Poesia: “Luna” di Caterina Alagna

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Una brezza eterea carezzava

la terra come piuma leggera. 

La sua luce argentea cullava

i pensieri stanchi della sera,

bagnando di un bianco bagliore 

le nostre parole di cera.

Gli animi agitati placava 

dagli attacchi del mondo, 

dalle logoranti vicende del giorno.

Ombre spossate nel corpo,

arrese nell’abbraccio di Selene

che mutava in quiete 

il flusso burrascoso delle vene.

Cultura. Poesia napoletana: Il pensiero poetico di Antonio De Curtis

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Il 15 febbraio del 1898 veniva alla luce nel rione Sanità di Napoli Antonio Vincenzo Stefano Clemente  attore, sceneggiatore, commediografo, poeta e paroliere. Figlio di una relazione clandestina tra Anna Clemente e il marchese Giuseppe De Curtis, il piccolo Antonio, risulterà all’anagrafe ” Antonio Clemente, figlio di Anna Clemente e di N.N.” Una storia che segnerà in maniera significativa tutta la sua vita, dal momento che combatterà per farsi riconoscere i titoli nobiliari che gli spettano. L’arcigno marchese Luigi De Curtis  impedisce a suo figlio Giuseppe di  contrarre matrimonio con una popolana. Anna, da sempre ribelle, non nasconde la sua gravidanza, mentre dal canto suo, Giuseppe, pur essendo innamorato di Anna, obbedisce tassativamente agli ordini di suo padre, tenendo segreta la relazione. Il piccolo Antonio così crescerà nella casa materna, in condizioni estremamente povere e disagiate. Non riceve regali a Natale né per il suo compleanno, ma solo freddo, fame e miseria. In cambio sarà nutrito con amorevole affetto da sua madre ( sarà proprio Anna Clemente ad affibbiargli il nomignolo Totò) e da sua nonna Teresa che una volta adulto lo vizierà accontentandolo in ogni capriccio. Non incline agli studi, a scuola si dimostra totalmente svogliato tanto che in quarta elementare viene retrocesso in terza. Sarà solo grazie alla forza di volontà di sua madre che porterà a termine i sei anni delle elementari, ottenendo un attestato che all’epoca vale come un titolo di studio. Ciò nonostante il padre lo iscrive alle ginnasiali, più precisamente al Collegio Cimino, un istituto per i figli dei poveri. Qui si può dire che termina la carriera scolastica del piccolo Antonio, e i genitori, ormai rassegnati, decidono di mandarlo a lavorare. Bisogna dire però che in collegio Totò viene colpito con un ceffone da un suo precettore, spazientitosi forse della sua eccessiva irrequietezza. Il ceffone gli devia il setto nasale, determinando col passare degli anni l’atrofizzazione della parte sinistra del naso conferendo al volto quella particolare asimmetria che lo distinguerà in maniera inconfondibile e che risulterà persino favorevole alla sua carriera di comico. Una volta fuori dal collegio svolge diversi lavori : da garzone a imbianchino, ma pitturare le case non gli interessa. Il lavoro gli provoca tristezza e pigrizia e, ogni volta che può, fugge per andare all’osteria di Don Aniello alla Stella per bighellonare con gli amici catturando le loro attenzioni esibendosi in imitazioni perfette dei malcapitati nel locale. Con l’entrata in guerra dell’Italia nel 1915 Totò si illude di poter ottenere una possibilità di riscatto arruolandosi nell’esercito, ma ben presto si accorgerà che la vita militare non fa per lui: non sopporta di alzarsi all’alba, la disciplina ferrea e le marce. Finge malesseri di ogni tipo con la speranza di ottenere mansioni meno faticose. Ma il suo atteggiamento non fa che irritare i suoi superiori che decidono di punirlo destinandolo al 182esimo battaglione di fanteria diretto in Francia. Con un’escamotage riesce ad evitare di finire in prima linea allo scoppio della Grande Guerra. Durante la sosta che il treno fa ad Alessandria mette in atto il suo piano di fuga.  Si getta a terra, inizia a digrignare i denti,  si contorce fino a farsi trasferire in infermeria e successivamente all’ospedale militare dove si sottopone a numerose iniezioni pur di non partire per la Francia.  Una volta rimessosi in forza viene trasferito all’ 88esimo reggimento di stanza a Livorno. Qui trascorre l’ultima parte della sua vita militare ed è proprio in questo periodo che subisce continui soprusi e umiliazioni da parte di un graduato. Si racconta che una sera su un tavolaccio, facendo il verso al suddetto,  se ne esce con una delle sue battute più famose ” Siamo uomini o caporali?!” I commilitoni, sentendosi per una volta liberati dalla loro condizione e vendicati,  si abbandonano a uno scroscio di applausi e risa. Proprio quel particolare entusiasmo sprona Antonio  verso la carriera artistica,  in quanto le sue movenze, le sue imitazioni dei potenti, l’esasperazione dei particolari gli procurano un pubblico appassionato. Terminata la carriera militare si avvicina al teatro, ma con molto poco successo. Agli inizi degli anni ’20 il padre lo riconosce e decide di regolarizzare il suo rapporto con la madre, sposandola, ma Antonio non ha ancora i titoli nobiliari che gli spettano. Nel 1922 si trasferisce con la famiglia a Roma e proprio qui riesce a farsi assumere nella compagnia comica teatrale di Giuseppe Capece per poche lire. Quando chiede un aumento, questi si rifiuta di concederglielo. Totò allora lascia la compagnia e si presenta al Teatro Jovinelli dove in breve tempo ottiene il successo. Di lì a poco  reciterà accanto ai più grandi attori di teatro riuscendo a farsi apprezzare come comico perché trascina il pubblico in un vortice di battute divertendo fino al delirio. Debutta poi nel cinema. Reciterà in 97 film, alcuni dei quali saranno vere pellicole di successo quali “Signori si nasce”, “Toto’ truffa”, “Miseria e nobiltà”. Arriverà a recitare persino con grandi registi del calibro di  Monicelli e Pasolini. Nel 1933 si fa adottare dal marchese Francesco Maria Gagliardi ereditando  i suoi titoli gentilizi. Ma sarà solo nel 1946 che il Tribunale di Napoli gli riconosce il diritto  a fregiarsi dei nomi e dei titoli di Antonio Griffo Focas Flavio Dicas Comneno Porfirogenito Gagliardi De Curtis di Bisanzio, altezza imperiale, conte palatino, cavaliere del Sacro Romano Impero, esarca di Ravenna, duca di Macedonia e di Illiria, principe di Costantinopoli, di Cicilia, di Tessaglia, di Ponte Moldavia, di Dardania, del Peloponneso, conte di Cipro e di Epiro, conte e duca di Drivasto e Durazzo.  Ma veniamo all’Antonio De Curtis poeta. Quando parliamo della sua opera poetica è bene dire che Antonio De Curtis distingue la sua vera identità dalla maschera Totò. Le due identità sono ben separate e sarebbe sbagliato pensare alla personalità di Antonio De Curtis  come quella che siamo abituati a vedere nei suoi film. Antonio De Curtis usa la sua maschera per lavorare, per fare quello che più gli piace che è divertire il pubblico. È proprio lui ad affermarlo in un’intervista televisiva rilasciata a Lello Bersani. Quando quest’ultimo gli chiede che differenza ci siano tra lui e Totò, risponde: “C’è una grande differenza. Io sono De Curtis e lui è Totò, che fa il pagliaccio, il buffone, infatti in casa, lui normalmente mangia in cucina, mentre io mangio nella stanza da pranzo. Io vivo alle spalle di Totò, lo sfrutto. Lui lavora ed io mangio.” Le sue poesie sono le espressioni, le idee, i sentimenti dell’uomo Antonio De Curtis che si sente libero di sfuggire agli obblighi della maschera per poter essere finalmente se stesso, per offrire al pubblico l’autentica immagine di sé. Gran parte della sua produzione è in dialetto napoletano ma è bene precisare che le sue poesie sono scritte in modo che risultino comprensibili ai più. Non manca, comunque, di scrivere liriche anche in italiano. I componimenti affrontano varie tematiche quali l’amore, le donne, la vita, la morte, la povertà e le ingiustizie sociali. In esse è ben chiaro il pensiero di un uomo che viene dal basso, dalla povertà più esasperante.. E’ dalla parte dei più deboli, dei poveri. Nelle sue poesie le persone dimenticate dalla società ottengono la dignità che meritano. Nel 1964 viene pubblicata la sua raccolta poetica intitolata “A livella” che comprende 26 poesie che Antonio de Curtis scrive a partire dagli anni ‘50. Un’altra raccolta poetica ” Dedicate all’amore” viene pubblicata nel 1977, in occasione del decennale della sua morte, da parte della sua ultima compagna di vita e suo grande amore, Franca Faldini. In questa raccolta sono riunite per lo più poesie d’amore dedicate appunto alla sua compagna. Altre poesie vengono, in fine,  raccolte insieme a quelle già edite, nel volume Tuttototò nel 1991.  

Felicità!

Vurria sapè ched’è chesta parola,

vurria sapè che vvo’ significà.

Sarà gnuranza ‘a mia, mancanza ‘e scola,

ma chi ll’ha ntiso maje annummenà.

Traduzione

Vorrei sapere cos’è questa parola,

vorrei sapere cosa vuol significare.

Sarà ignoranza la mia, mancanza di scuola,

ma chi l’ha mai sentita nominare.

La donna

Chi l’ha criata è stato nu grand’ommo,
nun ’o vvoglio sapè, chi è stato è stato;
è stato ’o Pateterno? E quanno, e comme?
Ch’avite ditto? ’O fatto d’ ’a custata?
Ma ’a femmena è na cosa troppo bella,
nun ’a puteva fà cu ’a custatella!
Per carità, non dite fesserie!
Mo v’ ’o ddich’io comm’è stata criata:
è stato nu lavoro ’e fantasia,
è stata na magnifica truvata,
e su questo non faccio discussione;
chi l’ha criata è gghiuto int’ ’o pallone!

Traduzione 

Chi l’ha creata è stato un grande uomo,

non voglio saperlo, chi è stato è stato;

è stato il Padreterno? E quando, e come?

Cosa avete detto? Il fatto della costola?

Ma la donna è una cosa troppo bella,

non poteva farla con la costoletta!

Per carità, non dite fesserie!

Adesso ve lo dico io com’è stata creata:

è stato un lavoro di fantasia,

è stata una magnifica trovata,

e su questo non faccio discussione;

chi l’ ha creata è andato nel pallone!

‘A vita

‘A vita è bella, sì, è stato un dono,

un dono che ti ha fatto la natura.

Ma quanno po’ ‘sta vita è ‘na sciagura,

vuie mm’ ‘o chiammate dono chisto cca’?

E nun parlo pe’ me ca, stuorto o muorto,

riesco a mm’abbusca’ ‘na mille lire.

Tengo ‘a salute e, non faccio per dire,

songo uno ‘e chille ca se fire ‘e fa’.

Ma quante n’aggio visto ‘e disgraziate:

cecate, ciunche, scieme, sordomute.

Gente ca nun ha visto e maie avuto

‘nu poco ‘e bbene ‘a chesta umanità.

Guerre, miseria, famma, malatie,

crestiane addeventate pelle e ossa,

e tanta gioventù c’ ‘o culo ‘a fossa.

Chisto nun è ‘nu dono, è ‘nfamità.

Traduzione

La vita

La vita è bella, sì, è stato un dono,

un dono che ti ha fatto la natura.

Ma quando poi questa vita è una sciagura,

voi me lo chiamate dono questo qua?

E non parlo per me che, storto o morto,

riesco a guadagnare una mille lire.

Ho la salute e, non faccio per dire,

sono uno di quelli che ci sa fare.

Ma quanti ne ho visti di disgraziati:

ciechi, paralitici, ritardati, sordomuti.

Gente che non ha visto e mai avuto

un poco di bene da questa umanità.

Guerre, miseria, fame, malattie,

cristiani diventati pelle e ossa,

e tanta gioventù col culo alla fossa.

Questo non è un dono, è infamità.

Poesia: “Anima Potente”di Caterina Alagna. Giornata internazionale contro la violenza sulle donne

A tutte le donne

Donna, colonna d’oro 

che regge la vita

nel grembo e nelle ossa,

nell’anima, sensibile e deliziosa,

che assorbe l’essenza di ogni cosa,

nelle mani che sorreggono montagne

di ansie e paure,

di desideri e premure,

di pensieri pronti a navigare

su mari oscuri 

pur di approdare su terre di luce.

Donna ti affibbiarono

l’immagine della debolezza

perché ignoravano,

o,forse, perché temevano l’idea 

che da un tenero fiore

di vellutata carne

si generasse un altare solenne,

la luce della tua anima potente

al cui confronto

s’appassisce il bagliore delle stelle.

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L’angolo della poesia: “Cuore di periferia” di Caterina Alagna

Salerno, ore 14:19

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Un pianto lieve 

felpato come la neve

serpeggia dietro una nube di poesia,

falsa parvenza di allegria,

solitario s’effonde nella vasta radura

dei sogni negati alla vita.

Nelle vecchie borgate di periferia

un cuore tristemente s’arrende,

è un riccio raggomitolato in se stesso,

un tenero arbusto sbilenco

che non trova più l’animo

di inoltrarsi negli anfratti  del tempo.

Il futuro ha smarrito il suo smalto,

si è consegnato a uno scialbo presente

ricolmo di tacite lacrime e parole spente, 

di mani scabre e tasche vuote,

nell’anima solo l’amore.

Amore intenso, incessante, eterno 

per gli occhi dei figli innocenti

che patiscono la fame 

e la penuria degli inverni.

Occhi che trovano rifugio 

tra le braccia straziate dei loro cari

sottomessi e ammaccati

dal lavoro estenuante e precario,

dal mondo che è sempre più avaro,

da un sogno terribilmente mancato.

Povera vita che annaspi nell’acredine 

dei borghi di periferia,

tra sterili passi e pensieri pesti,

ti nutri di polveri e foglie sparse,

di accumuli di case e giorni riarsi.

La gioventù donò i suoi anni alle miserie,

alla povertà e alle macerie.

E il fuoco resiliente

che un tempo sguainava la sua lingua ardente,  

si incenerisce, inzuppato dalle stille

di quel pianto lieve

mentre felpata scende la neve.

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Viaggio nella poesia francese: La “poesia pura” di Paul Valéry

Salerno, ore 16:

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“I miei versi hanno il significato che gli si presta. Quello che gli ho dato io non serve che per me, e non lo credo opportuno a nessuno. È un errore contrario alla poesia il pretendere che a ogni componimento corrisponda un significato vero, unico e conforme o identico a qualche pensiero del poeta”.

Paul Valéry

Ambroise Paul Toussaint Jules Valery nasce a Sete il 30 ottobre del 1871. Il padre, Barthélemy, è un controllore delle dogane di origini corse, la madre, invece è la genovese Fanny Grassi, figlia del console del Regno di Sardegna a Sete. Dopo aver frequentato il liceo, si iscrive alla facoltà di Giurisprudenza. Proprio negli ambienti universitari avrà l’occasione di conoscere Mallarmè e altri esponenti importanti del mondo culturale dell’epoca. Si avvicina alla poesia e pubblica alcuni componimenti poetici che risentono di tutti gli influssi intellettuali del Simbolismo. Per lui la poesia è un gioco di intelligenza,  un chiaro segno dell’altezza dello spirito. Purtroppo nel 1892 la sua ispirazione poetica subisce un duro colpo: l’amore del poeta per una ragazza spagnola e una profonda crisi interiore lo porteranno a ripudiare la scrittura che definisce, addirittura, una vanitosa forma di autoaffermazione personale. Lui stesso chiarirà in seguito, in un saggio su Poe, di aver avuto quella che lui chiama ” una crisi dello spirito” dipesa dalle paure e le incertezze dei suoi vent’anni.  Crisi che lo porta ad annotare quotidianamente su un diario tutte le sue riflessioni con lo scopo di un ottenere un rigido controllo sul suo intelletto. In questi diari,  che verranno pubblicati solo dopo la sua morte, riporterà tutte riflessioni filosofiche, estetiche e antropologiche. In realtà Valéry, pur allontanandosi dalla poesia, non l’abbandonerà mai del tutto. Nel 1894 si trasferisce a Parigi e lavora come redattore presso il Ministero della Guerra. Sono anni che vedono proliferare la sua scrittura . In tal senso sono importanti alcune opere che mettono in luce il suo ideale estetico: ” Introduzione al metodo di Leonardo da Vinci” ( 1895) e “Serata con il signor Teste” ( 1896). Per quanto riguarda la figura di Leonardo, c’è da dire che Valèry ne è davvero affascinato. Per lui Leonardo è il vero eroe dell’intelletto in quanto capace di osservare il mondo con uno sguardo eclettico : di poeta, di pittore, di scienziato, di inventore, di naturalista, di fisico. Teste invece non è altri che una trasposizione dello stesso poeta. Figura leonardesca che ha una vita del tutto immaginaria: grazie all’immaginazione egli riscopre le leggi dello spirito. Ecco che la scrittura diviene il mezzo attraverso il quale lo scrittore, ma anche il poeta, può esprimere le idee maturate insieme alle esperienze spirituali. E non a caso ho citato il termine “poeta”, perché nel 1917 la sua carriera poetica riprende il volo con grande successo grazie alla pubblicazione della raccolta ” La giovane parca”, un poemetto ermetico in cui la protagonista rappresenta il conflitto tra coscienza e spiritualità. Dominante è l’intellettualismo che rende ostico il senso dell’opera che si riversa tutto  sulla struttura. Secondo Valèry la poesia nasce da un evento misterioso, per cui la sua poesia prende forma solo dall’ispirazione. Il compito del poeta, quindi, è quello di condurre il lettore alla partecipazione del testo attraverso la musicalità e la perfezione della forma. Ecco che nasce la ” poesia pura”, improntata essenzialmente sulla parola poetica, ammaliante e incantatrice .  Successivamente pubblicherà altre due raccolte di successo : “Il cimitero marino”(1920) e “Charmes” (1922). La sua carriera poetica è un enorme successo. Ottiene cariche prestigiose e al College di France istituiranno una cattedra di poetica apposta per lui. Durante l’occupazione nazista lavora come amministratore al centro universitario di Nizza, ma viene rimosso dall’incarico dal momento che si rifiuta di collaborare con il regime. La sua carriera si eclisserà in quanto costretto al silenzio. Ma l’anima libera di Valéry non verrà mai domata. Continuerà ad avere scambi di riflessione con importanti esponenti intellettuali dell’epoca, tra cui il filosofo Bergson, di origini ebraiche. In questo rapporto di amicizia e collaborazione si comprende il carattere determinato e indipendente di Valéry. Dopo il conflitto mondiale è di nuovo libero di esprimersi in pubblico ma purtroppo si spegnerà alcune settimane dopo la fine della guerra all’età di 73 anni. Verrà sepolto proprio in quel cimitero marino protagonista delle sue poesie.

Paul Valèry affermò per tutta la vita che la poesia è un fatto personale, individuale. Ogni intervento su di essa, come la parafrasi o addirittura la traduzione in un’ altra lingua, è una forzatura che tradisce la valenza originaria dell’opera poetica. Ogni lettore deve essere libero di interpretare la poesia liberamente, ricavandone un proprio messaggio, un proprio significato. 

Un chiaro fuoco

Un chiaro fuoco m’abita e vedo freddamente
la violenta vita, illuminata tutta…
io non posso più amare oramai che dormendo
i suoi graziosi atti mescolati di luce.

I giorni miei, la notte, mi riportano sguardi
dopo i primi momenti di un infelice sonno,
quando sparsa nel buio è la sventura stessa,
tornano a farmi vivere, mi danno ancora occhi.

Se erompe quella gioia, un’eco che mi sveglia
ributta solo un morto, alla mia riva di carne.
E al mio orecchio sospende, il mio riso straniero

come alla vuota conchiglia un sussurro di mare,
il dubbio – sul bordo di un’estrema meraviglia,
se io sono, se fui; se dormo oppure veglio…

I Passi

Nati dal mio silenzio,
posati santamente,
lentamente, i tuoi passi
procedono al mio letto
di veglia muti e gelidi.

Persona pura, ombra
divina, come dolci
i passi che trattieni.
O iddii, quali indovino
i doni che mi attendono
sopra quei piedi nudi!

Se da protese labbra,
per’ acquietarlo, all’ospite
dei miei sogni prepari
d’un bacio il nutrimento,
non affrettarlo il gesto
tenero, dolcezza
di essere e non essere:

io vissi dell’attesa
di te, il mio lento cuore
non era che i tuoi passi.

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L’angolo della poesia: “Sguardo di lince” di Caterina Alagna

Salerno, ore 16:19

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Un mellifluo profumo di tenerezza

trova riparo dietro uno sguardo di lince.

Le cicatrici fanno da scudo a

future ferite, sempre tese,

in agguato come predatori affamati,

pronti a tracannare fino all’ultima

goccia limpidi fiotti di rugiada,

i sentimenti più puri dell’anima.

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L’angolo della poesia: “Solitarie ombre” di Caterina Alagna

Salerno, ore 16:30

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Solitarie ombre 
attraversano le strade,
assorbono in silenzio 
le luci dei negozi,
i colori sbiaditi delle case.


Immuni alle parole 
s'immergono nel canto delle allodole
nel soffice cadere delle foglie,
un tenero fruscio che accenna 
la loro fragile voce.



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Viaggio nella poesia francese: la poesia visiva di Guillame Apollinaire

Salerno, ore 12:13

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Il più grande innovatore della poesia del primo Novecento è, senza dubbio, Guillame Apollinaire. Personaggio eclettico: poeta, scrittore, critico d’arte e commediografo. Rivestirà un ruolo fondamentale nello sviluppo dell’arte moderna, in particolare nel passaggio dal Simbolismo all’ Avanguardia. Nota distintiva di Apollinaire è la sua poesia visiva. 

Guillame Apollinaire, pseudonimo di Wilhelm Albert  Wlodzimierz Apollinaris de Vaz-Kostrowicki, nasce a Roma nel 1880, figlio naturale di un ufficiale borbonico napoletano e di una nobildonna di origine polacca naturalizzata russa. I genitori, però, si separano presto e lui si troverà a lasciare Roma per seguire la madre sulle orme di Parigi. Avrà una gioventù tormentata da amori difficili, ma sarà  proprio a Parigi che avrà la possibilità di immergersi completamente nella realtà letteraria e artistica dell’epoca. In quel periodo, a cavallo tra fine Ottocento e inizio Novecento,  il mondo affronta grandi cambiamenti dal punto di vista scientifico e artistico. Dobbiamo annoverare, infatti, la nascita di quattro movimenti artistici che influenzeranno non poco il pensiero e l’opera di Apollinaire: l’ Espressionismo, il Cubismo, il Futurismo e l’ Astrattismo. L’ estetica cubista  sarà quella che condizionerà in maniera preponderante la sua attività letteraria,  anche grazie all’ importante amicizia che coltiverà con Pablo Picasso. Si avvicinerà alle idee del movimento futurista italiano dopo l’ incontro con il fondatore del Futurismo, Tommaso Marinetti. Ha modo di apprezzare la pittura metafisica di Giorgio De Chirico e quella espressionista di Henri Matisse. A causa del suo  carattere estremamente irrequieto, sarà accusato di essere l’autore del furto del dipinto della Gioconda, avvenuto il 20 agosto del 1911, a seguito del quale sarà arrestato e incarcerato, salvo poi essere rilasciato in quanto persona estranea ai fatti. Successivamente si saprà che l’autore del furto è l’italiano Vincenzo Peruggia, dipendente del Louvre, che dichiarerà di aver compiuto quel gesto per restituire la Gioconda all’ Italia. In piena sintonia con le idee futuriste, note per le loro manifestazioni interventiste, Apollinaire partecipa come volontario al primo conflitto mondiale, definendo la guerra “un grand spectacle“. Incredibilmente quel conflitto gli fornirà grande soddisfazione personale. Le vicende belliche  diventeranno materia fertile per la sua ispirazione poetica. Nel 1916, però, rimane ferito a una tempia e subirà un delicato intervento chirurgico che lo vedrà costretto a ritornare a Parigi. Morirà nel 1918, due giorni prima dell’armistizio, colpito dal virus dell’influenza spagnola, assistito dalla moglie Jacqueline Kolb e dal poeta e amico Giuseppe Ungaretti, giunto presso di lui  per comunicargli la vittoria dell’Intesa. 

Esordisce con opere di narrativa, “Undicimila verghe” del 1907 e   “Bestiario” del 1911; e  con opere  di saggistica, ” La poesia simbolista” del 1909 e “I pittori cubisti” del 1913.  Ma saranno le poesie le opere in cui darà dimostrazione delle sue doti più eloquenti . Del 1913 è una delle  sue raccolte più importanti, “Alcools“, in cui è possibile distinguere l’impronta del Simbolismo mista a una poesia triste e malinconica di romantica memoria. Ma, allo stesso tempo, la forma è ricca di suggestioni che rinnovano l’espressione letteraria dell’epoca. Già in alcune liriche di “Alcools” si sovrappongono e si contrappongono nella maniera più eterogenea immagini e motivi tipici dell’estetica cubista, ricercati in modo da impressionare il lettore. I temi dell’amore e della malinconia, tipici del Romanticismo, si alternano con parodie di poesie e poemi pittoreschi. La forma è caratterizzata dal verso libero, dall’assenza di punteggiatura, da ripetizioni e sinestesie. La raccolta  più rappresentativa della poetica di Apollinairela più rilevante nel determinare l’innovazione estetica letteraria e la più ampiamente contraddistinta dall’ascendenza cubista è, sicuramente, “Calligrammes” del 1918. E’ qui che Apollinaire si dedicherà alla produzione della poesia visiva. Il calligramma è un componimento poetico in cui il poeta dispone le lettere e le parole del testo in modo da formare un disegno, un’immagine che coincida con il tema trattato dalla poesia. Se la poesia ha come soggetto la donna, le lettere saranno disposte in modo da formare l’immagine di una donna.  Per dirlo con le sue parole: “Un insieme di segno, disegno e pensiero, la via più corta per esprimere un concetto e obbligare l’occhio ad accettare una visione globale della parola scritta.

Calligramma “Versi per Lou“, dedicato alla sua amata.  Fa parte della raccolta postuma ” Versi per Lou e altre poesie”

Riconosciti

Questa adorabile persona sei tu 

Sotto il grande cappello da canottiere

Occhio

Naso 

La bocca

Ecco l’ovale del tuo viso

Il tuo collo bellissimo

Ecco infine l’immagine non completa del tuo busto adorato

Visto come attraverso una nuvola

Un pò più in basso è il tuo cuore che batte
   La lirica che preferisco di Apollinaire appartiene alla raccolta “Alcools” e si intitola “Il ponte Mirabeau“. Apollinaire la compone in un periodo di profonda crisi d’amore, dopo la rottura con la sua amata, la pittrice Marie Laurencin. L’amore svanisce e porta via con sé ogni speranza. Nel testo l’amore è simboleggiato dall’immagine del fiume che scorre sotto il ponte. Come il tempo che passa inesorabilmente, così la felicità diventa sempre più irraggiungibile.

Sotto gli archi del ponte Mirabeau 

scorre la Senna e insieme i nostri amori

Fa bisogno che io me lo ricordi?

Sempre veniva gioia dopo il dolore

    Venga la notte suonino le ore

    i giorni vanno io resto

Stiamocene con le mani nelle mani

a faccia a faccia mentre l’onda passa

sotto il ponte che fan le nostre braccia

stanca di quegli sguardi eterni, eguali

    Venga la notte suonino le ore

    i giorni vanno io resto

L’amore se ne va come va questa

acqua corrente, se ne va l’amore

Com’è lenta la vita e invece come

la Speranza si avventa.

     Venga la notte suonino le ore

     i giorni vanno io resto

Passano i giorni e passano le settimane

né il tempo che passò torna o gli amori

Sotto gli archi del ponte Mirabeau

scorre la Senna

       Venga la notte suonino le ore

       i giorni vanno io resto

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L’Odore Dell’Anima, di Caterina Alagna

Con immenso piacere annuncio che da oggi potete trovare negli store online la mia prima raccolta poetica ” L’Odore Dell’Anima” in formato epub. 

40 poesie scritte e curate negli ultimi dieci anni che ho pensato fosse giunto il momento di dare alla luce.Sinossi

Raccolta poetica che si focalizza sulle note introspettive che prendono forma sul palcoscenico dell’anima. All’apparenza ombrose, brillano di luce propria se attraversate da uno sguardo profondo. Tra alti e bassi, si muovono nel bizzarro spettacolo della vita in cui il bene e il male, il piacere e il dolore si uniscono in un intreccio indissolubile su cui si fonda l’essenza dell’animo umano.

L’anima è la protagonista principale della raccolta, che attraverso varie tematiche, emerge dal mare sepolto che ogni essere umano nasconde dentro di sé.

E’ possibile acquistarla su

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Rakuten Kobo

IBooks Store 

Estratto 

Aculei e margherite

Camminiamo su distese

di aculei e margherite,

punte di picche 

che scalfiscono la pelle,

ma tra le fenditure

s’insinua il profumo dei fiori.

Così imparai

all’apice della perdizione

che la bellezza delle cose

si riflette nello specchio del dolore.

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L’angolo della poesia: “Eden” di Caterina Alagna

Salerno, ore 13:08


Un incedere di onde cristalline

s’insinua tra screziature turchesi, 

mentre pozzi di sfumature marine

dipingono l’anima del colore del cielo.

Più non odo il vibrante impulso

delle parole, vaganti ormai

nel nulla senza luce.

La bellezza mi prende per mano,

tacita e dorata nell’eden mi conduce,

lì dove ogni faccenda umana

appare sterile, quasi insensata,

lì dove il senso delle cose non pulsa

nei volatili suoni delle parole,

come un miracolo di luce

s’incarna senza voce.

L’angolo della poesia:”Mare” di Caterina Alagna

Salerno, ore 11:30

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Mare, 

non ti tange l’odio

né queste parole acide

che da tempo affollano il mondo,

bellicose e sempre più armate.

Mare,

non ti sfiora l’ansia del domani

mentre dalla terra sale

l’odore del sangue putrefatto

di anime vigorose 

dalla guerra tracimate.

Viaggio nella poesia classica greco-romana: La poetessa Saffo di Mitilene di Caterina Alagna

Salerno, ore 15:55

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Saffo nacque tra la fine del VII secolo e l’inizio del VI secolo a.C. sull’ isola di Lesbo. Trascorse la sua vita nella città di  Mitilene, anche se alcune fonti la vorrebbero nativa di Ereso. Certamente fu in buoni rapporti col poeta Alceo, anche lui di Mitilene, che le dedicò un celebre verso:

“Cinta di viole, pura, riso di miele, Saffo.”

Entrambi di origine aristocratica, nutrivano una certa avversione per i parvensus, ovvero per coloro che non erano ricchi. Entrambi, inoltre, appartenevano a una sorta di club. Alceo all’eteria, mentre Saffo al tiaso, dove esercitò il ruolo di educatrice. L’eteria era un circolo aristocratico e militare che univa persone della stessa età, dello stesso sesso e delle stesse idee politiche. Le discussioni che avvenivano all’interno dell’eteria erano quasi tutte a sfondo politico. Per quel che riguarda il tiaso, invece, per molto tempo si è pensato che fosse una specie di educandato per ragazze di buona famiglia per apprendere tutto quel che fosse necessario prima di dedicarsi al doveroso ruolo di spose e di madri. Ma a un’analisi più attenta, basatasi proprio su alcuni frammenti delle poesie di Saffo, è stato ipotizzato che si trattasse piuttosto di un corrispondente femminile dell’eteria, ovvero una sorta di comunità che sicuramente esplicava un ruolo educativo, ma  che era, allo stesso tempo, caratterizzata da forti connotati religiosi che miravano al raggiungimento dell’ideale di perfezione attraverso una serie di pratiche liturgiche e sociali, in cui grande spazio era dedicato al culto di Afrodite. Le ragazze del tiaso vivevano una vita all’insegna della grazia e della raffinatezza. Erano immerse in una sorta di mondo irreale, in una dimensione estatica in cui erano frequenti allucinazioni e visioni della divinità. Un elemento fondamentale del tiaso era l’amore tra le fanciulle, ovvero l’amore saffico. Saffo aveva un marito e una figlia ma ciò non le impediva di intrattenere relazioni con le sue ragazze, relazioni che avevano un forte aspetto educativo. Ciò  stupisce, e non poco, dal momento che le donne nella cultura greca avevano scarsi rapporti col mondo esterno. Sull’isola di Lesbo, invece, le donne avevano la possibilità di ricevere la stessa formazione culturale riservata ai maschi.  Celebre è il testo “Ode alla gelosia“, il più letto e il più tradotto di tutta la letteratura greca:

Mi sembra che sia simile agli dèi

quell’uomo che dinanzi  a te

siede e da vicino dolcemente parla-

          re ti ascolta

e sorridere amorosamente. E ciò davvero 

il cuore nel petto mi fa sobbalzare:

come infatti per poco ti guardo, così di voce

           neppure un soffio mi viene,

ma la lingua resta spezzata, sottile

subito sotto la pelle un fuoco mi scorre,

con gli occhi nulla più vedo, rom-

bano le orecchie,

un sudore mi bagna, un tremito

tutta mi prende, più pallida dell’erba 

io sono e dalla morte poco lontana

        sembro ( a me stessa).

In questi versi, Saffo esprime liberamente i propri sentimenti nei confronti di una ragazza. Secondo alcune fonti si tratterebbe di un epitalamio, ovvero, di un canto scritto per le nozze di una fanciulla e l’uomo che compare al secondo verso sarebbe il promesso sposo. Per altri, invece, sarebbe una sorta di corteggiamento da parte di colui che ” sembra che sia simile agli dèi” nei confronti della ragazza, di fronte al quale Saffo esprime tutta la sua sofferenza per la gelosia provata nei confronti della fanciulla. Saffo fa dell’eros la sua stessa ragione di vita arrivando a trasformare questa sua profonda passione in una sorta di “filosofia”. Lei stessa ce ne parla nei versi intitolati “La cosa più bella”:

Alcuni di cavalieri una schiera, altri di fanti,

altri di navi dicono che sulla terra nera

sia la cosa più bella: io invece 

          ciò che si ama.

Assai facile render comprensibile 

a tutti ciò: infatti colei che di molto superò

in bellezza gli umani, Elena, lo sposo, 

          insigne di tutto

abbandonò e venne a Troia per mare 

e non della figlia nè dei cari genitori

affatto si ricordò, ma la travolse 

         folle d’amore Cipride

ed ora di Anattoria mi fa ricorda-

        re, che non è qui:

di lei l’amato incedere vorrei

vedere e la luce che le brilla in viso 

più che i carri dei Lidi e nell’armi

       i fanti schierati a battaglia.              

Al di là delle vicende personali di Saffo, è bene precisare che l’eros all’interno del tiaso era regolato da un codice di comportamento collettivo, che aveva le sue regole positive e i suoi divieti. Su tali norme vigilava la stessa Afrodite che era garante di giustizia (dikh), la cui violazione coincideva con il rifiuto dell’amore o con il tradimento. In poche parole, per Saffo, Elena non è nè colpevole nè vittima, ma una prescelta di Afrodite, ed è meritovole di stima perchè obbedisce alla dikh della dea. I grammatici alessandrini suddivisero le poesie di Saffo in nove libri, di cui l’ultimo raccoglieva gli epitalami, una serie di canti  destinati a riti nuziali che Saffo scrisse quasi sicuramente su commissione. Ma negli epitalami ci sono anche versi che Saffo riserva ai suoi affetti familiari, versi in cui incontriamo una Saffo diversa da quella dei canti amorosi. Alcuni frammenti ci restituiscono un’immagine più privata della poetessa, legata soprattutto all’ambito della famiglia. Si tratta di poesie dedicate alla figlia Kleis, alla quale fu sempre legata da un profondissimo affetto. 

Ho una bella figlia, che a fiori d’oro

simile ha l’aspetto, l’amata Kleis:

in cambio di lei nè tutta la Lidia nè l’amabile

(vorrei avere)

Purtroppo gran parte dell’opera di Saffo è stata perduta e quel che abbiamo a disposizione sono solo frammenti. Gli studi più recenti, però, hanno gettato nuova luce sulla sua figura così eccezionale da costituire un caso unico nella storia della letteratura occidentale. Concludo con una celebre affermazione del critico E. Thovez, il quale dichiarò che sarebbe stato disposto a dare tutta la letteratura latina per un solo verso di Saffo. Si tratta sicuramente di un’esagerazione, ma serve a darci un’idea di quanto sia grave la perdita che, purtroppo, abbiamo ereditato di gran parte della sua opera.

SPETTRI… Rita Frasca Odorizzi

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SPETTRI… Rita Frasca Odorizzi

Perché 

se mi addentano le carni

soffoco,

di parole mai dette,

di percorsi non effettuati,

di abbracci non ricevuti,

ma strappati,

come baci 

da un treno in corsa,

per una vita non vita,

raggrinzita 

dalla malinconia,

congelata negli attimi,

cementata 

di sogni mai raccolti,

come in un passaggio 

fra ombre

che si sfiorano; scheletri 

rinchiusi in un armadio,

mummie..

come se il tempo 

non ci sfiorasse.

Io mi insinuo in me..

e mi mordo le mani,

e non mi piace sentire

le ossa che tremano perché

mi congiungono

ai perché..

come quando tu mi hai lasciato

ferita,

sul ciglio di una strada, 

dietro una curva, dentro la bufera..

senza raccogliere 

almeno le mie ossa,

i miei sorrisi spenti, 

i miei silenzi:

il dolore..

Ma io ti cuocio dentro, amore,

come fuoco che arde senza fine,

e so che mi cerchi 

in ogni lapide

che un confine temporale ha ormato,

ornato e suggellato..per l’eternità…

Ritafrascaodorizzi..

NOSTALGIA, di Miriam Maria Santucci

NOSTALGIA

Sono tornata a sedermi sulla siepe
dietro il muro della vecchia fonte.
L’acqua non sgorga più da lungo tempo
e i rovi s’intrecciano e fanno capanna.
Io ci sto sotto rannicchiata a pensare…
L’acqua sgorgava,
quando venivo qui,
e i rovi erano più radi,
e tu c’eri ancora.
Ora non esisti più
ed io sono tornata a sedermi sulla siepe.
Qui, dove annullavo ogni immagine,
sono venuta a cercarti…
Ma i rovi s’intrecciano intorno a me
e graffiano le mie carni,
e l’acqua non sgorga più,
da lungo tempo…

#MiriamMariaSantucci

#oltreiconfinidelcieloedelmare
#leimprontedellavita
#poesiaitaliana
#librettoillustratoebook

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Viaggio nella poesia italiana: Attilio Bertolucci

Salerno, ore 12:24

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Assenza

Assenza,
più acuta presenza.

Vago pensiero di te
vaghi ricordi
turbano l’ora calma
e il dolce sole.

Dolente il petto
ti porta,
come una pietra
leggera.

Attilio Bertolucci è considerato uno dei più grandi poeti del Novecento italiano. Padre del grande regista Bernardo Bertolucci, nasce  nel 1911 a San Prospero Parmense in una famiglia di media borghesia agraria. Trascorre quindi la sua infanzia in campagna, prima nel podere di Antognano e successivamente in quello di Baccanelli. Comincia a scrivere poesie fin da quando ha sette anni, frequenta le classi ginnasiali al convitto nazionale Maria Luigia di Parma dove avrà la fortuna di avere come istitutore Cesare Zavattini. Incontro da cui cui nascerà una grande amicizia. Compiuti gli studi superiori s’iscrive alla Facoltà di Giurisprudenza dell’Università di Parma dove conseguirà, però, solo due esami. Si trasferisce a Bologna dove decide di iscriversi alla Facoltà di Lettere. Nel 1938 si laurea e si sposa con Ninetta Giovanardi, sua compagna di liceo con cui già da diversi anni ha una storia d’amore.

Sei stata la mia compagna di scuola

Sei stata mia compagna di scuola
ma hai un anno meno di me
abbiamo un bambino che va a scuola mi
sono innamorato di te…

Fingerò d’essere una tua scolara
che s’è innamorata di te
mi sono fatta una frangetta
per cenare fuori con te…

Cerchiamo una locanda piccina
nella città ma non c’è
inventiamola affacciata sul fiume 
che allevò me e te…

Di acqua nel fiume che è nostro
ce n’è e non ce n’è…
Inventerò un nuovo mese
ricco d’acqua per te…

Che si rifletta in me
nei miei occhi
china dalla veranda inverdita
sull’acqua che somiglia la vita
rubandomi e restituendomi a te

Negli anni ’40 insegna italiano e storia dell’arte presso il convitto Maria Luigia e collabora con la Gazzetta di Parma dove si occupa principalmente di cinema e arte. Nel 1951 si trasferisce a Roma dove grazie a Roberto Longhi collabora con la rivista Il Paragone.  Nel frattempo entra nel mondo del cinema, della radio e della televisione. Ottiene la  possibilità di collaborare ad  alcuni programmi Rai e  alla stesura di sceneggiature televisive. Sempre a Roma conosce Carlo Emilio Gadda e Pier Paolo Pasolini coi quali instaura un profondo rapporto di amicizia. Nel 1954 il presidente dell’Eni, Enrico Mattei lo invita a dirigere la rivista aziendale Il Gatto Selvatico, di cui Bertolucci sarà direttore fino al 1965. Negli anni a venire pubblicherà raccolte poetiche e romanzi, ma a causa dei suoi problemi di salute, la sua residenza a Roma si alterna con ritorni nella campagna parmense. Muore a Roma nel 2000.

Nessuno 

Io sono solo
Il fiume è grande e canta
Chi c’è di là?
Pesto gramigne bruciacchiate.

Tutte le ore sono uguali
Per chi cammina
Senza perché
Presso l’acqua che canta.

Non una barca
Solca i flutti grigi
Che come giganti placati
Passano davanti ai miei occhi
Cantando.
Nessuno.

La poetica di Bertolucci è una poetica semplice e complessa. La sua poesia si tuffa nella quotidianità della vita, nei gesti più semplici col fine di coglierne essenza e bellezza. Con un linguaggio molto semplice ci parla della città di Parma, della campagna, dell’amore, dei suoi affetti familiari, della solitudine. E’ un poeta anti novecentista. La sua poesia si ispira ai crepuscolari e a Pascoli, allo stesso tempo si propone come modello alternativo alla poesia ermetica di Ungaretti. Una poesia tendente al discorso narrativo. Un chiaro esempio in tal senso è il suo romanzo in versi La camera da letto, un viaggio autobiografico che passa attraverso paesaggi familiari e affetti. Tra le sue raccolte poetiche più famose ricordiamo Sirio (1929), Fuochi in novembre ( 1934), La capanna indiana (1951) Viaggio d’inverno (1971), La camera da letto Volume I (1984), La camera da letto Volume II (1988). Tra le opere in prosa ricordiamo Aritmie (1991)-

L’angolo della poesia: ” Il senso della vita” di Caterina Alagna

Salerno, ore 11:50

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 Il senso della vita non lo trovi 

 nelle camere laccate  

degli alberghi di lusso

nelle vesti sfarzose,

nei gioielli scintillanti 

di giovani dame danzanti

con gli occhi sempre in cerca 

degli sguardi degli amanti.

Il senso della vita pulsa

nei lugubri sobborghi di periferia,

nelle bettole fatiscenti dove

gli alcolizzati si bevono la vita.

Tra le strade sferrate, 

piene di sassi, 

tra gli schiamazzi dei bambini 

che corrono festanti

con l’acqua nelle scarpe,

i buchi nelle tasche e gli occhi felici.

E’ dove un uomo solo, 

ogni giorno,

affronta il mondo che gli rema contro.

E’ nelle case bestemmiate, 

dove i piatti son vuoti

e le parole sboccate.

E’ nei cuori solitari e pieni di spine,

dove, fulgida, vibra ancora una speranza…

prima o poi cambierà e torneremo a 

sorridere.

Il battello dei sogni, di Marco Galvagni

Photo by Myicahel Tamburini on Pexels.com

La luce dei tuoi occhi è al limite di primavera

dove ogni gesto si tocca, s’interseca

dapprima solo rosso incenso

ora sottobosco dal profumo di pruni,

nuvola immobile nell’azzurro,

violino che suona un armonico concerto di note.

Ti racconterò dei tuoi occhi,

del loro colore corvino,

folgore d’una scintilla d’un alfabeto d’amore.

Davanti all’uomo conquistato

sei cieca esaltazione, regina

ingenua come un fiume nel deserto.

Fra le aurore e il frangiflutti delle notti

vi sono ghirlande da coltivare,

te ne pongo una al collo di panna.

Fra i tuoi occhi e il mare

immagini d’onde di passione,

il nostro nido come quello d’una coppia di rondini.

Il battello dei sogni

veleggia in un lago dorato,

la terra inseminata attende i tulipani.

Sei la superba avventura del maggio odoroso

nei tuoi occhi vi son perle ogni giorno

più incantevoli d’un mazzo di fiori alle campane dell’arcobaleno.

L’ABBANDONO (vernacolo) di Silvia De Angelis

L’ABBANDONO (vernacolo)

Quanno devi da subì ‘n‘abbandono d’amore

cerchi de penzà che è solo ‘n sogno

e che dopo tutta qua fagottata de bene

vissuta core a core

nun è possibile esse lasciati soli

drento ‘na via che nun cià più colori.

L’anima cià ‘no strappo

che te leva quasi er respiro

‘ntorno te gira tutto

e nun riesci a racapezzatte

su quer momento gnobile che stai a vive.

Giri e rigiri senza riuscì a raggionà

ricordanno quell’attimi segreti

cor sentimento genuino

che t’hanno fatto cresce

e diventà ‘na donna vera.

Te pare de vedè quer viso perzo

dapertutto, ma è solo ‘n’illusione menzognera

‘n preda a un male che te logora

e un te fa campà

t’empari a nun volè più bene e

e a rallegratte solo co’ te….

@Silvia De Angelis

L’ABBANDONO (traduzione)

Quando subisci un abbandono d’amore

cerchi di pensare che sia solo un sogno

e che dopo tutto quel mondo di bene

vissuto cuore a cuore

non è possibile essere lasciati soli

dentro una via che non ha più colori.

L’anima subisce uno strappo

che toglie quasi il respiro

intorno ti gira tutto

e non riesci a orientarti

su quel momento ignobile che stai vivendo.

Giri e rigiri senza riuscire a ragionare

ricordando quegli attimi segreti

col sentimento genuino

che ti hanno fatto crescere

e diventare una donna vera.

Ti sembra di vedere quel volto perso

dappertutto ma è solo un’illusione menzognera

in preda a un male che ti logora

e non ti fa vivere

impari a non voler più bene

e a rallegrarti solo con te stessa…

https://ssilviadeangelis5.blogspot.com/

Fluire

Da Frida la loka ( Lombardia)

Tempo che trascorre, feroce e inesorabile; come un fiume nel quale non si può far la risalita.
Sarebbe faticoso; doloroso prendere la strada contro corrente, non si deve.
Tornar indietro non è saggio, probabilmente sarebbe una fermata nel posto sbagliato.
Soltanto ai ricordi amari, che la saggezza della scorrevolezza dell'acqua, porta via...
Scorre; forse perdendosi nell'infinito del mare; chi l'ho sa, oppure si ferma di colpo contro una roccia, destinato a colpire e colpire; una, due volte e ancora fino all'eternità.
Da Frida la loka
Soltanto gocce di tempo dolce riusciranno nel intento, per quello che avanza è già scritto nelle radici di cedri profumati, che nelle sue radici si aggrappano, si aggrovigliano, quei ricordi che non mollano, non vogliono finire nell'oblio...

Tua.

14 settembre, 2022.

http://fridalaloka.com

L’angolo della poesia: ” Il canto del canarino” di Caterina Alagna

Salerno, ore 13:03

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Di fiorenti afflati

decori il tuo canto,

fiero germogliare di note

nel vento che attese

smanioso tutto l’inverno

che il posto cedesse

il freddo al tuo canto

di sole.

L’angolo della poesia: ” Scorcio di anima” di Caterina Alagna

Salerno:

Si squarcia una luce di ambra,

tacita trapela un duttile scorcio di anima,

ruvida coltre inasprita dall’acre odore

di un verbo sgualcito, di un dolore

mai guarito, di una cellula che 

inosservata, in taciti soffi, ama.

Si squarcia quella tenera membrana,

perpetuo un assioma si libra nell’aria.

Un valore inviolabile incastonato

su una turgida lastra di diamante,

fragile e umile anima  che

vibrante si staglia  imponente 

simile a una venerabile ara. 

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LO SPECCHIO, di Daniela Patrian

LO SPECCHIO

Dinanzi ad uno specchio:

sorrido se lo guardo sorridendo,

che bel vestito che ho,

i capelli con questo taglio e colore

mi stanno proprio bene,

forse dovrei perdere qualche chilo

,ma in fondo mi piaccio così…..

Lo specchio è anche,l’occhio di un amico

riflette di essere autentica

di essere la persona più somigliante a me stessa

di essere fedele a cio’ che è dentro me..

Mi amo

e così costringo gli altri a farlo.

Daniela Patrian

Disegno: matita,penna colorata ,acquarelli pastelli,su foglio da disegno

BUONGIORNO

La Vela, di Rosalba Di Giacomo

La Vela

Quante scie sul mare, stamani.

Questo povero mare

solcato navigato

da chiglie che fendono

che tagliano, spruzzano,

e schizzano nell’aria

lacrime fatte sol di spuma

che in mille gocce par divida

la sua anima che varia.

Lontano, l’orizzonte

ben sereno appare allo sguardo.

Solitaria una vela

dal vento si lascia portare.

Silenziosa si attarda,

fra bianche trine solca il mare.

Odore di salmastro

nei canapi misti di sale

orza con la sua vela

che nell’aria fila leggera.

Splende, assai voluttuoso,

sopra ogni cosa il sole.

Se mi resterai accanto,

nel mio mare navigheremo

oltre tutti i confini

pur di poterci ancora amare.

Rosalba Di Giacomo

Foto mia

L’angolo della poesia: ” La paura” di Caterina Alagna

Salerno:

Dal mio blog https://farfallelibereblog.blogspot.com/2022/04/la-paura.html

La paura, maestoso fiume in tempesta,

frantuma gli argini 

e pavida la mente resta a contemplare 

soffici ombre di ardesia.

L’anima stanca e sfibrata

goffa riprende il volo

e torbide nubi di cera, nere

come ali di piombo, si accalcano

generando un vortice tenebroso.

I densi pensieri della sera 

s’attorcigliano lungo il percorso 

sbranati dalla paura,

mentre tenui raggi di luce

nell’ombra passano ignorati.

Viaggio nella poesia italiana: Clemente Rebora

Dal mio blog https://ilmiocantopoetico.altervista.org/poeti-meno-noti-clemente-rebora/

Pur essendo un gigante della letteratura italiana del primo Novecento, Clemente Rebora rientra tra i poeti italiani meno noti ai più. Difficilmente troverete una sua poesia nelle antologie scolastiche. La sua poesia è molto influenzata dalla sua esperienza bellica avvenuta durante la prima guerra mondiale. Esperienza da cui ne uscì profondamente segnato a causa degli orrori che vide in prima persona e che visse sulla sua stessa pelle. Sopravvisse, infatti, a una ferita alla tempia causatagli dallo scoppio di una granata. Questo episodio lo colpì intensamente provocando in lui una profonda crisi psicologica. Si disse che soffriva di nevrosi da trauma. Riuscì a superare questa crisi solo grazie alla fede e alla conversione al cattolicesimo. All’età di 45 anni ricevette la cresima e qualche mese dopo decise di diventare sacerdote.

La poesia di Rebora che ha come tema la guerra è particolarmente cruda, non priva di episodi macabri tesi a sottolineare le atrocità della guerra. Lo scopo è chiaro: suscitare pietà per la povera umanità trucidata dalla ferocia della guerra.

Viatico

O ferito in fondo alla piccola valle,
avrai chiesto aiuto con molta insistenza
se tre compagni di guerra integri
morire per te che quasi più non eri vivo.
Tra melma e sangue
come un albero abbattuto
e il tuo lamento straziante continuava,
senza pietà per noi rimasti in vita
a contorcerci perché non vedevamo l’ora che finisse,
velocizza la tua morte,
tu solo puoi mettere fine a questa sofferenza,
e ti sia di conforto
nelle tue condizioni di demenza ma ancora cosciente
in questo momento di attesa della morte
l’intorpidimento della sensibilità,
ma ora devi attendere quel momento in silenzio –
grazie, fratello.

In questa poesia Rebora assiste a una scena a dir poco raccapricciante. Tre compagni assistono un commilitone gravemente ferito. Il soldato ridotto a un tronco senza gambe invoca aiuto e i suoi compagni, impotenti di fronte a quella scena e spaventati dalla paura di morire,, lo pregano di affrettare la sua morte. Può sembrare crudele ma il messaggio è chiaro: la guerra è così disumana e orribile che persino la morte messa a confronto si mostra come un’esperienza meno crudele.

Voce di vedetta morta

C’è un corpo in poltiglia
con crespe di faccia, affiorante
sul lezzo dell’aria sbranata.
Frode la terra.
Forsennato non piango:
affar di chi può, e del fango.
Però se ritorni
tu uomo, di guerra
a chi ignora non dire;
non dire la cosa, ove l’uomo
e la vita s’intendono ancora.
Ma afferra la donna
una notte, dopo un gorgo di baci,
se tornare potrai;
sòffiale che nulla del mondo
redimerà ciò ch’è perso
di noi, i putrefatti di qui;
stringile il cuore a strozzarla:
e se t’ama, lo capirai nella vita
più tardi, o giammai.

Anche in questa poesia colpiscono le immagini macabre. Un corpo morto ridotto in poltiglia nella mente del poeta ancora emette un lamento. Il suo pensiero si rivolge a chi una volta sopravvissuto in guerra, tornerà a casa. Gli chiede di non parlare di guerra a coloro che non la conoscono e di non lasciarsi prendere dalla disperazione, di non abbandonarsi, incitandolo soprattutto ad aggrapparsi alla vita, a vivere e ad amare intensamente, ma a non dimenticare coloro che sono morti in guerra ( sia dal punto di vista fisico che morale) a cui nessuno potrà mai più ridare indietro la vita.

Vorrei…

Da:

http://fridalaloka.com

Vorrei avere la consapevolezza, mi faciliterebbe le scelte. Il destino ha voluto che andassi in questo modo; complicato, oscuro, sofferente, involuto.

Vorrei poter essere ciambella coperta di cioccolato fondente inzzupata in una tazza di latte tiepido del mattino quando parte della mia materia, innumidita
si sminuzza in infinite nanoparticelle, galleggio…alcune di esse affondano.

Libreria WordPress

Vorrei essere più leggera, come  piuma persa d’un elegante e delicato balestruccio; anzi, no! Essenza, solo essenza, fluttuare senza tanti, troppi pensieri e lasciarmi portare là,  dove la brezza mi porti accarezzando il mio fragile corpo; l a questo punto la destinazione non ha importanza.

Vorrei diventare melodia, trasformarmi in nota ed emanare poesia in musica ed avvolgere l’universo…

Vorrei non fosse onirico, a occhi aperti, vorrei non accorgermene che forse è una utopia.

Tua.
6 agosto,  2022.