Lucia Triolo: Una domenica di poesia

T.S. Eliot

 “Il canto d’amore di J. Alfred Prufrock”

(…) E ho conosciuto tutti gli occhi, li ho conosciuti tutti…
gli occhi che ti fissano in una frase formulata,
e quando sono formulato, schiacciato sotto l’ago,
quando infilzato mi contorco contro il muro,
allora come potrei cominciare
a sputar fuori tutti i mozziconi dei miei giorni e modi?
E come potrei presumere?

da Il canto d’amore di J. Alfred Prufrock.

Lucia Triolo: una Domenica di poesia

Cristina Annino

La Casa del folle

Entro piano nella casa del folle; 
non apro le persiane, non tolgo la polvere. 
Arrivo alla sua camera che ancora dorme 
nel mattino troppa aria per occhi 
di dolente marrone pallido. Guardo 
la nuca rigida e il corpo che non sente 
neppure il pigiama. 
Mi siedo accanto e gli porto l’asfalto 
ripulendolo dal rumore, dall’odore del mese, 
dal peso della gente. 
Cerco di non affollarlo di niente; 
il suo corpo vuoto è una stanza: sogni 
vi soffiano dentro bolle di vecchio dolore. 
La ragione cos’è? Arrivo qui e mi stendo 
al piede del suo letto coma a una pianta 
ed entra dentro di me, dal folle, quasi 
fune elettrica, una bianca, stanca, 
atroce vitalità.

da “Anatomie in fuga”

Lucia Triolo: il tuo nome

Tutto scompare nelle 
sillabe
del suo nome
che la tua lingua 
in cammino
sparge su ogni frase

Ma lui voleva vivere da eroe,
non eri tu il suo elmo
né la spada
e la sua storia non era affare di parole
era uno squarcio dritto in fondo al cuore

Attraverso il finestrino del mio treno 
il tuo nome scorre ancora
poi … non più

“Spesso il  male di vivere ho incontrato” di Montale; una poesia che esplicita questa condizione umana ,allora come oggi.Gabriella Paci

«Spesso il male di vivere ho incontrato:
era il rivo strozzato che gorgoglia,
era l’incartocciarsi della foglia
riarsa, era il cavallo stramazzato.


Bene non seppi, fuori del prodigio
che schiude la divina Indifferenza:

era la statua nella sonnolenza

del meriggio, e la nuvola, e il falco alto levato

Una poesia emblematica questa del 1924 nell’ambito della produzione montaliana che fa parte della raccolta “Ossi di seppia “ del 1925. Per Montale la parola poetica deve ricorrere a toni semplici ma non semplicistici ,ad un linguaggio puntuale, a volte anche tecnico e far uso del famoso “correlativo oggettivo” ovvero il riferimento ad un oggetto o un elemento naturale per esprimere un sentimento ,uno stato d’animo .Dai crepuscolari riprende il tono colloquiale e talvolta ironico ma si allontana da D’Annunzio e dai suoi toni celebrativi e dalla parola preziosa e ricercata, pur usandola talvolta .
In questa lirica troviamo esempio di quanto finora affermato :”il male di vivere” conosciuto con il termine più conosciuti di “depressione” è esplicitato attraverso elementi quali un ruscello che sembra impedito nel suo libero fluire, una foglia secca che si accartoccia o un cavallo stremato caduto a terra.Uscirne  non appare possibile(ricordiamo il suo cercare inutilmente ”Il varco” nella poesia Doganieri”) a meno che non si appartenga alla divinità, rappresentata da una statua nell’ora più morta del giorno o ad una nuvola o ad un falco che vola alto sopra la terra,

Nella prima quartina il poeta ci presenta le sue esperienze di vita ,caratterizzate appunto da un malessere riscontrato anche nella natura stessa (e qui ci viene in mente Leopardi quando parla di natura “Matrigna “ che illude ci sia benessere e felicità per poi avvicendare la sorte delle creature fino alla loro distruzione) per poi passare alla seconda quartina dove c’è uno spiraglio ,Un possibile varco per uscire da questo male di vivere. Ma la soluzione è l’indifferenza che è l’atarassia ,come dicevano i greci, che è il distacco dalla passioni, privilegio questo degli esseri insensibili o della divinità e quindi è una soluzione senza un reale risultato salvifico.Unica possibilità l’attimo estatico di indifferenza ma è ,come detto,un attimo  e non uno status.

Questa condizione sistenziale attraversa tutta la produzione di Montale che cerca,senza mai trovarla,un asoluzione al suo malessere nei ricordi ”Cigola carrucola nel pozzo …“Trema un ricordo nel ricolmo secchio, nel puro cerchio un’immagine ride.  Accosto il volto a evanescenti labbri: si deforma il passato, si fa vecchio, appartiene ad un altro… o nella “Casa dei doganieri “Tu non ricordi; altro tempo frastorna la tua memoria; un filo s’addipana. Ne tengo ancora un capo; ma s’allontana la casa e in cima al tetto la banderuola affumicata gira senza pietà.

Dunque anche il ricordo che invece era per Leopardi uno stratagemma per edulcorare il presente ,non funziona per Montale

Anche l’amore, da quello adolescenziale per Annetta celebrata nella “Casa dei doganieri”o  per l’americana Irma Brandeis fino ad arrivare a Drusilla Tanzi suo grande amore, pur essendo un’ancora di salvezza, non è però rislutivo del suo malessere,Inoltre perde presto la moglie Drusilla e memorabile è la poesia “Ho sceso,dandoti il braccio ,almeno un milione di scale” dove manifesta tutto lo smarrimento e il dolore per non aver più la suo fianco, nelle angustie della vita,colei che in realtà era la sua vista e il suo sostegno;

…Ho sceso milioni di scale dandoti il braccio
non già perché con quattr’occhi forse si vede di più.
Con te le ho scese perché sapevo che di noi due
le sole vere pupille, sebbene tanto offuscate,
erano le tue….

Questo malessere esistenziale che già era presente nel secolo scorso, non a caso denominato “L’età dell’ansia” in quanto caratterizzati dalla corsa alla produttività, al successo ma anche sotto l’incubo delle due guerre mondiali, si ripresenta  nella sua attualità contemporanea dove la realtà ci impone un ritmo frenetico e un mondo in continuo contrasto ,contraddizioni e guerre.

lucia triolo: sul selciato

Imprevisto:

mi lascio per strada,
gettata lì sul selciato
rotta da luci sfolgoranti e false
nulla in me si china a raccogliermi
i pezzi non combaciano

lo so:

abbraccio uno sparire
di antica data
fatto con zucchero filato
la lingua poco a poco arriva
al bastoncino appiccicoso
come a un sogno scaduto
andato a male

ho disegnato maschere sui muri:

profanando l’ultima speranza
che stava tra abiti e polvere
mi trattava da prediletta
con il belletto per la mia coscienza
mentre arava il mio sogno

ora solo ferocia

lucia triolo: da un caso di cronaca

senza parola

partorisco figli
che non conosco 
figli di disagio e pena
figli di un percorso senza ritorno

 avevano il naso scalfito
dinamico
come quello di statue greche
senza storia 

non chiedermi loro notizie
ho tranciato il cordone ombelicale 
li ho sepolti sulla punta delle dita
proprio sotto le unghie di terra
e ora taglio
percezioni che non riconosco
che non ricordavo

un’aritmetica senza numeri
la mia
non accoglie i figli
e io li ho uccisi: ho impedito loro
il suicidio 

e ora non dico 

Lucia Triolo: Una domenica di poesia

Simone Cattaneo

Appesa per le caviglie ad un albero del viale
ho incontrato per la prima volta l’unica donna che ho mai amato,
avrei voluto proseguire ma mi ha chiesto uno sguardo
mi ha domandato di guadare un fiume inesistente fra le stelle,
quindi mi sono arrampicato fino all’orlo del suo viso ma
non si è scomposto, nulla del mio corpo mi ha nascosto.
Immersa nel suo odore mi ha aperto il petto così che
potessi sentire il suono del colore,
colmo di paura ho promesso che avrei imparato ad aspettare,
ho fatto un giro intorno all’albero e
la mia donna era svanita, rapita dalla frutta candita di
un’isola caraibica. Mi sono legato per le caviglie ad un lampione
per capire la sua prospettiva e riallineare la mira,
ammassati intono a me sbavavano dei cani, con le mascelle di vetro
in fiamme ma la terra si è asciugata e la festa è finita.
Non ho più incontrato una donna così bella, forse sì,
è la carne che tutte le notti mi dorme accanto
persuasiva nelle cosce, elegante nelle mani, luce morale nei fianchi
ripiegata e indistinta come uno scheletro di pesce.
Sono certo, siamo l’uno la proposta dell’altra.

ora in Peace & Love

*

Lucia Triolo: una Domenica di poesia

Barbara Korun

DUE

Due si spogliano
si tolgono le vesti 
si sfilano le scarpe 
si levano i gioielli e l’orologio 
si denudano completamente

continuano a spogliarsi 
con mani carezzevoli
si tolgono la professione il nome 
le abitudini quotidiane 
con baci pazienti 
si liberano dei loro amori 
trascorsi delle loro attese 
con morsi profondi si disfano 
degli anni della loro passione 
con la bocca a vicenda 
si sbarazzano del sesso 

si svestono dell’infanzia 
(operazione lunghissima) 
si tolgono di dosso la mamma 
e il padre con energici lavacri 
forti abbracci e strusciate 
di corpo a corpo 
ed effusione di linfa 

raggiungono le tenebre 
mai nominate alle quali 
danno a ritroso dei nomi 
che man mano dimenticano 
quando si infiammano 

continuano a spogliarsi 
attraverso il riso il pianto 
i gemiti e le grida 
fino all’innominabile 
carnalità 
di là della nascita 

sono nudi

da “Voglio parlare di te notte- Monologhi

lucia triolo: spazio notturno

lo spazio notturno 
ci conta le rughe
ci imbocca

come gli uccelli sui rami
ha una manciata di foglie                                  
che narra una verde
sorgente

lo spazio notturno è distante
da un dito all’altro,
premuroso
s’ inchina all’amante

un sogno in affitto
ci at-tenda
quando scende assetata
la sera

tu, mio sogno in affitto
che i demoni sbrani
racconta del dio, dei maneggi
di un vento parlante

 chi mura
senza miracoli
il destino agli umani?

Lucia Triolo: il sorpasso

guarda lo spazio tra
morte e nascita
dove la prima tira corda e
l’altra cede
guarda di quanti giorni è fatto un passo        
cosa fare quando è

l’ombra a sorpassarti?
la rincorri? l’affronti? 

e perchè?
ha uno specchio in mano  
tiene ciò che è scritto e 
ciò che è cancellato in me

i passi 
tra me e lei
piangono in ordine sparso 
la corda al collo impicca
e tu dici:

resistere ha un suo sfarfallio
una sua malinconia

lucia triolo: una domenica di poesia

Paul Celan

Sono solo

Sono solo, metto il fior di cineraria
nel vaso pieno di nero sedimento. Bocca sorella,
tu dici una parola che poi vive dinnanzi alle finestre,
e su di me arrampicando sale tacito ciò che sognai.

Io porto il lutto dell’ora appassita
e serbo una resina per un uccello tardivo:
egli porta il fiocco di neve sulla piuma rossa di vita:
col grano di ghiaccio nel becco egli passa attraverso l’estate

da Papavero e memoria.

lucia triolo: il penultimo

tutto è caduto in me
non l’ho tolto io
è caduto 
da solo

povertà
non è ne’ tenebra ne’ luce
è nudità 
senza tracce

cosa dare o prendere nel fitto 
dalla loro mancanza?
È un morire 
a cui nasce una storia altra?

No, senza tracce
è solo il penultimo
divoratore
che copre l’ultimo “poi”:
il feroce “con nessuno”

chi è vivo o è atterrito o
è caparbio
attende
l’ultimo suo  “io” 
quello sempre in ritardo.

lucia triolo: l’istante

quando iniziai a
divorarmi?

dentro la mia gabbia
di carne
balbetto
con passo incerto 

indecise sobrietà 
sguardi rattrappiti su
l’ultima terra

ho in comune con mio nonno
il suo fantasma
e la fine alle spalle insegue
con grida rocciose

dissi con te
ciò che nessuno sa  dire
di quelle parole 
sono l’istante
duro a scomparire

lucia triolo: schiava d’amore

nelle vene 
luogo di domanda
il dialogo scorre

traspare nel corpo                  
un caldo viavai

arenata nell’abbandono
a voce:
“io chi sono?”

antica è la risposta 
che il luogo di domanda
spala verso la meta
“sei solo il cappello del nulla”

La schiava d’amore è tradita;
inutile
ogni travestimento

per strada
il cane al guinzaglio
abbaia contro l’antica risposta

è fedele il cane

lucia triolo: vertigine

Fa finta di credere che

non sia finita.

l’occhio limpido del demonio


Difficile l’aria

schianta per terra

con violenza

le ore possedute

dalla tua, dalla sua, dalla loro voglia.

E dalla mia?

.

Perché non tace

il corpo

perché parla ancora?

So, ahime! quel che dice

.

Un menestrello canta,

canta,

mi canta contro

un atto unico, un’esperienza terminale

è il mio corpo

Ma esiste ancora?

.

Attiro il balcone come l’armadio

attira la polvere 

lucia triolo: una domenica di poesia

Cees Noteboom

Qui incontro chiunque, demoni di altre
vite, animali d’un blasone dimenticato,
donne in forma di leone, unicorni,
maiali in maschera, cado giù dal mio dipinto
e cerco con lo sguardo il pittore, non ha ancora 
terminato la mia mano, una formica passa sul colore,
il pianista nel bunker suona una canzone
della guerra. Così tutto mi ritorna,
il pilota morto sull’albero, la voce di mio
padre che sapeva mangiare camminando, sento il suo
suono ma non le parole, lo so,
vuole andare alla sua tomba, ma non posso aiutarlo.
Non ne ha una. 

da L’occhio del monaco

Lucia Triolo: vampa serale

chi mi ha generato? 
un algoritmo.
un calcolo fatto non si sa 
dove? 
un amore in cammino
senza colore?

transito su binari di probabilità
meteore di sembianze umane
frammenti genitoriali 
vi divampano 

momenti di corpi, di vissuti 
che deflagrano:
fantocci, ceneri
non ricordo

il pavimento luccica liscio
sotto il mio piede

mi sento a mio agio solo
in quest’ora 
della sera 
quando nella bruma 
scocca
Il guizzo che m’avvampa