Autunno; questo non è come un'altro, passato a vedere tramutare il verde incandescente e colori spegnersi fino ad un marroncino. Successione infinita di eventi che di poetico ne ha ben poco. Un futuro poco promettente, incerto... L'anima erra sbattendo di qua, di là, confusa, offuscata, portando alla memoria ricordi; qualcuno serve ad aggrapparsi per cercare il sentiero perso nel buio che arriva presto e fa scardinare la via. Questo; non è un autunno come tanti altri, le luci filtrano i vetri sporchi, evidenziando la polvere giacente s'un antico legno. Non resta altro; accontentarsi aspettando il tempo delle castagne, funghi; sentire l'odore del fumo ch'inonda le valle, annebbiando la vista; il cuore.
Quando insisti consapevolmente di schiantarti ancora contro lo stesso muro.
Perché non vuoi vedere nel profondo; sepolta in fondo tra mile accozzaglie dimenticate; la muffa che fuoriesce verità svanita nel vuoto del pensiero perché sai che fa male…
Preferisci che resti lì, lontana, in un finto oblio. Non si fa viva, almeno che tu non la porti a gala, riesumandola e concedendole la grazia.
Ma perché? Perché lo dovresti fare, non è un’obbligo! Siamo pure liberi di fare questa di scelta, ti ricordo nel caso lo facesti; non ti lascerà in pace, perché la verità è insolente e spudorata.
Foto: Hulton Archive – Getty Images | Courtesy of Ballandi Arts e Nexo Digital 2019
«Fummo quello che non si racconta né si ammette, ma che mai si dimentica».
Sono quelli che trascorsero del suo ultimo dipinto prima di morire nel 1954, aveva solo 47 anni. Cosa lascia rappresentato in questo quadro; un saluto d’addio? Trasmettere che nonostante tutto la vita va vissuta?
Ancora faccio fatica a capire certi meccanismi nella sua mente…
Per Frida Khalo, questo dipinto “apparentemente ” semplice ma alcontempo affascinante, pieno di colore che non tradì mai in tutto il suo percorso creativo; anche nei momenti sconfortanti vicini alla morte.
Probabilmente volle rappresentare un “proseguire“, un “non è finita ancora“, andrò ancora avanti oltre la terra, la luna, il sole… forse pure, oltre un aldilà.
Angurie…sembrerebbe persino banale, agli occhi di grandi maestri.
La pittura, così sgargiante d’un rosso sangue che ruba in assoluto lo sguardo, ha una motivazione ben precisa, niente lasciato a caso.
Il suo rapporto con l’arte, sarà sempre impregnato di lei stessa, traumatico; le sue credenze, i suoi più profondi dolori, l’amore trovato e sofferto, il dolore fisico e paradossalmente; le speranze.
In “viva la vida“, lascia in eredità un messaggio chiaro; gioia di vivere e anche un pacato e ultimo grido di dolore.
Era la nostra nonna ( però era mia), un mix d’ereditá di geni attraversarono l’oceano e tanti vocaboli erano un cocktail ben assimilato e naturale.
E così, tramandati nel tempo. Mia nonna Victoria era un personaggio abbastanza particolare; robusta, massiccia, pele bianca e sottile sembrava un velo di fina seta, segni d’incazzatura permanente tra gli occhi che difficilmente qualcuno gli si avvicinaba per farle uno scherzo. La Vitto era molto speciale. Si alzava presto, poco pretenciosa però quando si metteva qualcosa in testa non c’era neanche il miglior mediatore ad oggi che potesse farle cambiare idea.
La Vitto, prácticamente mi alevvò, fra tante pentole e un curioso bracciere di ferro del quale, uscivano pasti e pietanze uniche. Cucinate s’un pentolone oppure talvolta direttamente sulla griglia, sotto c’erano le brace tenue, dopo aver preparato il carbone con degna maestria.
Quello che mi rimane ancora oggi in testa, sono i profumi degli impasti messi a cuocere per fare una “tortilla” di pane con un pò di grasso di maiale, esquisitezza che appena tolta dal braciere, ti bruciava fino al midollo e aveva la peculiarità di un fondo arrostito diventato nero. Que crocantezza.
Ma i pezzi forti di lei, non era soltanto la cucina, dentro o nel patio, pieno di verde…
Mi manca tanto, l’ha perse troppo presto…e penso a lei spesso, ogni volta che mi si avvicinaba una farfalla bianca. Mi diceva: – ricorda, quando perdi una persona a te cara, tornerà a trovarti tramutata in una farfalla bianca; aveva ragione… e parlo con lei.
È lì, distanzzamento sociale giusto, Accantonate in un angolo sperduto di verde, l’ho guardo da lontano con diffidenza perché il mio animo è quello.
Rose gialle, diversi tempi di vita, alcune nell’intento di sbocciare, altre mature, tanto quanto per resistere il tempo a loro concesso, infine ci sono loro, quelle con le quale mi camuffo e mi sento a mio agio, perchè sono loro che mi rappresentano, quelle all’ultimo paso, l’ultimo mio respiro affanato, distante…
Le mie rose gialle.
Sono loro che hanno la mia comprensione, perché le assomiglio. Fragili al primo vento che passa, mature al punto giusto di aver imparato, quand’è il momento.
La mia rosa gialla è debole, quanto me; non ho altro che la parola, per difendermi. Ci provo ogni volta fino all’esaurimento. Sono esposta quanto loro, ai cambiamenti, talvolta qualcuna perisce nel percorso. Arriverà anche il mio momento. Siamo immersi in un ciclo vitale. Mi disarmo….