Leggere gli occhi di un profugo, di Gianfranco Maccaferri

Leggere gli occhi di un profugo

Leggere gli occhi di un profugo - immagine in evidenza

di Gianfranco Maccaferri

Negli occhi di un uomo o di una donna, di una ragazza, di un adolescente, di una madre, di un anziano si possono leggere le gioie e le angosce che ha vissuto, dai suoi sguardi è possibile intuire le scelte disumane e quelle felici che ha compiuto o è stato costretto a compiere, dalle sue espressioni si possono percepire le sofferenze dell’animo e le allegrie dei pensieri.

Ma noi non siamo abituati a interpretare i segnali che ogni viso ci offre perché la nostra vita e quella di chi ci sta accanto scorre nel benessere sostanziale ed effettivo, quindi quasi nessuno di chi ci vive accanto ha da comunicare efferate violenze subite o esasperate sofferenze vissute.

E così abbiamo difficoltà a saperle leggere nelle espressioni di chi ce le sta comunicando.

Di fatto noi mai abbiamo dovuto sopportare la fame o la sete, mai abbiamo visto dilaniarsi davanti a noi i corpi dei nostri fratelli, genitori, figli, amici.

Mai abbiamo dovuto decidere chi resta tra le macerie e chi parte per la salvezza.

Proviamo a pensare quali espressioni avrebbe oggi il nostro viso se avessimo dovuto scegliere quali famigliari portare nel viaggio verso la pace e quali lasciare a vivere in un teatro di guerra.

Decidere tra genitori e figli.

Oppure tra nostro fratello e nostra sorella.

Il viaggio si affronta in base ai soldi che si hanno e spesso non tutti i componenti della famiglia possono partire.

Occorre fare una scelta.

Questa selezione segnerebbe per tutta la vita la nostra espressione, come l’essere stati costretti a guardare l’impiccagione di un nostro amico o di nostro fratello ritenuto dissenziente, o schifosamente frocio, o insufficientemente religioso e allineato.

Quale sarebbe oggi il nostro sguardo se la nostra casa fosse saltata in aria con dentro i nostri parenti?

I nostri occhi, cosa racconterebbero se avessimo dovuto scavare con le mani tra le macerie per cercare i loro corpi? Quante lacrime avremmo ancora dopo aver sepolto frettolosamente i loro corpi tra altri dannati?

Quanti di noi hanno visto con i propri occhi una guerra fratricida, dove non riconosci l’amico dal nemico?

Quanti tra noi hanno ascoltato l’incubo dei sibili che si avvicinano rapidamente e poi l’esplosione a pochi metri da noi?

E quanti hanno cercato disperatamente del cibo per i figli in un paese di macerie dove i soldi non servono a nulla perché non ci sono più i negozi?

Fortunatamente noi siamo vissuti nella pace e non siamo mai stati costretti a scappare trascinando con noi solo chi e ciò che potevamo, noi non abbiamo mai vissuto in un campo profughi appiccicati a centinaia di migliaia di altre persone. Noi non abbiamo mai camminato per centinaia di chilometri per giungere a una frontiera, ignorando le lamentele dei nostri vecchi o dei nostri piccoli figli, per poi sistemarci in una tenda e scoprire che lì riusciremo, forse, solo a sopravvivere.

Quanti tra noi hanno fatto un viaggio lunghissimo e poi vissuto in una tendopoli con l’angoscia di essere derubati dei soldi che serviranno per pagare un altro viaggio, quello verso un paese dove c’è la pace?

Senza quei soldi si muore, non c’è speranza, futuro, amore.

Fortunatamente noi non abbiamo mai sopportato le sevizie fisiche e psicologiche di delinquenti ai quali si è affidato il nostro futuro e soprattutto quello dei nostri cari. Perché sono questi delinquenti quelli che comandano e loro possono impunemente massacrarci, torturarci, violentare noi o nostra moglie o i nostri figli, loro possono illuderci per mesi per poi caricarci su una barca e lasciarci al largo, in attesa che qualcuno ci venga ad aiutare.

Quanti di noi hanno sentito l’odore di morte accanto, l’odore cadaverico di un nostro conoscente o amico o peggio ancora di un nostro genitore o fratello o figlio solo perché volevamo stargli accanto per ore e per giorni anziché abbandonarlo alle acque di un mare che ci separa dalla vita?

L’odore di cadavere ti si appiccica nella mente e anche dopo anni sei certo di sentirtelo addosso.

Io non sono patetico, sono realista. Io non sono un buonista, sono uno disincantato. Io non sto parlando di ragazzi che lasciano il loro paese per cercare un miglioramento economico, io penso solo a quelle persone che hanno la guerra, la violenza mortale, la follia umana nella loro vita quotidiana e scappano per sopravvivere. Chiunque di noi fuggirebbe, chiunque di noi trascinerebbe con sé la famiglia o quelli tra loro sopravvissuti, chiunque di noi non si fermerebbe alla tendopoli disumane, chiunque di noi affronterebbe il viaggio verso la pace e nulla, davvero nulla ci potrebbe fermare, né un filo spinato, un accordo internazionale, un muro, un documento.

Nulla ci fermerebbe nel nostro viaggio verso un paese di pace.

Per mettersi in viaggio, quello grazie al quale diventerai un migrante e di conseguenza un profugo, come benevolmente ti chiameranno nei paesi di accoglienza, occorrono soldi, avere alle spalle una famiglia mediamente benestante. Altrimenti ti fermi nei campi profughi. E se ti fermi all’interno del tuo paese e sei povero morirai nei campi di sfollati, insieme ad altri milioni di persone misere come te e più di te. In un paese che vive la guerra civile non c’è un governo che provvede agli aiuti umanitari e coordina eventuali soccorsi internazionali; questi aiuti normalmente sono dirottati da chi è al potere verso le proprie truppe. Per sfamarle.

Se tu non sei sano, forte, furbo, egoista… in un campo di sfollati dentro un paese in guerra, muori.

Io non sono caritatevole, io sono uno concreto, pragmatico!

Se vivessi in Siria, Afganistan, Iraq, Nigeria, Somalia, in Libia o in uno dei 59 paesi oggi in guerra (perché non esiste solo la guerra in Ucraina, anche se ci fanno vedere solo quella, ma ne esistono altre 58) io partirei e nessuno riuscirebbe a fermare il lungo viaggio verso un paese “normale”.

Io, che ancora oggi conservo il certificato di profugo che lo Stato Italiano mi ha dato anni fa, ogni giorno mi ricordo di esserlo stato e di esserlo tuttora un profugo e sono felice di aver trovato un paese che mi ha accolto, che mi ha permesso di vivere sereno, lontano da tagliatori di teste, da mine, da bombe, da violenze di ogni genere.

Io non so cosa hanno visto nella loro vita gli occhi dei politici che rifiutano i richiedenti asilo, i profughi dalle 58 guerre, ovviamente oltre quella in Ucraina.

Io non conosco i rapporti umani che intrattengono queste politici, i loro sentimenti verso gli altri, tutti gli altri, ma considerando quello che riescono a esprimere con la bocca, non mi interessa neppure approfondire… Non sono politici e amministratori della cosa pubblica, sono degli ignoranti cialtroni colpevoli perché non sanno ciò che per obbligo devono conoscere.

Per il cittadino comune “la legge non ammette l’ignoranza”, cosa che non vale per un politico di professione o per un governatore o un sindaco. È vero, loro le leggi possono farsele se vogliono, possono costruire muri, respingere barconi, affondarli… Ma quando parlano in realtà incitano all’illegalità, istigano a delinquere perché esiste la Convenzione di Ginevra del 1951, ratificata e resa esecutiva in Italia con la Legge del 24 luglio 1954 ed esiste il Protocollo relativo allo status di rifugiato, firmato a New York il 31 gennaio 1967 (reso esecutivo in Italia con Legge 14 febbraio 1970) che ci obbliga e che vincola tutti, anche quelli che vorrebbero ignorare la legge italiana, a dare rifugio a qualunque persona che ha subito nel proprio paese persecuzioni dirette e personali per motivi di razza, religione, nazionalità, appartenenza a un determinato gruppo sociale o per opinioni politiche, ecc.

Una persona non diventa rifugiato perché è dichiarato tale, ma una persona è riconosciuta come tale proprio perché è un rifugiato.

Se questo concetto fondante del diritto, qualche politico lo manipola, stravolge, accartoccia, ignora… è tutta la nostra cultura, il nostro pensare, il nostro sapere, il nostro esseri ragionanti, la nostra legislazione che questi politici infilano in un sacco nero e che poi gettano nel contenitore degli “indifferenziati”.

E non ci devono essere differenze se un profugo arriva dall’Ucraina o da uno degli altri 58 paesi in guerra… io capisco che un ucraino ha lo stesso colore della pelle degli europei, che la maggioranza di loro sono cristiani, che hanno usanze, cultura, morali simili agli occidentali, ma nell’essere profugo tutto questo non deve avere valore, è la legge italiano che lo dice!

Io ho una proposta umana, ma comunque razionale e pratica per tutti i politici che parlano e incitano contro l’accoglienza dei profughi o che propongono di intervenire direttamente sul territorio di partenza dei migranti: un viaggio ufficiale, non direttamente nei luoghi di guerra (ho specificato che è una proposta umana), ma un periodo di soggiorno nei campi profughi per i profughi siriani in Giordania o in Libano dove sono stipate oltre 2.500.000 persone di cui 1.200.000 bambini. Oppure, come alternativa per i più temerari, un “viaggio avventura” in una delle tendopoli all’interno della Siria che ospitano oltre 9 milioni di sfollati, o perché no? Sulla coste libiche dove i profughi vengono torturati, affamati, violentati, in attesa di partire in “crociera” verso le coste italiane.

Sono certo che dopo questo soggiorno, anche solo di una settimana, gli occhi dei nostri politici nazionali, regionali, comunali, i loro sguardi, le loro espressioni comunicheranno talmente tanto che la loro bocca potrà ancora parlare e dire parole (probabilmente le stesse di oggi), ma sarà come guardare la televisione senza l’audio.

Saranno i loro occhi e i loro sguardi a raccontare la verità.

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