“Alda Merini. L’eroina del caos” – Un Viaggio nel Cuore di una Poetessa Incontrastabile. Recensione di Alessandria today

“Attraverso il Caos, la Poesia di Alda Merini”

Annarita Briganti, in “Alda Merini. L’eroina del caos”, ci porta nell’intimo mondo di Alda Merini, una delle più grandi poetesse italiane, esplorando la sua vita travagliata, la sua arte sconvolgente e la sua lotta contro la malattia mentale. Questo ritratto biografico non si limita a narrare eventi, ma tenta di catturare l’essenza di una donna la cui esistenza è stata segnata da un genio poetico indissolubilmente legato al tumulto emotivo e creativo.

Briganti ci presenta una Merini che vive nel caos, lo affronta, e lo trasforma in arte. Con un linguaggio che si fa specchio del suo soggetto, l’autrice dipinge una figura di inestimabile importanza nel panorama letterario, mostrando come la sua poesia emerga dalla disordine come qualcosa di puro, necessario e inevitabile.

Il libro è una narrazione intensa e commovente che, attraverso interviste, aneddoti e analisi, ci fa conoscere la Merini non solo come artista, ma anche come donna, amante, madre e paziente psichiatrica. Ci porta a comprendere che il caos, per Merini, non era soltanto una condizione esistenziale, ma un luogo creativo, una fonte inesauribile di ispirazione.

“Alda Merini. L’eroina del caos” è quindi un viaggio che va oltre la biografia per divenire un’esplorazione della condizione umana, un omaggio a una donna che ha vissuto in bilico tra dolore e bellezza e che ha lasciato un’impronta indelebile nella cultura italiana. Per chiunque sia affascinato dal legame tra creatività e follia, o per chi cerchi di capire come la poesia possa nascere dal più profondo disordine, questo libro è una lettura fondamentale.

“L’altra verità. Diario di una diversa” – Il Mosaico Intimo di Alda Merini. Recensione di Alessandria today

“L’altra verità. Diario di una diversa” di Alda Merini è molto più di un diario: è una confessione poetica, un intreccio di ricordi, pensieri e sensazioni che escono dall’anima turbolenta di una delle voci più autentiche e struggenti della letteratura italiana del Novecento.

Merini si spoglia delle convenzioni, rivelando la sua “altra verità”, quella che scava nelle pieghe della diversità, della follia e del dolore, ma anche dell’amore, della passione e della spiritualità. Ogni pagina è un frammento di vita vissuta con intensità bruciante, ogni parola trasuda la sincerità di chi ha fatto della propria esistenza una perenne opera d’arte.

Il libro si presenta come un viaggio nel profondo, dove la Merini si confronta con le proprie ombre, le proprie luci, le istituzioni psichiatriche, la società e la solitudine, il tutto permeato da una poesia che è come un fiume in piena: talvolta dolce, talvolta devastante.

Leggere “L’altra verità” richiede coraggio. È una lettura che non lascia indifferenti, capace di commuovere e di disturbare, di sollevare interrogativi e di offrire, a suo modo, conforto. Non si può uscire indenni dall’incontro con queste pagine, così come non si può rimanere gli stessi dopo aver incrociato lo sguardo della Merini attraverso le sue parole.

Questo diario è un invito a incontrare Alda Merini, la donna, la poetessa, l’eterna “diversa”, che ha vissuto la vita con la passione di chi sa che l’arte è l’unico vero antidoto contro l’incomunicabilità dell’esistenza.

“L’altra verità. Diario di una diversa” non è un libro da leggere, è un libro da vivere. Ogni frase vi trascinerà in un mondo dove poesia e realtà danzano insieme, senza mai lasciarsi.

Recensione: “Navigare i Misteri – La Suspense di ‘Onde di Inganni di Miriam Maria Santucci'”. A cura di Alessandria today

“Onde di Inganni” di Miriam Maria Santucci è una tessitura complessa di destini e misteri in mare aperto. Ambientato sul transatlantico Eugenio Costa negli anni ’80, il romanzo si dipana tra le correnti di intrighi personali e segreti profondamente custoditi, evocando le sfumature oscure dell’animo umano in un luogo in cui la fuga è impossibile e ogni onda potrebbe portare alla luce la verità.

Santucci ci introduce in un microcosmo fluttuante dove ogni passeggero porta con sé una storia, un segreto, un peso dell’anima. La vita del giovane cameriere incaricato dell’intrattenimento si intreccia con quella dei viaggiatori, diventando testimone e partecipe di rivelazioni che scuotono l’esistenza di tutti a bordo.

Il romanzo avvince, pagina dopo pagina, con colpi di scena e rivelazioni, come onde che si infrangono contro lo scafo di una nave, lasciando il lettore con il fiato sospeso. La bambina al centro della storia diventa il fulcro attorno al quale ruotano le esistenze degli altri personaggi, un simbolo di innocenza che cela un potere capace di cambiare il corso degli eventi.

Santucci ha tessuto una narrazione dove l’oceano non è solo lo scenario ma il medium stesso delle verità che emergono. “Onde di Inganni” è un viaggio nel cuore di un mistero, dove il desiderio di giustizia e la lotta per proteggere ciò che si ama si scontrano con la volontà di svelare l’inganno.

Per gli amanti dei thriller psicologici e delle storie che esplorano la profondità delle relazioni umane all’interno di ambientazioni chiuse e intense, “Onde di Inganni” è un libro che promette un’avventura emozionante, ricca di suspense e introspezione, guidando il lettore attraverso le onde tumultuose del destino umano.

“Donne in musica: un viaggio tra le compositrici del passato” di Maria Rosaria Teni 

Durante questo mese si intrecciano sempre più frequentemente riflessioni e discussioni incentrate sul ruolo della donna, sulla questione di genere e sulla personalità femminile che viene messa sotto la lente della ricerca e della storia. In questa sede vorrei proporre una considerazione che riguarda la storia delle donne nel percorso che queste hanno compiuto nel mondo musicale, in cui si ritrovano talenti e personalità molto interessanti che meritano tutta la nostra ammirazione, ma di cui poco conosciamo; proseguendo in ricerche più approfondite vediamo che le donne musiciste e compositrici sono tante, ci sono sempre state, spesso apprezzate e riconosciute nell’epoca in cui sono vissute. Mi sembra quindi quasi un dovere riportarle alla luce e far udire i loro suoni perché è necessario ricostruire una storia femminile per riconoscere l’operare delle donne nel presente. Le musiche delle donne fanno parte del “patrimonio sepolto” dell’umanità e il lavoro di recupero ha quindi assunto anche l’aspetto della riconoscenza verso queste donne del passato che hanno aperto una strada e una possibilità per altre donne.

La relazione tra donne e musica, soprattutto se compositrici, è da sempre oggetto di ricerche e di studi, anche per la persistenza, tuttora evidente, di una disparità di presenze in campo compositivo e direttoriale che, seppur tendente ad una lenta riduzione, non viene del tutto superata, soprattutto perché a priori preclusa alle donne, per le quali la strada tracciata da secoli di consuetudini familiari prevedeva soltanto la vita familiare o la vita del convento. All’origine delle mie ricerche sono stata attratta dall’attività musicale di tante giovani musiciste che hanno creato pagine di musica di ottimo livello e qualità. Se guardiamo alla storia possiamo risalire nei tempi più antichi a HILDEGARDE VON BINGEN, (1098-1176) mistica, santa, scrittrice, compositrice, benedettina tedesca che è stata una delle personalità più poliedriche e complesse del Medioevo religioso. Affermava che la MUSICA è strumento di riscatto concesso agli esseri umani per inserirsi nell’armonico ordine cosmico. Anticipatrice sui tempi e numerose testimonianze parlano della presenza di strumenti musicali nei conventi; nel chiuso dei monasteri si suonava e si componeva, sfidando anche la Chiesa che nei conventi aveva proibito l’uso degli strumenti musicali, ritenendo che la musica fosse una delle cause di perdizione per le suore.  Il Concilio di Trento (1545-63), infatti, per ridare uniformità alla liturgia in tutta la Chiesa cattolica occidentale, aveva indicato la necessità di eliminare dal patrimonio musicale le pratiche che si erano accumulate negli ultimi tre secoli (uso di melodie profane, di strumenti, di voci femminili, abitudine all’improvvisazione virtuosistica, sovrapposizione di voci e melodie ecc.) e, soprattutto, rispose all’esigenza di far tornare alla chiarezza i testi della liturgia. Il tema della musica conventuale era stato al centro di un dibattito particolarmente controverso e si proibiva l’esecuzione di qualsiasi cantilena o mottetto, mentre nelle Messe solenni si permise solo l’esecuzione di alcuni canti specifici: GLORIA, il SIMBOLO, l’INTROITO, il GRADUALE e l’OFFERTORIO. Il risultato è stato quindi che anche nei conventi, dove peraltro la musica completava l’educazione delle fanciulle ospitate, l’attività musicale entrava in conflitto con la morale (molti scandali all’interno dei conventi dove si rifugiano fanciulle nobili che sono spinte prevalentemente da ragioni economiche più che religiose).  Tutto questo porta all’EDITTO del 4 maggio 1686 promulgato da Innocenzo XI, che vietava perfino l’insegnamento della musica alle donne, considerandolo pericoloso per la loro salute morale e motivo di corruzione. Si specificava inoltre che bisognava dotare tutti i cori di gelosie e di grate, strette e alte, in modo che musici e cantori non fossero visti.

Ed è forse a causa di queste restrizioni che pochissime compositrici scrivono musica strumentale e tra l’altro faticano a essere conosciute, anche se in realtà sono tante e ricche di talento. ISABELLA LEONARDA, (Novara, 6 settembre 1620 – 25 febbraio 1704) la più prolifica di tutte le compositrici del Seicento, è una delle pochissime eccezioni a questa regola, essendo autrice di 12 Sonate per uno o due violini. 

 MARGARITA COZZOLANI (1602 – 1678)- Compositrice italiana, una monaca Benedettina che ha vissuto la sua intera vita fra le mura di un monastero non lontano dal Duomo di Milano, La sua musica era destinata rimanere nascosta fra le mura del convento, ma la bellezza delle sua opera è rimasta nel tempo.– CLAUDIA SESSA (1570 circa – Milano, tra il 1613 e il 1619) è stata una cantante, compositrice e monaca cristiana- SULPITIA CESIS (Modena, 1577 – 1619 circa)compositrice e liutista italiana. 

LUCRETIA ORSINA VIZZANA (3 luglio 1590 – 7 maggio 1662) monaca bolognese è stata una cantante, organista e compositrice italiana. CLAUDIA FRANCESCA RUSCA (1593 – 1676) monaca cristiana, compositrice e musicista italiana. CATERINA ASSANDRA (Pavia, 1590 circa – 1618 circa) è stata una compositrice italiana e monaca benedettina. Scrisse numerosi mottetti e diverse composizioni per organo.

Nel 1600 quindi appare evidente come le possibilità per una donna di affermarsi in campo musicale che non fosse quello dei monasteri era estremamente limitato. Tuttavia 

Tra le compositrici non religiose FRANCESCA CACCINI (1587 – 1640) è stata una compositrice, clavicembalista e soprano italiana. Fu la prima donna a scrivere un’opera e probabilmente la più prolifica compositrice del suo tempo. BARBARA STROZZI Venezia, 1619 – Padova, 11 Novembre 1677- MARIETA MOROSINA Compositrice. Componente della nobile famiglia Morosina di Venezia. fiorita nel 1665 – ? MADDALENA CASULANA 1544; fiorita a Vicenza, 1566-1583- ANNA BON Russia 1739 – ? ANTONIA BEMBO Venezia, 1640 – Parigi, 1720 Compositrice italiana e cantante.

Indagando ulteriormente le fonti relative alla conoscenza della musica composta dalle donne, il quadro di Venezia e degli Ospedali Veneziani è stato decisamente ispiratore da questo punto di vista, perché all’interno di esso c’era una fiorente attività di musiciste, caso molto particolare visti i tempi – nel XVIII secolo –  in cui la musica, come già detto, era impedita alle donne. In realtà il fenomeno si andava già manifestando in altre città come Napoli, Bologna, con allievi di sesso maschile, ma a Venezia questi istituti, precursori dei Conservatori divengono una vera e propria fucina di talenti con la prestigiosa l’attività dei Cori composti esclusivamente da fanciulle. Si sono chiamati Conservatori, perché erano deputati a proteggere l’onore e l’onestà di fanciulle povere e orfani, secondo un processo di recupero di strati emarginati della popolazione.   erano istituzioni laiche, rette da una congregazione di nobili e cittadini sotto il controllo dei competenti organi dello Stato veneziano; esistono documenti in cui si insiste sulla necessità che questi luoghi restino laici e indipendenti dalla chiesa.

Probabilmente questa indipendenza dalla Chiesa è uno dei fattori che permise lo svilupparsi del fenomeno musicale all’interno di questi luoghi. Va comunque osservato che la chiesa di Venezia manteneva una certa autonomia da quella di Roma e, come la città nel suo complesso, era probabilmente di idee più aperte, anche in merito alle questioni attinenti la musica e l’istruzione femminile. Questi Istituti disponevano di un patrimonio derivato da donazioni, beneficenze, eredità; in alcuni momenti ci furono contributi dello Stato ma in misura molto ridotta, anche se la tendenza era di mantenersi autonomi sia dalla Chiesa che dallo Stato.

È stato così che nel corso delle mie ricerche mi sono imbattuta in un fenomeno peculiare costituito dalla presenza di un numero rilevante di figure femminili che si sono distinte e affermate in un contesto storico particolare, affascinante e poco conosciuto, rappresentato dall’ attività dei quattro Ospedali operanti nella Serenissima in Età Moderna. I quattro grandi Ospedali (dei Mendicanti, della Pietà, degli Incurabili e dei Derelitti, noto quest’ultimo anche come Ospedaletto) sono stati concepiti inizialmente per essere istituti di accoglienza, rappresentando luoghi di recupero, redenzione, dimora per tanti poveri, miserabili, emarginati dell’epoca. Ben presto, tuttavia, l’attività dei grandi Ospedali si è diversificata, arricchendosi di contenuti educativi e formativi, quali l’insegnamento di un mestiere per i giovani e l’insegnamento della musica per le fanciulle.

All’interno dei Conservatori vigeva un sistema di educazione piramidale: ogni bambina era affidata a una ragazza più grande che aveva in carico la sua educazione musicale e generale, il tutto sotto la sorveglianza di una maestra che era responsabile, di fronte al maestro esterno e di fronte ai governatori, del comportamento di ognuna oltre che della riuscita artistica delle esecuzioni. I Conservatori veneziani divennero quindi delle vere e proprie scuole femminili di musica dove veniva impartito l’insegnamento del canto e di tutti gli strumenti musicali e si arrivò a costituire al loro interno gruppi vocali e strumentali di altissimo livello. Le funzioni religiose si trasformarono perciò in veri e propri concerti che attiravano sempre più pubblico Da storica della musica sono stata attratta dall’attività musicale di queste giovani musiciste che non si sono limitate al puro apprendimento ma hanno dato vita a composizioni   di ottimo livello e qualità, affermandosi dapprima all’interno degli Ospedali stessi per giungere a calcare le scene dei teatri nelle varie capitali europee.  

 Pur trovandomi dinanzi la complessità di indagare in un campo di ricerca tuttora poco conosciuto, ho sentito la necessità di mettere in luce, nel mio saggio “Una donna e la sua musica: Maddalena Laura Lombardini Sirmen e la Venezia del XVIII secolo”, Bibliotheca Minima, 2007, la straordinarietà di questa presenza tutta al femminile, con l’obiettivo di restituire memoria e onore alle donne, e in questa sede, alle donne musiciste.  Per la maggior parte dei casi si registrano esempi di donne che sono ricorse a pseudonimi o a vedere le proprie opere private della loro appartenenza creativa per essere pubblicate col nome del marito o del fratello, come nel caso di Maddalena Lombardini, di cui tratteremo in questo contributo, di Fanny Mendelssohn che pubblicò pochi Lieder, apparsi col nome del fratello Felix, e ancora Anna Magdalena Bach, Clara Wieck, moglie di Robert Schumann, solo per citarne alcune. Se guardiamo alla storia, apprendiamo che il genio femminile ha dovuto sottostare a veti e condizionamenti sociali in epoche in cui il ruolo della donna era soprattutto quello dell’accudimento, della cura e del sostegno all’interno del nucleo familiare. Le leggi vietavano alle donne di esercitare professioni e anche di esibirsi nei teatri e perfino nelle chiese. Si pensi all’Editto del 1686, promulgato da  Innocenzo XI, che proibiva l’insegnamento della musica alle donne, considerandolo pericoloso per la loro salute morale. 

Tutto ciò portò anche un notevole disagio per le suore compositrici all’interno dei monasteri che dovettero affrontare un destino ancora più difficile. Si apprende che nel Cinque/Seicento vi fu un numero elevato di giovani donne appartenenti a famiglie benestanti accolte nei monasteri sia per motivi economici che per scopi politici. Il matrimonio di rango era prevalentemente riservato alle primogenite mentre le secondogenite erano avviate alla vita monastica che richiedeva una dote minore. Da ciò si deduce il ricorso alla pratica musicale da parte delle suore che, all’interno dei conventi, allietavano le funzioni con inni e salmi cantati e spesso composti per l’occasione dalle sorelle più talentuose. La complessità dei rapporti tra l’attività musicale e l’inveterata concezione della figura femminile si è protratta per secoli, con alterne vicende che hanno condotto ad un’apertura al mondo femminile e ad un progressivo seppur debole riconoscimento del ruolo delle donne musiciste, anche se, allo stato attuale degli studi, perdura e si riscontra ancora una sostanziale carenza di materiale documentario relativo all’attività di donne compositrici e musiciste di epoche passate. Sono stati condotti studi e approfondimenti soprattutto all’estero e particolarmente significativo appare il contributo di   Jane Baldauf – Berdes, musicologa americana e di Elsie Arnold studiosa britannica nonché di Patricia Adkins Chiti, massima divulgatrice e curatrice della musica al femminile. 

Determinante è stato venire a conoscenza degli Ospedali Veneziani, motivo ispiratore da cui sono partite le mie ricerche e che mi hanno consentito di conoscere tutta una fiorente attività di musiciste ricoverate all’interno di questi istituti assistenziali presenti nella Repubblica Veneta sin dal Cinquecento; un raro caso di eccezionale presenza di donne musiciste in tempi in cui la musica era preclusa alle donne. In realtà il fenomeno degli istituti di accoglienza e di formazione per la gioventù si andava già manifestando in altre città come Napoli, Bologna, Roma con allievi di sesso maschile, ma a Venezia questi istituti, precursori dei moderni Conservatori, divengono una vera e propria fucina di talenti grazie alla prestigiosa attività dei “Chori” composti esclusivamente da fanciulle e anche alla presenza di maestri illustri del calibro di Vivaldi. Con il progressivo consolidarsi degli Ospedali fu data l’opportunità alle giovani ospiti di essere ammesse all’accompagnamento di funzioni liturgiche per giungere, in un secondo momento, ad essere selezionate per imparare la musica e accedere alla composizione degli organici strumentali e dei “Chori”. Stretto è infatti il rapporto che si instaura tra gli Ospedali Veneziani, presenti nella Repubblica Veneta fin dal XIV secolo e la nascita di “Chori” all’interno di essi, costretti a celarsi dalle grate esistenti nelle Chiese annesse agli ospedali, e il successivo sviluppo dell’attività musicale ad opera di fanciulle ivi alloggiate. L’attività musicale elaborata dai quattro grandi Ospedali veneziani nel corso del XVIII secolo e le spinte culturali messe in atto già dal XVI secolo con i grandi disegni riformatori dello Stato sono stati decisivi per promuovere la nascita e lo sviluppo di alcune figure di musiciste che si sono presto distinte, non solo all’interno delle istituzioni veneziane, ma anche fuori dai confini claustrali e rigidamente organizzati degli Ospedali. Da ciò appare evidente il carattere innovativo di queste strutture che, introducendo l’insegnamento della musica per le fanciulle ospitate al loro interno, hanno offerto loro un’opportunità di emancipazione dai ruoli a cui le donne erano destinate da secolari consuetudini: il matrimonio o il convento. 

Negli Ospedali, insomma, la condizione femminile poteva essere ribaltata innescando, grazie alla musica, un profondo cambiamento sociale che ha permesso successivamente, ad alcune di esse, la possibilità di realizzarsi anche sul piano professionale. L’interesse per queste musiciste è inoltre accresciuto dal fatto che si tratti di donne capaci di inserirsi in una sfera di salda tradizione maschile; l’esibizione di una donna strumentista era considerata, ancora nel XVIII secolo, un evento eccezionale e il caso delle “Figlie del Choro”, tra cui spiccavano strumentiste di grande abilità e talento, ha avuto grande rilievo soprattutto per aver aperto la strada in un mondo ancora chiuso e diffidente verso la posizione delle donne musiciste.

 La funzione di Venezia come sfondo culturale è stata fondamentale per il percorso musicale delle giovani musiciste; nella città lagunare le arti prosperavano, la circolazione musicale era intensa e, pertanto, la stessa esuberanza creativa di giovani virtuose era agevolata ad esprimersi liberamente in quanto non vincolata entro i limiti imposti da consuetudini vetuste che inquadravano la figura femminile in ruoli stereotipati e convenzionali. La Venezia del XVIII secolo aveva la fama di essere la più gaia e contraddittoria delle capitali europee, con il suo Carnevale in cui uomini e donne mascherati indulgevano a libertà rese possibili dalla finzione, creando un’aria di festa perenne che si trasmetteva anche sull’intera città.  Venezia appariva ancora come un ineguagliabile modello di stabilità, dopo essere sopravvissuta alle ostilità dei secoli passati, e  suggeriva ai suoi visitatori impressioni di estrema bellezza ed armonia, che vengono celebrate nelle pagine di viaggiatori ammaliati dalla grazia e dal fascino della città lagunare e si esprimevano con  tali parole di ammirazione: “E’ un piacere, non senza un misto di sorpresa, comprendere perché può essere veramente chiamata grande una città come Venezia, dal momento che si vedono, fluttuanti sulla superficie del mare, ciminiere e torri, dove non ci si potrebbe aspettare altro che alberi di navi. Essa è circondata dalle acque, almeno cinque miglia distante da qualsiasi terra ed è, in questo modo, difesa dal suo fluido baluardo, meglio che da mura e bastioni; perché basta che i Veneziani sradichino i loro alberi fuori dalla laguna e possono sfidare ogni vascello straniero che si avvicini ad essi attraverso il mare; e attraverso la terra non c’è possibilità di avvicinarsi a loro.

Grazie alle peculiarità politico-sociali della città lagunare è stato possibile che giovani musiciste potessero diventare concertiste apprezzate anche in Europa ed essere indicate come le migliori virtuose dell’epoca, usufruendo anche di una relativa indipendenza economica.  Si ricordano i nomi di Chiaretta, una delle migliori allieve di Vivaldi alla Pietà, considerata tra i migliori violinisti italiani del tempo, di Diamantina, nata intorno al 1715 che tenne concerti anche in Inghilterra, Michielina della Pietà ( 1701-1744) che compose una Litania per la Festa della Natività, Santa della Pietà che studiò violino sotto la Maestra Anna Maria della Pietà e le successe come direttore dell’Orchestra del medesimo Ospedale e colei che venne definita la “Regina del violino”, Anche gli altri conservatori ebbero allieve divenute poi famose, come la violinista Giacomina Stromba degli Incurabili e un’altra valida violinista, nonché maestra di coro, Antonia Cubli dei Mendicanti, che nel 1774 divenne Priora dello stesso istituto. Santa della Pietà, anche nota come Sanza o Samaritana (Venezia, circa nel 1725 – dopo il 1774), è stata una cantante, compositrice e violinista italiana della Repubblica di Venezia.

Compositrice, cantante e violinista. Trovatella venne accolta nell’ Ospedale della Pietà a Venezia. Sin dalla prima infanzia ricevette un’istruzione musicale nel coro (scuola di musica) diventando solista di contralto, violinista e compositrice durante la gestione di Giovanni Porta, Nicola Porpora, ed Andrea Bernasconi. Studiò il violino con la maestra Anna Maria della Pietà. Vincenta Da Ponte Membro del coro dell’Ospedale della Pietà a Venezia durante la gestione del direttore d’orchestra Bonaventura Furlanetto. Il suo cognome patrizio indica che lei non era una trovatella, come la maggior parte delle presenti al Pietà, ma che si trattava di un’allieva esterna a pagamento o di una persona alla quale era stata riconosciuta una borsa di studio. (La scuola di musica era stata fondata nel tardo diciassettesimo secolo per formare delle ragazze come musiciste e riservata più tardi esclusivamente alle figlie della nobiltà). Anna Bon Compositrice e cantante. Nel 1743, all’età di quattro anni entrò come alunna all’Ospedale della Pietà di Venezia. Probabilmente tra il 1743 e la fine del 1754 raggiunse i suoi genitori durante le loro esibizioni a San Pietroburgo, Dresda, Potsdam e Regensburg.

  Dal conservatorio dei Mendicanti emerge una delle più apprezzate e sensibili musiciste italiane del Settecento: Maddalena Laura Lombardini (1745 – 1818), violinista, compositrice, clavicembalista e non ultimo cantante.  

   Maddalena Laura Lombardini è stata una delle prime a rompere il vincolo a cui erano sottoposte le “Figlie del Choro”, quello di non esibirsi pubblicamente, e ad intraprendere un’intensa carriera concertistica, E questa è senz’altro una grande conquista, se pensiamo che qualche decennio prima papa Innocenzo XI aveva dichiarato in un editto che “la musica è completamente ingiuriosa per la modestia che è propria per il sesso femminile” e ancora che “nessuna donna nubile, sposata o vedova di qualsiasi rango, stato o condizione, incluso quelle che per l’educazione o altro vivono in conventi o conservatori, possono, sotto qualsiasi pretesto imparare la musica”.  Il suo ruolo, nell’ultimo terzo del Settecento, quale concertista di fama sui palcoscenici pubblici, da Parigi a San Pietroburgo, merita di essere riscoperto e rivalutato, considerando soprattutto che fu una tra le poche artiste uscite dai “Chori” degli Ospedali, ad affermarsi sulla scena internazionale. Ci sembra opportuno sottolineare che, sebbene Maddalena non provenisse da una famiglia di musicisti, ciò non le impedì di essere comunque accolta (quando non aveva ancora compiuto otto anni, essendo nata il 9 dicembre 1745) in quella che era ormai considerata una delle più famose scuole musicali di Venezia, appunto l’Ospedale dei Mendicanti. Dotata di un ingegno artistico straordinario, è stata una delle prime compositrici a guadagnarsi il merito di protagonista nei più grandi teatri d’Europa, in qualità di raffinata esecutrice e virtuosa interprete accanto a musicisti di indiscussa notorietà. Per i musicologi, la Lombardini è diventata importante per essere stata destinataria di una missiva del celebre violinista Giuseppe Tartini, il cui originale è conservato presso la Sezione di Pirano dell’Archivio Regionale di Capodistria; in essa sono esposti i principi didattici della sua scuola violinistica, in una sorta di “lezione per corrispondenza”. La lettera è, in effetti, uno dei primi documenti didattici sul violino moderno, in cui si passava da una fase in cui lo strumento era usato prevalentemente in orchestra ad una di puro virtuosismo basato sulla diversa esecuzione del trillo e sulle regole della condotta dell’archetto, non trascurando di mettere in dovuto rilievo l’importanza dell’espressione e dell’esecuzione degli abbellimenti; con la raccomandazione infine di eseguire abitualmente le opere del maestro Corelli. La traduzione della lettera, nel 1771, ad opera di Charles Burney avvenuta dopo la sua pubblicazione postuma a Venezia, nel giugno 1770, ne “L’Europa Letteraria”, portò ulteriore popolarità a Maddalena che, nel corso della sua vita, ha dimostrato indubbiamente una grande tenacia nel perseguire una carriera assai difficile per una donna e una volizione ammirevole che le ha consentito di imporsi in un ambiente che raramente accettava musiciste e soprattutto compositrici. In questo difficile contesto può essere senz’altro considerata come un prodotto eccezionale degli Ospedali veneziani e degli stimoli culturali e sociali presenti nella città lagunare. Il legame matrimoniale con Ludovico Caspar Sirmen (1738-1812), violinista di Ravenna, ha rappresentato per Maddalena la possibilità di uscire dai confini claustrali e di crescere, sia professionalmente che umanamente, consentendole di estrinsecare il suo talento e la propensione alla carriera di musicista, tenendo conto che la permanenza negli ospedali era consentito fino all’età di 23 anni; in seguito bisognava decidere se rimanere e prendere i voti o seguire la strada del matrimonio. Il mondo musicale in cui Maddalena si era inserita era popolato da compositori come Vivaldi, Haydn, Mozart e Boccherini, solo per citare i più famosi, e i teatri erano affollati da strumentisti e musicisti che si sfidavano continuamente per occupare la ribalta. Era del tutto inconsueto pertanto trovare, tra questi artisti, donne in grado di affermarsi e di ottenere successo attraverso proprie composizioni, come Maddalena, che fu apprezzata compositrice (oltre che violinista e cantante); successo confermato peraltro dalle numerose edizioni stampate delle sue opere. I suoi primi lavori sono i Sei Quartetti per archi, pubblicati per la prima volta durante il soggiorno parigino, in collaborazione con il marito e con l’attribuzione della doppia paternità, tenendo conto che, in ossequio alla consuetudine del tempo, vi era una certa difficoltà da parte degli editori nel pubblicare musiche composte da donne. Ne consegue dunque che la pubblicazione della sua musica sotto il nome del marito non avrebbe costituito plagio, poiché per legge tutte le proprietà della donna, compresi i prodotti della sua creatività, appartenevano al marito, come parte dei diritti di lui sulla  dote.   

Seguono i Sei Trii per due violini e violoncello, un Trio per Archi in Si bem. magg., i Sei Duetti per due violini e infine la Sonata in La magg. per violino, sicuramente una delle ultime composizioni. L’opera fondamentale, tuttavia, può essere considerata i Sei Concerti per violino Opus III. nella quale si riscontrano dei procedimenti progressivi di tecnica e di stile e si assiste ad una brillante dimostrazione della tecnica degli abbellimenti, supportata da un frequente cromatismo introdotto da innovazioni melodiche e alternanza di armonie in modo maggiore e minore.

Il pregio ed il valore riconosciuto a queste grandi musiciste sta lentamente favorendo sempre maggiore interesse nei confronti della musica prodotta dalle donne, sia in ambito storiografico che musicologico; emerge una presenza femminile viva e significativa che consente di recuperare una visione costruttiva dell’identità femminile, non solo nel contesto musicale, ma anche sociale, con la progressiva presa di coscienza di emancipazione dal sistema patriarcale.

Maria Rosaria Teni

 P. Sarpi, Istoria del Concilio Tridentino, Torino, Einaudi, 1974. Cfr.: A. Prosperi, Il Concilio di Trento: una introduzione storica, Torino, Einaudi, 2001.

 Sulle monacazioni forzate cfr. Canosa 1991, pp. 133–136; Zarri 1997; Novi- Chavarria 2001, pp. 67–70; Paolin 1996; Monson 1992, pp. 15–47.

 cfr C. Galli, “Musica e Storia”, Torino, EDT, 2001

 Cfr. C. Ricci, “Vita barocca”, Milano, Cogliati, 1904, pp. 79-80 

 Per una storia di Venezia cfr F. C. LANE, “Storia di Venezia”, Torino, Einaudi, 1978 

 E. WRIGHT, “Some Observations made in Travelling through France, Italy & c. in the Years 1720, 1721 and 1722”, Londra, 1730, p. 46

 A. ADEMOLLO, “Le avventure romane di una cantante al tempo di Innocenzo XI”, in Opinione, n.206, 1880

 J. BERDES, “Maddalena Lombardini Sirmen, virtuosa veneziana e la storia delle istituzioni concertistiche a Torino”, in Culture et pouvoir dans les états de Savoie du XVII siècle a la revolution, 1985, p. 182.

Francis Scott Key: Un Uomo di Legge, Poesia e Eredità Storica (Francis Scott Key Bridge di Baltimora). Francis Scott Key: A Man of Law, Verse, and Historical Legacy

Francis Scott Key è una figura di grande importanza storica negli Stati Uniti, principalmente noto per aver scritto il testo dell’inno nazionale, “The Star-Spangled Banner”. Al di là delle parole immortali che riecheggiano in eventi e raduni in tutta la nazione, la vita di Key è un intrecciarsi di servizio pubblico, competenza legale e una posizione complessa sulle questioni cruciali del suo tempo.

Nato il 1 agosto 1779, nell’attuale contea di Carroll nel Maryland, Key era radicato nel tessuto legale e sociale della prima America. La sua famiglia era ben stabilita, con suo padre che svolgeva la professione di avvocato, ufficiale nell’Esercito Continentale e giudice. Key si formò al St. John’s College di Annapolis, nel Maryland, e successivamente studiò legge sotto la guida dello zio Philip Barton Key.

Durante la sua carriera, Key fu in prima linea in eventi legali di rilievo storico. Partecipò al sensazionale processo di Aaron Burr e all’affare Petticoat riguardante il Segretario alla Guerra John Eaton. Difese anche Sam Houston in un caso di aggressione e servì come procuratore chiave in processi di alto profilo. Più tardi nella vita, il presidente Andrew Jackson lo nominò procuratore distrettuale per il Distretto di Columbia, un incarico che mantenne per otto anni.

La composizione di “The Star-Spangled Banner” nacque dal contesto tumultuoso della guerra del 1812. Dopo l’attacco britannico a Washington, Key si trovò a bordo di una nave britannica, negoziando il rilascio di un americano detenuto. Mentre Fort McHenry subiva un intenso bombardamento, la vista della bandiera americana che ancora sventolava all’alba ispirò Key a scrivere le prime linee della poesia sul retro di una lettera che aveva in tasca. Il testo completato fu poi musicato con una canzone popolare del tempo e divenne un amato inno patriottico, ufficialmente adottato nel 1931.

Il Francis Scott Key Bridge di Baltimora, una significativa opera infrastrutturale intitolata in suo onore, è un tributo alla sua eredità duratura. Il ponte attraversava il fiume Patapsco e serviva come arteria vitale, collegando varie parti della città e facilitando la vita di molti pendolari dalla sua apertura nel 1977. In una giornata limpida, dalle altezze del ponte, si poteva osservare il forte di cui Key aveva scritto, collegando passato e presente in un’unica panoramica.

La vita e le opere di Francis Scott Key rimangono intrecciate nell’identità americana. Le sue parole, rappresentative dello spirito della nazione, e il ponte che portava il suo nome, un emblema della crescita e della connettività del paese, riflettono le complessità e i trionfi di una nazione che si sforza sempre verso i suoi ideali.

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Francis Scott Key stands as a figure of significant historical importance in the United States, known chiefly for penning the lyrics to the country’s national anthem, “The Star-Spangled Banner”. But beyond the enduring words that resonate at events and gatherings across the nation, Key’s life is a tapestry of public service, legal prowess, and a complex stance on the pressing issues of his time.

Born on August 1, 1779, in what is now Carroll County, Maryland, Key was embedded in the legal and social fabric of early America. His family was well-established, with his father serving as a lawyer, officer in the Continental Army, and a judge. Key himself was educated at St. John’s College in Annapolis, Maryland, and went on to read law under his uncle, Philip Barton Key.

Throughout his career, Key was at the legal forefront of notable historical events. He was involved in the sensational trial of Aaron Burr and the Petticoat affair concerning Secretary of War John Eaton. He even defended Sam Houston in an assault case and served as a key prosecutor in high-profile trials. Later in life, President Andrew Jackson nominated him to be the District Attorney for the District of Columbia, a position he held for eight years.

Key’s composition of “The Star-Spangled Banner” arose from the tumultuous backdrop of the War of 1812. Following the British attack on Washington, D.C., Key found himself aboard a British ship, negotiating the release of a detained American. As Fort McHenry endured a fierce bombardment, the sight of the American flag still flying at dawn inspired Key to write the initial lines of the poem on the back of a letter he had in his pocket. The completed verse was later set to the tune of a popular song of the time and went on to become a beloved patriotic anthem, officially adopted in 1931.

The Francis Scott Key Bridge in Baltimore, a significant piece of infrastructure named in his honor, is a tribute to his enduring legacy. The bridge spanned the Patapsco River and served as a vital thoroughfare, connecting various parts of the city and easing the lives of many commuters since its opening in 1977. On a clear day, from the heights of the bridge, one could gaze upon the very fort Key wrote about, connecting the past and the present in a single panoramic vista.

Francis Scott Key’s life and works remain woven into the fabric of American identity. His words, representative of the nation’s spirit, and the bridge that bore his name, an emblem of the nation’s growth and connectivity, reflect the complexities and triumphs of a country forever striving towards its ideals.

Leggi anche:

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https://it.wikipedia.org/wiki/Ponte_Francis_Scott_Key

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Una duchessa contro un mondo di uomini. Recensione Romanzo Storico “Teresa Filangieri” di Carla Marcone – Edito da Scrittura&Scritture

Recensione Romanzo Storico “Teresa Filangieri” di Carla Marcone – Edito da Scrittura&Scritture

Una duchessa contro un mondo di uomini

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A cura di Manuela Moschin del Blog LibrArte 

Leggere un romanzo storico è sempre affascinante perché è paragonabile a un viaggio nel tempo.

Le biografie romanzate, inoltre, rappresentano un’ottima occasione per comprendere nei minimi particolari i personaggi del passato.

Il libro narra le vicende della duchessa di Napoli Teresa Filangieri che è vissuta nel periodo dell’Unità d’Italia e del colera. Si tratta di un personaggio poco conosciuto, ma che ha avuto un ruolo fondamentale nella storia.

Lei fu una donna di talento e coraggio che, a seguito di alcuni avvenimenti dolorosi, decise di fondare un ospedale pediatrico per malattie infettive: “E si sentì guidata da una mano invisibile, come le stelle in un cielo coperto di nuvole, paziente come quella di una santa, forte come quella di un pirata, coraggiosa come quella di un soldato. Ma in quale modo? Dove cercare, trovare il denaro necessario?”

L’autrice si è addentrata nella vita della protagonista, cercando di percepire i suoi malesseri, i timori e le angosce: “Ogni piccolo viso smunto, ogni mesto sorriso insidiato dalla sofferenza, la precipitarono in un luogo della memoria che si chiamava Lina. Il ricordo acuto, straziante, le centrò il petto, lo dilaniò, e il suo cuore esplose cancellandole intorno il tempo e lo spazio”.

La scrittrice ha dipinto una Napoli sofferente, ma forte e valorosa. Il periodo trattato si sviluppa tra il 1826 e il 1880, quando l’edificio di Sant’Orsola alla Cupa divenne un luogo di soccorso per i più deboli e ammalati: “Napoli, addì 4 novembre dell’anno 1880. Oggi sarà inaugurato l’ospedale di Lina. Il mio sogno è compiuto.” 

Alcuni passaggi sono arricchiti da forme dialettali napoletane che si leggono in modo piacevole.

Carla Marcone ha scritto questo racconto con grande passione. Le sue parole creano sensibili atmosfere di lirismo e di speranza, tanto da intuire che si è talmente immedesimata nel personaggio principale da riuscire a “indossare i suoi panni”.

Concludo porgendole i complimenti per aver creato una narrazione viva e colma di sentimento.

Sinossi:

All’indomani dell’Unità d’Italia, in una Napoli preda della miseria, dove i bambini poveri sono abbandonati al proprio destino e le orfane spesso diventano spose raccattate, puttane o suore senza vocazione, una duchessa attraversa i vicoli lerci, bussa alle porte dei bassi, interroga la gente, il popolo, per capire, per aiutare e non per sedurre con promesse irrealizzabili.In questa Napoli lazzara di Michele ’o Belzebù, dove l’azzurro degli occhi di Raffaele si sporca col nero della superstizione della schiena ingobbita del buon Alfonso, Teresa Filangieri concepisce un progetto ambizioso: far costruire il primo ospedale pediatrico per malattie infettive. Per riuscirci deve scontrarsi con il mondo degli uomini, quegli stessi, padri e mariti, a cui le donne ancora appartengono di diritto. Sfida le convenzioni, sottomette l’orgoglio, raccoglie dalla strada gli scugnizzi, ferite purulente che bisogna cominciare a disinfettare.Carla Marcone mette in scena una Napoli in cui la storia viaggia per conto proprio, separata nei tempi e nei modi dal resto d’Italia, dove vivere è una ricompensa e morire spesso è un privilegio, e ridona luce a una donna dai natali illustri, animata dalla passione civile, dall’amore verso i più deboli, ma troppo in fretta dimenticata dalla Storia.“L’uomo nobile non si perde mai d’animo e vince il timore”. Quelle parole le erano bastate a porle nell’anima l’ebbrezza che emerge dal pericolo e ne trae una forza più grande. Non si sarebbe arresa mai!”

Carla Marcone è nata a Napoli in una calda notte di luglio, mentre nel mondo echeggiava la rivolta e le streghe tornavano bruciando il reggiseno in piazza. Crescere in una famiglia di stampo patriarcale, dove, però, erano le donne a portare i pantaloni, ha sviluppato in lei un estremo senso di ribellione contro ogni sopruso, contro ogni ingiustizia. I suoi personaggi, di cui l’autrice racconta in uno stile fatto spesso di parole sussurrate che nascondono segreti, affrontano nella maggior parte dei casi il proprio destino spinti dalla molla del “adessovifacciovedereiodicosasonocapace”, talvolta uscendone vittoriosi, altre delusi e sconfitti; ma è la vita, sì la vita, quella vera, quella della gente comune che Carla Marcone trasporta, riveduta e corretta dalla fantasia, nei suoi romanzi. Ha pubblicato il racconto Favola d’Aprile (2004), e i romanzi Fiori di carta (Scrittura&Scritture 2005) e Teresa e la luna (Scrittura&Scritture, 2008).

Titolo: Teresa Filangieri – Una duchessa contro un mondo di uomini

Autore: Carla Marcone

Editore: Scrittura&Scritture

Pagine:156

Anno pubblicazione: ottobre 2017