Recensione: ”Amato Mare” di Alma Bigonzoni, a cura di Alessandria today

“Amato Mare” di Alma Bigonzoni è una poesia che trasuda l’amore e la connessione profonda con il mare, portando i lettori in un viaggio emozionale attraverso la bellezza e la magia dell’oceano.

Recensione: ”Amato Mare” di Alma Bigonzoni, a cura di Alessandria today

La poesia si apre con un’immagine maestosa dell’infinito, dove il cielo e il mare si fondono all’orizzonte. L’autrice invita i lettori a osservare questo spettacolo affascinante, dove i pensieri vagano in perfetta sintonia con le onde che si infrangono sulla spiaggia silenziosa. L’atmosfera è rilassante e coinvolgente, e il mare diventa un’entità viva, in grado di accogliere i sogni dei viaggiatori e le emozioni di chiunque si avvicini alla sua maestosità.

La poesia è intrisa di immagini suggestive che catturano i sensi. Il vento sussurra tra i capelli dell’autrice, avvolgendola in una coccola di brezza marina. Le descrizioni dei colori accesi e sfumati del tramonto evocano una sensazione di magia e promessa di un “infinito ritorno”, dando vita a un’atmosfera di speranza e rinnovamento.

L’uso del senso del gusto, con il “sapore del sale che penetra nella pelle”, aggiunge una dimensione sensoriale alla poesia, invitando i lettori a immergersi ancora di più nell’esperienza marina.

Il cuore dell’autrice sembra vibrare in armonia con l’oceano, e i suoi sentimenti si esprimono attraverso un “melodico canto” che rivela un amore profondo e silente per il mare. La poesia si conclude con questa dichiarazione di affetto, un tributo poetico all’infinita bellezza e ispirazione che il mare dona.

Il linguaggio poetico utilizzato da Alma Bigonzoni è delicato e melodico, e le parole si susseguono con grazia e fluidità. La poesia è ricca di immagini evocative e metafore ben collocate, che aggiungono profondità e significato al testo.

In conclusione, “Amato Mare” è una poesia che abbraccia l’anima dei lettori, immergendoli nella poesia del mare e della natura. L’autrice dipinge un quadro di bellezza e serenità, comunicando l’amore e l’affinità con questo elemento primordiale. Una lettura che nutre l’animo e lascia un’eco di meraviglia e contemplazione.

Amato mare, di Alma Bigonzoni
Osservo l’infinito in lontananza,
dove cielo sfiora il mare e si fonde,
lascio che i pensieri vaghino in sintonia
con le onde.
Si infrangono sulla spiaggia silenziosa
i sogni e la bianca sabbia li accoglie.
Il vento sussurra tra i miei capelli e
mi avvolge cullandomi con la sua brezza.
Lo sguardo si posa sulla diversità dei
colori accesi, sfumati del tramonto,
al profumo di una promessa
di un infinito ritorno.
Il sapore del sale penetra nella pelle,
scoprendo sensazioni profonde
come l’oceano.
Dalle labbra fuoriesce un melodico canto
che tocca il mio cuore, non posso fare
a meno di cantare al mio amato mare
il mio silente amore.

Recensione: Le armi della luce di Ken Follett, a cura di Alessandria today

“Le armi della luce” di Ken Follett è un romanzo coinvolgente e ben documentato, che mescola abilmente avvenimenti storici con vicende umane. Con uno stile narrativo avvincente e personaggi indimenticabili, Follett ci regala un viaggio indimenticabile nel passato, mostrandoci quanto sia importante comprendere e riflettere sulle lezioni che la storia ci offre.

Foto: lafeltrinelli.it

Recensione: Le armi della luce di Ken Follett

“Le armi della luce” è il quinto capitolo della saga di Kingsbridge di Ken Follett, un’opera epica che ci trasporta nell’affascinante mondo del XIX secolo, un’epoca di grandi cambiamenti e rivoluzioni. In questa straordinaria narrazione, l’autore ci guida attraverso un intreccio ricco di dettagli storici accuratamente documentati, caratterizzato da eroi coraggiosi, cattivi perfidi e la lotta per un futuro migliore.

La trama si svolge tra il 1792 e il 1824, un periodo segnato da profondi mutamenti sociali ed economici. A Kingsbridge, una città con una lunga tradizione di manifattura tessile, l’industrializzazione fa il suo ingresso inesorabile, portando con sé la miseria per la maggior parte della popolazione. Questo scenario di cambiamenti rivoluzionari si intreccia con gli eventi storici cruciali dell’epoca, come la guerra contro Napoleone Bonaparte e la battaglia di Waterloo.

I personaggi di “Le armi della luce” sono l’anima di questa epopea. Un gruppo variegato di individui, collegati tra loro in modi sorprendenti, si muove sullo sfondo di una società in rapida trasformazione. Tra di essi, una coraggiosa filatrice, un ragazzo geniale, una giovane idealista che lotta per i diritti dei bambini disagiati, un commerciante di tessuti intrappolato dai debiti ereditati, una moglie infedele, un operaio ribelle, un artigiano audace, un vescovo inetto e un ricco imprenditore spietato, tutti contribuiscono a rendere questa storia indimenticabile.

Ken Follett dimostra ancora una volta la sua abilità di affascinante narratore, immergendoci nel passato con una precisione storica sorprendente. La sua capacità di fondere le vicende personali dei personaggi con gli eventi storici globali crea una trama coinvolgente che tiene il lettore incollato alle pagine.

Un aspetto notevole del romanzo è la puntuale rappresentazione dell’ascesa dell’industrializzazione e le conseguenze che essa comporta per le classi sociali più deboli. La lotta tra i lavoratori e i proprietari delle fabbriche, la ribellione contro l’oppressione e l’arruolamento forzato nell’esercito offrono uno spaccato realistico della dura realtà dell’epoca.

La caratterizzazione dei personaggi è uno dei punti forti del libro. Sono ritratti in modo tridimensionale, con sfumature di grigio che li rendono credibili e umani. Le loro sfide personali, i conflitti interiori e le ambizioni contribuiscono a dar vita a una storia avvincente.

In conclusione, “Le armi della luce” di Ken Follett è un romanzo coinvolgente e ben documentato, che mescola abilmente avvenimenti storici con vicende umane. Con uno stile narrativo avvincente e personaggi indimenticabili, Follett ci regala un viaggio indimenticabile nel passato, mostrandoci quanto sia importante comprendere e riflettere sulle lezioni che la storia ci offre. Questo libro merita sicuramente un posto nella biblioteca di ogni appassionato di narrativa storica e di chiunque ami immergersi in un’epoca passata con grande dettaglio e autenticità.

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Recensione: “Vecchio Cappotto” di Lucia Triolo, a cura di Alessandria today

Recensione: “Vecchio Cappotto” di Lucia Triolo, a cura di Alessandria today

“Vecchio Cappotto” di Lucia Triolo è una poesia emotiva e riflessiva che esplora il rimpianto e l’accettazione della propria esistenza. L’autrice dipinge un quadro intimo e struggente delle esperienze passate e delle scelte mancate.

La poesia inizia con un senso di rammarico per non aver imparato a fronteggiare le avversità, simboleggiate qui dal vento e dall’inverno. L’autrice si chiede se avrebbe dovuto vendere il vecchio cappotto in tempi più opportuni, poiché ora è diventato troppo vecchio e inutile, rifiutato persino dalle bambole. Questo oggetto materiale diventa una metafora della propria inadeguatezza e dei rimpianti che accompagnano le scelte sbagliate o mancate nella vita.

Lucia Triolo esprime il desiderio di essere accettata senza riserve, ma teme che ci siano molte prove contro di lei. La paura è una componente prominente nel testo, e l’autrice ammette di non aver imparato a gestirla o ad affrontare le ragioni che la alimentano. Questa mancanza di preparazione la fa sentire vulnerabile e incerta.

Le parole evocative e le immagini vivide, come “carichi di universo ho gli occhi” e “bambola nude”, rafforzano l’atmosfera malinconica della poesia e aggiungono profondità alle emozioni espresse.

La voce della poetessa è intima e sincera, trasmettendo una gamma di sentimenti, dall’angoscia alla rabbia, dalla fragilità alla forza interiore. Le parole sembrano danzare come foglie al vento, portando il lettore in un viaggio emozionale coinvolgente.

In conclusione, “Vecchio Cappotto” è una poesia che afferra il cuore del lettore, trattando temi universali come rimpianti, accettazione di sé e la lotta contro la paura. La capacità dell’autrice di comunicare sentimenti complessi in modo così potente e viscerale è davvero ammirevole. Una lettura consigliata per chi ama esplorare le sfumature dell’animo umano attraverso la bellezza delle parole poetiche.

Lucia Triolo: vecchio cappotto

Perché non ho imparato 
quando arrivava il vento
cosa è stato per me
abbracciare l’inverno?
Ora forse avrei almeno un occhio!

Avrei dovuto vendere per tempo
il cappotto. Adesso è troppo vecchio
e nessuna bambola lo vuole.

C’è qualcosa di me che
si possa accettare
senza testimoni contro?
Forse ho smesso di galleggiare.

Perché non ho imparato 
quando arrivava il vento
a scaldare le tue mani 
con la borsa dell’acqua calda,
a stringerle bagnate di sguardi
come belve innamorate?

Carichi di universo ho gli occhi
e non ho insegnato alla 
paura
a chinarsi dinnanzi alle ragioni.
È una paura rozza, 
impreparata.

Mi basta solo per far tremare 
l’angoscia.
Lei ora se l’accomoda sulla pelle, 
la indossa con decisione
e rabbia.

Avrei dovuto vendere per tempo
il cappotto. Adesso è troppo vecchio
e nessuna bambola lo vuole.

Bambole nude
io rischio di affondare.

Libri: Strega comanda colore – Chiara tagliaferri.

Recensione Benedetta Troni

Un libro tira l’altro ovvero il passaparola dei libri

Strega comanda colore – Chiara tagliaferri.

Me lo aveva prestato mia zia, che lo aveva abbandonato per la mancanza di linearità.

Non mi è piaciuto per due motivi principali: uno che riguarda lo stile e l’altro la trama. Proverò a spiegare entrambi con dei riferimenti alla cultura pop.

1) Lo stile di Cannarsi nella scrittura.

Il romanzo è narrato in prima persona dalla protagonista senza nome e alcune descrizioni sia sensoriali che degli stati d’animo mi sono piaciute molto. Non solo davano colore ma erano vere, nel senso che una persona poteva davvero rispechiarsi in esperienze simili, e se tutto il resto del libro fosse stato scritto in quel modo sono certa che l’avrei adorato.

Il problema di questo punto, però, è che diverse frasi sembrano delle traduzioni di Gualtiero Cannarsi.

(Per chi non lo conoscesse, è un dialoghista e adattatore di film giapponesi che ci ha regalato “perle” come queste:

“Nessuna recalcitranza! Abbattete l’obiettivo a qualsiasi costo”

“Gli uomini della ditta Junker sono micragnosi”).

In sostanza abbiamo delle frasi che si perdono in barocchismi inutili, un lessico forzatamente aulico cacciato in bocca a una normale ragazza di provincia (non una cresciuta a pane e Dante Alighieri, per dire).

Qualche esempio:

“Sapeva trasformare ogni cosa in set, manipolava la sua vita come uno sfondo per blandire la desolazione”

“Per andare da Giuseppino, ha scelto dei fuseaux stampati lucidi, a squame di serpente, incollati alla pelle, ma i fiumi di depravazione che fa presagire alle tombe in realtà nascondono principalmente quelli di coca cola che beve” ?????

Della seconda metà della frase io non capisco sinceramente il significato. Voi?

E ancora: “Quando le vie sono evaporate di suoni perché tutti sono al mare”. Casomai “quando i suoni evaporavano dalle vie” perché se la via evapora vuol dire che cammini nel nulla. Comunque tutti questi arzigogoli per dire che c’è silenzio.

“L’acqua sembra fatta di coltelli tanto è dura e picchia sui vetri” Che vuol dire? Sta grandinando? Oppure sono solo dei goccioloni che cadono fitti? Boh!

2) Il gusto di “13 reasons why”

Se vi ricordate la serie Netflix sulle cassette della ragazzina vittima di bullismo, probabilmente saprete già di cosa sto parlando. A chi non l’ha vista la sconsiglio fortemente.

Sia nella prima stagione, e ancora di più in quelle successive, c’è un gusto a tratti malato per l’orrido, per il trauma, gli abusi e l’autolesionismo.

Anche le sequenze più truculente degli episodi non servono quasi mai per reali spunti di crescita per i personaggi: allungano solo la storia e aggiungono dramma inutile.

Stessa cosa accade in questo libro. Non c’è una reale storia, ogni capitolo è quasi una sequenza a sé stante in cui si scava sempre di più nelle disgrazie e nei traumi dei personaggi, senza mai cavarne fuori niente. Non c’è una direzione, mai un momento in cui la protagonista, o qualunque altro personaggio, provi concretamente a fare qualcosa per risolvere i suoi problemi interiori (e quindi anche quelli esteriori) e tutto scade in una disgustosa celebrazione del malessere.

Dunque la protagonista, e quindi anche il lettore, che cosa trae alla fine da questo libro? Un fico secco dato il finale!

Questa è la mia personalissima opinione. Se il libro vi è piaciuto sono contenta per voi, ma per me è un grandissimo NO.

Libri: “Le regole della casa del sidro”, di John Irving.

Evelina Loffredi

Un libro tira l’altro ovvero il passaparola dei libri

“Le regole della casa del sidro” di John Irving.

Mi piace quando scopro dei “tesori” nascosti nei romanzi. In questo caso “Le regole della casa del sidro” è il romanzo che Violette, la protagonista di “Cambiare l’ acqua ai fiori” di Valerie Perrin legge e rilegge in continuazione e da cui trae ispirazione. Io non lo avevo letto ed ho recuperato.

L’ ho trovato di una bellezza mozzafiato, uno dei più bei romanzi che abbia mai letto!

All’ inizio sembra noioso, scritto con un linguaggio troppo ricercato e particolareggiato, che ti fa soffermare più a lungo sulle pagine e si può essere tratti in inganno e abbandonare, ma superato questo ostacolo si capisce qual’è la vera difficoltà: è un romanzo scritto con un linguaggio poetico, una favola incantata da raccontare ai bambini, una poesia raccontata da un romanzo, a voi la scelta.

Il romanzo è ambientato nel Maine, negli anni trenta del 1900, e in particolare nell’ isolato paesino di St.Cloud, dove la ferrovia è l’unica via di collegamento tra il suo orfanotrofio e il resto del mondo. A St.Cloud infatti non ci si arriva per caso ma ci vanno solo quelle donne che devono sgravarsi di un figlio indesiderato e farne un orfano, oppure decidere di liberarsene con un aborto. A gestire l’ orfanotrofio è il dr. Larch, un ginecologo all’avanguardia che antepone sempre il bene di un orfano davanti a tutto ed è solo inseguendo questo fine che ha deciso di procurare aborti, anche se all’ epoca ancora illegali, a chi altrimenti se lo sarebbe procurato comunque in un altro modo mettendo a rischio la propria vita.

E poi c’è Homer Wells, nato a St.Cloud, rifiutato da quattro famiglie e che quindi sceglie di rimanere a St.Cloud, rendendosi utile e divenendo l’ allievo prediletto del dr.Larch, sebbene le sue idee sull’ aborto sono in opposizione a quelle del dottore.

Ma un giorno l’arrivo di una giovane coppia che ha bisogno di un aborto, Wally e Candy, smuove qualcosa in lui e decide di seguirli lasciando l’ orfanotrofio. Homer non conosce nulla del mondo fuori da St.Cloud e ogni nuova esperienza per lui è magica e incantata, come quella di imparare l’ arte della fruttificazione, la vita dei braccianti stagionali, l’amicizia, nuotare, guidare, amare.

Ma il dr. Larch che per Homer prova un amore quanto più simile possibile ad un padre, tesse una vita alternativa, un progetto ambizioso, dalla cui riuscita spera di poter ricondurre Homer a St. Cloud per continuare il suo lavoro dopo di lui.

Questo romanzo parla di molte tematiche sempre attuali: di aborto, di desiderio di paternità disgiunto dalla famiglia, di amicizia, di sogni, di violenza domestica, di disabilità.

È un romanzo che mi si è tatuato nel cuore!

E a chi pensa che averne visto l’adattamento cinematografico gli ha tolto il gusto di leggere il romanzo dico: leggete il libro perché due terzi del romanzo non sono trattati nel film, e sono i due terzi che fanno del romanzo una vera poesia!

Un’estate a Borgomarina, di Enrico Franceschini

GIALLI/RECENSIONE/ROMANZO

Un’estate a Borgomarina

 ROBERTO IOVACCHINI

Titolo: Un’estate a Borgomarina

Autore: Enrico Franceschini

Editore: Rizzoli

Un’estate a Borgomarina è il terzo romanzo che Enrico Franceschini dedica alle avventure dei quattro amici inseparabili ossia il Mura, giornalista in pensione e investigatore a tempo perso, il Prof, l’Ing e il Barone. L’ambientazione è la solita, la riviera romagnola, la fabbrica del divertimento all’italiana, tra buone compagnie e buona tavola.

Un ricco e discusso imprenditore annega nelle acque del porto canale di Borgomarina.  Le indagini si orientano subito verso l’incidente, in modo anche troppo sbrigativo, per non turbare la stagione estiva e l’umore degli ospiti di alberghi e stabilimenti balneari. Mura viene ingaggiato da un familiare della vittima per compiere delle indagini private.

Il porto canale di Cesenatico/Borgomarina è nato da un progetto di Leonardo da Vinci ed è una delle principali attrattive della cittadina. I tedeschi durante l’occupazione costruirono un bunker sotterraneo con sopra un faro. Mura ed i suoi amici studieranno il progetto originario di Leonardo, custodito nella biblioteca Malatestiana a Cesena, ed il significato di un misterioso messaggio lasciato proprio da Leonardo. Le indagini porteranno alla luce i segreti del progetto leonardiano oltre ad altre storie legate alla custodia dei documenti stessi. Il Mura sorprende con le sue riflessioni sulla vita, sull’importanza di viverla con amici di cui si possa fidare, senza che i rapporti siano guastati da invidie, opportunismi di vario tipo o dai soldi. Un romanzo che dietro l’apparente leggerezza e futilità del divertimento estivo, contiene riflessioni sulle ingiustizie della nostra società, dove alcuni si arricchiscono in modo esagerato mentre altri devono lavorare tutta la vota senza avere la possibilità di cambiare la propria condizione sociale. Questo romanzo segna un salto di qualità nella narrazione, arricchita da riferimenti letterari e da personaggi che acquistano una apprezzabile complessità.

La collina dei delitti, di Roberto Carboni

GIALLI/RECENSIONE/ROMANZO

La collina dei delitti

 ROBERTO IOVACCHINI

Titolo: La collina dei delitti

Autore: Roberto Carboni

Editore: Newton Compton

La collina dei delitti è un giallo/noir/thriller ad alta tensione, con richiami esoterici ed al satanismo, non manca nulla per accontentare gli appassionati del genere. Alcuni ritrovamenti di vittime di omicidi del passato stanno mettendo apprensione a molte persone che hanno dimenticato le loro imprudenze giovanili. La storia è complessa ed intricata, persone molto diverse che hanno in comune un passato che vorrebbero fosse caduto nell’oblio per sempre, si ritrovano a dover combattere contro gli incubi di quel passato che sta ritornando, mettendo a repentaglio il presente. Sono persone benestanti, di successo, professionisti, imprenditori, tutte con un presente invidiabile ma con un passato oscuro, che rischia di compromettere tutto. Un racconto incalzante, imprevedibile, una sequenza infinita di eventi inquietanti, raccontati con abilità e realismo, con uno stile netto, diretto, capace di evocare interesse per i fatti, paura per quello che potrebbe accadere, orrore per quello che accade. I personaggi vivono notti insonni, incubi, pedinamenti veri o solo immaginati, hanno il fiato della polizia sul collo, temono che la verità sia scoperta e resa pubblica. Aleggia una atmosfera diabolica, un sentore di zolfo che si diffonde dalle stesse pagine del libro, tanto è reale la sua descrizione. La città di Bologna è l’ambientazione ideale per il romanzo, città esoterica per eccellenza che forma con Praga e Santiago di Compostela, il triangolo alchemico. Carboni utilizza i riferimenti esoterici e diabolici con giusta misura, riuscendo a mantenere alta la credibilità della storia, creando una suspence altissima, resa ancora più veritiera da sapienti e ben dosati riferimenti a fatti inquietanti realmente accaduti, al limite del sovrannaturale. La trama sorprende per la continua tensione crescente, con un colpo di scena finale del tutto imprevedibile.

Il Duca, di Matteo Melchiorre

NARRATIVA/RECENSIONE/ROMANZO

Il Duca

 ROBERTO IOVACCHINI

Titolo: Il Duca

Autore: Matteo Melchiorre

Editore: Einaudi

“Il Duca” narra la vicenda dell’ultimo discendente della famiglia dei Cimamonte, che ha deciso di vivere nell’antica villa di famiglia che domina il paese di Vallorgàna, da solo, senza grossi contatti con la popolazione locale. Vive di rendita e non ha bisogno di lavorare, grazie alle ricchezze ereditate. Passa le giornate a studiare vecchie carte, a leggere libri e fare piccoli lavori di manutenzione. Una vita tranquilla, sobria e riservata. Così fino a quando il suo aiutante e uomo di fiducia Nelso, non lo avvisa che in cima al bosco stanno rubando i suoi alberi, sconfinando nelle sue proprietà. Il furto sta avvenendo sotto la regia perfida di Mario Fastréda, un uomo avido che in paese fa un po’ quello che vuole. Il Duca cambia improvvisamente atteggiamento e comincia a far valere i suoi diritti di proprietario terriero oltre a esibire il potere che gli deriva dall’appartenere all’antica famiglia. Inizia una piccola guerra tra compaesani dagli esiti imprevedibili.

Un romanzo che ha una trama ben costruita e sviluppata in modo da coinvolgere e affascinare il lettore, che tocca temi di grande attualità come la vita sociale nelle piccole comunità, la difficoltà di saper decidere quando si è in preda alla furia del potere, la potenza della natura e le sue leggi non scritte, le libertà individuali ed i condizionamenti che derivano dal passato.

Il racconto è scritto in modo incalzante, i fatti si susseguono riservando sempre delle piccole sorprese, si alternano fatti contemporanei della cronaca del paese alle storie del passato. I tormenti del Duca sono quelli di un uomo che vorrebbe essere libero di fare quello che vuole ma che sente l’impegno di mantenere alta la tradizione del casato a cui appartiene. Ma è necessario conoscere tutto il proprio passato per non subirne l’influenza negativa. Il Duca lo scoprirà sulla sua pelle.