Ho stipulato un contratto con l’acquedotto di vita per la fornitura quotidiana. La mia non è la vostra morte di chi sarà non so.
Non ho voltato le spalle al giorno nemmeno alla notte Ho stanziato uno sbaraglio per riavermi, una prepotenza d’unghie e denti
Non sei tu a mancarmi è quell’atmosfera da tecnica virale, da stufa in calore in cui mi avviluppavi
Come dimenticare le trappole d’essenza l’essermi in te desiderata l’averti in me concepito tante e tante volte come un rubinetto gocciolante? irreparabilmente
apro la pioggia mi guarda come una tragedia voltata a contare una per una le lettere dei nostri nomi e noi: soliloqui di un ventriloquo! Il corpo è un ponte su cui passa leggera morte
Stupisce, a volte, la vita, con episodi particolari, che ci ripresenta, identici, a distanza di anni.
La mente si meraviglia di questa insolita circostanza e fa degli sforzi a comprendere i veri motivi di questi speciali scenari che tornano, inaspettati, alla ribalta.
Probabilmente sono delle coincidenze, ma è impossibile non pensare che dovremmo riflettere a fondo sul perché di questi eventi.
Analizzando il vissuto del passato, ci soffermiamo sui nostri atteggiamenti, cercando di capire se essi abbiano portato a risultati positivi, o, al contrario, ci siamo comportati in modo impulsivo, rovinando delle situazioni che avrebbero potuto avere una conclusione
diversa e ottimale per il futuro a venire..
A volte seguiamo cecamente l’istinto, lasciando da parte profonde riflessioni, che invece sarebbero necessarie e produrrebbero effetti migliori sull’andamento dell’esistenza.
L’esperienza aiuta tantissimo nel nostro percorso, soprattutto, fa in modo che non ripetiamo errori irreparabili, che segneranno fortemente la nostra interiorità.
Ma tornando all’argomento principale di questo scritto, e cioè il ripetersi di episodi unici, sorridiamo quando ci troviamo di fronte a questo avvenimento e prendiamo tutte le precauzioni necessarie per sentirci vincenti, dando scacco a una vita che ci mette ancora alla prova……
Ora dinnanzi ai frutteti della morte mi congedo da te cui non seppi mai dire no né dire si
Che succede, chi arriva? È tardi sai per cominciare e anche ormai per continuare Antico è il vento che ci avvolse fin quando tenni la mano nella tua e c’era sangue caldo che passava da te a me
ora dinnanzi ai frutteti della morte supera il confine e vieni
c’era il vestito verdeblù che indossavi spesso ed era anche un po’ mio: in quelle tasche infilavo come caramelle i tuoi sussurri a me per rubarli all’angoscia dell’ infanzia mia che s’attardava e adesso impigliata tra il passato e il desiderio urlo che li rivorrei
ora dinnanzi ai frutteti della morte a te chiedo di aprire le saracinesche della mia anima di carne
Quante persone fingono, o mentono nello scenario della vita…..lo fanno in modo talmente spontaneo, che infine ciò diventa “un canovaccio usuale” del loro agire.
Le motivazioni di questo tipo di atteggiamento sono infinite, ma quella predominantecredo che riguardi il fatto di voler nascondere al prossimo i propri limiti e insicurezzelasciando trapelare una parte di sé stessi non vera.
In quest’epoca in cui l’apparire occupa una parte fondamentale dell’esistenza, la maggiorparte degli individui fa in modo di essere appariscente, cercando anche di dimostrareche fa le scelte migliori nei vari settori del quotidiano
Sembra che seguire certi stili di vita, rappresenti quasi una regola e chi, invece, fa sceltediverse, con la propria testa, viene definito “strano” e anche messo da parte dagli altri.
Credo che avere una personalità delineata e decidere, di volta in volta, con la propriamente, come agire, sia un pregio e una caratteristica notevole, portatrice, sempre, dibuoni risultati….
La natura non si smentisce mai….infatti ,ad ogni cambio di stagione, ci trasmette dei messaggi ben precisi, ai quali pare si debba necessariamente sottostare.
Quell’intontimento inspiegabile, che proviamo all’inizio della primavera, ne è una dimostrazione pratica.
Abbiamo più voglia di dormire, e allo stesso tempo, anche una diversa energia, data dai colori accesi delle giornate e dei boccioli in fiore, nella loro fragrante esplosione, che pare voglia dirci godi di ogni respiro della tua esistenza, perché è davvero il momento di farlo.
Giornate più lunghe, clima addolcito, effervescenze profumate nell’aria, che invitano a sognare intensi momenti d’amore, con la persona che si ama…
E’ davvero un magnifico periodo dell’anno quello che si vive in aprile/maggio e credo che ognuno di noi si riproponga di rigenerarsi, al meglio, per godere della mite temperatura e della speciale
luce del giorno che propone una nuova e vitale energia.
L’abbigliamento diviene più soffice, in una leggerezza di tessuti, che si indossano piacevolmente e che fanno pregustare un clima temperato, portatore di sensazioni completamente nuove.
S’accresce il desiderio di stare all’aperto, in ville o luoghi di campagna ove poter assaporare la magia di nuove essenze e trasporti emotivi di rara intensità, che donino nuova tempra all’organismo in cerca d’ossigenazione, al di fuori della metropoli inquinata.
Non rimane che godere di questa speciale atmosfera, portatrice di positività e nuova carica emotiva, per poter intraprendere un cammino colmo di soprese….
Nel 1928 a Roma vennero ritrovate alcune statue, ma la più bella tra le belle fu proprio lei: Polimnia!
In via Terni – vicino piazza di Villa Fiorelli (quartiere Tuscolano, VII Municipio)- nel 1928 fu scoperta casualmente una galleria adibita a cava di tufo: proprio lì giacevano, “in riposo ed in attesa”, alcune statue raffiguranti delle Muse, ma la più bella tra le belle risultò essere da subito Polimnia,una delle nove Muse del pantheon greco.
Dal 1997 possiamo ancora ammirare, a tutto tondo, il fascino di tale Musa pensosa all’interno della collezione di arte antica dei Musei Capitolini presso la ex centraleMontemartini sulla via Ostiense. Tale sito, inoltre, è un raro esempo di connubio ben riuscito tra archeologia industrialee archeologia classica: le opere d’arte, infatti, sono state allestite accanto ai primi motori a Diesel (Anni Trenta, famiglia Tosi) che arrivarono a Roma per fornire di energia elettrica al 50% della Capitale. Lo stesso museo, infine, è stato spesso scelto come set cinematografico, poichè sembra di entrare all’interno di una nave: un esempio per tutti, alcune scene del film “Saturno contro” (2007) di Ferzan Ozpetek.
Ma ritornando alla nostra protagonista greca, Polimnia, dobbiamo ricordare in primis che la fanciulla – figlia di Zeus e Mnemòsine – rappresenta, come già accennato, una delle nove Muse e l’etimologia del suo nome significa “molti canti“, “di gran lode“, poichè Polimnia presiede lapantomima, la retorica, la memoria, grazie al potere del ricordare trasmessole dalla madre.
Alta 159 cm, copia romana del II sec. a.C.,questa statua in marmo pario, dopo secoli, presenta ancora una levigatura e patinatura intatta: è proprio la più bella tra le belle anche all’interno del museo!
La giovinetta è rappresentata tutta avvolta in un pesante mantello (siamo in inverno? Oppure si tratta di un’ora tarda?), in un unico volume marmoreo da cui fuoriescono solamente il capo, la mano sinistra ed il piede sinistro cinto da un raffinato sandalo. Mentre la sua mano destra (che si intravvede come sagoma sotto il rigido manto) è chiusa in pugno per sorreggere il peso della sua testa, la sua mano sinistra, invece, stringe un cartiglio, forse un rotolo di papiro, simbolo dell’arte da lei rappresentata.
Gli archeologi ci ricordano che, nella zona in cui fu rinvenuta questa statua di Polimnia, si estendeva un ampio possedimento imperiale (Horti Spei Veteris) che partiva dall’attuale piazza di Porta Maggiore. Sotto l’imperatore Settimio Severo (Libia, 145 – Inghilterra 211) vennero costruiti un Palatium, uno Stadium e un Anfiteatrum (il cosiddetto Castrense), inglobato poi nelle Mura Aureliane a partire dal 217 d.C.. La staua in oggetto, dunque, molto probabilmente faceva parte di un ciclo di muse al seguito del dio Apollo, come era stato anche per la decorazione del tempio di Apollo Sosiano davanti al Teatro di Marcello.
Assorta in meditazione, Polimnia adolescente poggia tutto il suo peso su di una rupe che rappresenta, forse, “il limite della realtà”, richiamo moderno a quella siepe leopardiana oltre cui la mente si affaccia agli interminati spazi della poesia. Ogni volta che si è di fronte a questa affascinante e misteriosa opera d’arte si prova veramente l’impressione di essere davanti ad unafotografia in marmo, ad uno scatto “rubato” ad una fanciulla – assorta nei suoi pensieri e dall’acconciatura non elaborata – che si appresta a divenire donna, manifestando, nella sua posa naturale, un’umanità che sfida i secoli.
Come per la “Gioconda ” (Louvre) di Leonardo da Vinci, così lo sguardo enigmatico di Polimnia non ci permette di comprendere a cosa lei stia veramente pensando. E chissà se quel papiro, gelosamente stretto nella sua mano sinistra, possa averle comunicato notizie riguardo un suo eventuale amore, visto che il poggiare il proprio capo su di un pugno chiuso raprresentava il segno iconografico della malinconia d’amore….(TIZIANA FIORI)
Calze nere pesanti ad affrontare il giorno senza pensare, senza volere.
Ti spezza le ossa questa fatica e non c’è un treno che ti porti via, donna dagli occhi curvi. Silenziosa mestizia afferri nelle mani tutte le stagioni.
Dentro un cartoccio di antiche illusioni dalla buccia sottile, la bionda nuca di ragazzina fa ancora resistenza a scomparire
Tu l’assecondi complice segreta ma non ve lo direte mai. Solo scarpe slacciate lasci a liberare i piedi per fuggire.
Chissà perché , nelle stagioni che passano, in modo veloce, diventiamo sempre più indifferenti alle situazioni proposte dalla vita. Direi più semplicemente, che quel batticuore bellissimo, che si provava spesso, anche in momenti non molto rilevanti, tende a sopirsi quasi del tutto. Forse la consapevolezza accentuata, che sovrasta ogni evento, privandolo di quel senso di imprevedibilità o curiosità così antichi? Non so esattamente cosa sia a renderci diversi, e talvolta, quasi impassibili a episodi dell’attimo. In parte l’andare d’esistenza, con le varie controversie, e difficoltà, crea un elevato stress alla nostra mente, che infine sembra rifugiarsi in un angolo silenzioso, per essere disturbata il meno possibile da qualsivoglia fatto, che intervenga a farla ragionare più del dovuto. Comunque non la pensiamo tutti allo stesso modo. Alcune persone sono più “battagliere” e si fanno coinvolgere sempre in tutti gli avvenimenti, accanendosi fino alla loro conclusione, altri individui, per contro, si estraniano il più possibile dalle varie circostanze, quasi dimenticando il loro contorno @Silvia De Angelis
Ringrazio Giuseppe Cerbino e Federico Preziosi che nella trasmissione “la Parola da casa” del 26/4/24 mi hanno dato modo di conoscere la poesia di Jozefina Dautbegović. Nata in Bosnia nel 1948, fino allo scoppio della guerra nella ex Jugoslavia è vissuta a Doboj. Nel 1992; all’inizio della guerra, si rifugia con il marito a Zagabria, dove vivrà fino alla morte avvenuta nel 2008. Il cuore del suo lavoro poetico è “la casa” che diviene anche “la patria”. L’una e l’altra è obbligata a lasciare per la guerra, vivendo per il resto dei suoi giorni la tragedia dell’esilio. In Italia sono uscite due raccolte a suo nome: La televisione di Dio, Cicero editore 2010, Il tempo degli spaventapasseri, (cura e traduzione di Neval Berber), Molesini editore 2022 Alla bellezza della sua poesia desidero rendere omaggio con 2 suoi testi
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Il trasloco
Da me ci si aspetta una decisione tremenda fare ordine buttare via le cose superflue al momento del trasloco
Essere quella che le chiamerà per nome Uno dopo l’altra (Non riesco a sottrarmi all’impressione Che in questo modo si compia un tradimento)
Devo puntare il dito afferrare con la mano e mettere da parte Quella gonna fortunata con la quale andavo dal dentista e dal ginecologo quelle scarpe che da sole conoscevano la strada fino a casa la tenda dietro la quale eravamo protetti così bene dai lampioni curiosi Quel tuo consumato maglione Pierre Cardin che da profugo hai ricevuto in dono dalla Croce rossa insieme alla lettera piena di buoni auguri da parte di una famiglia francese che non ha voluto (che delicatezza) firmarsi per non obbligarti alla gratitudine
Com’è tremendo essere colui che indica col dito Poi guardare come gli operai della nettezza urbana portano via tutti i ricordi li macinano insieme a quelli degli altri e li portano all’inceneritore sopra il quale qualche attimo più tardi si alzerà una colonna grigia di fumo (cosa mi ricorda tutto questo?) Le anime dei nostri oggetti ricadranno su di noi sotto forma di smog urbano
Emetto condanne a morte Mi sento come un boia Non so se sarebbe d’aiuto mettermi in testa un cappuccio nero come gli altri assassini affinché gli oggetti non mi riconoscano.
Zagabria, 14/IX/2002
La compravendita
Io vendo la casa con tutto quello che per casa si intende Tu compri solo un tetto sopra la testa
Io vendo la soffitta piena di piccioni e fasci di luce che a strisce gialle si insinuano tra le tegole tu compri uno spazio adatto per gli oggetti superflui
Io vendo tutte le cene con gli amici le loro voci sonore Tu compri abbastanza metri quadri dove poter sistemare una cucina italiana dal design moderno
Io vendo la vista sulle colline viola e trent’anni di raggi di sole moltiplicati per 365 giorni all’anno senza contare quelli bisestili tu compri una finestra rivolta a est
Io vendo latte di luna il suo argento fuso versato sui tetti dei vicini Tu compri soltanto una veranda adatta per asciugare i panni
Della camera da letto non voglio parlare per educazione Ma posso facilmente supporre quello che tu compreresti
Vendo anche il suono nervoso dei miei tacchi che andavano avanti e indietro avanti e indietro su e giù giù e su
mentre aspettavo i suoi passi per le scale nel soggiorno
Tu compri il parquet di quercia ben conservato e mi chiedi quanto costano i ricordi a metro quadro?
Quante volte ci capita di essere in disaccordo con persone, con le quali siamo costretti ad avere ,dei rapporti contigui, nel corso della nostra vita.
In realtà proviamo un certo senso di imbarazzo, perché non approviamo, un certo tipo di atteggiamento lontano dal nostro pensiero, e nello stesso tempo, non vogliamo interrompere il corso di quell’iter, che può andar bene per il prosieguo del cammino.
Allora siamo costretti a fare delle scelte ben precise : o interrompere del tutto quel tipo di situazione, rivolgendo altrove il nostro interesse, o tenendola solo per le necessità del momento, discostandoci in parte da essa.
Cambiare del tutto una relazione lavorativa/medica può essere rischioso, perché come sappiamo ogni nuovo rapporto, di quel tipo, può presentare vantaggi e svantaggi che bisognerebbe vagliare con molta attenzione, e soprattutto l’inizio “del nuovo” non è cosa facile.
Oppure lasciare la circostanza del tutto invariata, cercando di “fare buon viso a cattivo gioco”, e soprattutto lasciando da parte crisi impulsive, forse inevitabili, di fronte a un’idea che non collimi assolutamente col nostro interlocutore, e della quale siamo pienamente convinti.
A volte non basta avere ragione, esistono dei motivi, e degli interessi oltre la realtà dell’attimo, avverso i quali è impossibile combattere, ed alcune pronunce importanti dipendono dalla discrezionalità di chi ha la facoltà di poter decidere, quindi è del tutto inutile, e insano, obiettare.
Indubbiamente questo fatto crea un certo stato di nervosismo interiore, ma come si dice, conviene “ingoiare il rospo” e proseguire, sperando in tempi migliori.
178a Puntata Il Salotto del Menestrello Letture e conversazioni sulla poesia.
Serata dedicata ai vincitori dell’evento poetico online II Bimestre Marzo Aprile 2024. In studio : Elisabetta Biondi Della Sdriscia, Rita Stanzione, Patrizia Amalfi, Roberto Casati, Alberto Automa e Stefano Baldinu. Conduce : Domenico Faniello.
Lucia Triolo, nella sua poesia “Il ponte della speranza”, ci trasporta in una dimensione metaforica dove il ponte rappresenta non solo un passaggio, ma una vera e propria esperienza di transizione e di introspezione. La costruzione di questo ponte “dai bordi trasparenti” simboleggia la fragilità e la trasparenza del percorso umano, dove vediamo ciò che attraversa – “frustate di luce e tenebra” – ma restiamo ignari delle sue vere origini e destinazioni.
Triolo utilizza immagini potenti e una scelta di parole evocative per dipingere una lotta interiore tra la vita e la morte, il noto e l’ignoto. L’uso di “sguardi d’aquila e lupo” evoca una dualità di visione: l’aquila che può vedere da lontano con chiarezza, e il lupo che introduce un elemento di selvaggio e di mistero. Questi animali, simboli di potere e istinto, enfatizzano il dinamismo del ponte, che è al tempo stesso luogo di passaggio e di osservazione.
Il verso finale, “sbriciola i grumi della morte che di continuo chiede di me e di te”, suggerisce una riflessione sul significato dell’esistenza e sulla inevitabile presenza della morte nelle nostre vite. Il ponte, in questo contesto, diventa un simbolo di speranza, un luogo dove le peggiori paure possono essere affrontate e forse superate.
In conclusione, “Il ponte della speranza” di Lucia Triolo è una poesia intensa e ricca di simbolismo. Attraverso una struttura semplice ma profondamente significativa, la poetessa ci invita a riflettere sui grandi temi dell’esistenza, della mortalità e della speranza. Con una maestria linguistica che tocca il cuore, Triolo riesce a rendere un’immagine quotidiana uno straordinario viaggio emotivo e filosofico.
Rincorro quelle interminabili onde, che col loro andirivieni, riportano in quell’arenile solitario, fibrillanti attimi di remoto, unici nel momento, a inorgogliosire trame nascoste perse in complicate disavventure d’esistenza, interminabili e irrisolvibili. Intense nuances smaglianti, e variegate sfumature tonalizzano inquiete intime trine , risvegliate d’un tratto a inusitati palpiti, che, col loro fremere, hanno delineato inaspettati percorsi vissuti, volti a donar certezze nella personalità, sempre vogliosa di crescenti sagome caratteriali. Quel continuo plasmare innovativi intenti ,assimilati da quel che valido, ruota intorno a noi ,riassumendone le parti migliori, quelle che ampliano la nostra visuale, donandole l’ intrigante nota in più, che insieme a originali accordi, tempra un’armonia interiore in grado di captare ogni minuscola inezia del percorso esistenziale, colorandolo di straordinaria emozionalità e di quel sovrappiù, da non sottovalutare, capace di aprire radiosi spiragli. Quegli spiragli piccolissimi emanano briosa luce, che s’ingrandisce giorno per giorno rendendoci capaci di osservare oltre il consueto, in una dimensione più languida e accattivante, in grado di percepire arcane sensazioni che proiettano il nostro sentire al di là di un insipido attimo d’essenza…. @Silvia De Angelis Condividi