LA LUNA…

LA LUNA…

Posted on  by albosenga

Un movimento di gioco, sogno e compassione.

Al tempo della missione Apollo-9 nel 1969, l’astronauta Rusty Schweickart uscì dalla navicella spaziale legato soltanto da un sottile cordone ombelicale. In genere la NASA non vuole che ci siano tempi vuoti lassù, per evitare che una qualche esperienza mistica faccia irruzione senza preavviso, ma quella volta avvenne un fatto imprevisto. 

Proprio nel momento in cui Schweickart uscì dalla navicella spaziale, qualche cosa attirò l’attenzione del centro di controllo di Houston e dei suoi compagni rimasti all’interno. 

Il povero astronauta si trovò cosi totalmente abbandonato a sé stesso, mentre fluttuava in orbita attorno alla Terra in un impressionante silenzio cosmico. 

Avvenne allora una sorta di conversione, un inatteso risveglio del sentimento di compassione. 

Osservava la Terra e vi vedeva “un gioiello splendente che si stagliava su un velluto nerissimo”. 

Fu allora che Schweickart realizzò che tutto quel che amava: la sua famiglia, il suo paese, la musica, la storia umana con le sue follie e le sue grandezze stava in quel gioiello verde e blu. 

Ne fu talmente sconvolto che racconta “volevo prenderla tra le braccia, stringerla a me, come una madre abbraccia il proprio bambino”. 

Quale meraviglia devono essere stati quei giorni di avventure spaziali! Quanti cambiamenti nel cuore dell’uomo! 

Ne porta traccia anche la poesia di un poeta, che proviene proprio dalle mie terre e che nei giorni dello sbarco sulla luna scrive:

L’autra neuit, forsa d’pensé

L’hai decis ëd fé n’afé,

e apen-a rivà dí,

l’hai dispost e stabilí:

“Vist che si a i è pi nen,

pi gnun mezza ëd fessla ben,

vist che si l’hai nen fortun-a:

veuj pié n’bjett e ‘ndé ‘nt la lun-a“.

Son astoff ëd paghé d’tasse,

N’hai pí veuja d’tribulé,

Veuj pí nen fé ste vitase,

Cerco ‘l modo d’miglioré.

L’é par nen avní pí gris

Che saluto costa vita

Oramai i son decis

Compro ‘l bjett e fass ‘na gita.

Vado ‘n cerca d’la fortun-a

Sul stellite ch’a và:

vado su fin-a ‘nt la lun-a

e s’arrivio…e stago là [1].


Alla fine Enea Riccardino, non partì per la luna, continuò a svolgere la sua professione di medico. Ma le due storie ci insegnano il ritmo armonico di sogno, gioco e compassione, che sono per noi come i movimenti della luna.

Fr. Alberto Maria

[1] L’altra notte a forza di pensare/ ho deciso di fare un affare, / e appena giunto il giorno, / ho disposto e stabilito:/ “Visto che qui non c’è più niente, più nessun modo per passarsela bene, / visto che non ho fortuna, / voglio prendere un biglietto e andare sulla luna”. Sono stufo di pagare le tasse, / non ho più voglia di soffrire, / non voglio più fare queste vitacce, / cerco il modo di migliorare. / Per non diventare grigio/ saluto questa vita/ ormai ho deciso/ compro un biglietto e faccio una gita. / Vado in cerca della fortuna/ sul satellite che va, / vado su fino alla luna/ e se arrivo…io sto là.

Vai a Le SCRITTURE di Alberto Maria

UN ABITO DI NUVOLE

UN ABITO DI NUVOLE

Posted on  by albosenga

O Madre Terra, o Padre Cielo, i vostri figli sulle schiene stanche portano doni splendidi. Tessete in cambio per noi vesti di luce: la trama sia la luce bianca del mattino, l’ordito sia la luce rossa del tramonto, le frange siano di pioggia, e l’orlo d’arcobaleno, così che camminiamo ben vestiti là dove cantano gli uccelli e verde è il colore dell’erba. O Madre Terra, o Padre Cielo. 

CANTO INDIANI D’AMERICA: IL TELAIO DEL CIELO – PUEBLO TEWA

Mamma Terra e Babbo Cielo. Ecco l’inizio di una famiglia.

Ambiente di vita dal sapore materno nel suo essere fatto di erba, di muschio, di rocce, di fiori e alberi, paterno nelle nubi del cielo, nei grandi azzurri luminosi, nel gioco spensierato delle stelle. 

E noi immersi in questa famigliarità nella sua grandezza e nella sua piccolezza. Nel mezzo, come immersi in un contesto vitale la nostra umanità di figli. Uomini e donne caratterizzati troppo spesso dalla fatica, dallo sguardo spento, schiene stanche di portare doni splendidi.

È vero, il dono di vivere in quest’immensità talvolta é faticoso. Troppo spesso ci stanchiamo della bellezza, della fedeltà, dell’amore, della semplicità, ma paradossalmente chiediamo ancora un dono, quello di essere coperti, sostenuti, il dono di un abito. 

Nella Bibbia si parla dell’abito di Giuseppe (Gn 37,1-14), che indica l’essere figli amati di un amore speciale, e di Adamo ed Eva che ricevettero un abito di pelle (Gn 3,20-21). 

Qui il corpo con le sue malattie, le sue stanchezze, sembra essere la ragione di questo canto e per questo chiede il dono di un abito di luce, di leggerezza. Quello che forma la trama del tessuto è la luce del mattino, il cammino della speranza, quando ci svegliamo e ci attende la vita. Così l’ordito che tutto tiene assieme è la luce rossa del tramonto. 

Trama bianca e ordito rosso fanno un abito rosa, leggero come le nubi che incontrano il sole. 

Nubi che talvolta portano la pioggia, che sono come le frange dell’abito e parlano di tutto quello che sta tra il sottile confine di noi stessi e il mondo che ci circonda. E così su queste nubi di pioggia spunta talvolta l’orlo dell’arcobaleno, quel luogo di luce che nella tradizione biblica unisce il cielo e la terra, segno della pace ritrovata, dell’amore svelato di Dio verso l’uomo. 

Ecco, è ritrovando il nostro legame con la luce celeste, lasciando che il nostro corpo di terra si illumini dei raggi della luce divina, che ritroviamo il gusto, la gioia e la gratitudine di ascoltare il canto degli uccelli, la vita degli esseri alati . Ritorniamo a contemplare il verde delle cose che crescono. Così alati dello strascico del nostro abito, abbigliati di luce, camminiamo nella vita. 

La Vita è frutto di una madre che ci dà forza e di un padre che ci dona la sua luce e il suo splendore. Vita di nubi che camminano tra il bosco e il cielo.

Fr. Alberto Maria

Vai a Le SCRITTURE di Alberto Maria

LE PAROLE DELLA TERRA

LE PAROLE DELLA TERRA

Posted on  by albosenga

Io sono la vita della Terra.

I suoi piedi sono i miei piedi,

le sue gambe sono le mie gambe,

il suo corpo è il mio corpo.

I miei pensieri sono i pensieri della Terra.

Le mie parole sono le sue.

Canto degli indiani Navajo

Perché questo antico canto parla di vita della Terra? 

È un modo per rendermi consapevole della profonda comunione che esiste tra me e il mondo che mi circonda. 

Non solo la Terra mi dà la vita, dandomi cibo, aria, acqua, suoni, relazioni, ma quello che io vivo, quello che amo, desidero, dico e ascolto, dà vita alla Terra. Essa diventa così il luogo che porta e sostiene il mio amore, il mio desiderio, le mie speranze più vere.

piedi della terra cosa sono? Sono i miei, dice il canto, perché mi portano verso i luoghi che desidero vedere, verso i volti che desidero incontrare, e così imparo che la Terra è il luogo delle relazioni, lo spazio meraviglioso dove una rete invisibile lega gli esseri tra loro, in un sussurro segreto.

Le gambe sostengono questo movimento di incontro, e così io stesso mi faccio sostegno dei desideri della Terra. 

Pian piano, imparo che i miei pensieri non sono solo i miei pensieri, ma che possono allargarsi ai desideri di tutti, a quelli di ogni creatura, imparano a farsi accoglienti, perché sanno essere voce di un popolo, di una nazione, di tutta l’umanità. 

Così, abitato dal desiderio, anche le mie parole diventano le parole della Terra, perché hanno saputo fare spazio alla dimensione del cosmo che abita dentro e fuori di me, sono diventate parole collettive, parole della natura, quindi parole di amore.

Fr. Alberto Maria

LA LUNA…

LA LUNA…

Posted on  by albosenga

Un movimento di gioco, sogno e compassione.

Al tempo della missione Apollo-9 nel 1969, l’astronauta Rusty Schweickart uscì dalla navicella spaziale legato soltanto da un sottile cordone ombelicale. In genere la NASA non vuole che ci siano tempi vuoti lassù, per evitare che una qualche esperienza mistica faccia irruzione senza preavviso, ma quella volta avvenne un fatto imprevisto. 

Proprio nel momento in cui Schweickart uscì dalla navicella spaziale, qualche cosa attirò l’attenzione del centro di controllo di Houston e dei suoi compagni rimasti all’interno. 

Il povero astronauta si trovò cosi totalmente abbandonato a sé stesso, mentre fluttuava in orbita attorno alla Terra in un impressionante silenzio cosmico. 

Avvenne allora una sorta di conversione, un inatteso risveglio del sentimento di compassione. 

Osservava la Terra e vi vedeva “un gioiello splendente che si stagliava su un velluto nerissimo”. 

Fu allora che Schweickart realizzò che tutto quel che amava: la sua famiglia, il suo paese, la musica, la storia umana con le sue follie e le sue grandezze stava in quel gioiello verde e blu. 

Ne fu talmente sconvolto che racconta “volevo prenderla tra le braccia, stringerla a me, come una madre abbraccia il proprio bambino”. 

Quale meraviglia devono essere stati quei giorni di avventure spaziali! Quanti cambiamenti nel cuore dell’uomo! 

Ne porta traccia anche la poesia di un poeta, che proviene proprio dalle mie terre e che nei giorni dello sbarco sulla luna scrive:

L’autra neuit, forsa d’pensé

L’hai decis ëd fé n’afé,

e apen-a rivà dí,

l’hai dispost e stabilí:

“Vist che si a i è pi nen,

pi gnun mezza ëd fessla ben,

vist che si l’hai nen fortun-a:

veuj pié n’bjett e ‘ndé ‘nt la lun-a“.

Son astoff ëd paghé d’tasse,

N’hai pí veuja d’tribulé,

Veuj pí nen fé ste vitase,

Cerco ‘l modo d’miglioré.

L’é par nen avní pí gris

Che saluto costa vita

Oramai i son decis

Compro ‘l bjett e fass ‘na gita.

Vado ‘n cerca d’la fortun-a

Sul stellite ch’a và:

vado su fin-a ‘nt la lun-a

e s’arrivio…e stago là [1].


Alla fine Enea Riccardino, non partì per la luna, continuò a svolgere la sua professione di medico. Ma le due storie ci insegnano il ritmo armonico di sogno, gioco e compassione, che sono per noi come i movimenti della luna.

Fr. Alberto Maria

[1] L’altra notte a forza di pensare/ ho deciso di fare un affare, / e appena giunto il giorno, / ho disposto e stabilito:/ “Visto che qui non c’è più niente, più nessun modo per passarsela bene, / visto che non ho fortuna, / voglio prendere un biglietto e andare sulla luna”. Sono stufo di pagare le tasse, / non ho più voglia di soffrire, / non voglio più fare queste vitacce, / cerco il modo di migliorare. / Per non diventare grigio/ saluto questa vita/ ormai ho deciso/ compro un biglietto e faccio una gita. / Vado in cerca della fortuna/ sul satellite che va, / vado su fino alla luna/ e se arrivo…io sto là.

Vai a Le SCRITTURE di Alberto Maria