Un saggio artistico che vi farà sognare, di Luciana Benotto 

Luoghi, personaggi, fatti e leggende

di Luciana Benotto

Un saggio artistico che vi farà sognare

Oggidì andiamo nello spazio alla scoperta di nuovi mondi, sognando il futuro perché ciò solletica la nostra curiosità e voglia di avventura, eppure, di fronte a certe storie fantastiche e vecchie di millenni, rimaniamo ancora affascinati, soprattutto se chi le ha raccontate lo ha fatto in maniera così magistrale da guadagnarsi l’eterna memoria dei posteri. Publio Ovidio Nasone, autore di temi prevalentemente amorosi e licenziosi, è proprio uno dei grandi scrittori che attraverso i secoli è rimasto immortale; e tanto è piaciuto ed ha ammaliato i lettori con la sua capacità affabulatoria, che nell’arco del tempo pittori e scultori hanno raffigurato quei racconti della mitologia greca e romana nelle loro opere. 

Nei suoi quindici libri egli ha narrato più di duecentocinquanta miti partendo dal Caos primigenio, per giungere alla morte di Gaio Giulio Cesare trasformato in astro. Nei suoi quasi dodicimila versi incontriamo dei e dee, satiri e ninfe, centauri e ciclopi, scopriamo storie d’amore felici ed infelici, presenziamo a rapimenti, e a fughe di giovinette e giovinetti per sottrarsi alla bramosia di taluni, a connubi di Giove con giovani e belle fanciulle e non solo, a vendette per torti subiti: insomma narrazioni per tutti i gusti, che terminano sempre nelle fiabesche metamorfosi dei protagonisti in alberi, fiori, animali, costellazioni, fiumi… 

Sedici di queste storie sono state analizzate nel saggio Le Metamorfosi di Ovidio nell’arte, redatto dalla dottoressa Manuela Moschin, laureata in Conservazione e Gestione dei beni e delle attività culturali a Ca’ Foscari, di cui a suo tempo recensii Atman, una raccolta poetica che mi emozionò per la valentìa dell’autrice nel comunicare i sentimenti più profondi. La Moschin in questo nuovo lavoro ha scelto di esaminare le Metamorfosi del poeta romano, approfondendo per l’appunto, certe opere pittoriche e scultoree che le rappresentano. 

Nel saggio ella ci conduce (tra l’altro) nella magnifica e illusionistica Sala dei Giganti di Palazzo Te a Mantova creata da Giulio Romano; ci parla del mito di Narciso di Boltraffio, che nella piccola tavoletta in ciliegio lo ritrasse nel momento in cui il personaggio raggiunge “la consapevolezza che quello che desiderava in realtà non esisteva”; di quello di Perseo e Medusa di Caravaggio che, come in una metamorfosi, assunse le sembianze della Gorgone dai capelli di serpente; di quello di Teseo e Arianna di Tiziano col fantastico cielo lapislazzuli che fa da sfondo alla scena dove i personaggi si muovono in “pose plastiche mutuate statuaria antica” ma anche di come lo vide Canova che diede vita a un Teseo colto dopo la lotta col Minotauro; e poi ancora di quello della Centauromachia trasformato in altorilievo dall’irruento artista che era Michelangelo… 

La carrellata continua nell’analisi sapiente dell’autrice che esamina tele, affreschi e sculture di altri famosi artisti con accurata precisione, partendo da un’estrapolazione del testo ovidiano cui segue un breve riassunto della vicenda, poi con la descrizione dell’opera d’arte e le curiosità che la riguardano e informazioni sull’artista che le diede forma e vita. Ovviamente non poteva mancare la biografia di Ovidio che concluse il suo capolavoro pensando alla sua dipartita, sostenendo però che quando verrà il giorno fatale, la morte potrà disporre solo del suo corpo mortale, in quanto con la sua parte migliore egli volerà in eterno più in alto delle stelle, e il suo nome rimarrà indelebile …le labbra del popolo mi leggeranno, e per tutti i secoli, grazie alla fama, se qualcosa di vero c’è nelle predizioni dei poeti, vivrò.

Il saggio, corredato da belle immagini e con prefazione del giornalista scrittore Corrado Occhipinti Confalonieri, è edito dalle Edizioni Espera a € 29,00 ed è acquistabile in libreria e negli store digitali; ma chi lo volesse con la dedica dell’autrice e al prezzo scontato di € 22,00 con in omaggio la raccolta poetica Atman, può contattarla a seguente numero di Whatsapp 389 2585658.

Buona lettura.

Sala dei Giganti a Palazzo Te di Giulio Romano

Danae del Correggio

Viaggio nella Storia: Canossa, di Luciana Benotto

Luoghi, personaggi, fatti e leggende

di Luciana Benotto

Viaggio nella Storia: Canossa

Correva il 27 gennaio 1077 quando, davanti all’imponente maniero della contessa Matilde di Canossa, che in quei giorni ospitava papa Gregorio VII, si presentò l’imperatore Enrico IV. Egli andava a chiedere venia al pontefice dopo quanto accaduto alla Dieta di Worms, durante la quale, assieme ai feudatari a lui fedeli e a dei vescovi, aveva dichiarato di non riconoscere la nomina di Gregorio, fautore di una monarchia basata sul potere del clero, e quindi lo deponeva. Siamo nel periodo della cosiddetta Lotta per le investiture tra Impero e Chiesa.

Ma come mai il sovrano del Sacro Romano Impero, era giunto a una tale grave e pericolosa presa di posizione?

Per saperlo dobbiamo andare  a ritroso di qualche anno, ovvero nel 1059, quando il papa, che allora era solo il monaco Ildebrando di Soana, in un Concilio in Laterano, riuscì ad ottenere che l’elezione del pontefice venisse sottratta all’imperatore e riservata ai soli cardinali; e questo andava a scontrarsi con l’idea di potere di Enrico che, rovesciando quell’ottica, sosteneva invece che il conferimento delle cariche ecclesiastiche competeva a lui, in quanto la sua autorità gli veniva direttamente da Dio.20

Quella scomunica, fatto gravissimo per un sovrano, scioglieva però i sudditi dal loro giuramento di fedeltà e questo causò lo scoppio di una guerra civile tra i feudatari che lo sostenevano e quelli ribelli che lo contestavano. Ecco il perché del viaggio in Italia. 

A Canossa egli riuscì ad ottenere il perdono grazie alla mediazione della contessa Matilde, che consigliò all’amico pontefice di revocare la scomunica, ma per ottenerlo Enrico IV dovette però stare tre giorni e tre notti inginocchiato davanti al portale d’ingresso col capo cosparso di cenere, mentre imperversava una bufera di neve. Questo raccontano le cronache. E da allora “andare a Canossa” significa sottomettersi e umiliarsi di fronte a un nemico. Cosa resta oggi del luogo dell’incontro di quei due importanti personaggi?

Di quel grande castello posto sopra un’aspra rupe di arenaria bianca, che nel 1502/3 accolse pure Ludovico Ariosto nelle vesti di capitano estense, rimangono solo delle suggestive rovine. Tra le strutture riconoscibili ci sono: la cisterna scavata nella roccia che riforniva il mastio, i resti di un palazzo cinquecentesco e la cripta della chiesa di Sant’Apollonio, che nel 1116 fu abbazia benedettina. Parte dei materiali rinvenuti nel corso di scavi, sono custoditi nel piccolo e interessante Museo Nazionale realizzato all’interno di un fabbricato adiacente le vecchie mura castellane: un fonte battesimale romanico, ceramiche, cimeli matildici, capitelli ed epigrafi.

Al maniero si accede tramite un sentiero che risale a tornanti il versante occidentale della rupe, e che inizia non lontano dal parcheggio. Dalla sommità della rocca, nelle giornate limpide, si gode di un vastissimo panorama: a nord le Alpi, a sud l’Appennino e ad ovest l’alta rupe di Rossena, su cui sorge un altro castello della contessa, attualmente trasformato in ostello, e accanto al quale sta il caratteristico borgo sorto nell’XI secolo, ma oggi d’aspetto cinquecentesco. 

E della proprietaria del maniero, la contessa Matilde cosa possiamo dire? Che fu una feudataria potente, una donna che grazie alla sua intelligenza, scaltrezza e forza d’animo, visto che sopportò dolori ed umiliazioni, riuscì a dominare una vasta estensione territoriale a nord dello Stato della Chiesa, nonostante le donne a quell’epoca erano considerate molto inferiori agli uomini. Ma per saperne di più, vi consiglio di leggere almeno uno di questi tre saggi: La gran contessa di Edgarda Ferri, Breve storia di Matilde di Canossa di Paolo Golinelli e Matilde di Canossa di Eugenio Riversi

Orari di visita del castello e del Museo Nazionale di Canossa: mart. 10.00 – 17.00 tutti gli altri giorni 9.00 – 17.00. Chiuso lun.

Come arrivare

in auto: A1 uscita Parma, poi S.S. 9 fino a S.Ilario d’Enza, indi S.P. 513

in treno: Stazione F.S.  a Ciano d’Enza; collegamenti di autobus

Pino Iannello un autore col gusto romantico del mistero, di Luciana Benotto

Luoghi, personaggi, fatti e leggende

di Luciana Benotto

Pino Iannello un autore col gusto romantico del mistero

I libri pubblicati ogni giorno sono sempre molti, nonostante la crisi economica e l’aumentato prezzo della carta, perché in Italia, sebbene i lettori non sono numerosi come in altri paesi europei, esiste uno zoccolo duro che, fortunatamente, non può rinunciare a questo piacere.

Tra quelli appena arrivati in libreria ne ho notato uno dal titolo davvero insolito, e la mia curiosità è cresciuta leggendo la seconda di copertina che  traccia una trama intrigante; pertanto, tramite la casa editrice ho contattato l’autore, il professor Pino Iannello, per porgli delle domande in merito al suo lavoro:

L’epitaffio di Issione, scoprendo inoltreche in precedenza aveva già scritto dei saggi e dei romanzi.

D. “Professore, “L’epitaffio di Issione”, è un titolo inquietante, quindi mi viene spontaneo chiederle di cosa parla il romanzo.

R. Il romanzo racconta di un fatto strano che accade al protagonista: un antropologo; anzi, più di un fatto strano.

D. Cosa intende per fatti strani?

R. Singolari coincidenze, quelle che Jung chiama sincronicità, ovvero inspiegabili sovrapposizioni di eventi, nomi, fatti, che sembrano convergere tutti intorno a lui, all’antropologo intendo, come se in qualche modo volessero comunicargli qualcosa.

D. Quindi non si tratta di un giallo classico?

R. Naturalmente i canoni del giallo sono rispettati: mistero, indagine, azione, suspense, ma con qualcosa in più che, ahimè, oggi manca a molti gialli. 

D. Cosa di preciso?

R. Vede, mettiamo per esempio la differenza che c’è tra un romanzo di un genere letterario alto, tipo un dramma, e uno più basso, per esempio un giallo. Forse la differenza del mio rispetto a essi sta nella presenza dell’ironia; e inoltre nel fatto che non è tanto importante sapere com’è che va a finire una storia, per quanto necessario, quanto soprattutto seguirne il plot col fiato mozzato… Ecco, se c’è il cosiddetto fiato mozzato, si è raggiunto un bel risultato.

D. Ma allora, nel suo caso, si può parlare ancora di romanzo giallo?

R. Beh, gli si può cambiare l’etichetta, che ci vuole?

D: E come lo definiamo, allora?

D. Innanzitutto questo romanzo è tante cose insieme, è una narrazione fantastica, un giallo, un romanzo gotico, un intreccio d’amore, un’inchiesta, l’ennesima denuncia sull’inquinamento del nostro pianeta e sulla mafia, ma soprattutto è una rapsodia, un’avventura che accade nel bel mezzo di un miscuglio tra magia e raziocinio, tra credenza e conoscenza, senza che sia chiaro quale tra le due prevalga.

D: Torno a ripetere: e quindi come lo definiamo?

R.  Sicuramente dove vi è un miscuglio tra magia e raziocinio siamo in presenza del cosiddetto romanzo gotico, per quanto forse lo vedrei bene accanto al cosiddetto realismo fantastico, che in fin dei conti è una specie di non-corrente, dato che in essa ci si può trovare un po’ di tutto: dal surrealismo a Borges, da Márquez a Pauwels.

D. Non è un po’ presuntuoso da parte sua?

R. In alcuni casi, in certi periodi storici fortemente demenziali come il nostro, leggere un certo tipo di opere può rappresentare una ginnastica salutare, una lettura che, a differenza di altre, non finisce per anchilosarti, come spesso accade, collocandoti in quella nicchia comoda ma soffocante, del già visto, del già detto, delle nozioni già acquisite, delle certezze.

D. Perché parla di periodo storico demenziale?

R. Beh, gli esempi non mancano: vedi la guerra con la Russia in cui, giocoforza, siamo di fatto implicati, o dove un gruppo politico fa cadere il governo Draghi, strafottendosene di ciò che accade nel Paese, o dove lo zero termico si trova a 4.000 metri d’altezza e ancora nessuno fa niente per porvi rimedio, riuscendo solo a rimanere a bocca aperta davanti agli incendi che devastano il mondo; ecco: non le pare di trovarsi già in un mondo in rovina, dove tutto ormai è ricondotto sotto il segno del caso, che quindi per definizione è poco controllabile, e dove noi vi soggiorniamo come se fossimo dei dispersi, e ci aggiriamo in esso comprendendo sempre meno ciò che ci circonda?

D: Dove vuole arrivare, che nesso c’è col suo romanzo?

R. Il nesso è che, viviamo in un universo sempre più inafferrabile con gli strumenti della logica, o del buon senso, viviamo in una realtà che sfugge a qualsiasi criterio raziocinante e anzi buona parte di tutto ciò che accade sembra alterare il concetto stesso di realtà. Ed è qui che allora prende forza il bisogno di qualcosa di antico, che sta nascosto nei meandri del nostro inconscio, qualcosa che viene da lontano, da un’età remota, ed è nuovamente il bisogno di fantasia, forse anche il bisogno di miti. E così a poco a poco anche le leggende, le fiabe… finanche la superstizione, cominciano a trovare un loro spazio. Come se tutto ciò facesse parte di una paradossale speranza, che poi è sempre la stessa: l’umana speranza di un mondo migliore dove rifugiarsi.

D. E il suo romanzo, che fine ha fatto?

R: Ha ragione, mi sono lasciato prendere, mi scusi. Insomma, il mio obiettivo è stato quello di creare qualcosa che fosse in grado di fornire al lettore un momento di tregua dalla demenzialità del quotidiano, riaccostandolo ai sogni e alle leggende che attraverso i secoli sono stati alimentati dalla magia e dall’occultismo. Per cui L’Epitaffio di Issione è un miscuglio di magia e raziocinio, dove l’assurdo è misteriosamente verificato dall’esperienza dei personaggi. 

D: Sembra affascinante.

R. Era quello che ho cercato di fare: il suo fascino consiste nel presentare una realtà ignota, dove prevale il gusto romantico del mistero e la conseguente elaborazione di un’indagine, di una ricerca per una volta in piena luce, di ciò che da sempre giace nell’ombra del nostro inconscio collettivo. 

D. Ultima domanda: che studi ha fatto? Qual è la sua formazione?

R. Sono laureato in Sociologia e ho insegnato Scienze Sociali per quasi tutta la mia vita.

D. E quindi anche Antropologia e Psicologia?

R. Proprio così.

D: Grazie di averci chiarito le idee sulla sua opera, quindi non ci resta che leggerla.

R: Grazie a lei.

Pino Iannello – L’epitaffio di Issione – eclissi editrice – € 16.00

A due passi dal cielo, di Luciana Benotto

Luoghi, personaggi, fatti e leggende

Cari lettrici e lettori che seguite la mia rubrica, chiedo venia perché è un po’ che non scrivo su alessandriatoday.wordpress e non lo faccio regolarmente, ma il tempo è sempre meno di quello che uno vorrebbe. Ora, comunque, ho pensato di pubblicare in poche puntate, un racconto che scrissi diversi anni fa, prima di finire nelle librerie. Si tratta di una storia che mi venne narrata da un amico che era stato in Nepal, e che venne pubblicata, con mio grande piacere, lo ammetto, sulla rivista Inchiostro. Buona lettura.

A due passi dal cielo

Di Luciana Benotto

Protetto dalla canadese piantata sopra lo strato di terriccio erboso che ricopre il tetto di quest’abitazione, per la prima volta dopo giorni, mi ricordo della mia di casa, mi ricordo degli impegni professionali, mi ricordo di avere una vita costituita, là, verso occidente. E mi chiedo quante persone mi abbiano cercato allo studio associato, o al mio telefonino spento; e pensare che dove mi trovo, altro che telefonino!

Qui si vive in una sorta di incredibile isolamento. Sono i pochi mercanti che scambiano il sale minerale con la lana delle greggi, a portare le notizie.

Sono finito tra gente tagliata fuori dalla storia e dal tempo; ma in fondo, che valore può avere il tempo per loro? Per degli agricoltori e dei pastori che seguono il sorgere e il tramontare del sole e l’andamento delle stagioni? 

Com’è diverso da Milano, dove tutti sono schiavi dell’orologio.

Questo è davvero un altro mondo.

Qui tutto si muove verso ottobre, quando i pastori, al cadere della prima neve, scendono ai pascoli bassi abbandonando gli anziani, che non ce la farebbero a camminare per così tanti chilometri, in questo bianco e gelido regno.

Ci sto bene qua sul tetto, in questo paesino di una sperduta valle nepalese, lontano da tutto e da tutti.

Oggi, arrivando a piedi da Dunai quasi non lo vedevo, mimetizzato com’è con la montagna da queste sue case di pietra grigia decorate da iscrizioni e segni tantrici che, a detta di Kvac, lo sherpa più simpatico, tengono lontani i demoni. 

Se fossi ancora bambino sicuramente l’avrei ribattezzato “il paese che scompare”, e mi sarei inventato qualche storia fantastica, ma in fondo, il solo fatto di essere qui è fantastico, di accontentarsi di mangiare questo strano pane non lievitato che chiamano chappati assieme a delle semplici uova sode e a delle rustiche noci e di bere, quasi l’avessi sempre fatto, questo tè unto e salato.

Anche salire su questo tetto è stato divertente, perché di scale intagliate in un tronco d’albero che sembrano piroghe, non ne avevo mai salite.

Mi infilo nel sacco a pelo e penso che questi ultimi giorni della mia vita li ho trascorsi camminando su piste ciottolose, arrampicandomi su erte sconnesse, attraversando dondolanti ponti di corda e legno gettati sopra corsi d’acqua impetuosi, e che uno di questi torrenti dalle acque gelide l’ho addirittura dovuto guadare legato in cordata come un alpinista, per non essere travolto dalla corrente. 

Di tutto ciò ne sanno qualcosa i miei piedi gonfi, i miei tendini indolenziti, i miei muscoli doloranti, che mi ricordano che son fatto di carne ed ossa, che sono vivo. Anche l’odore  me lo ricorda, d’altronde, mi sono lavato in qualche modo, ho liberato i miei intestini dietro a rocce e cespugli, riuscendo a vincere a fatica l’imbarazzo.

Continua…

Confido, che in attesa dell’uscita del terzo volume della trilogia che ho dedicato alla pittrice Sofonisba Anguissola, vogliate portare con voi nella valigia delle vacanze la storia di questa donna che nel Cinquecento riuscì ad emergere e a divenire famosa, in un mondo dominato dagli uomini.

“Sofonisba. La turbinosa giovinezza di una pittrice”

e “Sofonisba alla corte del re. Intrigo spagnolo”

editi da La Vita Felice.