Pillola impoetica…

C’è chi di fronte a un buon vino o a un buon cibo esclama: “questa è poesia”. C’è al contrario chi esclama: “non scrivere una poesia. Sii chiaro”. Nel primo caso si intende per poesia qualcosa di sublime. Nel secondo caso la poesia diventa qualcosa di inutile, di inessenziale, di superfluo, addirittura di fuorviante. Pareyson, grande maestro dell’estetica tra le tante cose, sosteneva che l’arte è il bisogno dell’inutile. L’arte, quando è vera arte, è inutile e sublime. La poesia nel caso specifico, quando è vera poesia, ci insegna il senso del bello e ci ricorda che tutto è relativo, perfino lo stesso relativismo, perché, come pensava Pessoa, i poeti veri non sono assolutisti, piuttosto sono tutti politeisti. Chi ama la poesia perciò non ha bisogno della religione? La poesia può essere una sorta di nuovo deismo, ricerca di Dio senza alcuna religione? E si può essere poeti senza scrivere versi? In fondo non aveva ragione forse l’extraterrestre di “Micromega” di Voltaire, che lascia agli uomini come insegnamento solo un libro tutto di pagine bianche? Forse la vera poesia è solo quella della vita, l’unica poesia sublime e a volte terrificante ma mai inutile, mentre la poesia dei poeti è inutile? Forse non sarebbe meglio il silenzio, lo sciopero dei poeti per qualche anno? Forse la poesia dei poeti è mero barocchismo, pura decorazione. Forse non sarebbero meglio la meditazione, la contemplazione della natura, la rinuncia, la preghiera, il silenzio? Chi inizia per primo/a?