce la lingua dell’ iniquità
la nostra e quella dei nostri padri 
ne prende nota 
giorno per giorno.

Ma tu
cercavi forse i poeti? 

“Sospesi tra Luci e Ombre: Una Riflessione su ‘Il ponte della speranza’ di Lucia Triolo”. Recensione di Alessandria today

Lucia Triolo, nella sua poesia “Il ponte della speranza”, ci trasporta in una dimensione metaforica dove il ponte rappresenta non solo un passaggio, ma una vera e propria esperienza di transizione e di introspezione. La costruzione di questo ponte “dai bordi trasparenti” simboleggia la fragilità e la trasparenza del percorso umano, dove vediamo ciò che attraversa – “frustate di luce e tenebra” – ma restiamo ignari delle sue vere origini e destinazioni.

Triolo utilizza immagini potenti e una scelta di parole evocative per dipingere una lotta interiore tra la vita e la morte, il noto e l’ignoto. L’uso di “sguardi d’aquila e lupo” evoca una dualità di visione: l’aquila che può vedere da lontano con chiarezza, e il lupo che introduce un elemento di selvaggio e di mistero. Questi animali, simboli di potere e istinto, enfatizzano il dinamismo del ponte, che è al tempo stesso luogo di passaggio e di osservazione.

Il verso finale, “sbriciola i grumi della morte che di continuo chiede di me e di te”, suggerisce una riflessione sul significato dell’esistenza e sulla inevitabile presenza della morte nelle nostre vite. Il ponte, in questo contesto, diventa un simbolo di speranza, un luogo dove le peggiori paure possono essere affrontate e forse superate.

In conclusione, “Il ponte della speranza” di Lucia Triolo è una poesia intensa e ricca di simbolismo. Attraverso una struttura semplice ma profondamente significativa, la poetessa ci invita a riflettere sui grandi temi dell’esistenza, della mortalità e della speranza. Con una maestria linguistica che tocca il cuore, Triolo riesce a rendere un’immagine quotidiana uno straordinario viaggio emotivo e filosofico.

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“La Fuga dall’Invisibilità: Il Grido Silenzioso. “Divinità irascibili” di Luisa Triolo”. recensione di Alessandria today

La poesia di Lucia Triolo, “divinità irascibili”, è una metafora penetrante dell’esistenza umana e della sua ineludibile visibilità agli occhi del destino. La divinità, in questa lirica, assume il ruolo di forza imperiosa e inflessibile, che ricerca tenacemente il soggetto, un punto insignificante così esposto da diventare invisibile.

Triolo esplora il tema dell’insignificanza apparente e della vulnerabilità umana. La metafora delle scarpe rovinate, con suole staccate e tacchi rotti, evoca un’immagine di viaggio faticoso e di percorso di vita dissestato, carico di difficoltà e inevitabili cadute. La condizione umana è resa ancora più precaria dalla mancanza di eredità e riconoscimento; nemmeno i figli o le semplici possessioni sembrano portare il marchio dell’individuo.

In questo scenario, le domande, simboleggiate dalla carta con ali spezzate, non possono più volare ma bruciano in un inferno privo di risposte. Il finale della poesia, con la menzione di un deserto senza lingua, è un potente simbolo di isolamento e incomprensione, che sottolinea l’impossibilità di comunicare o di essere compreso nel vasto vuoto dell’esistenza.

“divinità irascibili” si rivela così una meditazione intensa sul destino, sulla solitudine e sulla ricerca di significato in un mondo che sembra spesso indifferente alle nostre lotte e alle nostre speranze. Triolo ci consegna una lirica che invita a riflettere sulla natura della nostra visibilità e sul nostro posto in un universo che a volte sembra governato da divinità irascibili.

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Pillola impoetica…

C’è chi di fronte a un buon vino o a un buon cibo esclama: “questa è poesia”. C’è al contrario chi esclama: “non scrivere una poesia. Sii chiaro”. Nel primo caso si intende per poesia qualcosa di sublime. Nel secondo caso la poesia diventa qualcosa di inutile, di inessenziale, di superfluo, addirittura di fuorviante. Pareyson, grande maestro dell’estetica tra le tante cose, sosteneva che l’arte è il bisogno dell’inutile. L’arte, quando è vera arte, è inutile e sublime. La poesia nel caso specifico, quando è vera poesia, ci insegna il senso del bello e ci ricorda che tutto è relativo, perfino lo stesso relativismo, perché, come pensava Pessoa, i poeti veri non sono assolutisti, piuttosto sono tutti politeisti. Chi ama la poesia perciò non ha bisogno della religione? La poesia può essere una sorta di nuovo deismo, ricerca di Dio senza alcuna religione? E si può essere poeti senza scrivere versi? In fondo non aveva ragione forse l’extraterrestre di “Micromega” di Voltaire, che lascia agli uomini come insegnamento solo un libro tutto di pagine bianche? Forse la vera poesia è solo quella della vita, l’unica poesia sublime e a volte terrificante ma mai inutile, mentre la poesia dei poeti è inutile? Forse non sarebbe meglio il silenzio, lo sciopero dei poeti per qualche anno? Forse la poesia dei poeti è mero barocchismo, pura decorazione. Forse non sarebbero meglio la meditazione, la contemplazione della natura, la rinuncia, la preghiera, il silenzio? Chi inizia per primo/a? 

Poesia: “La poesia non è dei poeti” di Caterina Alagna

Piove la notte sui miei occhi

a scarmigliare questi pallidi versi

da crocefiggere ai lati della bocca

per sentirli avvinghiati alla pelle,

per aspirare il profumo ribelle

che ho cucito sulle labbra.

Vorrei trattenerli,

sputarli sulle tele dei mie quadri,

vederli colare e creare

nuovi spettacoli di luce.

Ma scivolano i versi, corrono sotto

la carne e poi bucano il cielo

per nascere su nuove bocche,

su occhi appena sbocciati.

La poesia non è dei poeti,

è un alito che s’incarna

nella loro anima per mutarsi

in verbo superbo

e librarsi in volo a espugnare

la rocca del cielo.

Sui Poetry Slam, le cover band, la poesia, la musica leggera…

Se un poeta di alto livello partecipa a un Poetry Slam può arrivare a prendere anche 100 euro di gettone di presenza (come scriveva la professoressa Gilda Policastro in una sua poesia, molto prima della crisi economica della pandemia). Un componente di una cover band o di una tribute band percepisce oggi dai 50 ai 100 euro come minimo, senza necessariamente essere di buon livello. Il fatto è che la cover band fa quantomeno 200 serate all’anno, mentre il poeta al massimo ne fa 10 di serate (se va di lusso).  A un componente di una cover band i gestori dei locali offrono sempre da bere e da mangiare, mentre invece ciò non è affatto scontato per il poeta. Inoltre il componente della cover band non è costretto a viaggiare, a fare centinaia di km; di solito suona nei locali vicini, della sua città e dei paesi limitrofi, al massimo qualche volta va fuori provincia ma rimane comunque nella sua regione di appartenenza. Il poeta è costretto spesso a fare centinaia di km, andare fuori regione, spendere per il viaggio, per le spese di pernottamento perché i festival di poesia o i Poetry Slam non sono così diffusi. Gli italiani preferiscono la musica alla poesia. Dirò di più: gli italiani preferiscono canzoni cantate non dai migliori interpreti e non dai migliori musicisti (non me ne vogliate, ma è il mercato a stabilire questo) ai migliori poeti e alle migliori poetesse italiane. Quindi correggo il tiro: gli italiani preferiscono di gran lunga la musica appena passabile alla poesia di buon livello. È sempre il mercato che stabilisce tutto. Andare a sentire dei musicisti e cantanti appena passabili, che fanno le canzoni di Ligabue o Vasco Rossi, è di gran lunga preferibile per tante persone a un Poetry Slam, a un reading,  a una presentazione di un libro di un poeta o di una poetessa importante, riconosciuti dalla critica.  Volete mettere farsi diverse birre o alcolici in un locale pieno di tanti giovani ad ascoltare le canzoni sentite centinaia di altre volte dei propri beniamini, cantate da degli onesti musicisti in buon parte dei casi ma nulla più? Che poi l’importante in serate come quelle è ritrovarsi insieme, condividere qualcosa con gli altri, avere uno stato alterato di coscienza, essere in buona compagnia, avere più probabilità di trovare l’anima gemella, magari con gli stessi gusti musicali. Tutte cose, anche giuste o sacrosante, che una serata musicale può garantire oggi in Italia e una serata poetica invece no. Ma perché confrontare una serata poetica di alto livello con quella di una cover band? Paragoniamo un grande reading poetico a un concerto di un grande cantautore o di una grande interprete. Di solito con poche decine di euro si può assistere al concerto di musica leggera, quella che è considerata oggi la migliore musica leggera, e si vede dal vivo il proprio mito musicale. Inoltre tutti i  cantanti fanno un tour, che tocca ogni regione o ogni città.  Basta solo saper aspettare qualche mese nel peggiore dei casi e il cantante o la cantante prima o poi fanno una data vicino casa del suo fan. Ma alla base di tutto c’è un rapporto diverso tra cantante e pubblico rispetto al rapporto tra poeta e pubblico. Il cantante è adorato. Anche i componenti delle cover band più scarsi hanno le loro fan e spesso non sono belli né bravi (ho conosciuto queste realtà di persona). Il poeta viene considerato uno qualsiasi. Il poeta non ha pubblico. Al massimo amici, parenti, aspiranti poeti pseudoamici. La bravura o presunta tale nel cantare o nel suonare è stimata molto di più che del talento poetico. È così. Non c’è nulla da fare. Alla base di tutto c’è il fatto che la musica leggera emoziona molto di più della poesia. Di conseguenza tra cantante e pubblico si crea un rapporto libidico che non si crea tra poeta e lettrici. La stessa stima o reputazione di cui gode un cantante un minimo decente è di gran lunga superiore a quella dei migliori poeti in circolazione, almeno qui in Italia. E non è solo una questione di soldi.  Ai cantanti e ai musicisti si vuole bene, mentre i poeti sono guardati  come persone strane, eccentriche, singolari,  un poco disturbate. Il poeta non gode di buona reputazione. Spesso scrivere poesie è considerato un tarlo. Di solito vecchi amici, diventate persone serie e rispettabili,  ti chiedono dopo anni che non ti vedono, molto ironicamente e con paternalismo: scrivi ancora poesie? Scrivere poesie non è considerata una cosa seria perché non porta soldi né successo. Non è considerata dagli intellettuali un’attività rispettabile. Detto tra noi, un italianista ti considera degno di nota solo se hai pubblicato con una grande casa editrice, almeno un libro. Non parliamo poi della mentalità comune. C’è sempre qualcosa che alla gente fa ridere di un poeta o di una poetessa, anche se famosi. Il 16% delle persone in Italia scrive poesie, ma pochi tra loro leggono libri di poesia contemporanea.  Invece un d.j, anche uno poco professionale,  è venerato dalle ragazze. Saper mixare delle canzoni (nemmeno scriverle o cantarle) è considerato molto di più che lo  scrivere poesie, anche con talento. I dischi, i CD vengono venduti, nonostante la crisi, i libri di poesia contemporanea invece no. Ma queste problematiche esistevano anche ai tempi antichi (carmina non dant panem) e ai tempi di Orwell, che scrisse “Fiorirà l’aspidistra”. Il poeta o la poetessa oggi fatica a riempire una libreria di 100 persone, che appartengono soprattutto alla sua rete amicale, per non parlare di tutti i parenti che vengono lì per fare numero.  Ci sono poeti che pubblicano con grandi case editrici e si devono raccomandare per far venire le persone alla presentazione del loro libro. Va un poco meglio se l’autore o autrice è insegnante e giocoforza invita gli studenti, obbligandoli a presenziare. Insomma scrivete pure poesie, ma non disturbate troppo gli altri con illusioni e vanagloria. Bisogna sempre farsi un esame di realtà.  

Poeti. Albert CamusCamus: “Quel poco che so della morale l’ho appreso sui campi di calcio e le scene di teatro – le mie vere università”, di Imma Paradiso

Alessandria, post pubblicato a cura di Pier Carlo Lava 

Social Media Manager – https://alessandria.today/

“Quel poco che so della morale l’ho appreso sui campi di calcio e le scene di teatro – le mie vere università”

Solo un poeta, beffandosi di una società intellettuale che condanna la passione per il calcio in nome di una presunta e mai dimostrata inferiorità spirituale rispetto al balletto classico, alla musica dodecafonica e alle sfilate di moda, ha avuto la faccia tosta di ammettere che quel poco che sa della morale lo ha appreso sui campi di calcio, la sua vera università. Questo temerario è stato Albert Camus, Nobel per la letteratura nel 1957. Albert Camus, il celebre scrittore francese nato in Algeria nel 1913, ha giocato a calcio, come portiere, nel Racing universitario algerino e, secondo alcune voci, anche nella nazionale algerina durante dei campionati mondiali. Se non si fosse ammalato di tubercolosi, forse non avrebbe fatto lo scrittore-filosofo e avrebbe continuato a giocare. Fu la fine della sua giovinezza e l’inizio di quella che per lui divenne una vita monca. Nel 1930 la tubercolosi era ancora una malattia senza cura e questo segnò per sempre la visione del mondo che Camus ebbe della vita: un delicato equilibrio tra l’Assurdo e la Contraddizione. Si gettò a capofitto nella politica, nell’impegno civile e, soprattutto, nella scrittura.

Ma il calcio fu qualcosa di cui Camus non si libererò mai. Infatti la notizia della vittoria del premio lo raggiunge in uno stadio, al Parco dei Principi, mentre assiste a Racing Paris-Monaco. Un giornalista della televisione francese gli chiede di commentare una papera del portiere parigino. “Non diamogli addosso”, è la risposta: “È quando sei in mezzo al campo che capisci quanto sia difficile”. da ragazzino, in Algeria, giocava in porta perché, avendo solo un paio di scarpe, le avrebbe consumate di meno. Venendo da una famiglia povera, non poteva concedersi il lusso di correre nei campi: ogni sera la nonna gli ispezionava le suole e, se le avesse trovate danneggiate, lo avrebbe picchiato. Quei pomeriggi passati a respingere palloni come, più avanti, le insidie della vita, gli hanno insegnato che i colpi più pericolosi non arrivano mai da dove ci si aspetta. Memore di questa esperienza, con i soldi del Nobel acquisterà una tenuta a Lourmarin, nel Lubéron, dove trascorrerà le domeniche guardando i ragazzi della squadra locale allenarsi o giocare contro i villaggi vicini, arrivando persino a sponsorizzarli e a pagare loro le maglie. E così può ripensare agli amici d’infanzia, alle partite per strada, alla povertà che gli appariva naturale e ovvia come l’aria stessa di questo mondo, a tutto quello che ha perso e che si illude di ritrovare quando una rete si gonfia e i ragazzi esultano. Non è la stessa cosa ed è sempre più difficile, ma può bastare per riempire il cuore di un uomo che è stato bambino.

“Non c’è un altro posto del mondo dove l’uomo è più felice che in uno stadio di calcio”.

Albert CamusCamus

Mia cara,

nel bel mezzo dell’odio

ho scoperto che vi era in me

un invincibile amore.

Nel bel mezzo delle lacrime

ho scoperto che vi era in me

un invincibile sorriso.

Nel bel mezzo del caos

ho scoperto che vi era in me

un’ invincibile tranquillità.

Ho compreso, infine,

che nel bel mezzo dell’inverno,

ho scoperto che vi era in me

un’invincibile estate.

E che ciò mi rende felice.

Perché afferma che non importa

quanto duramente il mondo

vada contro di me,

in me c’è qualcosa di più forte,

qualcosa di migliore

che mi spinge subito indietro.

Albert Camus

*Un grande poeta, scrittore, poteva diventare un grande calciatore, il talento ha molteplici sfaccettature. Tutto ciò che può insegnare qualcosa di bello e importante vale la pena viverlo, in un campo di calcio o osservando un tramonto e se poi puoi riversarlo nei versi diventa una ricchezza da condividere.

La poesia italiana tra scrittura del trauma, trauma della scrittura, varie ed eventuali…

Nella poesia italiana, anche nella migliore, in questi ultimi anni gli autori e le autrici sono in bilico tra la scrittura del trauma e il trauma della scrittura.  Per quanto riguarda la prima è alquanto difficile dire se poeti e poetesse per essere tali hanno dovuto per forza cercare di cicatrizzare una ferita interiore, mai totalmente rimarginata, oppure se hanno deciso giocoforza di trattare i loro traumi, anche perché considerato più apprezzabile a livello socioculturale e letterario. Può darsi che siano vere entrambe le cose. Un tempo certe cose si tacevano, se ne aveva pudore, il trauma si rimuoveva o nel migliore dei casi si sublimava, mentre oggi tutti ne vogliono scrivere, leggere e certi argomenti fanno vendere di più; d’altronde non va nemmeno messa in dubbio la buona fede di chi lo fa, in quanto è una cosa totalmente legittima.   Il problema è che non sempre la terapia della parola è efficace, nemmeno sotto supervisione di esperti terapeuti: figuriamoci se ci si sobbarca il compito di rielaborare il trauma o il lutto da soli/e! Talvolta si chiede troppo alle proprie forze o alla parola poetica stessa. Per quanto riguarda il trauma della scrittura intendo la presa di coscienza degli autori o delle autrici della effettiva marginalità della lirica italiana, che di fatto è una nicchia per i più famosi, mentre a tutti gli altri non resta che accontentarsi di una piccola bolla virtuale. I più realisti e dotati di buon senso si accorgono che possono ben poco, che essere poeti ha più oneri che onori; prendono atto della pochezza della loro arte, della sua risibile incisività/popolarità; si rendono conto che il loro sogno adolescenziale o giovanile si è infranto, è caduto. Non tutti riescono a confessare a sé stessi, né ad accettare socialmente la loro sconfitta. Ecco allora che la comunità dei poeti, degli aspiranti, dei sedicenti  è popolata da presenze inquietanti, che si vantano del premio inutile vinto dopo anni di partecipazione a concorsi letterari oppure di quella volta che un critico letterario in privato a voce ha detto loro quanto erano belle le loro poesie. Esistono come in ogni ambito le persone tarate, che hanno vanagloria, narcisismo patologico, autocompiacimento e nevrosi così disturbanti da far passare la voglia di scrivere poesie o di occuparsi di poesia. Ma bisogna innalzarsi sopra queste miserie per contemlare la curvatura dell’orizzonte. Un altro limite della poesia italiana è che la comunità poetica è costituita tutta da persone comuniste o del Partito Democratico. Esiste quindi una poesia comunista e una poesia “democratica”, ma non esiste una poesia anarchica oppure liberale. Esistono ad esempio una sparuta minoranza di anarchici, ma non un’anarcopoesia. Esistono pochi poeti liberali, ma non una poesia liberale. Questo accade perché chi è numericamente superiore detta legge e gli altri non hanno la forza o il coraggio di proporre le loro idee; per quieto vivere alcuni  tacciono oppure occultano il loro orientamento politico e una parte della loro visione del mondo. Non mancano poi anche coloro che si lamentano di non avere mai tempo per scrivere, dato che hanno molte incombenze lavorative, sociali, familiari. A queste persone ricordo che avere una moglie, dei figli, avere un lavoro sono cose molto più appaganti della scrittura. Il filosofo Emanuele Severino quando qualcuno si lamentava delle cose che gli erano necessarie scriveva che era come se un quadro che si lamentasse del chiodo a cui era appeso oppure come una  colomba che si lamentasse dell’aria. Una moglie, un lavoro, una vita sociale consentono di vivere e realizzarsi pienamente a differenza di una vita di sola scrittura…altrimenti alcuni paradossalmente finirebbero per invidiare chi è disoccupato/a perché ha tanto tempo per scrivere! Avere troppo tempo libero non è un privilegio in alcuni casi: questo bisognerebbe sempre ricordarselo, invece di invidiare situazioni e condizioni esistenziali oggettivamente/onestamente poco o per nulla invidiabili. Diciamocelo francamente: per quanto riguarda la poesia scrivere o non scrivere è la stessa cosa, anzi probabilmente è peggio scrivere perché ci si mette a nudo e ci si espone al pubblico ludibrio. Per non parlare del fatto che certi letterati mai prenderebbero in considerazione un disoccupato che scrive oppure lo considererebbero con paternalismo  un privilegiato, un perditempo  o al  massimo un caso sociologicamente interessante (roba da socioanalisi e niente altro). Concludendo, tra dolore esistenziale e scrittura, tra realismo e illusione, tra privilegi, veri o presunti, ed effettive constatazioni di fatto la giusta misura e il punto di non ritorno dipendono dalla personalità e dalla sensibilità di ognuno e purtroppo non sono riconoscibili a priori. 

Sulla poesia italiana, che accade quasi per miracolo…

La poesia parte svantaggiata rispetto alla musica già in fase prenatale. È il ritmo cardiaco della madre ad essere il principale suono dell’ambiente intrauterino. Le parole della madre prima della nascita sono echi lontani. Diventeranno importanti solo dopo la nascita con la lallazione,  etc etc. Ma poi la musica ontologicamente e ontogeneticamente ha una funzione rilassante già nel periodo fetale. In ogni caso il ritmo musicale viene prima della musicalità delle parole stesse. E poi pochi apprezzano la musicalità delle parole (rime, allitterazioni,  consonanze, assonanze, etc etc)! La maggioranza delle persone nell’infanzia si impadronisce della musicalità verbale per sviluppare le proprie abilità fonologiche e fonosimboliche. Per questi motivi psicofisiologici oltre che per altri squisitamente culturali, storici e di mercato  l’industria ha deciso di investire nella musica leggera e non nella poesia. Le persone nella maggior parte dei casi ascoltano musica e non leggono poesia. Non c’è niente da fare: la poesia arriva dopo rispetto alla musica, ha una minore capacità di trasmettere emozioni per natura e anche per cultura. Se poi si aggiunge il fatto che la poesia non è quasi più mitopoietica in una società occidentale sempre più tecnologica e scientista, allora la frittata è fatta. Le multinazionali investono nella musica e non nella poesia per tutta una serie di ragioni e di problematiche annesse e connesse. Anche lo stesso Ginsberg prima di diventare famoso aveva un pubblico di 100 persone, ma lui poi ha venduto centinaia e centinaia  di migliaia di copie. In Italia la stragrande maggioranza di poetesse e poeti, veri o presunti, raramente arriva ad avere un centinaio di persone (tra cui molti amici e parenti) alle presentazioni dei libri e se tutto va bene riesce a vendere qualche centinaio di copie (di solito le regala ad amici, parenti, editori, critici, appassionati,  etc etc). Niente di più e niente di meno. Così stanno le cose. Poi c’è chi guarda solo il rimasuglio d’acqua nel bicchiere quasi vuoto ed è felice di ciò, ma a onor del vero qui è un caos. Lo scrivo da persona che ama la poesia. Ci sono validi poeti e valide poetesse costrette a pagare per farsi pubblicare. Ci sono validi critici o recensori che dedicano centinaia di ore e ore a scrivere centinaia di articoli, a collaborare a riviste e non vengono pagati un euro. Eppure leggere un libro e scrivere anche solo una nota critica significa “perdere” metà giornata. Eppure scrivere un saggio breve per una rivista richiede del tempo. Così come tra incubazione, scrittura di getto, ripensamenti, revisioni e correzioni richiede del tempo una silloge poetica. Della serie: tutto avviene per miracolo o quasi; diciamo più precisamente, che avviene  solo per diletto, passione, dedizione, quasi mai senza essere riconosciuti pubblicamente, restando underground, tra i tanti carneadi della comunità poetica, fatta di un intreccio caotico e millefoglie, di un sovrapporsi continuo di migliaia di voci, che rivendicano ciascuna la propria originalità e il proprio diritto a farsi conoscere. D’altronde allo stesso modo, così come c’è un esercito di appassionati e letterati che fa cultura gratis sul web, il mondo attuale premia con lauti compensi chi mostra seni e fondoschiena sui social. Probabilmente i poetry slam e i poeti performer possono aiutare la poesia, possono richiamare pubblico e attenzione. Anche sul fatto che prevalga la banalità delle canzonette ad esempio sulla vera poesia in musica dovrebbe far riflettere ulteriormente. Accade così che c’è un discreto tasso fisiologico di conflittualità: gli intellettuali, i critici letterari, gli scrittori spesso non riconoscono il valore dei poeti, che sono risentiti per questa ragione (conflittualità intergruppo), si creano delle cricche, tanti poeti sgomitano e alcuni polemizzano  (conflittualità intragruppo), i poeti stessi hanno un rapporto ambivalente nei  confronti della poesia e/o sono frustrati per lo scarso tempo che possono dedicarvi (conflittualità intrapsichica). Se poi a tutto ciò aggiungiamo le contraddizioni insanabili,  che più o meno abbiamo tutti, (perché le uniche persone veramente equilibrate e pacificate col mondo sono i morti presumibilmente) allora possiamo capire quanto la situazione sia critica per la poesia italiana. 

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IN RICORDO DI STEFANIA GATTI, di Armando Bergaglio

IN RICORDO DI STEFANIA GATTI, di Armando Bergaglio

La notizia ci sorprende e ci addolora. Stefania gatti non è più tra noi.  A poca distanza dalla scomparsa del marito le è rimasto solo il tempo per versare una lacrima ed anche per lei il tempo si è fermato.

Chi era Stefania Gatti?  Ce lo dice lei stessa in una telegrafica autopresentazione nell’ultima pagina del suo volumetto di poesie: “Classe 1934, coniugata Pertusati, due figli maschi. Alla nascita del secondogenito lascia l’impiego per dedicarsi alla famiglia. Dal 1998 inizia a comporre poesie dialettali per animare le feste dell’Unitrè di Tortona, con inaspettato successo: ciò la stimola a continuare a coltivare questa passione”. E così Stefania ha continuato a coltivare la poesia, regalandoci il piacere di rileggere il nostro passato e la nostra città filtrati dal dialetto tortonese. Ci lascia un minuscolo opuscoletto di composizioni dialettali, e molte altre rimaste, purtroppo inedite,

Sono poesie che poteva scrivere solo chi ha amato ed ha vissuto la propria città. Lei, tortonese di razza, aveva  trascorso l’infanzia in una casa al margine di città giardino – la cascina Gatti – , quando lì era ancora campagna, anzi  segnava una netta linea di demarcazione tra la città ed un mondo rurale che le era tenacemente impresso nella sua memoria. Così ricordava Tortona, con tutti i cambiamenti avvenuti dal dopoguerra ad oggi, una città che ora si ritrova in Piazza Milano con le auto dei pendolari tortonesi, come racconta in una sua poesia. Una città raccontata con lucidità e freschezza giovanile, spesso con una sorridente ironia o attraverso episodi curiosi

Le sue poesie sono raccolte nel volumetto ‘Aria ‘d Turtona’. L’opera è  divisa in tre parti: “Par schers e par amur’, e  ‘Ricordi di gioventù’ presentate in dialetto (tortonese, ovviamente!), però con la ‘traduzione’ a fronte) e una terza parte di poesie nella lingua di Dante. 

La scomparsa di Stefania Gatti è una grave perdita per la “L’Officina del Dialetto”, che ricordiamo assieme ad altri due amici scomparsi, Tanino Castellani e Sergio Piccinini.

“Il poeta sei tu che leggi”

“Il poeta sei tu che leggi” si trova scritto dappertutto ormai. È scritto anche sul  Lungotevere Vaticano. Lo scrivono in tanti sul web. Il vero autore sarebbe il lettore. Sarebbe lui il maggior costruttore di significato, il vero responsabile del senso ultimo del testo. Di fronte all’ambiguità semantica è proprio il lettore che decide cosa significhi questa o quell’opera. Una parola, una frase, un intero testo possono avere significati diversi a seconda del contesto (inteso in senso lato) e dalla sensibilità individuale. La stessa connotazione, la sfumatura emotiva di ogni parola, di ogni frase varia da persona a persona. Ogni testo quindi dipende anche, forse soprattutto,  dallo stato mentale, dall’umore, dallo stato d’animo del lettore in quel particolare frangente. Possiamo perciò anche essere d’accordo. Gli artisti non esistono senza pubblico. I poeti non esistono senza lettori.  Adam Smith ne “La ricchezza delle nazioni” considerava gli artisti degli assistiti. In quell’epoca la maggioranza erano cortigiani oppure secoli prima per esempio pittori e scultori venivano finanziati da dei mecenati. Oggi gli artisti sono assistiti dai loro ammiratori,  estimatori, seguaci. Aveva capito tutto il cantautore Claudio Rocchi quando gli chiedevano l’autografo, lui chiedeva le generalità del richiedente e poi firmava con il nome e cognome del suo fan. Senza il pubblico l’artista non ha modo di esistere. Oggi è poeta chi legge. Ma io mi domando se uno non legge cosa è? Molto probabilmente molti non vogliono leggere perché non vogliono essere poeti. Di solito comunque leggono poesia soprattutto gli aspiranti poeti, coloro che vogliono diventare poeti. Come esistono le preghiere interessate anche queste sono letture interessate in un certo modo. Certamente i giornali non aiutano. La cosiddetta terza pagina viene sempre messa in ennesima pagina. Sono anche scomparsi e non più sostituiti grandi maestri dell’elzeviro. Non scrivono più ormai Luca Goldoni, Alberto Arbasino, Pier Francesco Listri, Luigi Maria Personè. Mi ricordo che anni fa mi incuriosivano molto gli aneddoti letterari di quest’ultimo, morto centenario, grande letterato, che aveva conosciuto tutti i più grandi letterati del Novecento italiano e non. Poi le terze pagine dei quotidiani trattano di società, mondo dello spettacolo, tendenze. Trattano spesso di cose futili, leggere, tanto per intrattenere più che per acculturare, se va bene per informare più che per formare. Ma i direttori dei giornali sono messi alle strette e loro, se interpellati a riguardo, direbbero prontamente: i quotidiani vendono sempre meno copie e bisogna dare ai lettori ciò che vogliono. Il potere in questo modo si deresponsabilizza tramite la presunzione di ignoranza del popolo. Così facendo il popolo non si accultura. Inoltre come ho sempre avuto modo di dire: oggi tutto è cultura tranne la cultura. C’è spazio per tutti in televisione tranne che per la letteratura, la poesia, la scrittura. Eppure la fruizione culturale è aumentata notevolmente in questi anni. Ma la cultura è noiosa, soporifera.  La scuola non aiuta. I programmi ministeriali sono quelli che sono. Poi con la vecchia retorica che non bisogna dare la pappa pronta diversi critici letterari si sono dimostrati criptici,  oscuri, allontanando di fatto le persone dalla cultura. Diversi letterati non vogliono correre il rischio della banalizzazione, della volgarizzazione, neanche quando di tratta di un’utile semplificazione. Anche in letteratura bisognerebbe utilizzare il rasoio di Occam, ovvero non moltiplicare gli enti inutili. Invece sembra che diversi letterati abbiano a cuore il loro gergo specialistico e allora usano grecismi, latinismi, inglesismi,  francesismi. La cultura diventa talvolta perciò un fardello pesante. Ci sono ancora oggi diversi letterati, che pur essendo politicamente progressisti, hanno una concezione elitaria e snobistica della letteratura, nutrendo talvolta dei pregiudizi nei confronti della cosiddetta gente. Insomma secondo costoro la letteratura deve essere difficile, non alla portata di tutti. Un tempo il preside della facoltà di ingegneria di Pisa amava dire “ingegneria deve essere difficile” agli studenti che si lamentavano della severità dei docenti. Ogni ingegnere ha delle responsabilità civili, sociali, etiche, umane. Deve saper fare bene i calcoli per non far crollare i ponti o se è un ingegnere gestionale deve saper fare i conti per non far fallire un’impresa. Ma un letterato ha soprattutto il dovere di farsi capire ai più. In un certo qual modo diversi letterati complicano le cose;  sono esoterici, nel senso più deteriore del termine. Ma a questo proposito secondo una scuola di pensiero  nessun uomo è depositario di grandi verità.  Le cose della vita sono sempre quelle trite e ritrite. I letterati sono uomini come gli altri. Invece secondo un’altra scuola di pensiero non si può spolpare la letteratura perché poi alla fine ci resta un torsolo di mela. Secondo questi pensatori aveva ragione Cioran quando scriveva che se togliessimo il belletto alla letteratura non resterebbe niente. La domanda da un milione di dollari è la seguente: si può rappresentare la vita anche in modo comprensibile ai più oppure bisogna riprodurla fedelmente nella sua complessità? E ancora i letterati devono abbassarsi al livello del pubblico o devono cercare di elevarlo? Meglio arrivare a tutti o invece essere per pochi eletti? Nel frattempo la poesia è di nicchia. Di solito l’espressione nicchia di mercato o mercato di nicchia può avere anche molti risvolti positivi. Si sente dire che nel mondo economico c’è parecchia crisi, ma tizio e caio hanno trovato una bella nicchia di mercato e si sono arricchiti. Non fatevi illusioni: la poesia è una nicchia di mercato che non vende,  non arricchisce, se non interiormente. Eppure le facoltà umanistiche sono sovraffollate. Mai tarpare le ali. Mai uccidere i sogni. Ci penserà poi la realtà a disilludere, a deludere, a disincantare. Un altro problema è che oggi tutti sono poeti tranne i poeti. Sono poeti i cuochi, i cantanti, gli influencer, i lestofanti, i piacioni, gli addetti alle pubbliche relazioni, i latin lover e gli arrivisti vari. E i veri poeti? Non pervenuti. Lasciano poche tracce di sé. Disseminano i loro versi in angoli remoti del web. Pubblicano libricini che vendono poco o addirittura pochissimo. La poesia d’altronde è di tutti o di nessuno. Parafrasando un celebre detto, la poesia è quella cosa che tutti pensano di sapere che cosa sia. In tutta onestà penso che valga la regola opposta e inversa: nessuno può sapere con certezza che cosa sia la poesia. Quindi, concludendo,  è vero: il poeta sei tu che leggi, a patto che tu legga e legga roba buona. 

Un pensiero sulla poesia in una giornata al mare…

Si fa presto a dire e scrivere poesia. Invece oggi, almeno in Italia, è terribilmente difficile. Se Woodstock attrasse 500000 giovani vicino a New York, nonostante giorni di pioggia torrenziale, Castelporziano fu una sconfitta inequivocabile. La stessa differenza che intercorre tra un capolavoro come Don Chisciotte e la pur simpatica armata Brancaleone. Sempre continuando le analogie con il cinema, sperando che non risultino delle forzature eccessive, a volte la poesia italiana mi sembra una partita a tennis senza pallina come in Blow-up di Antonioni (e la situazione mi appare peggiorata da quando Frost sosteneva che scrivere versi liberi è come giocare a tennis senza rete), altre volte mi sembra che i poeti siano come i protagonisti dell’Avventura, sempre di Antonioni, che dovrebbero ricercare la poesia scomparsa e invece nell’indagine si accorgono di essere interessati a ben altro. Continuando con il tennis, a  volte i poeti mi sembrano trovarsi in una terra di nessuno e come certi tennisti si trovano a metà campo, si fanno prendere alla sprovvista dai passanti dell’avversario che mette loro la pallina tra i piedi, mentre altre volte gli stessi poeti si trovano troppo vicini alla rete e allora ha gioco facile l’avversario/il pragmatico/l’uomo comune della strada/ la stessa realtà a fare loro il pallonetto e fare il punto decisivo. Talvolta i poeti mi sembrano inadeguati. Altre volte mi sembra che la realtà sia spietata, assassina nei confronti della poesia, come in Easy rider, dove i ribelli fanno una brutta fine. L’Italia è nel migliore dei casi inospitale per chi voglia fare poesia, nel peggiore è addirittura repressivo, limitante, castrante, per non usare il termine abusato concentrazionario, dato che sarebbe fuori luogo parlare di campi di concentramento. Insomma diciamocelo in tutta onestà: non è un Paese per poeti, indipendentemente dai detti e da una grande tradizione culturale che abbiamo alle spalle. Diciamocelo ulteriormente: questa realtà non è poetica. C’è crisi economica, tutta una serie di problemi annessi e connessi,  la guerra, una pandemia che non vede fine. Eppure allo stesso tempo la realtà contiene in sé ancora un nucleo indissolubile di poesia. Basta saperla scorgere. Basta un’alba,  un tramonto, un amore sbocciato, anche un semplice gioco di sguardi. Sono a Marina di Cecina con un amico di infanzia. Passeggiamo sul lungomare. Guardiamo i bagni. Osserviamo tutta la gente nella spiaggia libera. Guardiamo una casa con 3 vani e 5 posti letto in affitto e parliamo di questo. Ci facciamo delle foto in riva al mare. Prendiamo un caffè. Abbiamo fatto discorsi seri, abbiamo parlato di noi stessi, ma ci troviamo bene anche a stare quarti d’ora in silenzio.   Nel vocio indistinto c’è poesia. Nei riflessi di sole c’è poesia. In un turista che non sa dove andare e mi chiede informazioni c’è poesia. Ripensare alle mie estati d’infanzia passate proprio a Marina di Cecina e rimembrare c’è poesia. La poesia è eterna perché fa parte dell’essere umano. È connaturata all’essere umano. La poesia per dirla con le parole del sociologo Alberoni è uno stato nascente, come minimo tra l’autore e il lettore. Il problema comunque non è tanto che non ci sono persone pronte a riconoscere in sé stessi la poesia oppure nel mondo. Il problema di base è la mancanza di volontà di rispecchiarsi nei poeti italiani viventi. Tutto al più le persone assaporano le loro liriche in blog letrerari o riviste online. Ma di solito non avviene il fatidico passo di comprare il libro. Forse una delle questioni è che la comunità poetica è piccola e solo chi vi appartiene compra libri di poeti italiani viventi. Non si tratta di legittimazione culturale, di cui alcuni poeti godono, ma di legittimazione mediatica. Di poesia contemporanea ne parlano pochissimo i mass media. Sui giornali come Repubblica hanno chiuso le rubriche di poesia. Hanno poco successo. Non hanno riscontro di pubblico. Di conseguenza l’ego smisurato di diversi poeti diventa frustrazione assoluta, fallimento. Essere poeta è quasi un contentino. Assume per i più pratici quasi un significato spregiativo.  Un tempo era vanto e orgoglio essere considerati tali. Chi lo fa fare di metterci la faccia? Come cantava Ron “alle ragazze non chiedere niente se il tuo nome non è sui giornali o si fa dimenticare”. A essere poeti non si guadagna nulla, anzi si spende, nella maggioranza dei casi. Ma nonostante questo qualcuno continua a essere poeta, pur essendoci molti contro e pochi pro. Nonostante tutto c’è chi scrive ancora per amore della poesia. Io mi prometto che non scriverò più poesia, nonostante ogni tanto mi si presenta una disposizione d’animo favorevole. E continuo a guardare una bella ragazza in due pezzi che prende il sole e mi perdo poi nel mare e nel luccichio dei raggi di sole, che si incontrano con le onde. Sono al mare e sono quasi felice a prendermi questo vento, a godermi questo istante. Mi prometto che non si può scrivere poesia a 50 anni ormai, così come mi riprometto sempre di non innamorarmi. Ma siamo umani e potrei anche finire per ricascarci. Nessuno è perfetto, come in una celebre battuta di un film che ha fatto epoca.

La poetessa Santina Gullotto si presenta ai lettori di Alessandria online

La poetessa Santina Gullotto si presenta ai lettori di Alessandria online

BIOGRAFIA

Mi chiamo Santina Gullotto nome battesimo Santa Gullotto nata 06\12\1953 a Randazzo dove vive in Via Galliano N. 95 ..paese situato nella valle dell’Alcantara, tra i Nebrodi e le pendici verdeggianti etnee. Ho disegnato e realizzato abiti personalizzati soprattutto da cerimonia e da sposa. Amo cucinare, ho rivisitato le vecchie ricette della nonna personalizzandole. Ho l’hobby della pittura, dipingo paesaggi e ritratti olio su tela e ritratti a matita. Ho scritto poesie, liriche e prose sia in italiano che dialettali, “Vernacolo” un saggio e qualche libro autobiografico. La mia poesia nasce dalla mia vita intensa e piena di non poche sofferenze, che come un fiume in piena mi hanno travolto ma non mi hanno distrutto e la fede in Dio mi ha fatto sempre superare.

Le mie pubblicazioni e premi. La mia prima pubblicazione è stata con tre poesie, passando la selezione di un concorso “VERSI PER UN TERRITORIO” del la GB editoria Roma.

Aderendo a delle iniziative editoriali ho partecipato alla realizzazione di antologie come “ATTIMI” “Poeti contemporanei” della casa editrice “PAGINE” della stessa, sono state pubblicate diverse poesie tra gli otto Poeti scelti dallo scrittore “ELIO PECORA” sulla rivista mensile “POETI E POESIA”

Con ALETTI EDITORE ho pubblicato per selezione delle poesie per diversi volumi autori vari …

Ho partecipato alla realizzazione di una trilogia “CIO CHE CAINO NON SA” con poesie e brani …per la sensibilizzazione della lotta contro la violenza sulla donna ma anche in generale.

La poesia “MI RIFUGIO NEL SILENZIO” premiata con targa d’argento e pubblicata sull’antologia “ALDA NEL CUORE” nell’omonimo concorso con la Casa editrice URSINI EDIZIONI

La poesia “IN OGNI DOVE” Vince il primo premio assoluto nel concorso Premio nazionale “OASI” MOTTA S. ANASTASIA, nello stesso concorso per la poesia dialettale il premio speciale poesia “STU NOSRU MARI”

Ho pubblicato sette sillogi di poesie in lingua italiana un libro di dialettali “Vernacolo”e quattro libri di narrativa, due saggi, un libro di favole e aforismi, un libro di Ricette

Nel Maggio 2018 A Motta S.Anastasia il “Premio Mediterraneo Oasy VI edizione” con la poesia “GUARDANNU ATTORNU” e “Premio Arte e poesia” con la poesia “VA COL PENSIERO” 

Nell’Agosto 2018 “PREMIO POESIA CASTELLI DI VERSI” CON LA POESIA “CHE NE SAI” Omnia Arte Eventiad Acicastello (ct) 

Dalle guardie d’onore del Pantheon ricevo “PREMIO UMBERTO SECONDO “ con la poesia “AVANZA IL VENTO”

Il 4 Dicembre 2019 la poesia “NEL CIELO DI SETTEMBRE” riceve la menzione speciale della giuria nel concorso letterario “Beato Girolamo De Angelis” a Enna

A Motta S. Anastasia (ct) ricevo, Il Premio “NEL CIELO DELL’AFRICA” con la poesia “LI DOVE ARDE IL SOLE…

E il “PREMIO MEDITERRANEO” con la poesia “ARIA DI UN SOGNO DI PACE “OASI REGINA PACIS” Motta S.Anastasia

Agosto 2020 Primo premio “Estemporanea di pittura Parco sciarone e premio letterario sul medesimo tema” 

Nel 2021 vengo inserita nella “ANTOLOGIA DI POETI CONTEMPORANEI SICILIANI” secondo volume. Vent’anni dopo il duemila.

Anno 2022 Maggio (Oasi regina Pacis Motta S.Anastasia) Premio speciale ”COLORI DI LIBERTA’” con la poesia “CI SARANNO ANCORA”

Menzione di merito “POESIA IN CRONACA” con la poesia “NEL CUORE DELLA TERRA”

Per la pittura ho realizzato mostre dei miei dipinti. La mia prima mostra realizzata durante lo svolgimento del concorso del concorso “Fogghi Mavagnotti” a Malvagna (ME). Alla mia poesia (Guardannu attornu) viene assegnata la menzione d’onore.

Altre mostre svolte nel mio paese durante la festa dell’Assunta Agosto 2017 e 2018

Partecipazione a mostre collettive a Randazzo (CT) Giugno 2017, giugno 2018, Agosto 2021. Un mio olio su tela rappresentante il chiostro comunale ex convento dei Benedettini lato ovest si trova nella sede comunale di Randazzo, e sempre un mio olio su tela rappresentante il lato est del chiostro comunale è stato portato in dono dal nostro sindaco al sindaco di Gradara Marche per il gemellaggio dei paesi Medievali.

In questi ultimi anni ho insegnato pittura Olio su tela all’Unitre  di Randazzo ct.