Chiudiamo gli occhi e respiriamo.. Respiriamo l’aria Respiriamo il sole Respiriamo il vento Respiriamo la pioggia Respiriamo la vita.. Respiriamo.. Facciamo in modo che diventi gioia x la nostra anima.. lentamente.. intensamente.. Dolcemente.. Giuseppina
Tra tutte le protagoniste delle tragedie greche, Antigone è forse quella che più simboleggia un non finire del conflitto tra autorità e diritto, tra leggi divine (senso ampio del termine), e leggi umane. Antigone, rappresenta la storia dall’antica Grecia fino ai giorni nostri, rimanendo sempre il simbolo di una lotta personale contro la tirannia di un potere ingiusto.
La voglia di baciarti in qualsiasi situazione, in qualsiasi posto, in mezzo a qualsiasi folla, a metà di qualsiasi discorso, davanti a qualsiasi persona, a qualsiasi ora. È estenuante. Sfiancante. Mi divora. Ti prego, fa che non mi passi mai !!!
In realtà, si tratta di una composizione contemporanea, spesso condivisa sui blog e social come testo anonimo.
La confusione nasce dal fatto che Antigone è simbolo di amore assoluto e ribellione, e quindi molti versi intensi vengono associati a lei anche se non fanno parte dell’opera originale.
La storia, racconta il tentativo di Antigone di seppellire suo fratello Polinice, che ha combattuto con l’altro suo fratello, provocandosi reciprocamente la morte, contro la volontà di Creonte, re di Tebe
Il figlio più giovane di Edipo, Eteocle, esilia il fratello maggiore Polinice. Quest’ultimo attacca Tebe, ma né l’uno ne l’altro l’hanno vinta perché muoiono entrambi in battaglia. Eteocle riceve le onoranze funebri, che invece vengono rifiutate a Polinice, che lo zio Creonte considera un traditore della città. Saputo ciò Antigone – sorella di Eteocle – nonostante il consiglio dell’altra sorella, più giovane, Ismene, insiste affinché il corpo del fratello venga sepolto. Si reca quindi inizialmente da lui per rendergli omaggio da sola, e viene arrestata e condotta presso Creonte che giudica colpevoli entrambe le sorelle e decidedi imprigionarle rimproverando ad Antigone di aver disobbedito ai suoi ordini.
Ma Emone, figlio di Creonte, supplica il padre di lasciar libera Antigone, della quale è promesso sposo. Il re lo deride e ignora le sue suppliche.
Gli anziani ricordano allora al re che solo una delle sorelle ha infranto le leggi: Creonte dunque cambia idea e decide di condannare a morte la sola Antigone.
Mentre viene portata fuori da Tebe in una grotta ad attendervi la morte, l’indovino Tiresia avverte Creonte che gli dei sono molto irritati per la sua mancanza di rispetto verso i morti, e che tutto ciò porterà suo figlio alla morte.
Creonte, preoccupato, si affretta a far liberare Antigone, sepolta viva, e a far seppellire Polinice.
Emone stringe il corpo della fidanzata morta, si getta sul padre per ucciderlo, ma manca il bersaglio. Rivolge allora l’arma contro se stesso, uccidendosi. Creonte ritorna quindi al palazzo per apprendere che la moglie Euridice s’è tolta la vita dopo esser stata colpita dalla notizia della morte del figlio: resta così solo, chiuso nel suo dolore.
L’opera appartiene al ciclo di drammi tebani ispirati alla drammatica sorte di Edipo, re di Tebe, e dei suoi discendenti. Altre due tragedie di Sofocle, l’Edipo re e l’Edipo a Colono, descrivono gli eventi precedenti, benché siano state scritte anni dopo.
Sébastien Norblin, Antigone donnant la sépulture à Polynice – Public Domain via Wikimedia Commons
Antigone ed Emone, rispettivamente figli di Edipo e Creonte, erano profondamente innamorati e legati da una promessa matrimoniale. Creonte, zio di Antigone oltre che spasimante respinto, era riuscito a mettere le mani sul trono di Tebe dopo che i legittimi eredi, Eteocle e Polinice, fratelli di Antigone, si erano affrontati in un duello mortale per entrambi. Spinto dalla propria natura empia e malvagia, il Tiranno aveva ordinato di non dare sepoltura ai corpi dei due caduti. Contravvenendo a quell’ordine, però, Antigone innalzò una pira e vi adagiò sopra il corpo di Polinice, cui la principessa era legata da profondo affetto. Dall’alto di una terrazza, Creonte vide il bagliore delle fiamme del rogo e si precipitò sul posto, sorprendendo Antigone. In preda alla collera per essere stato disubbidito e cogliendo in quella, l’occasione per potersi vendicare del rifiuto di Antigone, Creonte ordinò al figlio, il principe Emone, di seppellire viva la ragazza nella tomba di Polidice. Emone finse di ubbidire. In realtà sposò l’amata e la mise in salvo affidandola ad un gruppo di pastori, tra i monti. Antigone ebbe un figlio che, come tutti nella sua famiglia, portava impresso sul corpo il segno del serpente. Quando, molti anni dopo, ormai cresciuto, il ragazzo si presentò ad una gara con l’arco, Creonte lo riconobbe dal segno, lo catturò e lo fece mettere a morte. Invano Emone tentò di salvare il figlio; alla fine uccise se stesso e l’infelice Antigone.
Sono partito per incontrare l’Uomo – o un dio? per incontrare Dio e un uomo. Ma questo non posso discuterlo con te elegante anziano signore al caffè dove bevo il mio te al latte verso sera. Perché arrivo da un paese dove si ascolta la rigida tempesta dell’inverno e il deserto dietro la tempia. E parlo una lingua in cui dio significa uomo e uomo dio E in questa lingua è scritta la poesia da questa dipende il suo destino
un corpo che sta dentro un corpo che va un qualcuno solo a metà
guadare il fiume del senza senso il venir meno quotidiano di pezzi di “sé’”: il sé dalle gambe dalle braccia dalla pelle, dal cuore infine dalla parola
come una perdita di rime
apparire solo sparendo, allucinazione e verità, non sono nulla di ciò che mi circonda
un resoconto sotto l’epidermide della stranezza: essere qualcuno solo a metà
può un inizio essere bugiardo? il mio lo fu come nacque in me l’idea? che m’ assedia quanto la scheggia di una bomba scoppiata in un’ altra testa
II
in me nascevano le idee poi le distruggevo come fanno gli uomini con le città c’era qualcuno che si toccava e non aveva scelta nei suoi occhi ma aveva una sorella che guardava e contava fino a dieci e poi ricominciava
saltava l’oggi numerava l’altro ieri che era cambiato il mese saltava l’oggi numerava un dopodomani che sarebbe cambiata la stagione
saltava il qui era sempre là e poi un poco più in là saltava il qui perché non lo cercava e non lo trovava ed era senza tempo e senza spazio sempre in penombra
era sì era. ma non sono sicura che ci fosse era ma forse non c’era
tutto l’universo non era abbastanza grande da accogliere il suo non esserci
III
saltava il padre che le mancava non aveva mai amato le paternità dell’ultimo minuto
Inquietudine di gesti assemblati nel vuoto e questa casa
piena di cose non fatte di cibi non digeriti di lacrime non accadute e ormai secche di parole pagliacce di carezze in cammino verso un altro destino di baci ululanti desiderio e nostalgia non era un’allegoria:
passeggia frenetica sul lungomare di una psicotica fretta e accade che ancora mi cerchi
l’indirizzo su una scheggia di carta o una pagina di vetro mi ha abitato come un’omissione
Voi che vivete sicuri Nelle vostre tiepide case, Voi che trovate tornando a sera Il cibo caldo e visi amici: Considerate se questo è un uomo Che lavora nel fango Che non conosce pace Che lotta per un pezzo di pane Che muore per un sì o per un no. Considerate se questa è una donna, Senza capelli e senza nome Senza più forza di ricordare Vuoti gli occhi e freddo il grembo Come una rana d’inverno. Meditate che questo è stato: Vi comando queste parole. Scolpitele nel vostro cuore Stando in casa andando per via, Coricandovi alzandovi; Ripetetele ai vostri figli. O vi si sfaccia la casa, La malattia vi impedisca, I vostri nati torcano il viso da voi.
Primo Levi Se questo è un uomo, Torino, Einaudi, 1976
il colore delle nostre vesti l’arancio aggredito dal rosso ciliegio quel lieve sentore di bugia l’emozione sgualcita a pezzi nel tappeto le fusa del gatto un gesto: l’ adagiarsi del corpo il suono della porta sul più bello
Non devi guardarmi per farmi sapere dove sei.So dove sei, anche se i tuoi occhi non mi trovano. So come respiri, come cammini, come pensi che io non senta ogni passo,ogni respiro che prende forma nell’aria.
Quando ti nascondi dietro il silenzio, non è che non ti sento.È che in quel silenzio,ti sento più forte.
Non c’è bisogno di dire parole che non hai voglia di dire Non serve che mi guardi per farmi sapere che ci sei.
So quando hai paura, e so quando il coraggio si nasconde. E ti vedo — anche quando tu pensi di non esserci.
Fiorella Giovannelli
Leggi anche altri articoli dell’autrice Elisa Mascia -Italia, grazie
Un ringraziamento speciale ai lettori di Alessandria today. Dal 2018, Alessandria today è un punto di riferimento con oltre 141.000 articoli su Cultura, Interviste, Poesie, Cronaca e molto altro. Grazie a voi, il nostro impegno continua a crescere e a raccontare storie che arricchiscono la nostra comunità. Visitateci su https://alessandria.today/ e italianewsmedia.com per essere parte della nostra avventura. Grazie di cuore per il vostro supporto!
Attorno alle tue luci verdi, danzo ebbro nel cielo,
porgendo una mano bianca che trattiene i fili d’amore, l’altra li abbraccia,
li pianta come sorgenti che sbocciano nella tua terra generosa.
M’illumino nel momento della rivelazione, un fiore di narciso che spezza le catene del tempo, in cerca del mio amore che dimora nelle profondità del mio cuore, la mia unica guida nel mio peregrinare.
Ogni volta che chiudo gli occhi, ti vedo con l’occhio della mia intuizione, o fiume di perle le cui sorgenti sono il cielo, che scorre dolcemente, inondando il mondo di luminosità. Non permettere che i dubbi diventino eserciti a occupare il tuo cuore, altrimenti periranno i fiori della certezza.
Non mi rivedi in te? Non vedi insieme a me come si dissipano le montagne della disperazione? Non vedi che il linguaggio dell’amore penetra la sordità nel disegno delle porte dell’oscurità? Non vedi come Dio ti ha creata e ti ha prescelta come compagna dell’anima? Non vedi come ti ho scelto come mia compagna?
Vieni, amiamoci e rivestiamoci di benedizioni che riempiono l’universo di melodie.
Kareem Abdullah -Iraq
سَيِّدةُ الدرويش حول أنواركِ الخضراء، أرقصُ ثَمِلاً في السماء، أمدّ يدًا بيضاء تُمسكُ خيوطَ المحبّة، تحتضنها أُخرى، تغرسها ينابيعَ تتفجّرُ في أرضكِ السخيّة. أتوهّجُ لحظةَ التجلّي، زهرةَ نرجسٍ تفكّ قيودَ الزمن، تبحثُ عن معشوقٍ يسكنُ شغافَ القلب، دليلي الوحيد في طوافي. كلّما أغمضتُ عينيّ، رأيتكِ بعينِ بصيرتي، يا نهرًا من الجُمان، منابعهُ السماء، يتدفّقُ سلسبيلاً، يغمرُ الدنيا بالضياء. لا تجعلي للشكِّ جيوشًا تحتلُّ قلبكِ، لئلّا تموت أزهارُ اليقين. ألا ترينَ فيكِ نفسي؟ ألا ترينَ معي كيف تتبدّدُ جبالُ اليأس؟ ألا ترينَ لغةَ العشق تخترقُ صممَ أبوابِ العتمة؟ ألا ترينَ كيف خَلَقكِ اللهُ واصطفاكِ نديمةً للروح؟ ألا ترينَ كيف أصطنعكِ رفيقةَ دربي؟! تعالي نعشق أنفسنا، وننهمر كراماتٍ تورقُ أنغامًا تملأُ الكون.
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IL POETA é PADRE E INSIEME MADRE DI FIGLI NON NATI
Il poeta è padre e insieme madre di figli non nati . La sua amante e la sognante inventata parola. Con lei ha rapporti sessuali come con sua moglie, fatta di carne e ossa, non solo a casa, nel letto, ma anche nel bosco lussureggiante, su uno scoglio al mare e nel mare, nella landa, illuminata dal sole, in qualche buio corridoio… Nella fredda chiesa deserta e al cinema, pieno di corpi sudati … Per la sua immacolata concezione i loro peccati è punito con una perenne gravidanza. In lui cresce
il vuoto che vuole trascendere l’infinito vuoto che lo circonda… il poeta è padre e insieme madre di figli non nati… Ed è contento delle proprie doglie
vorrei… vorrei avere occhi di cristallo trasparenti e fulminanti mani che tolgono la polvere anche ai sogni orecchie che avvertono i punti morti nel cammino odori col profumo di maree che lanciano speranze sulla riva
tu che mi accarezzi
e invece… … solo malintesi: una formica ci passeggia sopra
il mondo, quel vecchio usuraio, come sempre, continua a prestare e a esigere interessi non dovuti
Ormai da giorni rimugino sul mio resoconto del lavoro svolto con i profughi non ce la faccio proprio a metterlo sulla carta quell’odore odore di gente di creature umane quell’odore dolciastro un misto di urina di vomito di sangue mestruale di sangue di feci di sudore di gente spaventata
ormai da giorni rumino questo resoconto nei sogni è il resoconto a ruminare me mi perseguita insomma come dire
«Per loro tutto può andar bene!» il sudicio pavimento di cemento i vestiti fradici le interminabili attese in fila esattamente in una fila 2000 persone in un’unica fila una dietro l’altra per ore e ore per 2 pezzi di pane pesce in scatola una mela e mezzo litro di latte per l’acqua per mezzo litro d’acqua
ormai da giorni rumino questo rapporto già da giorni mi tormento come comporlo insomma come raccontare che la gente mi faceva segno sono affamato sono affamata siamo affamati dimagriti stanchi sporchi rassegnati
come raccontare che li sorvegliavamo come i peggiori e i più pericolosi nemici avvertendo la gente del luogo di non lasciar passare i loro animali dove erano passati loro potrebbero contrarre malattie terribili la tubercolosi, il colera, la scabbia, i pidocchi
«Neanche per sogno! Non sperate davvero che io vada a pulire le tende finché c’è anche uno solo di quella marmaglia infernale!» sbraitava una signora anziana mandata dai servizi sociali «Non voglio avere a che fare con loro, che tornino là da dove sono venuti!» strillava a notte fonda durante una delle notti più serene nel campo svegliandosi di soprassalto dal placido sonno dei giusti
come raccontare come descrivere la scena iniziale quando son giunta per la prima volta alla fabbrica Beti la mattina presto prima dell’alba
nei campi vicini silenzio nebbia in lontananza invece fasci di luce dei fari elicotteri suono insistente di sirene veicoli della polizia esercito con i loro furgoni e camionette armati fino ai denti agenti specializzati con passamontagna nero sul viso e il casco in testa muniti di giubbotti antiproiettile mitragliatrici rivoltelle sfollagente scudi e volti mascherati perfino i membri del servizio umanitario con guanti e maschere da naso e bocca
eppure dappertutto quell’odore quell’odore intenso e dolciastro odore umano
Ascolta bene, figlio mio: le bombe cadevano su Città del Messico ma nessuno se ne rendeva conto. L’aria portò il veleno per le strade e dentro le finestre aperte. Tu avevi appena mangiato e guardavi alla tele i cartoni animati. Io leggevo nella stanza accanto quando capii che stavamo per morire. Nonostante le vertigini e la nausea, mi trascinai nella sala da pranzo e ti trovai sul pavimento. Ci abbracciamo. Mi hai chiesto cosa stava succedendo e io non dissi che eravamo nel programma della morte, ma che stavamo per iniziare un viaggio, un altro, insieme, e che non dovevi avere paura. Quando se ne andò, la morte nemmeno ci chiuse gli occhi. Che cosa siamo?, mi domandasti una settimana o un anno dopo, formiche, api, cifre sbagliate nella grande zuppa marcia del caso? Siamo esseri umani, figlio mio, quasi uccelli, eroi pubblici e segreti.
Siete pronti a venir cancellati raschiati via, soppressi ridotti a nulla?
Siete pronti ad essere ridotti a nulla, ad essere immersi nell’oblio?
Se no, non cambierete mai davvero.
La fenice rinnova la sua giovinezza soltanto quando è arsa, arsa viva arsa fino ad essere calda, fioccosa cenere. Allora il piccolo agitarsi di un nuovo piccolo nato nel nido con fili di lanugine come cenere fluttuante mostra che lei sta rinnovando la sua giovinezza come fa l’aquila, alato immortale
Dici: per noi va male. Il buio cresce. Le forze scemano. Dopo che si è lavorato tanti anni noi siamo ora in una condizione più difficile di quando si era appena cominciato.
E il nemico ci sta innanzi più potente che mai. Sembra gli siano cresciute le forze. Ha preso una apparenza invincibile. E noi abbiamo commesso degli errori, non si può negarlo. Siamo sempre di meno. Le nostre parole d’ordine sono confuse. Una parte delle nostre parole le ha stravolte il nemico fino a renderle irriconoscibili.
Che cosa è errato ora, falso, di quel che abbiamo detto? Qualcosa o tutto? Su chi contiamo ancora? Siamo dei sopravvissuti, respinti via dalla corrente? Resteremo indietro, senza comprendere più nessuno e da nessuno compresi?
O contare sulla buona sorte?
Questo tu chiedi. Non aspettarti nessuna risposta oltre la tua.