Racconti: L’Uomo puó guardare oltre la siepe?, di Antonino Salsone

L’Uomo puó guardare oltre la siepe?

“Sempre caro mi fu quest’ermo colle, e questa siepe, che da tanta parte dell’ultimo orizzonte il guardo esclude. Ma sedendo e mirando, interminati spazi di là da quella, e sovrumani silenzi, e profondissima quïete io nel pensier mi fingo, ove per poco il cor non si spaura. E come il vento odo stormir tra queste piante, io quello infinito silenzio a questa voce vo comparando: e mi sovvien l’eterno, e le morte stagioni, e la presente e viva, e il suon di lei. Così tra questa immensità s’annega il pensier mio: e il naufragar m’è dolce in questo mare”.

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L’Infinito è un’avventura della mente.

Il poeta è sopra un colle e c’è una siepe che gli impedisce di vedere oltre. Ma è proprio questo ostacolo a permettergli di immaginare cosa c’è aldilà.

Verso dopo verso lo sgomento lascia spazio alla dolcezza e il limite visivo diventa un’opportunità per andare oltre usando l’immaginazione.

L’Infinito è una esperienza intima a cui il poeta di Recanati si abbandona, ben rappresentata nei versi “… tra questa immensità s’annega il pensier mio: e il naufragar m’è dolce in questo mare”.

L’immaginazione, essendo un’attività dell’intelletto, non puó essere impedita da un limite fisico. Dunque, facendola divenire il proprio costume di vita, senza peró disancorarla dalla banchina delle virtù e della misura, l’Uomo, se è coraggioso, se ha la forza di nuotare tra i tumultuosi flutti delle avversità che agitano il mare della vita e se possiede i doni dell’intelletto, dell’intuito e dell’equilibrio, puó veramente andare oltre e portare nella realtà ció che ha visto al di là della siepe.

IL POMO DELLA DISCORDIA – brevi riflessioni su un mito classico, di Antonino Salsone

IL POMO DELLA DISCORDIA – brevi riflessioni su un mito classico.

Il mito sul “pomo della discordia” è davvero affascinante: alle nozze di Teti e Peleo non venne invitata Eris, la dea della discordia, che per vendicarsi dell’offesa subita si presentò comunque al banchetto e gettò in mezzo agli invitati una mela d’oro da destinarsi alla più bella delle convitate.

Atena, Era e Afrodite, che litigarono fra loro ciascuna vantando la superiorità della propria bellezza, finalmente si accordarono affinché la dorata meraviglia fosse assegnata da un giudice imparziale, il principe troiano Paride. Il giovane scelse Afrodite e da quel momento in poi una profonda discordia divise le tre dee e portò alla rovina di Troia.

Il mito greco tratta la discordia, cioè il comportamento di chi, con subdola consapevolezza e unicamente per soddisfare i propri fini egoistici o della propria ristretta cerchia, o, peggio ancora, per saziare la famelica invidia che è innaturalmente provata da chi vive nell’odio verso chi vive nell’amore e nell’armonia, vuole dividere, disunire, smembrare, insomma vuole portare il contrasto.

La storia è maestra nel descrivere i tanti volti della discordia: nei tempi passati i regnanti usavano portare la divisione tra i nobili promettendo ai più poveri di spirito tra essi, diamanti, oro e argento, feudi sempre più vasti e titoli sempre più altisonanti. Filippo il Macedone e Luigi XI di Francia, ad esempio, facevano largo uso della discordia (quest’ultimo amava dire “diviser pour règner”). E i nobili non arguti e non illuminati ci cascavano, si dividevano e si combattevano. Così il regnante poteva continuare a regnare.

Persino la Chiesa e gli ordini cavallereschi facevano largo uso di porpore, tuniche, medaglie, grembiali e altri ammennicoli attrattivi per concupire l’ego del malcapitato e acquistarne docilmente l’accondiscendenza e la fedeltà.

La discordia, purtroppo, continua a serpeggiare tra gli uomini e conserva la sua forza corruttrice pure nel nostro tempo. Miete le sue vittime anche nelle famiglie, travolgendo i legami di sangue, di amicizia e di idee, dividendo i figli dai genitori e i fratelli dai fratelli, ingannando gli amici e facendoli divenire nemici.

Chi la porta lo fa con subdola consapevolezza per continuare a regnare, mentre chi la subisce non si accorge che si tratta solo di un misero pomo e di nient’altro.

Ma gli dei furono magnanimi e assieme al veleno crearono anche l’antidoto.

L’amore e la saggezza di Zeus donarono ad Ares e Afrodite una figlia, Harmonìa, la dea della concordia e dell’armonia. E di questo dono – antidoto l’Uomo, se vuole, può berne a sazietà. Così facendo può giovarsi dell’energia feconda che la dea effonde, può lavorare e plasmare la propria coscienza, può rendere il proprio animo insensibile al richiamo delle mortifere sirene, può difendere la propria dignità rifiutando il dono velenoso e, sopra a tutto, può restare unito ai propri compagni di viaggio (genitori, fratelli, amici, compagni di ideali) con i quali, sino all’arrivo della discordia, ha vissuto in pace, unità e amore.

Di fronte a una falange di Uomini legati tra loro da sentimenti granitici di unità e armonia la discordia nulla può ed Eris è destinata alla sconfitta.