Poesia: “Parole avvelenate” di Caterina Alagna

Espiro un manto di luce

a guarire parole emarginate

bagnate da un livido barlume

come l’icore di ferite putrefatte

che purpureo si condensa in un magma d’odio

a procurare una lenta eutanasia.

Come un macigno le parole avvelenate

si trascinano sulla pelle,

nello sguardo di una fanciulla ribelle

che, intrepida, brama ruscelli di vita

e un portento fulgore di indomite stelle che a fiotti

pulsa tra l’anima e le dita.

Come un fulmime, un vento di passione

squarcia l’anima in fiamme.

Accanto a un germoglio divelto

si apre l’immagine di un fiore nascente,

di un profumo di malva vivente

a inseminare nei giorni di nuovo la vita.

Dorina di Giorgio Orelli

Poeta da rivalutare

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Giorgio Orelli (1921 – 2013) scrittore, poeta e traduttore svizzero di lingua italiana.

Non sapevo: tuo padre
è morto prima che tu nascessi:
Dorina figlia di Isidoro
detto il Monco, guardiano del Tremorgio.
Che un giorno d’autunno (già qualche fagiano
andava in pianta) era in barca sul lago
per il solito giro idroelettrico
e dalla capanna s’è messo a suonare il telefono
e il suono non cessava; né s’è dovuto affrettare
a piedi, tanto durava la squilla sulla lacrima
azzurra, su tutto.

*

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Essere con o contro? Alla disperata ricerca di un’identità…

Questa società di massa è sempre più spersonalizzante, molto dipende perché c’è una grande pressione indebita della società stessa ad uniformare i cittadini, un poco perché le persone rinunciano spontaneamente al libero pensiero, alla libera espressione, insomma ai loro tratti distintivi, al loro marchio specifico per conformismo. E perché si è conformisti? Per evitare solitudine, emarginazione, incomprensione, ostracismo, antipatia, odio. Si è conformisti per essere accolti, per essere amati dal prossimo. Ognuno ha una mente duale che lo porta a stare in coppia e una mente gruppale che lo porta alla comunità,  agli altri. E anche i più soli il senso della comunità e il pensiero degli altri lo hanno interiorizzato, lo hanno introiettato. L’uomo è un animale sociale e questo è ormai appurato fin dagli albori della  filosofia.  In psicologia Tajfel teorizzò l’identità sociale, ovvero l’identità di ognuno deriva in gran parte dall’appartenenza ai gruppi a cui appartiene.  La stessa psicologia ha scoperto che l’intrapsichico nasce dall’interpsichico, anche se la facoltà di parlare e di stare con gli altri sono innate. Non se ne esce. È così. Non c’è via d’uscita. Perché le persone si fanno i tatuaggi? Forse per distinguersi? Oppure come dicono gli psicologi per una sorta di “identificazione tribale”? Probabilmente per entrambe le cose. Però gli esperti propendono più per “l’identificazione tribale”. In definitiva  l’essere umano qui e ora è uomo-massa. È molto più forte la spinta a uniformarsi,  ad aggregarsi, a essere uguale agli altri, a far parte del gregge, che a caratterizzarsi per la sua specificità,  unicità e irreperibilità. È solo una frase fatta “siamo tutti unici e irripetibili”. In realtà è vero tutto il contrario: facciamo tutto il possibile per assomigliare agli altri. Per avere consenso e approvazione dagli altri bisogna uniformarsi agli altri.  È molto più semplice essere con che essere contro. Essere con è la via più facile, quella con più soddisfazioni e gratificazioni. Così ci si adegua, ci si adatta a tutto e a tutti, si fa quello che fanno gli altri, si segue gli altri. Essere con ha tanti vantaggi. Essere contro ha tanti svantaggi. Così la scelta più vera e più grande che oggi uno possa fare, ovvero essere con o contro, dai più non viene neanche presa in considerazione.  I più scelgono di essere con. C’è poi chi dichiara di essere contro, ma è falso, è troppo debole, non ha la capacità di essere veramente contro, anche perché il suo sistema di pensiero è conformista, non è veramente contro. Essere contro è difficilissimo, perché significa essere iconoclasta, non credere a quelli che Bacone chiamava gli idoli del mercato e del teatro. Diciamocelo francamente: il margine del gusto personale si è ridotto notevolmente. Abbiamo il diritto, la libertà di scegliere dei modelli, di scegliere a chi assomigliare, di decidere quale sarà la nostra tribù.  Ma guai a smarcarsi troppo dal senso comune (anche se come hanno scritto in tanti questo non combacia spesso col buon senso),  da quello che Foucault chiamava l’ordine del discorso. Il rischio è di essere condannati alla solitudine. A ben vedere è difficile distinguersi per il proprio talento, per i propri meriti, per il proprio impegno. Al mondo d’oggi le stesse opere d’arte si assomigliano tutte. Difficile rivendicare uno stile unico, veramente originale.  È più facile distinguersi per le nostre colpe e i nostri errori. Forse mettiamo più del nostro nei nostri errori, nei nostri difetti, nelle nostre pecche che nei nostri talenti e nelle cose fatte bene. Probabilmente il bello di sbagliare è che ognuno sbaglia a modo suo. Forse è una delle poche, piccole libertà rimaste. Ed è molto meglio sbagliare a modo nostro che seguendo come pecore gli altri. Almeno la libertà di saper sbagliare da sé, come recita un noto proverbio, è una libertà rimasta. Ma anche riguardo a questo c’è chi vuole seguire gli altri, anche se gli altri finiscono nel precipizio. Uguale a chi? Diverso da chi? Siamo diversi nell’uguaglianza, differenziandoci per microscelte e microvarianti. Siamo uguali nella differenza, perché anche qui esiste il conformismo dell’anticonformismo. Chi cerca di fare una scelta radicale finisce male o muore solo nell’indifferenza generale. Si ha un bel dire che questa società è individualista quando questo è vero solo teoricamente. Si ha un bel dire che siamo tutti liberi. I condizionamenti dei mass media, della società in ogni sua forma omologano moltissimi e creano un individualismo senza più individuo. Il gioco delle tre carte è servito. La libertà è solo apparente. In realtà moltissimi desiderano, vogliono, cercano, pensano, fanno, amano, odiano le stesse identiche cose. I veri liberi pensatori hanno vita difficilissima e non trovano seguaci né tantomeno amici. Ma è difficilissimo pensare veramente.  I più pensano cose già pensate in questi millenni dell’umanità che ci ha preceduto. Non c’è niente di nuovo sotto il sole. Al massimo si può cercare di ripetere al meglio cose giá dette. Anche questo può essere utile. Come scriveva in una poesia Sandro Penna: “Felice chi è diverso/ Essendo egli diverso./ Ma guai a chi è diverso/ Essendo egli comune”. Il fatto è che nessuno è veramente diverso e siamo tutti comuni, prodotti dalla stessa “fabbrica”. È questa la nostra croce e delizia.