8^ Ragunanza di poesia, narrativa e pittura, Rita Stanzione

Nell’Antica Vaccheria di Villa Pamphilj ritornano i raduni ispirati a Cristina di Svezia

Torna finalmente in presenza la cerimonia di premiazione dell’ottava Ragunanza di poesia, narrativa e pittura ideata e promossa dall’associazione Le Ragunanze con i patrocini morali del Consiglio Regionale del Lazio, Roma Capitale XII Municipio, Ambasciata di Svezia a Roma, Accademia Nazionale D’Arte Drammatica “Silvio D’Amico”, Golem Informazione, Associazione culturale Euterpe, Leggere Tutti, WikiPoesia. I vincitori saranno premiati domenica 2 ottobre dalle ore 10 nell’Antica Vaccheria di via Vitellia 102, a Villa Pamphilj, Roma.

La Giuria presieduta da Roberto Ormanni (Direttore di Golem Informazione, scrittore), Michela Zanarella (Presidente del Premio, giornalista, scrittrice), Giuseppe Lorin (attore, scrittore, Vice Presidente Le Ragunanze), Elisabetta Bagli (scrittrice, Presidente di Latium), Fiorella Cappelli (giornalista, scrittrice, responsabile della promozione della rivista Leggere Tutti), Lorenzo Spurio (scrittore, critico letterario, Presidente di Euterpe) e Serena Maffia (scrittrice, giornalista, Centro Poesia Roma) ha lavorato con impegno nella valutazione delle opere ritenendo meritevoli per la sezione poesia a tema natura al primo posto “I fiori delle dune” di Alessandro Izzi (Gaeta, Latina), secondo posto “Pura crisalide” di Manuela Magi (Tolentino, Macerata), terzo posto “Nobiltà calpestata” di Rossana Bonadonna (Roma).

Menzioni d’onore per “Dall’Argentino al Dolcedorme” di Mario De Rosa (Castrovillari, Cosenza), “Il pettirosso e la speranza” di Giovanni Battista Quinto (Pisticci, Matera), “Mediterraneo” di Giulia Maria Sidoti (Barcellona P.G., Messina), “Nello specchio dei desideri” di Lucia Izzo (Roma), “Lungo il confine” di Laura Tommarello (Roma).

Per la sezione libro edito poesia primo posto “Del nostro stare al mondo” di Laura Pezzola (Roma), secondo posto “Genesi della memoria” di Raed Anis Al-Jishi (Arabia Saudita); le traduzioni in italiano delle poesie sono a cura di Claudia Piccinno, terzo posto parimerito: “Controfobie” di Antonio Corona (Torino) e “Da quassù (La terra è bellissima)” di Rita Stanzione (Roccapiemonte, Salerno).

Menzioni d’onore per “La geometria dei girasoli” di Pietro Catalano (Roma), “Borghes (Voci)” di Stefano Baldinu (Bologna), “Epimeleia” di Guido Tracanna (Roma), “Clic” di Johanna Finocchiaro (Torino), “Dove i clown sono tristi” di Sara Comuzzo (Udine), “Canto del vuoto cavo” di Francesca Innocenzi (Cingoli, Macerata), “Preghiera in gennaio” di Rosaria Di Donato (Roma).

Per la sezione libro edito narrativa primo posto “La donna del pittore” di Anna Hurkmans (Roma), secondo posto “Anima, sii come la montagna” di Paolo Borsoni (Ancona), terzo posto “Per le vie di Monteverde” di Giada Carboni (Roma).

Menzioni d’onore per “Amori complicati” di Paride De Paola (Pozzilli, Isernia), “Maracaibo” di Flavio Dall’Amico (Marano Vicentino, Vicenza), “Fiore d’ombra” di Hilde Nobile (Roma), “Dove dormono le fate” di Cristina Biolcati (Ponte San Nicolò, Padova), “Il tuo libro filosofico” di Carmen Trigiante (Valenzano, Bari), “Human 1-2” di Alberto Umbrella (Roma).

Per la sezione pittura primo posto “Enigma foresta” di Alex Barbanti (Modena), secondo posto “Scegli adesso” di Angelo Franco (Torino), terzo posto “Polvere di stelle” di Bruna Milani (Roma). Menzioni d’onore “Gea” di Barbara Bartolomei (Firenze) e “Guardami” di Iolanda Morante (Avellino).

Targa Euterpe dell’omonima associazione per “Arabeschi di luce” di Maria Morganti Privitera (Barcellona P.G, Messina), Targa Presidente del Premio per “La luna sulle case popolari” di Gabriele Galloni (Roma), Targa Anastasia Sciuto 2022 a Valeria Almerighi, diplomata all’Accademia Nazionale d’Arte Drammatica “Silvio d’Amico”.

Tra gli ospiti l’attrice Athina Cenci, madrina dell’evento, l’attrice Chiara Pavoni, l’attore Corrado Solari, il cantautore Alessandro Salvioli e il gruppo musicale Le Onde, composto da Robert James Hanrahan, Alessandro Pignoloni, Andrès Arce Maldonado, e la giovane Eleonora.

Roma, 23/09/2022 (informazione.it – comunicati stampa – arte e cultura)

https://www.informazione.it/c/342B5762-F7EB-45B4-B4B5-0E175A35C657/8-Ragunanza-di-poesia-narrativa-e-pittura?fbclid=IwAR3KaCiUMUfKKt51A9PSYnToxEPS2bJb9sGuduokB7apNAlErBfy6kO1jM0

LA MEMORIA DEL CUORE, di Miriam Maria Santucci


#Alzheimer


LA MEMORIA DEL CUORE 

Cammini sul viale lentamente,
lo sguardo vuoto, pieno di stupore.
Ricordi il suo nome ed il suo volto
e la voce che parlava dolcemente,
ma non ricordi altro e non trovi
colui che accanto ti restava sempre.
Non sai chi sei… Non sai più ricordare…
Stringi forte il guinzaglio del tuo cane
ed esso con amore t’accompagna,
si ferma e s’accuccia sulla terra
dove ora riposa il suo padrone…
Riaffiora un ricordo flebilmente
e scivola pian piano dentro il cuore…
Sfiori con le tue mani quella croce
poi t’inginocchi e t’appresti a pregare,
ma rimani in silenzio a mani giunte
perché hai scordato tutte le parole.
T’aggrappi a quel guinzaglio nuovamente…
Appoggi la tua testa sul tuo cane
con un misto di dolcezza e di dolore.
Unico filo che ancora ti consente
di risvegliare la memoria del cuore…

#MiriamMariaSantucci

Aftersat e Simone Ruggiero vincono l’edizione 2022 dell’Aquara Music Fest, Rita Stanzione

Sabato 27 agosto si è tenuta la finale live della quarta edizione dell’Aquara Music Fest, organizzata dall’Associazione Culturale “L’Alveare”. Durante la serata si sono esibiti i cinque finalisti del contest musicale “Fioravante Serraino”: gli Aftersat da Pozzuoli (NA), Cornio da Torino, Simone Ruggiero da Anzio (RM), Valentina Indelicato & Vanja Maugeri da Catania, ed infine gli VRF Project da Bari. La giuria tecnica, presenziata dal maestro Guido Guglielminetti, ha decretato vincitori gli Aftersat con il premio “Aquara Music Fest” per la migliore performance live, mentre la giuria premio della critica presenziata dalla poetessa Rita Stanzione ha decretato vincitore il cantautore romano Simone Ruggiero per il testo di “Marco Polo alla corte di Kublai Khan”.  

A completare le giurie vi erano i MM° Carlo Inglese e Luca Ferruzzi per la giuria tecnica, e la scrittrice Maria Capozzoli e il poeta Zairo Ferrante per la giuria premio della critica. Accanto ai due premi sono state conferite due menzioni speciali: la giuria tecnica ha ritenuto di assegnarla a Zärat e le isole per la presenza scenica e l’originalità della proposta artistica, mentre la giuria premio della critica a Valentina Indelicato e Vanja Maugeri per il brano “Biancospino rosso sangue”. Inoltre, agli Aftersat è stato conferito dall’Associazione Culturale L’alveare” il premio “colonna sonora” per il brano “Luntano ‘a te”, brano che farà da promozione alla prossima edizione dell’Aquara Music Fest. Infine, l’associazione ha assegnato due ultimi riconoscimenti che sono il brano più votato e il concorrente più votato nella fase iniziale dal gruppo di ascolto. Entrambi i riconoscimenti sono andati a Simone Ruggiero che, evidentemente, ha messo d’accordo sia la giuria premio della critica che il gruppo di ascolto.  

L’evento live, svoltosi in piazza piazza Vittorio Venero ad Aquara, è stato trasmesso in diretta streaming sulla pagina Facebook dell’Associazione @acalveare. Per ulteriori informazioni ed approfondimenti visitare il sito ufficiale http://www.acalveare.it su cui è possibile ascoltare brani, vedere video e rivedere il docufilm andato in prima visione streaming il 10 agosto scorso su FB e YouTube in cui sono stati presentati tutti i concorrenti. Infine, durante la mattina di domenica 28 agosto, presso il Centro Sociale e Culturale “Fioravante Serraino”, a chiusura della quarta edizione dell’Aquara Music Fest, c’è stata la masterclass di Guido Guglielminetti in produzione musicale, rivolta a tutti gli addetti, agli interessati al mondo della musica, ad appassionati e a gruppi musicali emergenti. L’evento è stato patrocinato dagli enti pubblici Comune di Aquara, UNCEM Campania, Parco Nazionale del Cilento, Vallo di Diano e Alburni, Regione Campania.

L’angolo della poesia: ” Scorcio di anima” di Caterina Alagna

Salerno:

Si squarcia una luce di ambra,

tacita trapela un duttile scorcio di anima,

ruvida coltre inasprita dall’acre odore

di un verbo sgualcito, di un dolore

mai guarito, di una cellula che 

inosservata, in taciti soffi, ama.

Si squarcia quella tenera membrana,

perpetuo un assioma si libra nell’aria.

Un valore inviolabile incastonato

su una turgida lastra di diamante,

fragile e umile anima  che

vibrante si staglia  imponente 

simile a una venerabile ara. 

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L’angolo della poesia: ” La paura” di Caterina Alagna

Salerno:

Dal mio blog https://farfallelibereblog.blogspot.com/2022/04/la-paura.html

La paura, maestoso fiume in tempesta,

frantuma gli argini 

e pavida la mente resta a contemplare 

soffici ombre di ardesia.

L’anima stanca e sfibrata

goffa riprende il volo

e torbide nubi di cera, nere

come ali di piombo, si accalcano

generando un vortice tenebroso.

I densi pensieri della sera 

s’attorcigliano lungo il percorso 

sbranati dalla paura,

mentre tenui raggi di luce

nell’ombra passano ignorati.

Antonio Machado – Poeta

(IT) Antonio Machado fu un poeta di Siviglia (Spagna), nato nel 1875. Lascia un’importante eredità nel Modernismo spagnolo. Formó parte della denominata Generazione del ’98, scelto anche como membro della Real Academia Española. Tra i suoi libri si distaccano: “Soledades” (1907), “Campos de Castilla” (1912) y “La Guerra” (1937).

(ES) Antonio Machado fue un poeta sevillano nacido en 1875 que dejó un gran legado dentro del Modernismo español. Formó parte de la denominada Generación del 98, y fue escogido miembro de la Real Academia Española.
Entres sus libros publicados destacan algunos como “Soledades” (1907), “Campos de Castilla” (1912) y “La Guerra” (1937). 


Notte d’estate (IT)

È una bella notte d’estate
Le alte case tengono
aperti i balconi
del vecchio paese sulla vasta piazza
Nell’ampio rettangolo deserto,
panchine di pietra, evonimi ed acacie
simmetrici disegnano
le nere ombre sulla bianca arena.
Allo zenit la luna, e sulla torre
la sfera dell’orologio illuminata.
Io in questo vecchio paese a passeggio solo, come un fantasma.
Noche de verano (ES)

Es una hermosa noche de verano.
Tienen las altas casas
abiertos los balcones
del viejo pueblo a la anchurosa plaza.
En el amplio rectángulo desierto,
bancos de piedra, evónimos y acacias
simétricos dibujan
sus negras sombras en la arena blanca.
En el cénit, la luna, y en la torre,
la esfera del reloj iluminada.
Yo en este viejo pueblo paseando
solo, como un fantasma.

La saeta (ES)

¡Oh, la saeta, el cantar
al Cristo de los gitanos,
siempre con sangre en las manos,
siempre por desenclavar!
¡Cantar del pueblo andaluz,
que todas las primaveras
anda pidiendo escaleras
para subir a la cruz!
¡Cantar de la tierra mía,
que echa flores
al Jesús de la agonía,
y es la fe de mis mayores!
¡Oh, no eres tú mi cantar!
¡No puedo cantar, ni quiero
a ese Jesús del madero,
sino al que anduvo en el mar!

La saetta (IT)

¡Oh, la saetta, il cantar al Cristo degli erranti, sempre con sangue in mano, sempre per schiodar!
Canto del popolo andaluzo, che ogni primavera va chiedendo una scala per salir alla croce!
¡Cantar della terra mia,
Che getta fiori al Gesù dell'agonia, ed è la fede dei miei vecchi!
¡Oh, non sei tu il mio canto!
¡Non posso cantar, ne voglio, a quel Gesù del legno, bensì a quello che andò per mare!

(Traduzione da Frida la loka)

Tua.

14 agosto, 2022.

http://fridalaloka.com

La valle delle regine

VALLE DELLE REGINE
Il mio viaggio è finito
Sono in piedi sul bordo
e chiudo gli occhi
a questo mondo di bugie
la mia volontà è infranta
è la fine di tutti i miei sogni
la mia anima brama
attraverso la valle delle regine
la mia rosa appassita
non fiorirà mai più
la terra è secca
è giunto il momento di morire
la mia fede mi ha lasciato
hanno rubato tutti i miei sogni
oh seppellitemi
nella valle delle regine
la mia ricerca è terminata
il mio nome è scolpito nella pietra
sulla parete del tempio
oltre il corridoio di Osiride
nessun sacro raggio di sole
illuminerà le mie tombe dei sogni
non tornerò
dalla valle delle regine"

(Dalla tomba di Nefertari)


Gli Egizi conoscevano la Valle delle Regine  con il toponimo di : Ta set neferu.


Contenuto: proprietà esclusiva di: “storia egizia” (karol Bossi e team).

Fonte:  foto  proprietà esclusiva di “storia egizia”.

Fonte:  foto  proprietà esclusiva di “storia egizia”.

Tua.
8 agosto, 2022.

http://fridalaloka.com

“Il poeta sei tu che leggi”

“Il poeta sei tu che leggi” si trova scritto dappertutto ormai. È scritto anche sul  Lungotevere Vaticano. Lo scrivono in tanti sul web. Il vero autore sarebbe il lettore. Sarebbe lui il maggior costruttore di significato, il vero responsabile del senso ultimo del testo. Di fronte all’ambiguità semantica è proprio il lettore che decide cosa significhi questa o quell’opera. Una parola, una frase, un intero testo possono avere significati diversi a seconda del contesto (inteso in senso lato) e dalla sensibilità individuale. La stessa connotazione, la sfumatura emotiva di ogni parola, di ogni frase varia da persona a persona. Ogni testo quindi dipende anche, forse soprattutto,  dallo stato mentale, dall’umore, dallo stato d’animo del lettore in quel particolare frangente. Possiamo perciò anche essere d’accordo. Gli artisti non esistono senza pubblico. I poeti non esistono senza lettori.  Adam Smith ne “La ricchezza delle nazioni” considerava gli artisti degli assistiti. In quell’epoca la maggioranza erano cortigiani oppure secoli prima per esempio pittori e scultori venivano finanziati da dei mecenati. Oggi gli artisti sono assistiti dai loro ammiratori,  estimatori, seguaci. Aveva capito tutto il cantautore Claudio Rocchi quando gli chiedevano l’autografo, lui chiedeva le generalità del richiedente e poi firmava con il nome e cognome del suo fan. Senza il pubblico l’artista non ha modo di esistere. Oggi è poeta chi legge. Ma io mi domando se uno non legge cosa è? Molto probabilmente molti non vogliono leggere perché non vogliono essere poeti. Di solito comunque leggono poesia soprattutto gli aspiranti poeti, coloro che vogliono diventare poeti. Come esistono le preghiere interessate anche queste sono letture interessate in un certo modo. Certamente i giornali non aiutano. La cosiddetta terza pagina viene sempre messa in ennesima pagina. Sono anche scomparsi e non più sostituiti grandi maestri dell’elzeviro. Non scrivono più ormai Luca Goldoni, Alberto Arbasino, Pier Francesco Listri, Luigi Maria Personè. Mi ricordo che anni fa mi incuriosivano molto gli aneddoti letterari di quest’ultimo, morto centenario, grande letterato, che aveva conosciuto tutti i più grandi letterati del Novecento italiano e non. Poi le terze pagine dei quotidiani trattano di società, mondo dello spettacolo, tendenze. Trattano spesso di cose futili, leggere, tanto per intrattenere più che per acculturare, se va bene per informare più che per formare. Ma i direttori dei giornali sono messi alle strette e loro, se interpellati a riguardo, direbbero prontamente: i quotidiani vendono sempre meno copie e bisogna dare ai lettori ciò che vogliono. Il potere in questo modo si deresponsabilizza tramite la presunzione di ignoranza del popolo. Così facendo il popolo non si accultura. Inoltre come ho sempre avuto modo di dire: oggi tutto è cultura tranne la cultura. C’è spazio per tutti in televisione tranne che per la letteratura, la poesia, la scrittura. Eppure la fruizione culturale è aumentata notevolmente in questi anni. Ma la cultura è noiosa, soporifera.  La scuola non aiuta. I programmi ministeriali sono quelli che sono. Poi con la vecchia retorica che non bisogna dare la pappa pronta diversi critici letterari si sono dimostrati criptici,  oscuri, allontanando di fatto le persone dalla cultura. Diversi letterati non vogliono correre il rischio della banalizzazione, della volgarizzazione, neanche quando di tratta di un’utile semplificazione. Anche in letteratura bisognerebbe utilizzare il rasoio di Occam, ovvero non moltiplicare gli enti inutili. Invece sembra che diversi letterati abbiano a cuore il loro gergo specialistico e allora usano grecismi, latinismi, inglesismi,  francesismi. La cultura diventa talvolta perciò un fardello pesante. Ci sono ancora oggi diversi letterati, che pur essendo politicamente progressisti, hanno una concezione elitaria e snobistica della letteratura, nutrendo talvolta dei pregiudizi nei confronti della cosiddetta gente. Insomma secondo costoro la letteratura deve essere difficile, non alla portata di tutti. Un tempo il preside della facoltà di ingegneria di Pisa amava dire “ingegneria deve essere difficile” agli studenti che si lamentavano della severità dei docenti. Ogni ingegnere ha delle responsabilità civili, sociali, etiche, umane. Deve saper fare bene i calcoli per non far crollare i ponti o se è un ingegnere gestionale deve saper fare i conti per non far fallire un’impresa. Ma un letterato ha soprattutto il dovere di farsi capire ai più. In un certo qual modo diversi letterati complicano le cose;  sono esoterici, nel senso più deteriore del termine. Ma a questo proposito secondo una scuola di pensiero  nessun uomo è depositario di grandi verità.  Le cose della vita sono sempre quelle trite e ritrite. I letterati sono uomini come gli altri. Invece secondo un’altra scuola di pensiero non si può spolpare la letteratura perché poi alla fine ci resta un torsolo di mela. Secondo questi pensatori aveva ragione Cioran quando scriveva che se togliessimo il belletto alla letteratura non resterebbe niente. La domanda da un milione di dollari è la seguente: si può rappresentare la vita anche in modo comprensibile ai più oppure bisogna riprodurla fedelmente nella sua complessità? E ancora i letterati devono abbassarsi al livello del pubblico o devono cercare di elevarlo? Meglio arrivare a tutti o invece essere per pochi eletti? Nel frattempo la poesia è di nicchia. Di solito l’espressione nicchia di mercato o mercato di nicchia può avere anche molti risvolti positivi. Si sente dire che nel mondo economico c’è parecchia crisi, ma tizio e caio hanno trovato una bella nicchia di mercato e si sono arricchiti. Non fatevi illusioni: la poesia è una nicchia di mercato che non vende,  non arricchisce, se non interiormente. Eppure le facoltà umanistiche sono sovraffollate. Mai tarpare le ali. Mai uccidere i sogni. Ci penserà poi la realtà a disilludere, a deludere, a disincantare. Un altro problema è che oggi tutti sono poeti tranne i poeti. Sono poeti i cuochi, i cantanti, gli influencer, i lestofanti, i piacioni, gli addetti alle pubbliche relazioni, i latin lover e gli arrivisti vari. E i veri poeti? Non pervenuti. Lasciano poche tracce di sé. Disseminano i loro versi in angoli remoti del web. Pubblicano libricini che vendono poco o addirittura pochissimo. La poesia d’altronde è di tutti o di nessuno. Parafrasando un celebre detto, la poesia è quella cosa che tutti pensano di sapere che cosa sia. In tutta onestà penso che valga la regola opposta e inversa: nessuno può sapere con certezza che cosa sia la poesia. Quindi, concludendo,  è vero: il poeta sei tu che leggi, a patto che tu legga e legga roba buona. 

Ancora e di nuovo sulla solitudine…

Pavese scriveva che il problema della vita è come rompere la solitudine,  come comunicare con gli altri. Sempre Pavese scriveva che l’importante era avere una donna a letto e a casa e tutto il resto erano balle. Secondo una celebre frase nessun uomo è un’isola. Per altri invece siamo tutti soli. C’è una problematica collettiva: sulla Terra si sono scordati di Budda, Socrate, Cristo, Maometto. Inoltre è Darwin a fare il mercato. Non c’è giustizia in questo mondo. Infine come scriveva la Wilcox: “Ridi e il mondo riderà con te./ Piangi e piangerai da solo”. È vero che ognuno può sperimentare la morsa della solitudine in vita sua perché la vita è fatta anche di solitudine. Tuttavia qualche goccia di veleno non risulta spesso letale. Solo per pochi la solitudine è intollerabile. Quando succede qualcosa di tragico per troppa solitudine nessuno sembra avere colpa. Invece la società, la politica stessa dovrebbero combatterla. Ma tutto ciò è lettera morta perché il potere divide e governa. Ai potenti tornano comode l’asocialità, l’isolamento di alcuni. I potenti godono quando le persone scomode e anticonformiste sono sole. Chi resiste alla pressione di uniformarsi avrà tra i vari guai anche una solitudine crescente. Ma poco importa se uno viene lasciato solo o sceglie di essere solo. Poco importano i motivi della solitudine. Il sesso è il modo più popolare e più istintivo per rompere la solitudine. Da giovani è quasi un’esigenza, che può sfociare nel ludico. Da maturi è soprattutto un modo per non sentirsi soli. La solitudine è affare che riguarda la soggettività, come direbbero gli psicologi riguarda la percezione soggettiva, anche se talvolta ci sono riscontri oggettivi. La solitudine è uno stato d’animo. Comunque di solito siamo fatti così: quando proviamo troppa solitudine telefoniamo, andiamo al bar, al ristorante,  in centro. Ma talvolta è comunanza, socialità senza un minimo di comunione. A volte basta poco per sentirsi sollevati. Basta una conversazione anche formale. Ci sono persone per cui la solitudine si fa feroce. Sono coloro che soffrono di deprivazione sociale, ovvero di povertà di stimoli sociali. Uno può essere ben disposto nei confronti del prossimo, ma a forza di essere soli ci si disabitua alle regole del gioco sociale, alla convivenza civile. Finisce  così che certi uomini sono costretti a vivere tra “pareti invisibili”, come ne “Il carcere” di Pavese, romanzo che parte dalla condizione esistenziale dell’uomo al confino per poi trattare della solitudine in senso lato. Ognuno dovrebbe scrivere un sos, un messaggio in bottiglia, come nella canzone di Sting.  Il problema è che di solito non li scriviamo gli sos né leggiamo quelli altrui. A questo mondo la solitudine è bandita. È considerata un falso problema. Invece esiste. Ci sono persone più o meno sole e ci sono persone più o meno resistenti nel sopportarla. Si può essere soli per i motivi più disparati. Talvolta ad altri problemi si somma anche la solitudine. Altre volte la solitudine è l’origine di altri problemi. La solitudine è un problema sottovalutato perché troppi artisti hanno cantato la solitudine,  assumendo una posa. La solitudine spesso era una questione borghese prevalentemente e spesso gli artisti trattavano questo tema non parlando di problematiche sociali ed economiche importanti. È però vero che ognuno dovrebbe parlare di ciò che conosce meglio e probabilmente molti artisti conoscevano a menadito la solitudine. Però chi voleva fare la rivoluzione combatteva non solo i controrivoluzionari ma anche i valori piccoloborgesi incarnati da essi. Chi era solo lo era perché asociale e solitario, perché non prendeva parte alla lotta, perché non era un compagno e perciò meritava la solitudine e con lui c’era poco o niente da spartire. Questa era la prassi. Succede che alla solitudine ci si abitua e si ha paura del cambiamento. Ci sono persone che accettano una solitudine eroica pur di andare avanti per la loro strada, come Giovanni Falcone e Paolo Borsellino. Una domanda che mi faccio spesso è, realisticamente parlando, quali e quanti compromessi bisogna accettare per non rimanere soli. Per esempio io preferisco starmene in disparte. Accade che se qualche persona nuova mi invita a uscire quasi sempre declino l’invito. Ho il timore di essere inadeguato, di deludere, di avere motivi di attrito, di non essere compreso o di non comprendere. Due sono le questioni cruciali della solitudine: quanta se ne può sopportare? Come e con chi romperla? Queste domande sono universali, ma le risposte hanno solo validità individuale. Spesso si va per tentativi ed errori. Le regole in questo senso sono ignote. Così talvolta per non sbagliare rimandiamo a data da destinare. Eppure stamani ho preso un caffè e sulla bustina di zucchero c’era una frase di Wayne Dyer, che dice: “Quello che hai da fare fallo adesso. Il futuro non è promesso a nessuno”. Diamo quasi per scontato la buona salute, l’autonomia fisica, una condizione economica non disagiata. Eppure tutto potrebbe finire da un momento all’altro. Alcuni poeti, addirittura troppo sfiduciati nei confronti dei contemporanei, affidano le loro parole ai posteri. Scrivono così le loro lettere al mondo, sperando che se non li comprende il mondo attuale li comprenda quello futuro. Come Emily Dickinson,  che scriveva questi versi immortali: 

“Questa è la mia lettera al mondo

che non ha mai scritto a me –

le semplici notizie dalla natura dette –

con tenera maestà

Il suo messaggio è affidato

a mani per me invisibili –

per amore suo – dolci compatrioti –

teneramente giudicate – me”

Brevissimo pensiero sulla vita…

Secondo gli spiritualisti bisognerebbe vivere soprattutto di vita interiore, seguendo valori e obblighi morali. Ma di spiritualisti ne sono rimasti pochi. In realtà come scriveva Nietzsche Dio è morto, sono finiti i valori e la fede nella ragione umana. Il nichilismo sempre secondo il filosofo tedesco è diventato perciò lo stato psicologico perenne e incessante dell’uomo moderno occidentale. Perfino l’arte oltre alla religione è stata svalutata in nome della scienza. Il positivismo ha fallito con la fiducia smisurata nel fatto in sé e nella concezione unitaria del sapere. Il neopositivismo pure. È rimasto uno scientismo totalizzante. Però a onor del vero la società attuale è il culmine del materialismo e della frivolezza. I simbolisti deprecavano l’avvento dei nuovi barbari e proponevano l’artista come aristocratico. Ma tutto ciò a distanza di secoli è carta straccia. Cosa è rimasto all’uomo di massa da tempo immemorabile? Un disagio esistenziale, una angoscia simile a quella che già Baudelaire chiamava spleen. Domina incontrastata l’economia. Tutto è prodotto interno lordo. In realtà bisognerebbe essere felici di essere qui e ora, essere felici di esistere. Ma è molto difficile non avere aspettative.  Siamo esseri desideranti.  Dovremmo desiderare di non desiderare, ma se un giorno raggiungessimo la pace dei sensi rimpiangeremmo innanzitutto il desiderio. Non sappiamo ancora vivere senza Dio nonostante sia morto. L’avvento dell’oltreuomo non è ancora compiuto. E questa terra, questo mondo non hanno quindi ancora alcun senso. La nostra è un’epoca di transizione. Il nuovo deve ancora sostituire il vecchio nel cuore e nella mente degli uomini. La vita, appena rialziamo la testa, ci presenta subito il conto e ci assesta un nuovo colpo basso. Rileggevo Saba e definisce a un certo punto la vita come “un sorso amaro”. Qualcosa che dura pochissimo, appunto un sorso e per giunta amaro.  Alcuni sostengono che bisogna saper distinguere tra ciò che passa e ciò che resta. Ma che cosa resta? Noi dobbiamo fingere che qualcosa resti. Questa è la più suprema delle illusioni per cui vivere. Un’altra illusione è che ne valga la pena di fare quel che stiamo facendo. E se invece fosse tutto vano, tutto inutile?  Mi viene sempre in soccorso Saba, secondo cui il pensiero della morte aiuta a vivere. Ma ancora una volta sarà vero? Cosa siamo infine? Per Pirandello siamo uno, nessuno, centomila. Lo psicologo Kanizsa lo dimostrò scientificamente, proponendo a dei soggetti, dopo averli sottoposti a un test proiettivo fasullo, la descrizione dei loro tratti di personalità.  Li sottopose due volte a questo test farlocco e propose due descrizioni totalmente opposte. I soggetti dissero entrambe le volte che le descrizioni corrispondevano totalmente alla loro personalità.  Tutto ciò è paradossale. Siamo fatti di moltissime contraddizioni. Io sono qui, sono costretto ad ammazzare il tempo e vivere di ricordi. Io stesso sono immalinconito, intrististito, imbastardito dalla solitudine e dalla mancanza di stimoli sociali. A modo mio sono emarginato dalla vita, provo un sentimento di esclusione e di autoesclusione dalla vita. A volte mi chiedo a quanta solitudine devo arrivare? Un tempo ascoltavo la canzone Michel di Claudio Lolli, storia della fine di un’amicizia. Mi immedesimavo in Lolli trenta anni fa. Adesso ho scoperto che sono io Michel. Lolli intervistato disse che Michel aveva fatto una brutta fine: era solo, senza una donna, avvinazzato, in un paese morto della provincia francese, proprietario di una piccola officina. Almeno lui aveva un mestiere in mano e la libertà di ubriacarsi! Io nemmeno quelle! A ogni modo continuo a tirare avanti. Essendo fuori da ogni giro e da ogni gioco di potere ho anche il privilegio di una maggiore libertà interiore. Della vita non sono ancora sazio. Ho ancora molta voglia di vivere, nonostante alcune limitazioni di questa mia realtà.  Non è con il nozionismo, con la concettualizzazione, nemmeno con lo spirito critico che si tira avanti. In certi casi è bene non pensare. Vivere e pensare è troppo. Bisogna pensare di vivere più che vivere per pensare. L’intelletto, i libri sono di troppo. A volte sono ingombranti. Non ha formule l’esistenza. Mallarmè scriveva che aveva letto molti libri, ma che la carne continuava a essere debole. Perfino l’eros non ha logica. La stessa vita è irrazionale. Oppure ha leggi arcane, inarrivabili per noi. Nonostante questo cerco ancora di capire e cogliere i nessi. Ci vuole ironia, autoironia, leggerezza. La profondità serve per capire sé stessi, gli altri, le cose, il mondo. Ma per affrontare la vita ci vuole un minimo di leggerezza per non finire schiacciati dalla vita stessa. Si rimane comunque feriti, nel migliore dei casi offesi dalla vita. Ma mai lasciarsi sopraffare dalla sfortuna, dall’arlia! Talvolta fatichiamo a riprenderci. Di solito le stesse novità sono cattive notizie o cattive cose. Sempre Saba scriveva del peso della vita, sperando naturalmente che non si faccia insostenibile. 

Un pensiero sulla poesia in una giornata al mare…

Si fa presto a dire e scrivere poesia. Invece oggi, almeno in Italia, è terribilmente difficile. Se Woodstock attrasse 500000 giovani vicino a New York, nonostante giorni di pioggia torrenziale, Castelporziano fu una sconfitta inequivocabile. La stessa differenza che intercorre tra un capolavoro come Don Chisciotte e la pur simpatica armata Brancaleone. Sempre continuando le analogie con il cinema, sperando che non risultino delle forzature eccessive, a volte la poesia italiana mi sembra una partita a tennis senza pallina come in Blow-up di Antonioni (e la situazione mi appare peggiorata da quando Frost sosteneva che scrivere versi liberi è come giocare a tennis senza rete), altre volte mi sembra che i poeti siano come i protagonisti dell’Avventura, sempre di Antonioni, che dovrebbero ricercare la poesia scomparsa e invece nell’indagine si accorgono di essere interessati a ben altro. Continuando con il tennis, a  volte i poeti mi sembrano trovarsi in una terra di nessuno e come certi tennisti si trovano a metà campo, si fanno prendere alla sprovvista dai passanti dell’avversario che mette loro la pallina tra i piedi, mentre altre volte gli stessi poeti si trovano troppo vicini alla rete e allora ha gioco facile l’avversario/il pragmatico/l’uomo comune della strada/ la stessa realtà a fare loro il pallonetto e fare il punto decisivo. Talvolta i poeti mi sembrano inadeguati. Altre volte mi sembra che la realtà sia spietata, assassina nei confronti della poesia, come in Easy rider, dove i ribelli fanno una brutta fine. L’Italia è nel migliore dei casi inospitale per chi voglia fare poesia, nel peggiore è addirittura repressivo, limitante, castrante, per non usare il termine abusato concentrazionario, dato che sarebbe fuori luogo parlare di campi di concentramento. Insomma diciamocelo in tutta onestà: non è un Paese per poeti, indipendentemente dai detti e da una grande tradizione culturale che abbiamo alle spalle. Diciamocelo ulteriormente: questa realtà non è poetica. C’è crisi economica, tutta una serie di problemi annessi e connessi,  la guerra, una pandemia che non vede fine. Eppure allo stesso tempo la realtà contiene in sé ancora un nucleo indissolubile di poesia. Basta saperla scorgere. Basta un’alba,  un tramonto, un amore sbocciato, anche un semplice gioco di sguardi. Sono a Marina di Cecina con un amico di infanzia. Passeggiamo sul lungomare. Guardiamo i bagni. Osserviamo tutta la gente nella spiaggia libera. Guardiamo una casa con 3 vani e 5 posti letto in affitto e parliamo di questo. Ci facciamo delle foto in riva al mare. Prendiamo un caffè. Abbiamo fatto discorsi seri, abbiamo parlato di noi stessi, ma ci troviamo bene anche a stare quarti d’ora in silenzio.   Nel vocio indistinto c’è poesia. Nei riflessi di sole c’è poesia. In un turista che non sa dove andare e mi chiede informazioni c’è poesia. Ripensare alle mie estati d’infanzia passate proprio a Marina di Cecina e rimembrare c’è poesia. La poesia è eterna perché fa parte dell’essere umano. È connaturata all’essere umano. La poesia per dirla con le parole del sociologo Alberoni è uno stato nascente, come minimo tra l’autore e il lettore. Il problema comunque non è tanto che non ci sono persone pronte a riconoscere in sé stessi la poesia oppure nel mondo. Il problema di base è la mancanza di volontà di rispecchiarsi nei poeti italiani viventi. Tutto al più le persone assaporano le loro liriche in blog letrerari o riviste online. Ma di solito non avviene il fatidico passo di comprare il libro. Forse una delle questioni è che la comunità poetica è piccola e solo chi vi appartiene compra libri di poeti italiani viventi. Non si tratta di legittimazione culturale, di cui alcuni poeti godono, ma di legittimazione mediatica. Di poesia contemporanea ne parlano pochissimo i mass media. Sui giornali come Repubblica hanno chiuso le rubriche di poesia. Hanno poco successo. Non hanno riscontro di pubblico. Di conseguenza l’ego smisurato di diversi poeti diventa frustrazione assoluta, fallimento. Essere poeta è quasi un contentino. Assume per i più pratici quasi un significato spregiativo.  Un tempo era vanto e orgoglio essere considerati tali. Chi lo fa fare di metterci la faccia? Come cantava Ron “alle ragazze non chiedere niente se il tuo nome non è sui giornali o si fa dimenticare”. A essere poeti non si guadagna nulla, anzi si spende, nella maggioranza dei casi. Ma nonostante questo qualcuno continua a essere poeta, pur essendoci molti contro e pochi pro. Nonostante tutto c’è chi scrive ancora per amore della poesia. Io mi prometto che non scriverò più poesia, nonostante ogni tanto mi si presenta una disposizione d’animo favorevole. E continuo a guardare una bella ragazza in due pezzi che prende il sole e mi perdo poi nel mare e nel luccichio dei raggi di sole, che si incontrano con le onde. Sono al mare e sono quasi felice a prendermi questo vento, a godermi questo istante. Mi prometto che non si può scrivere poesia a 50 anni ormai, così come mi riprometto sempre di non innamorarmi. Ma siamo umani e potrei anche finire per ricascarci. Nessuno è perfetto, come in una celebre battuta di un film che ha fatto epoca.

L’angolo della poesia: Luce cristallina di Caterina Alagna

Una sorgente d’argento squarcia 

L’orrore della vita

Dolente spina incarnita 

La sua bocca di luce cristallina

Pervade la mia anima china

Genuflessa alle ombre della vita

Un fervore infiamma la mia carne

Quelle membra tremule e scarne

Lieve la brezza respira gentile

Baciati dalle tiepide stelle d’aprile

Danzano sinuosi i nostri corpi

In un manto di vento avvolti                                                    

E’ il delirio della mente

Il mio cuore ingravidato dalle stelle

Quel cuore sommerso dall’angoscia

Catena mordace che strozza

Leggero si libra in volo

Intonando della libertà l’assolo

Tratta dal mio blog https://farfallelibereblog.blogspot.com/

PERFEZIONE

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Nell’estensione d’un canovaccio

motivato da figurazioni assidue

s’addensano parole promiscue

che ne ingrandiscano l’entità

E quel tenace ripetere

d’una didascalia

che si fa mito

se ne annovera la sostanza

tramutata

nella costante ideale

d’un astrattismo di perfezione

@Silvia De Angelis

P O E S I A, di Silvia De Angelis

Nelle mie fughe con te

si sopiscono quelle sommosse senza mediazione

difficili da spiegare a chicchessia

Quasi un moto di ribellione

a un non consenso di vita

nei suoi margini severi…duri da condividere

Mi prendi per mano

consona di quel fremito sulla schiena

forte d’un’ispirazione serrata nelle dita strette

capaci carezzare soliloqui d’eccedenti smanie

placate da un tenero languore

che si fa parola

per avvicinare le sillabe all’anima  sedotta

@Silvia De Angelis