Lucia Triolo un bicchiere di vino

un bicchiere di vino in mano

lunghe passeggiate
tra le ginocchia
il Venerdì Santo praticavo il digiuno
ma non avevo locuzioni interiori

la preghiera ha provato
le stelle
non è restata tra i frantumi
dei padri

gambe bagnate da sottili piogge
aspetta ora
l’ autobus in colorate vesti di badanti
ansia di provenienza e destinazione
ignota

forse ora uscirò di scena
come buono a nulla

sorvolare sulla fine

Lucia Triolo: preghiera

“Se esisti per davvero-fatti avanti”
Nina Cassian, Preghiera

……..

Se esisti per davvero non ti fare avanti
è tardi ormai

senza di te ho girato
nei bar dai tavolini vuoti
nelle stanze a pensione ho frantumato assenze

senza di te ho pensato
il mio lungo racconto
mostravo in giro il corpo
giovane e bello
per far pubblicità al cervello

Tutti i miei sguardi erano
più di un forse
se senza di te ho schivato urti
scavato tenacia nel verde delle foglie
e ho raso il pelo ai morti.

Ora lascia che muoia ostinata
non risuscitarmi
voglio vendicarmi
del vuoto che c’ è in te
farti capire e mordere l’assenza:

se esisti per davvero
sarai tu a
piangere per me

Lucia Triolo; Il paese degli “io”

il paese degli “io”
è un fertile terreno
a tutti offerto
in scatola di montaggio

     vi sorgono
     cattedrali
     su una zampa sola.

Lì proliferano statue
di Egoismi e Dei
e ogni giorno
qualcosa 
cambia loro
la testa 

     oggi
     quella di Atena
    -persona informata 
     sui fatti-
     ha il volto
     dell’urlo di Munch

e così accade il “me stesso”
balocco bislacco e incompleto
come un fatto
a pezzi
smarriti, trovati ora qui
ora lì

Poesia: ” Una tazza di cielo” di Caterina Alagna

Bevo una tazza di cielo stasera

mentre le tue dita come ali

frullano sulla tastiera.

Nel silenzio mi par di sentire

il profumo dei fiori,

il cinguettare di una primavera

ancora troppo lontana

e che tuttavia trasuda dalle mura,

dai tessuti consunti della mia casa.

Persino tra le lame sfavillanti 

dei coltelli mi sembra di scorgere 

la timida luce di aprile.

Scorrono le tue dita

e scrivono di numeri,

di sterili liste della spesa

mentre s’appresta nel mio cuore

un gracile gracidare di rime

rabbuiate nelle notti d’inverno 

a scolpire il roseo canto

di un placido sole di maggio.

Link al mio blog https://farfallelibereblog.blogspot.com/

Due parole sul lavoro e sulla formazione…

Si parla tanto di mismatch tra domanda e offerta nel mercato del lavoro. Le imprese non trovano certe figure professionali.  Danno perciò colpa alla scuola che non forma adeguatamente oppure danno colpa ai giovani che non vogliono sporcarsi le mani e non vogliono più fare certi lavori (ma ci sono alcuni titolari di attività commerciali che addirittura pagano pochissimo i giovani, da qui la definizione di generazione 250 euro, oppure che non vorrebbero pagarli, perché danno loro l’opportunità di imparare un mestiere). D’altronde l’Italia è fanalino di coda in Europa per le spese nell’istruzione. Quindi l’istruzione pubblica con le risorse economiche attuali a disposizione non può formare adeguatamente. Le aziende oggi investono molto di più di un tempo nella formazione dei dipendenti, ma non ancora in modo sufficiente per affrontare adeguatamente le sfide dell’innovazione e dell’intelligenza artificiale. Ma davvero poi i corsi aziendali, fatti da società esterne, spesso costosi, sono efficaci? Il vero tessuto produttivo italiano è costituito da piccole imprese. Sono queste il motore dell’economia italiana. Il sintomo manifesto che la formazione non è adeguata in queste imprese si vede dal fatto che i figli che dovrebbero rilevare le piccole ditte non si rivelano adeguati imprenditorialmente e perciò il problema maggiore di queste realtà è il mancato ricambio generazionale in gran parte dei casi. Se è vero che le grandi aziende se la cavano se i figli dei grandi imprenditori non sono validi, perché hanno un esercito di consulenti, professionisti, dirigenti, altrettanto non accade nelle piccole imprese, che hanno meno risorse economiche e meno professionalità. Nelle grandi aziende, nelle corporation, nelle multinazionali a dirigere e a governare non sono spesso i proprietari o i soci di maggioranza ma i tecnocrati, mentre nelle piccole imprese molto è delegato all’imprenditorialitá dei proprietari e degli eredi. Sempre a proposito di formazione a questo si aggiunga il fatto che molto spesso le aziende ricercano esclusivamente sia gente giovane in età di apprendistato che gente esperta, ovvero vogliono in gran parte lavoratori giovani da formare che lavoratori maturi già adeguatamente formati. Finisce così che i disoccupati cinquantenni si trovano senza futuro, senza pensare poi che le conoscenze diventano subito obsolete e i corsi per disoccupati delle regioni spesso servono a ben poco. Si parla tanto di formazione continua, ma spesso questa diventa autoformazione continua, che adesso è più efficace tramite il digitale learning,  cioè con i corsi a distanza, online. Tutto ciò naturalmente finisce a carico, sulle spese del singolo individuo.  Il fatto è che dobbiamo accontentarci di questa realtà economica, dato che le risorse sono quelle che sono e il mercato è quello che è. Siamo lontanissimi dalla società post-capitalista di Marx, in cui “da ciascuno secondo le sue capacità,  a ciascuno secondo i suoi bisogni” oppure dallo slogan socialista “da ciascuno a secondo delle sue capacità, a ciascuno a secondo del suo lavoro”. Per Rousseau per combattere l’ineguaglianza e la forza bruta dello stato di natura ci voleva un contratto sociale tra i singoli e lo Stato, che esprimeva la sovranità popolare. Il contrattualismo è stato visto come la vittoria dello stato di diritto, della democrazia. Eppure in questi ultimi anni in Italia il diritto di lavorare e i diritti dei lavoratori sono venuti meno. Si pensi alla grande disoccupazione giovanile, per cui tanti ragazzi emigrano, o si pensi all’elevata precarizzazione dei lavoratori, che non hanno più garanzie per avere un mutuo dalle banche. Il governo Meloni festeggia perché è aumentato il tasso di occupazione, ma queste problematiche restano nascoste sotto il tappeto. Però i problemi restano, gli italiani li vivono quotidianamente sulla loro pelle, al di là dei trionfalismi di facciata. 

Lucia Triolo: non sembrava

Non sembrava nemmeno bella

eppure si fece strada
tra gli sguardi
come una vibrazione di luce
che taglia l’ammutolita sera
e illumina anche
ciò che nel buio la terra
vuol celare.

In un non-luogo che tutti conosciamo
la chiamarono
vita
e non sapevano quel che dicevano.
Serve a chi non è
docile. 

Oggi sono stanca e non andrò da nessuna parte
non cercatemi

Lucia Triolo: c’era una volta

“La fauna si muove, mentre la flora si spiega davanti all’occhio/…/
Non errano in ricerca di un luogo per morire/…/
Essi non sono…Non sono…
Per loro l’inferno è d’altro genere
Francis Ponge, Fauna e Flora, da “Il partito preso delle cose”


Da bambina leggevi alle bambole:
“c’era una volta” e
vedevi i fagiani passare,
il loro colore finire nel capanno
sulla mano

Un antidoto cercavi 
all’imperfetta tenerezza
di quella 
volta che polvere di gioia 
guardò di striscio nel capanno
e
volse gli occhi a un fiore

“piazza pulita di inferno e paradiso”
diceva la tenerezza timida a un fagiano.

Da grande
a ogni stazione
i guanti
si rompevano
alle unghie
Esse sono… sono…

il purgatorio in treno
ti prendeva la mano

Lucia Triolo: a Osip Mandel’stam

O forse, compiuto il cammino, 
scaduto il tempo, tornerò, 
là–non ho potuto amare 
qui–di amare ho paura 
(Osip Mandel’ stam: Detesto la luce da “PIETRA”)

——

L’area del quadrato è colma di stupri,
dalla nascita ho perso il conto dei miei pori
stupore violentato brandisce deliqui

Osip il dissolto
vuole ancora venire a trovarmi,
per parlare.

Sono io a volerlo

Viene da lontano
lo sanno le piaghe dei suoi piedi
intrecciate ai capelli
ai sensi avvelenati,
lo sa la sua fame,
gli erutti d’aria vuoti,
gas di scarico tra singhiozzi muti nella spazzatura.

Sono io a venire

Stracci addosso pesanti dei suoi giorni,
dei suoi luoghi
Occhi nel ventre, nel petto, nel dorso
in un’ anima ormai come liofilizzata
occhi, occhi.
Lacerata occhiuta paura!

Sono io completamente cieca

là-non ho potuto amare 
rabbrividisce 

là dove, là dove? incalzo, forse
là dove amore non perdona non-amore?

qui-di amare ho paura 
mi sbatte in faccia.

Qui dove, qui dove? Aggredisco, 
“dove” paura di amare?
Siamo già al danno ultimo!

Non voglio imparare l’inferno:
imparare ad amare quando più non si può!
Non è per questo che,
come l’amore,
l’inferno è eterno,
ed è senza perdono? 

Lucia Triolo; dolore infame

“E’ un innato modo di fare
questo mio non accettare 
di esistere” S. Toma, “Canzoniere della morte”

voi avete truffato il mio dolore
lo avete reso infame

avete reso infame un dolore
e siete 
immobili e non avete sentito le sue 
parole agitarsi nelle viscere
il suo balbettio in un
flusso di coscienza

era un dolore antico e nuovo  
un ignoto infinito
gorgoglio 
ve ne siete presi gioco 

era un dolore in polvere
era il dolore di esserci
in una polvere di “perché”
e voi lo avete reso infame

“perché” 
non lo conoscete

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