Valeria Bianchi Mian
Esistono molte forme di controllo della mente e alcune sono davvero sottili, sono così serpentine e così astute e divoratrici e cerebrali che quasi non si scorgono a occhio nudo.
“La tua esuberanza mi frena, non mi dai spazio” dice l’amica introversa all’altra, che è più solare e magari un po’ egocentrica.
“Sei troppo veloce per me” sospira l’amico competitivo che si sta laureando come l’altro, che è in gamba quanto lui ma decisamente più operativo, ché il primo è rimasto indietro.
E tu allora ti spegni un pochino. Quando sei con “i giudicanti” non parli più di figli, di aria, di poesia, di bellezza, di sensazioni, perché loro potrebbero offendersi.
Il loro sguardo freddo è pronto a metterti una nota sul diario.
Pazienti, amiche, conoscenti, io stessa: chi non ha subito le dominazioni psichiche che partono dal regno delle madri nere, dai padri punitivi, e si incarnano nei narcisi mascherati da “guarda, lo dico per il tuo bene, io conosco meglio di te questo o quel discorso”?
Sono poteri occulti che non riconosciamo subito, e che spesso, per comodità, proiettiamo addosso alle figure della nostra vita. Lasciando a loro l’abito, tenendo per noi il ruolo del sacrificio.
Certe volte non ci rendiamo conto di come, per generosità, per affetto, per compiacere altre persone, per non urtarle, magari proprio perché le amiamo, o perché – infanti feriti – temiamo l’abbandono, lasciamo loro spazio e tempo oltre il dovuto, apriamo cuori e braccia, anziché mettere dei paletti. Anziché tenere saldo il senso dell’essere noi stessi/e, per poi, se e quando occorre, mandarle al Diavolo (arcano XV).
Magari, appunto, essendo noi più esuberanti e l’altr* più timid*, pezzettino dopo pezzettino tagliamo fuori un colore, un canto, affinché l’amica o l’amato possano prendere il potere che meritano. Lasciamo a loro il palco.
Poi un giorno ci svegliamo e ci accorgiamo che siamo rimasti/e a guardare nell’ombra. Che nessuno riconosce più in noi quel tono, quella nota, quel percorso che ci apparteneva. Suona una sveglia. Ma io dov’ero, scusa? Ci domandiamo.
Siamo ormai avvinghiati/e in un rapporto di reciproco controllo. Noi quasi spettatori di chi ci mette i piedi in testa.
Applaudiamo.
Un momento.
Ehi. Frena.
Non c’è generosità nelle relazioni di questo tipo.
Squillano le trombe del Giudizio (arcano XX).
Solo la libertà ci libera dal gioco e, liberando noi, libera tutto e tutt*.