Fino all’ultima sillaba dei giorni di Francesco Marotta (alla cara memoria di un Poeta)

Il dieci luglio scorso ci ha lasciato Francesco Marotta. Era nato settantuno anni fa a Nocera Inferiore ma ha vissuto in provincia di Milano dove ha insegnato storia e filosofia. E’ stato un poeta e un traduttore raffinato. Ha animato uno dei primi e più autorevoli blog letterari, La dimora del tempo sospeso. La sua ultima opera è Polvere, pubblicata da Anterem un anno fa.

scrivere è un destino covato dall’ombra delle ore
la spina amorosa di chi non lascia niente alle sue spalle
perché essere cenere, sostanza di vento
è inciso da sempre a lettere di fuoco
nelle pupille dei segni che trascina – un canzoniere
infimo, un breviario di passi senza orma
tracima sillabe d’innocenza e memoriali di sabbia
dalla brocca silente che disseta il labbro,
quando parole malate d’aria si staccano dalle mani
precipitano nell’impercettibile abisso
di una pagina –
scrivere è un’ora covata dal destino
la spina che costringe il corpo in reticoli d’albe in piena notte
e punge fruga ricuce orli slabbrati lacera la carne
fino a che sanguinano anche i sogni,
fino a che l’immagine fiorisce in echi di sorgente
gli alfabeti rappresi dentro un grido

(sono queste le voci che mancano a una pietra
per sentirsi un arco lanciato verso il cielo,
sono questi gli accenti
che scortano il seme alla sua tomba di luce – al precipizio ardente
dove la morte è presagio di stagioni,
oracolo dei frutti e del ricordo)

*

Fino all’ultima sillaba dei giorni di Francesco Marotta (alla cara memoria di un Poeta)

Giovedì 10 agosto di Pauline Delabroy-Allard

trentadue successi

Elvis per sempre

da un re all’altro

tutti gli abitanti qui ballano un po’

Ascolto solo con un orecchio

la voce del re del rock ‘n’ roll

stasera

la porta della mia stanza

è stata aperta

ha chiesto

Chi è

ed è la tua voce che mi ha risposto

sono io

Ho chiesto

chi è io

e hai mormorato il tuo nome

Non ci credo

solo tu puoi farlo

prendere treni notturni attraverso la pianura

giaci con i tuoi stivali tra montagne di domande

il mio stalker, la mia ricamatrice

solo tu puoi farlo

entra in una casa addormentata dove nessuno ti aspetta

alle sei del mattino

e scivola nuda contro di me

lascia che le mie mani ti accarezzino

le mie mani che non possono credere

Sento solo da un orecchio la voce del re che hai detronizzato

Tu sei la regina, la regina dei cuori

solo tu puoi farlo

la vita è così rock’n’roll.

*

Giovedì 10 agosto di Pauline Delabroy-Allard

I complici di Delia Domìnguez

Delia Domínguez (1931–2022) è stata una poetessa cilena di origini tedesche, considerata una delle voci più significative della poesia femminile del suo Paese. La sua scrittura, intensa e intima, ha spesso esplorato i temi della perdita, dell’amore e della natura.

Ti ho detto nella lettera
che mettere insieme quattro versi
non è stato ottenere un passaporto per la felicità
timbrato in tasca,
e altre cose più o meno serie,
come farti sapere
che sono da tempo tua complice
quando di notte scendi negli arsenali
e metti tutta la tua anima
e il tuo respiro
perfettamente sotto controllo,
per far andare avanti le tue ribellioni,
le tue milizie segrete
a costo di quel tempo perso
a mangiarti le unghie, a tenere
a freno le tue palpitazioni,
a batterti il ​​petto per i
brutti sogni,
e non so quante altre cose
che, sinceramente, ti logorano la salute
quando in fondo
sai che sono con te
anche se non ti vedo
o non faccio colazione alla tua tavola
o la mia testa si sveglia sul tuo petto
come un bambino infreddolito,
e questo
non ha bisogno di essere scritto.

*

I complici di Delia Domìnguez

La bambina di Hiroshima di Nazim Hikmet Ran

Nazin Hikmet (1902 – 1963) poeta e scrittore turco naturalizzato polacco.

Apritemi sono io…
busso alla porta di tutte le scale
ma nessuno mi vede
perché i bambini morti nessuno riesce a vederli.

Sono di Hiroshima e là sono morta
tanti anni fa. Tanti anni passeranno.

Ne avevo sette, allora:
anche adesso ne ho sette perché i bambini morti non
diventano grandi.

Avevo dei lucidi capelli, il fuoco li ha strinati,
avevo dei begli occhi limpidi, il fuoco li ha fatti di vetro.

Un pugno di cenere, quella sono io
poi il vento ha disperso anche la cenere.

Apritemi; vi prego non per me
perché a me non occorre né il pane né il riso:
non chiedo neanche lo zucchero, io:
a un bambino bruciato come una foglia secca non serve.

Per piacere mettete una firma,
per favore, uomini di tutta la terra
firmate, vi prego, perché il fuoco non bruci i bambini
e possano sempre mangiare lo zucchero.

*

La bambina di Hiroshima di Nazim Hikmet Ran

Radice di Miklós Radnóti

Miklós Radnóti (1909 – 1944) è stato un poeta ungherese. Essendo ebreo, non poté esercitare la professione d’insegnante; fu quindi perseguitato, rinchiuso in vari campi di concentramento in Ungheria e in Serbia, infine fucilato. Nei suoi vestiti, rintracciati in una fossa comune, venne trovato il suo ultimo taccuino di versi. Nella contemporanea poesia ungherese, Radnóti va collocato tra le voci nuove della corrente di ispirazione popolare, manifestatasi a partire dagli anni Trenta del secolo scorso, e precisamente tra i poeti la cui tematica è più legata ai problemi e alle trasformazioni delle città.
Lirico pregevole, scrisse anche un libro autobiografico e fu ottimo traduttore, specialmente di poeti francesi.

E qui preparo questa poesia.
Ero fiore, sono diventato radice,
buia e pesante la terra su di me,
la mia sorte è compiuta,
una sega piange sulla mia testa,
e la mia linfa si ritira,
non mi muovo più,
non mi muovo più.

*

Radice di Miklós Radnóti

CANTO 20 (frammento) di Veronica Zondek

Verónica Zondek è una poetessa, traduttrice e saggista cilena nata nel 1953 a Santiago. La sua scrittura, spesso legata al paesaggio e alla memoria, intreccia elementi mitici, politici e linguistici. Ha pubblicato numerose raccolte di poesia, tra cui El hueso de la memoria e Por gracia de hombre, ed è considerata una delle voci più autorevoli della poesia contemporanea in lingua spagnola.

Ascolta,
ascolta cosa dice la questione/non distrarti/stai fermo/
parlale.
Non arrenderti.
Pensare.
Immagina di essere solo una fermata del treno.
A.
Una stazione di passaggio.
Quindi:
ama/ ridi e piangi/ dormi/ sogna/ bacia con passione
fermati/ guarda/ ascolta/ fermati e lascia che le dita argentate
della folata di vento ti tocchino/ e le dita dorate dei fuochi freddi/
la mia scrittura sulla pagina dorme in attesa del lento ruggito del risveglio/
mangiando ciò che le lingue voraci lasciano dietro di sé/ respirando le
lacrime degli sconfitti/ seminando occhi ovunque/
l’obbligo è leggere/ e rileggere/ e prestare attenzione/ anche se siamo solo
sangue/ e ossa/ e sogno/ in questa lunga/ lunga e lenta palude.

*

CANTO 20 (frammento) di Veronica Zondek

Scrivo per te, mia amata di Giorgio Manacorda

Giorgio Manacorda (Roma, 1941) è un poeta, saggista e critico letterario italiano. Ha insegnato letteratura tedesca all’università e diretto riviste culturali come Il Menabò e Poiesis, distinguendosi per una scrittura colta e intensamente riflessiva.

Scrivo per te, mia amata. Io ti scrivo

dal futuro che non abbiamo avuto,

guardo il mare, la tua torre, il tempo,

l’isolotto, i monti che a raggiera

calano nelle acque con le loro

molli gobbe preistoriche

e nulla è cambiato, è tutto fermo lì,

ogni scaglia di quel drago silente

brilla e si staglia al vento netta in cielo,

ma la strapazza il mare, ed ogni pietra

ne trae sollievo prima di affrontare

una giornata asciutta e disperata.

Ah, se sapessi scrivere l’assenza

io piccolo e sfrontato ti darei

nuovamente la vita per toccarti

un poco con la punta delle dita.

*

Scrivo per te, mia amata di Giorgio Manacorda

Una poesia di Victor Saez

Víctor Sáez, nato a Santiago del Cile l’8 settembre 1962, è un poeta e filosofo cileno. È stato presidente della Sociedad de Escritores de Chile (SECH) nel biennio 2013-2014 e ha pubblicato raccolte poetiche come Inventario Provisorio (2006) e J.D. (2011) .

Nessuno che sappia decifrare viaggi o avventure nelle mani
o nei fondi di caffè.
Il gioco consiste nel parlare senza ripetere l’angolo o l’ippopotamo,
in modo che nulla si apra improvvisamente e non rovini la colazione
nel bel mezzo del pomeriggio.
Una maledizione che solo una limetta per unghie, disposta a croce,
può annullare.
Ogni giorno dormiamo un po’ meno.
Una mano sul muro, l’altra in tasca,
un’ancora simmetrica per non perdere la strada,
lo zucchero
o l’insonnia
che lentamente ci rende invincibili.

*

Una poesia di Victor Saez

Inverno Nucleare di Bruno Renato Serrano Navarro

Bruno Renato Serrano Navarro (Santiago del Cile, 1982). Poeta, professore e (forse) accademico. È autore, tra gli altri, dei libretti Pseudónimo (Pillaje, Valdivia, 2010) e Musgo (Isófonica, Barcellona, ​​​​2019), la cui versione finale, Moha, sarà pubblicata nel 2021 (Fértil Provincia, Cile). Tra gli altri riconoscimenti, è stato membro della Fondazione Pablo Neruda (2003) e beneficiario della borsa di studio per la creazione letteraria CNCA (Cile, 2005 e 2018).

Non c’è altra vita, il suicida prega due volte,

un solo tratto scritto per ogni nome

una lettiera sul fondo dello zaino

una lavagna per scheggiare le unghie

.

Scrivo i loro nomi

come Natalia, Isabel o Paula,

chiamata stupida anche tra i suoi simili

o Bruno e Renato, buoi

tra le bestie della scrivania

traballante tra gli scribi

.

Quanti ne voglio nella sinossi

di un dialetto o di un altro;

solo il suono delle chiglie

contro i graffiti nei suoi quaderni

quando i rivetti stavano già germogliando

le suture delle femmine

e abbiamo preparato il gesso

disegnare uno specchio in cui tagliarti

i segni della fronte

e quindi conoscere il colpo scritto

per ogni nome

*

Inverno Nucleare di Bruno Renato Serrano Navarro

L’acqua di Bruno Montanè

Bruno Montané Krebs (nato nel 1957 a Valparaíso, Cile) è un poeta e narratore cileno naturalizzato italiano. Membro del gruppo infrarealista fondato da Roberto Bolaño e altri poeti a Città del Messico negli anni ’70, ha vissuto tra il Messico, l’Europa e l’Italia, dove risiede da anni. La sua scrittura è segnata da uno stile visionario e frammentario, che mescola autobiografia, ironia e tensione lirica.

Con il ricordo dei fiori e del rumore
il tuo sguardo si muove nell’acqua.

Quella musica è il movimento dei tuoi occhi,
questi silenzi sono i pensieri
che nascono dal profondo
pronti a renderti felice.

Quando osservi l’acqua, sai
cosa c’è stato e cosa manca,
pensi a ciò che muove
i corpi e provoca le tempeste.

Il tuo sguardo si illumina sotto il
soffitto luminoso dell’acqua che attraversa i pori,
le cellule, il chiarore del cielo.

E tu ridi.

*

L’acqua di Bruno Montanè

Noleggio Video di Luis Chaves

Luis Chaves (1969) è un poeta costaricano noto per la sua scrittura intima e riflessiva, spesso caratterizzata da uno stile narrativo e un tono colloquiale. Tra le sue raccolte più note vi sono Asfalto e Chan Marshall.

Il film è finito male.
Nella stanza buia,
perfino i titoli di coda
emanano un senso
di ingiustizia.

Non è facile
riunire quattro sconosciuti
e, nel giro di pochi giorni,
farli comportare
come una famiglia.

Ci
abbiamo provato per tutta la vita.

*

Noleggio Video di Luis Chaves

2001 di Bruno Lugano

Bruno Lugano (20 febbraio 1941 / 13 dicembre 2017), è stato un noto poeta lucchese intimista ed ispirato, dedito alla poesia per vocazione sin da ragazzo, quando “orfano di padre e di figlio di poca madre” studiava a memoria classici della letteratura italiana e inglese che trovava nella biblioteca del collegio locale durante pomeriggi solitari. Ha iniziato a scrivere a metà degli anni ’50 e poi assiduamente a più riprese durante tutto il corso della sua vita. Ha Partecipato a numerosi Reading di Poesia ed è stato molto apprezzato e stimato dai suoi conterranei che ebbero il privilegio di ascoltarlo e conoscerne l’autenticità, il suo modo di vivere anticonvenzionale e provocatorio. Nonostante non abbia mai ricercato la pubblicazione, se non da giovane con le prime stampe in alcune riviste di editoria alternativa contenenti sue riflessioni e poesie, nel 1977 ha partecipato alla raccolta “Carconia” – Ed. Maria Pacini Fazzi – ed è uscito, per Marco Saya Edizioni – 2016 – la raccolta “Nel rovescio del perdono”. Ha partecipato attivamente e collaborato a siti di poesia e scrittura, con inserti poetici e blog. 

Io sentivo la sera venire.

Ho sentito tutto.

La meraviglia della vita

la felicità anche delle stanze vuote

e forse della mia famiglia.

Ho amato tutto,

quello che c’era da amare l’ho amato tutto.

Fino in fondo ho amato nella sera

nelle stanze e fuori dalle stanze

e quando finiva la sera,

nasceva il pianto.

M’ero di menticato che la poesia

tenta di uccidermi.

*

(da Nel rovescio del perdono, Marco Saya Editore)

2001 di Bruno Lugano

“I, Too” (Anch’io) di Langston Hughes

Langston Hughes (1901 – 1967) poeta, scrittore, drammaturgo e giornalista statunitenseUno dei grandi esponenti del movimento Harlem Renaissance.

Anch’io canto l’America.
Sono il fratello più scuro.
Mi mandano a mangiare in cucina
quando arriva gente,
ma io rido,
mangio bene,
e divento forte.

Domani
sarò anch’io a tavola
quando arriva gente.
Nessuno oserà
dirmi allora:
“Mangia in cucina.”

Inoltre
vedranno quanto sono bello
e ne avranno vergogna.

Anch’io sono America.

*

“I, Too” (Anch’io) di Langston Hughes

Non l’ho mai detto a nessuno degli analisti di Tamara Kamenszain

Tamara Kamenszain è stata una poetessa e saggista argentina.

Nella scuola elementare ebraica guardavamo ogni anno
lo stesso film sui campi di concentramento nazisti .

quella in cui i cadaveri vivi scavano la fossa
e poi vi gettano dentro le ossa dei loro morti.

e poi sono ancora costretti
a spingersi fino al suicidio da altri
che sparano loro, così che cadono leggeri
senza mangiare né bere nulla.

Non lo so, ma ancora oggi, quando un tassista dice
qualcosa sugli ebrei, io resto in silenzio
per paura che, guardando nello specchietto retrovisore, scopra
che anch’io sono sull’orlo di quella fossa.

Ecco perché non ho un’opinione, ecco perché mi nascondo
dietro la prima persona.

*

Non l’ho mai detto a nessuno degli analisti di Tamara Kamenszain

Il cinico di Roque Dalton

Roque Dalton Garcia (1935 – 1975) è stato un poeta, giornalista e attivista rivoluzionario salvadoregno.

Naturalmente non ho
il diritto di morire,
nemmeno nei solitari pomeriggi della domenica.

D’altro canto, bisogna comprendere che la morte
è un’ipotesi inutile
e che i suicidi
sono sempre stati mortalmente pigri
nel soffrire.

Inoltre, devo pagare
la bolletta della luce…

*

Il cinico di Roque Dalton

Il sole vorrebbe sanguinare senza sosta di Albertine Sarrazin (traduzione di Emilio Capaccio)

Albertine Sarrazin (1937 – 1967) è stata una scrittrice e poetessa francese. Più volte arrestata per crimini comuni, conseguì in carcere la maturità classica. Ciò che la contraddistingue è la capacità di miscelare il francese colto con la lingua argot della malavita, appresa durante i soggiorni carcerari.

Il sole vorrebbe sanguinare senza sosta

Mi taglia il corpo con lunghi aghi

Ma nascerà l’alba di qui me ne andrò

Un giorno non lontano ci riconosceremo

La tua voce in libertà attraversa le mie grate

I tuoi capelli danzano ancora le tue canzoni

Vorrei dire tanto e non dico niente

Perché la notte è fredda dove brilli senza fine

Zitta ascolto in me l’eco dei tuoi passi

.

Il sole vorrebbe sanguinare senza sosta di Albertine Sarrazin (traduzione di Emilio Capaccio)

Nuda di Manuel Bandeira

Manuel Carneiro de Sousa Bandeira Filho (1886 – 1968) è stato un poeta, critico letterario e traduttore brasiliano, che ha dato alle stampe oltre 20 opere in poesia e prosa.

Quando sei vestita,
nessuno può immaginare
i mondi che nascondi
sotto i tuoi abiti.

(Come di giorno,
non conosciamo
le stelle che brillano
nel cielo profondo.

Ma la notte si spoglia,
e nudi nella notte
palpitano i tuoi mondi
e i mondi della notte.

Brillano le tue ginocchia , brilla
il tuo ombelico , brilla
tutta la tua
lira addominale.

I tuoi piccoli seni,
come due piccoli frutti
nella rigidità flessibile
del tronco robusto, brillano.)

Ah, i tuoi seni!
I tuoi capezzoli duri!
Il tuo torso! I tuoi fianchi!
Ah, le tue spalle!

Con la nudità,
anche i tuoi occhi sono nudi;
Il tuo sguardo è più diffuso,
più lento, più fluido.

Quindi, in essi,
galleggio, nuoto, salto,
mi tuffo
perpendicolarmente!

Scendo nella parte più profonda
del tuo essere, dove
la tua anima mi sorride,
nuda, nuda, nuda.

*

Nuda di Manuel Bandeira

Volpe bianca di John Burnside

John Burnside (Dunfermline, 19 marzo 1955 – Dunfermline, 29 maggio 2024) è stato un poeta e scrittore britannico.

Credo sia stata solo fortuna,
anche se la situazione non è sembrata così
quando ho lasciato la strada
e mi sono fermato su una banchina innevata
per sgranchirmi le gambe.

La volpe bianca
è arrivata silenziosamente da lontano,
in rotta verso l’estate, ciocche rosse
e marroni nella
pelliccia argentata, il muso

indifferente, quando mi ha guardato
e mi ha osservato per un minuto
– studiando il mio odore,
testandomi –
anche se solo, ho pensato,

per cortesia,
senza traccia di sorpresa,
abituata,
a differenza mia,
alla legge della tundra,

la logica selvaggia secondo cui,
laddove sembra che non accada
mai nulla,
ciò che accade è l’opportunità
che qualcosa accada.

*

Volpe bianca di John Burnside

Letture amArgine: Il loro grido è la mia voce – Poesie da Gaza (Fazi 2025)

Questa raccolta di poesie è un atto di testimonianza e di resistenza. Le poesie, scritte da autori palestinesi contemporanei e tradotte con cura, raccontano l’assedio, la perdita, la fame e la forza di chi continua a vivere e a scrivere sotto le bombe. La voce dei poeti diventa un grido capace di trasformare la cronaca in arte e la ferita in parola. Le immagini sono concrete: case ridotte in macerie, madri che cullano i corpi dei figli, ulivi che bruciano, bambini che imparano troppo presto la parola “morte”. Eppure, accanto all’orrore, c’è la tenace volontà di affermare la propria umanità, un amore per la terra e la cultura che nessuna occupazione può cancellare. La raccolta è anche un invito a non chiudere gli occhi: ogni verso è un appello, ogni metafora una richiesta di ascolto. Lo stile è asciutto, senza orpelli, ma di una bellezza cruda che non concede tregua. Un libro necessario, che restituisce a Gaza la sua voce e ci ricorda che la poesia è, forse, l’unico spazio in cui la giustizia e la memoria possono ancora parlare. Il libro ha un prezzo di copertina di 12 Euro, di cui cinque saranno devoluti a Emergency.

Un estratto:

Yousef Elqedra

Posso scrivere una poesia
con il sangue che sgorga,

con le lacrime, con la polvere nel mio petto,
con i denti della ruspa, con le membra smembrate,
con le macerie dell’edificio, con il sudore della protezione civile,
con le urla delle donne e dei bambini,

con il suono delle ambulanze, con i resti di un albero che amo,
con tutti questi volti che cercano i loro dispersi,

con la voce del bambino Anas sotto le macerie che dice: Sono ancora vivo,
con i corpi senza lineamenti,

con l’attesa, l’attesa, e ancora l’attesa!
Posso scrivere una poesia con il fragore del tradimento,
con il silenzio nudo,

con la neutralità viscosa, con l’impotenza svelata,
con il servilismo verso l’America.

Cosa può una poesia?

*

Letture amArgine: Il loro grido è la mia voce – Poesie da Gaza (Fazi 2025)

Ballata per la mia morte di Horacio Ferrer

Horacio Arturo Ferrer Ezcurra (1933 – 2014) è stato un poeta, paroliere e drammaturgo uruguaiano naturalizzato argentino.

Morirò a Buenos Aires, accadrà all’alba,
guarderò dolcemente le cose della vita,
la mia piccola poesia di addii e di pallottole,
il mio tabacco, il mio tango, la mia manciata di spleen.

Mi metterò sulle spalle, come cappotto, tutta l’alba,
il mio penultimo whisky resterà non bevuto,
arriverà, tangamente, la mia morte innamorata,
io sarò morto quando saranno le sei, in punto.

Oggi che Dio smette di sognarmi,
verso il mio oblio andrò per Santa Fe,
so che al nostro angolo già ci sei tu,
vestita di tristezza, fino ai piedi.

Abbracciami forte che dentro
sento morti, vecchie morti,
che aggrediscono ciò che ho amato.
anima mia, andiamo,
viene il giorno, non piangere.

Morirò a Buenos Aires, accadrà all’alba,
che è il tempo in cui muoiono quelli che sanno morire.
Romperà il mio silenzio l’aroma profumato
di quel verso che non ho mai saputo dirti.

Camminerò per tanti isolati e là in Plaza Francia,
come ombre fuggite da uno stanco balletto,
ripetendo il tuo nome lungo una strada bianca,
se ne andranno i miei ricordi in punta di piedi.

Morirò a Buenos Aires, accadrà all’alba,
guarderò dolcemente le cose della vita,
la mia piccola poesia di addii e di pallottole,
il mio tabacco, il mio tango, la mia manciata di spleen.

Mi metterò sulle spalle, come cappotto, tutta l’alba,
il mio penultimo whisky resterà non bevuto,
arriverà, tangamente, la mia morte innamorata,
io sarò morto quando saranno le sei, in punto,
quando saranno le sei, quando saranno le sei!

*

Potere di Omar Lara

Omar Lara (1941 – 2021) fu un poeta, traduttore ed editore cileno. Fondatore della rivista “Trilce”, vi accorpò la generazione poetica che sarà dispersa dal golpe militare del 1973. Fu esule in Perù e poi a Bucarest e Madrid. La sua poesia tratta la nostalgia del passato, l’amore e la fugacità del tempo.

Passiamo attraverso i muri

e vediamo sott’acqua,

parliamo con esseri di altre epoche

e prevediamo il futuro,

troviamo un ago in un pagliaio

e lo perdiamo, oh dio.

*

Potere di Omar Lara

“Una lettera dal fronte”- Sulla condizione dell’amante quando è lontano dalla sua amata- poesia di Kareem Abdullah -Iraq

Foto cortesia di Kareem Abdullah -Iraq

L’amore in tempo di guerra

La prima poesia: “Una lettera dal fronte”
(Sulla condizione dell’amante quando è lontano dalla sua amata)

Ti scrivo da uno spazio aperto e pieno di silenzio,
da una tenda che a malapena mi protegge dal rompersi del vento.
Tutto qui mi sembra perduto,
persino il nome con cui mi chiami…
ho dimenticato la tua voce.
Il tuo volto mi visita furtivamente, quando le armi si addormentano e la cautela si fa meno rumorosa.
Mi manca il modo in cui organizzavi la giornata,
la tua tazza piena di profumo,
il calore che mi accarezzava il cuore con la punta delle tue dita.
Sto bene, come dicono quando non voglio piangere.
Ma quando mi addormento… dormo nell’ abbraccio della tua voce.

Kareem Abdullah -Iraq

حب في زمن الحرب

القصيدة الأولى: “رسالة من الجبهة”
(عن حالة الحبيب وهو بعيد عن حبيبته)

أكتب إليكِ من عراءٍ يعجّ بالصمت، من خيمةٍ بالكاد تحميني من انكسارات الريح، كلّ شيء هنا يشبه الفقد، حتى اسمي الذي تنادينني به… نسيتُ صوته. وجهكِ يزورني خلسة، حين تغفو البنادق، ويصبح الحذر أقلّ ضجيجًا. أحنّ إلى طريقتكِ في ترتيب النهار، إلى فنجانكِ المسكونِ بالعطر، إلى دفءٍ كان يربت على قلبي من طرف أصابعكِ. أنا بخير، كما يقولون حين لا يريدون البكاء. لكنني حين أغفو… أنام في حضنِ صوتكِ.

Lucia Triolo: Una domenica di poesia

Denise Levertov

Il segreto

Due ragazze scoprono
il segreto della vita
in un verso improvviso di
poesia.

Io che non conosco il
segreto ho scritto
quel verso. Mi hanno
detto

(tramite una terza persona)
di averlo trovato
ma non quale fosse
e neppure

quale fosse il verso.  Senza dubbio
adesso, più di una settimana
dopo, avranno dimenticato
il segreto,

il verso, il nome della
poesia. Le amo
per aver trovato quello
che io non riesco a trovare,

e per avermi amato
per il verso che ho scritto,
e per averlo dimenticato
così che

mille volte ancora, finché la morte
non le trovi, possano
scoprirlo nuovamente, in altri
versi


in altri
accadimenti. E per
averlo voluto conoscere,
per

aver pensato che tale
segreto esista, sì,
per questo
soprattutto.

Testi ripresi da: http://www.nuoviargomenti.net/poesie/denise-levertov-dodici-poesie/

Innamorata dei tuoi versi di Giuseppina De Biase.

I tuoi versi
sfiorano la mia anima

come ali di farfalla

la svegliano dal sonno.

I tuoi versi sono

un eco profondo

una dolce melodia

un canto divino

Mi trasportano

Mi rapiscono

Perdendomi nel loro ritmo

nel loro silenzio.

Innamorata dei tuoi versi

prigioniera di questa dolce magia

che illumina i miei occhi

In ogni verso

un brivido

un sussurro

un amore eterno

scolpito nella Poesia.

lucia triolo: rosso bordeaux

En ce bordeaux ou tenons nostre estat
(F. Villon: Ballade de la Grosse Margot)

Avevo indosso un vestito di
colore rosso come
amore infuocato
per passeggiare dentro
il mio peccato

che tutti vedessero:
ventre liscio e piatto
qualcosa a turno di eretto,
collo inamidato.

Qui nella vita
ove facciam casino
non si disdegna a nessuno
un segno rosso ambrato

E in fondo che volete
a ben pensare
ciò che
tutti ci unisce
più che l’amore
è il rosso
del peccato

Da “E dietro le spalle gli occhi”.

Era l’inizio di una sedia di Mark Strand

Mark Strand (1934 – 2014) è stato un poeta e critico letterario canadese naturalizzato statunitense.

Era l’inizio di una sedia;

era il divano grigio; era i muri,

il giardino, la strada di ghiaia; era il modo in cui

i ruderi di luna le crollavano sulla chioma.

Era quello, ed era altro ancora; era il vento che azzannava

gli alberi; era la congerie confusa di nubi, la bava

di stelle sulla riva. Era l’ora che pareva dire

che se sapevi in che punto esatto del tempo si era, non avresti

mai più chiesto nulla. Era quello. Senz’altro era quello.

Era anche l’evento mai avvenuto – un momento tanto pieno

che quando se ne andò, come doveva, nessun dolore riusciva

a contenerlo. Era la stanza che pareva la stessa

dopo tanti anni. Era quello. Era il cappello

dimenticato da lei, la penna che lei lasciò sul tavolo.

Era il sole sulla mia mano. Era il caldo del sole. Era come

sedevo, come attendevo per ore, per giorni. Era quello. Solo quello.

*

Era l’inizio di una sedia di Mark Strand