Albeggiare di Norah Lange

Norah Lange fu una scrittrice nata a Buenos Aires, Argentina, il 23 di ottobre del 1905 e spentasi nella stessa città il 4 di agosto del 1972. La sua presenza fu molto significativa nel mondo letterario, specialmente nel contesto storico e geografico, dato che non era molto comune che una donna si dedicasse alla narrativa e che partecipasse in maniera tanto attiva ad un’attività che, ancora oggi, continua ad essere prevalentemente maschile. Godette di una carriera relativamente breve, considerando la sua morte prematura mentre lavorava alla scrittura di un racconto, però molto fruttifera e ricca di successi.
Iniziò a pubblicare le sue opere da giovane; appena ventenne pubblicò la sua prima raccolta di poesie intitolata La strada della sera, al quale fecero seguito I giorni e le notti e Versi ad una piazza, tra i tanti. In prosa fu autrice di diversi libri, come i romanzi Voce della vita e I due ritratti, e le memorie Prima che muoiano.

Nel cuore di ogni albero

si è scossa la mezzanotte.

La notte si fa sempre più piccola

in una lenta processione di nebbia.

Tutte le sere pongono fine alla loro stanchezza.

Le insegne luminose affievoliscono

lo stupore dei loro colori

e anticipano la contemplazione di ogni disgraziato.

In ogni angolo vigila il sonno

ed è il tuo ricordo la unica pena

che umilia l’altezzosità dei marciapiedi.

Lontano, il primo mendicante,

tradisce il portone dove ha dormito.

E la città si apre come una lettera

per rivelarci la sorpresa delle sue strade.

*

traduzione di Angelo Alberto Argento

Albeggiare di Norah Lange

Tanaterotica di Sara Caterina Casiccia

Ha studiato come filosofa e antropologa all’Università di Torino, poi è scappata con il circo e si è trasferita a Barcellona per dedicarsi completamente all’ultima avanguardia della scena artistica underground europea dove è riconosciuta a tutti gli effetti come poetessa. Nel febbraio del 2021 Tzarina viene arrestata nel corso di una manifestazione per la libertà di espressione e sottoposta a un’inchiesta con gravissime cariche penali, esperienza da cui prende il via questo testo. Nell’ultimo anno sta girando la Spagna tra reading di poesia e festival di autoproduzioni.

Mi hanno ammalata di eternità
È colpa dei libri
Per quello ci metto sempre
Un po’ di Morte dentro all’Amore
Un po’ di fine dentro all’inizio
Un po’ di tragedia dentro la gioia
Pezzi di fegato nei tessuti del Cuore
Ecco perché invece di questo mare fresco
Vorrei un’onda di lava letale
Perché la vita non dura un cazzo
E il mare si ritrae
Lasciandoci soli sul bagnasciuga
Ognuno con le sue ossa
Nei suoi vestiti bagnati.
*
Da ” Mai farsi arrestare di venerdì” Eris Edizioni

*

Tre poesie di Anna Jackson

Api, tante api.
.
Dopo vent’anni di matrimonio, ci siamo lasciati
dal cespuglio e su una strada sterrata accidentata
abbiamo camminato finché non abbiamo visto uno stagno
potremmo riuscire ad arrivarci.
Il terreno era paludoso e ronzante.
Lo stagno era pieno di erbacce
e melma. Non era
lo stagno dove chiunque vorrebbe
nuotare, ma lo abbiamo fatto — raccogliendo e scivolando
nell’acqua sopra la palude e le api,
le api che abbiamo notato all’improvviso erano
ovunque, si posavano sui nostri capelli
mentre nuotavamo, le anatre mostravano gli occhi sorpresi
il nostro modo. Dopo vent’anni di matrimonio
ciò che sorprende non è poi così tanto
la persona con cui sei ma ritrovare
voi stessi così fuori posto in questa scena, freddo
ma non riesco a uscire senza
calpestare le api, così tante api.
.
*
.
Sonetto senza titolo sull’equinozio di primavera.  
.
Non me ne andrò mai da questo inverno
umore e sii un vincitore,
Mi rifiuto, insisto nell’essere più debole
di chiunque altro, vagare
dove sarò, superato il guardiano
e accumulatore seriale, cammino più forte
e più veloce, continuando a insistere, arpista
che sono, riguardo le mie mani fredde e umide
i piedi, anche i miei capelli, inumiditi
e oscurati dalla pioggia. Arginata
resterò su come una grondaia piena di ombre
foglie autunnali, lavate di bianco ma non più scure
di quanto insisto a rimanere mentre cuocio a fuoco lento
la tua presunta estate imminente.
.
*
.
Amanda allo specchio
.
Guance rosa, sopracciglia scure, accigliata
con se stessa come la gente guarda
se stessa nello specchio, come fossimo
i nostri peggiori nemici, provando
una frase tedesca, ein bisschen Hoffnung, a
un po’ di speranza, questa è Amanda, la sera prima
prepara l’esame di tedesco che si conclude con la lettera
che tiene in mano, settimane dopo, la lettera,
settimane dopo, tutti chiedono informazioni
e nessuno sa che è arrivata.
Ha vinto una borsa di studio.
Aveva descritto una Haus rosa-beige,
una casa rosa-beige, che conosce il beige
era la parola per beige e rischiava di usarla
sembra un’ipotesi, intenzionata a catturare
un sogno, i tronchi neri degli alberi, un paesaggio intero
nell’ombra, il senso della luce del sole che cade
altrove, una sensazione umida
in cui ha usato la parola feuchtes – umido –
per mordere, ansiosamente, il sapore della matita.
Ora vede se stessa
guardando ansiosa nello specchio, la sensazione di non essere nessuna parte
evidente della luce del sole nel suo cuore – das Gefühl
des Sonnenlichts, pensa tra sé
con un sorriso che non appare sul suo volto.
.
*******
Anna Jackson ha debuttato in AUP New Poets 1 prima di pubblicare sei raccolte con Auckland University Press, tra cui I, Clodia, and Other Portraits (2014). Ha conseguito un DPhil a Oxford ed è ora professore associato di letteratura inglese alla Victoria University of Wellington. Jackson è autrice di Diary Poetics: Form and Style in Writers’ Diaries 1915–1962 (Routledge, 2010) e, con Charles Ferrall, British Juvenile Fiction 1850–1950: The Age of Adolescence (Routledge, 2009).

*

Canto notturno di un pastore errante dell’Asia di Giacomo Leopardi

Che fai tu, luna, in ciel? dimmi, che fai,
Silenziosa luna?
Sorgi la sera, e vai,
Contemplando i deserti; indi ti posi.
Ancor non sei tu paga
Di riandare i sempiterni calli?
Ancor non prendi a schivo, ancor sei vaga
Di mirar queste valli?
Somiglia alla tua vita
La vita del pastore.
Sorge in sul primo albore
Move la greggia oltre pel campo, e vede
Greggi, fontane ed erbe;
Poi stanco si riposa in su la sera:
Altro mai non ispera.
Dimmi, o luna: a che vale
Al pastor la sua vita,
La vostra vita a voi? dimmi: ove tende
Questo vagar mio breve,
Il tuo corso immortale?

Vecchierel bianco, infermo,
Mezzo vestito e scalzo,
Con gravissimo fascio in su le spalle,
Per montagna e per valle,
Per sassi acuti, ed alta rena, e fratte,
Al vento, alla tempesta, e quando avvampa
L’ora, e quando poi gela,
Corre via, corre, anela,
Varca torrenti e stagni,
Cade, risorge, e più e più s’affretta,
Senza posa o ristoro,
Lacero, sanguinoso; infin ch’arriva
Colà dove la via
E dove il tanto affaticar fu volto:
Abisso orrido, immenso,
Ov’ei precipitando, il tutto obblia.
Vergine luna, tale
E’ la vita mortale.

Nasce l’uomo a fatica,
Ed è rischio di morte il nascimento.
Prova pena e tormento
Per prima cosa; e in sul principio stesso
La madre e il genitore
Il prende a consolar dell’esser nato.
Poi che crescendo viene,
L’uno e l’altro il sostiene, e via pur sempre
Con atti e con parole
Studiasi fargli core,
E consolarlo dell’umano stato:
Altro ufficio più grato
Non si fa da parenti alla lor prole.
Ma perchè dare al sole,
Perchè reggere in vita
Chi poi di quella consolar convenga?
Se la vita è sventura,
Perchè da noi si dura?
Intatta luna, tale
E’ lo stato mortale.
Ma tu mortal non sei,
E forse del mio dir poco ti cale.

Pur tu, solinga, eterna peregrina,
Che sì pensosa sei, tu forse intendi,
Questo viver terreno,
Il patir nostro, il sospirar, che sia;
Che sia questo morir, questo supremo
Scolorar del sembiante,
E perir dalla terra, e venir meno
Ad ogni usata, amante compagnia.
E tu certo comprendi
Il perchè delle cose, e vedi il frutto
Del mattin, della sera,
Del tacito, infinito andar del tempo.
Tu sai, tu certo, a qual suo dolce amore
Rida la primavera,
A chi giovi l’ardore, e che procacci
Il verno co’ suoi ghiacci.
Mille cose sai tu, mille discopri,
Che son celate al semplice pastore.
Spesso quand’io ti miro
Star così muta in sul deserto piano,
Che, in suo giro lontano, al ciel confina;
Ovver con la mia greggia
Seguirmi viaggiando a mano a mano;
E quando miro in cielo arder le stelle;
Dico fra me pensando:
A che tante facelle?
Che fa l’aria infinita, e quel profondo
Infinito Seren? che vuol dir questa
Solitudine immensa? ed io che sono?
Così meco ragiono: e della stanza
Smisurata e superba,
E dell’innumerabile famiglia;
Poi di tanto adoprar, di tanti moti
D’ogni celeste, ogni terrena cosa,
Girando senza posa,
Per tornar sempre là donde son mosse;
Uso alcuno, alcun frutto
Indovinar non so. Ma tu per certo,
Giovinetta immortal, conosci il tutto.
Questo io conosco e sento,
Che degli eterni giri,
Che dell’esser mio frale,
Qualche bene o contento
Avrà fors’altri; a me la vita è male.

O greggia mia che posi, oh te beata,
Che la miseria tua, credo, non sai!
Quanta invidia ti porto!
Non sol perchè d’affanno
Quasi libera vai;
Ch’ogni stento, ogni danno,
Ogni estremo timor subito scordi;
Ma più perchè giammai tedio non provi.
Quando tu siedi all’ombra, sovra l’erbe,
Tu se’ queta e contenta;
E gran parte dell’anno
Senza noia consumi in quello stato.
Ed io pur seggo sovra l’erbe, all’ombra,
E un fastidio m’ingombra
La mente, ed uno spron quasi mi punge
Sì che, sedendo, più che mai son lunge
Da trovar pace o loco.
E pur nulla non bramo,
E non ho fino a qui cagion di pianto.
Quel che tu goda o quanto,
Non so già dir; ma fortunata sei.
Ed io godo ancor poco,
O greggia mia, nè di ciò sol mi lagno.
Se tu parlar sapessi, io chiederei:
Dimmi: perchè giacendo
A bell’agio, ozioso,
S’appaga ogni animale;
Me, s’io giaccio in riposo, il tedio assale?

Forse s’avess’io l’ale
Da volar su le nubi,
E noverar le stelle ad una ad una,
O come il tuono errar di giogo in giogo,
Più felice sarei, dolce mia greggia,
Più felice sarei, candida luna.
O forse erra dal vero,
Mirando all’altrui sorte, il mio pensiero:
Forse in qual forma, in quale
Stato che sia, dentro covile o cuna,
E’ funesto a chi nasce il dì natale.

*

Nessuna buona azione resta impunita di John Giorno

John Giorno (1936 – 2019)) è stato un poeta statunitense tra i più noti dell’area sperimentale.

Se mi vuoi rendere la vita miserabile, o darmi brutte notizie, butta giù ora, ma se vuoi portare gioia
nella mia vita
e darmi buone notizie ti voglio parlare, inizia a parlare. Voglio passare lungo corridoi e entrare nei gabinetti dove non sono mai stato, voglio camminare lungo passerelle verso bagni dove non sono mai stato, voglio camminare lungo passerelle verso bagni dove non sono mai stato, il meglio
sta accadendo ora,
il meglio del meglio
sta accadendo
ora,
l’amore
continua.
.
Prendi quel che vuoi,
facciamo qualsiasi cosa e tutto quel che vuoi, troppo non è abbastanza. E a volte, droghe e alcool intontiscono
i nervi, intontiscono i nervi, lasciando scorrere libera la naturale chiarezza della mente, come un incidente automobilistico è impossibile non guardare come un incidente automobilistico è impossibile non guardare, nessuna
buona
azione
resta impunita. Voglio strofinarci la faccia sopra e voglio rotolarci dentro voglio strofinarci la faccia sopra e voglio rotolarci dentro voglio strofinarci la faccia sopra a voglio rotolarci dentro, e mangiarne l’odore, e la semplice gioia di nuotare, assoluta beatitudine in fogne abissale
fogne assolute e beatitudine abissale, completamente, puro completamente puro completamente puro completamente puro completamente puro, primordialmente puro e vuoto, mangiando il cielo mangiando il cielo mangiando il cielo mangiando il cielo mangiando il cielo, milioni di stelle vengono nel mio cuore, benvenute a casa. Martellando chiodi nell’acciaio con un pugno pieno di acqua, martellando chiodi nell’acciaio con un pugno pieno di acqua, martellando chiodi nell’acciaio con un pugno pieno di acqua; e afferrando una manciata di neve dal fuoco. Tanti anni fa, credevo di poter volare, e forse una volta ho decollato.
.
Traduzione: Pasquale Verdicchio

Lucia Triolo: una Domenica di poesia

LELLA DE MARCHI

Le stanze di Emily

Without room I

Potrebbe accadere che l’io vado a finire
in un luogo accessibile solo se da remoto.
che diventi un dato.
non un dato di fatto preesistente.
un dato impalpabile.
senza alcun senso preesistente.
potrebbe accadere che l’io
si costruisca sul niente.
che si connette a un estraneo.
che si nutra di vuoto.
che provi una paura
che non ha mai provato.
e che si sorprenda ugualmente.

Il sogno di Orfeo di Aurelia Lassaque

Aurelia Lassaque (1983) poetessa francese, compone sia in francese che in occitano.

Nel mondo sotterraneo dove gli uomini
non sono altro che ombre,
io diventerò un’ombra dentro il tuo corpo.

Costruirò città di sabbia
per seccare il fiume dal quale nessuno ritorna.

Danzeremo su torri che i nostri occhi non vedono.

Sarò la tua lingua mozza che non mente.

E malediremo l’amore che ci ha portato fuori strada.

*

Accudire con cura Celan nel terminal dell’aeroporto. di Ben Lerner

Ben Lerner (1979) è un poeta e scrittore americano.

Accudire con cura Celan nel terminal dell’aeroporto.
Ammirare l’abutilon nell’atrio. Questo aggettivo
per quell’angoscia. Le pose innaturali
del turista addormentato. Ricordate

gli anni ’80? Schiacciavano rewind
e la neve rifiutava la terra.
Tutti parlavano tedesco,
tutti indossavano tenute sportive non taroccate.

Alcuni hanno preso di petto la tua assenza. Altri l’hanno presa
da sdraiati. Altri ancora l’hanno presa con latte
e zucchero. Solo tua moglie l’ha presa da uomo.

Il mio volo è partito da Danver.
Il mio volo sta imbarcando. Il mio volo ora lentamente
si sta staccando dal gate.

*

da Le figure di Lichtenberg (Tlon, 2017), trad. di Damiano Abeni e Moira Egan

*

Germe di Antonio Sarabia

Antonio Sarabia
(Città del Messico, 1944 – Lisbona, 2017), narratore e poeta, considerato uno dei più importanti scrittori della moderna letteratura latino americana, ha vissuto tra Parigi, Lisbona e Guadalajara. Tra i suoi romanzi ricordiamo El Alba de la Muerte (1988), con il quale è stato finalista al Premio Internacional Diana Novedades, Amarilis (1991), magistrale affresco del Siglo de Oro spagnolo, e El cielo a dentelladas (2000), pubblicato in Italia con il titolo Le arance amare di Siviglia (Guanda 2003).

Qualcosa spunta in me,
qualcosa cresce
qui nell’ambito oscuro
del corpo,
come una sorta d’ombra
fitta e dolce
che mi risale dentro
fino al cervello.
È forse un io
ancora ignoto
che dal mio centro viene
verso di me
come una mite bestia silenziosa?
O è invece una farfalla azzurra
che ha fatto il bozzolo
fra le alte impalcature
delle mie ossa
e anela a sbarazzarsi
del suo carcere
volando come vola
il pensiero…?

da Poesie senza patria (Guanda, 2003)

Tra il vecchio e il sapiente di Bruce Hunter

Di una certa eleganza
pur nella scombinata flessuosità
con una nobile apertura
di quasi un metro per un metro.

Non passò inosservata al giovane giardiniere
che non fece niente di meglio se non
annaffiarla bene, togliere l’erba intorno.

Senza dubbio degna di meraviglia,
il fiore vagamente orientale,
baccelli increspati, foglie gualcite,
stelo sicuro.

Finché il vecchio giardiniere
con tutta la presa
che i vecchi hanno sui giovani,
l’afferra, la sbarba,
ne espone la radice fiacca e goffa.
L’età gli ha dato almeno questa certezza.

La getta nel mucchio dei rifiuti
sonoramente e senza altre parole
sentenzia: erbaccia.

*

Bruce Hunter (1952)è un poeta canadese, anche autore di narrativa e saggistica.

*

Leonard Cohen tra musica e poesia

Poiché posseggo ogni cosa
.
Hai paura che io ti lasci. 
Non ti lascerò. 
Soltanto gli stranieri partono. 
Poiché posseggo ogni cosa, 
non ho nessun posto dove andare.
.
*
.
Mi domando
.
Mi domando quante persone in questa città 
vivono in stanze ammobiliate.
A tarda notte, quando osservo le case, 
dietro a ogni finestra posso quasi vedere una faccia 
che sta a guardarmi, 
e quando giro le spalle 
mi domando quanti di loro tornano alla scrivania 
per scrivere queste stesse mie parole.
.
*
.
Non devi amarmi
.
Non devi amarmi
solo perché
sei tutte le donne
che ho mai voluto.
.
Sono nato per seguirti
ogni notte
mentre sono ancora
in tanti uomini che ti amano.
.
Ti incontro ad un tavolo,
prendo tra le mani il tuo pugno
in un solenne tassì,
mi sveglio solo
con la mia mano nella tua assenza
all’Hotel Discipline.
.
Ho scritto tutte queste canzoni per te,
ho consumato candele rosse e nere
a forma di uomo e di donna.
Ho sposato il fumo
di due piramidi di legno di sandalo.
.
******

Così come non possiamo sostenere a lungo uno sguardo di Roberto Juarroz

Così come non possiamo
sostenere a lungo uno sguardo,
neppure possiamo sostenere a lungo l’allegria,
la spirale dell’amore,
la gratuità del pensiero,
la terra sospesa nel canto.

Non possiamo nemmeno sostenere a lungo
le proporzioni del silenzio
quando qualcosa lo visita.
E ancora meno
quando niente lo visita.

L’uomo non può sostenere a lungo l’uomo,
e neppure quello che non è umano.

E tuttavia può
sopportare il peso inesorabile
di ciò che non esiste.

Settima poesia verticale, 1982

*

Roberto Juarroz (1925 – 1995) è stato un poeta argentino

*

Salento di Vittore Fiore

E qui, se mai verrai, l’estate
quietamente si sfanno gli obelischi
e cattedrali come sortilegi
consumano in esilii avventurosi.
Prossimi alle scogliere noi
parleremo del Sud, dell’Europa,
dell’uggia e del campo di tabacco
che avanza in bilico tra noi e il mondo

(1953)

*

Vittore Fiore (1920 – 1999) è stato un giornalista e scrittore italiano, tra i maggiori protagonisti della cultura e della politica meridionalista italiana.

*

Quelli di Alfonso Alcalde

che pregavano sul bordo delle brande
accanto alle sbarre che sembravano bare
che sono bare e in generale tutti
coloro che praticavano l’indivisibilità
dell’essere, la gestazione come maledizione,
fertilità dovuta a negligenza,
coloro che si sono moltiplicati
alla deriva dalle loro grandi sconfitte
e vuoti rimasero e vuoti vissero:
coloro che incatenarono, legarono, aggiunsero
hanno comprato o venduto una donna sola
crocifiggendola sulla schiena ogni notte
solitaria

*

Alfonso Alcalde (1921 – 1992) è stato un poeta cileno

*

Quelli di Alfonso Alcalde

Improvvisazione su un verso di poesia di Jack Spicer

L’indefinizione fa parte della vera musica.
La cui grande armonia
non si abbassa a definire se stessa.
Il gabbiano solo sul molo che continua a starnazzare
senza pesci, senza altri gabbiani,
senza mare.
Completamente privo di significato
come un corno francese.
Non è nemmeno un’orchestra.
Armonia sola su un molo.
La cui grande armonia
non si abbassa a definire se stessa.
Nessun pesce,
nessun altro gabbiano, nessun mare:
la vera musica.

*

Jack Spicer (1925 – 1965) è stato un poeta americano.

Improvvisazione su un verso di poesia di Jack Spicer

Sempre ti manca quello che hai: vivere. di Gian Mario Villalta

Sempre ti manca quello che hai: vivere.
Qualcosa di più necessario, seguiti a chiedere,
qualcosa che ti convinca, ti vincoli a.
«Perché continuo a scrivere?»
Forse perché puoi finire
lo fai, come uno cammina di sera
prima di cena, o un altro vanga l’aiuola,
o mette a posto il garage, perché tu potresti
– come lui – non varcare più l’ombra
dei lampioni, l’altro smettere di sperare
che germini il seme o più non sapere se le sue cose
sono ancora lì – potresti così tu non essere
più tu che lo chiedi, ti avventuri, tu
che diventi tu che lo scrivi.

*

Gian Mario Villalta (1959) è un poeta e scrittore italiano di origini friulane.

*

Sempre ti manca quello che hai: vivere. di Gian Mario Villalta

lucia triolo: una domenica di poesia

Ewa Lipska

Il refuso

Cara signora Schubert, come sa, su di noi circolano 
storie mai accadute. Tempo fa mi si è avvicinata 
una donna dicendo: “ Sono una Data, sebbene 
non ci sia in me alcun luogo e alcun tempo. Attorno 
a me non gira alcun avvenimento epocale, 
e il calendario di chiffon che a volte mi butto sulle 
spalle è un edificio abbandonato. Mi infastidisce la luce rappresa 
nel vaso e questa vostra umanità, insopportabile 
refuso del cosmo”. Mi sta chiedendo quando ciò non 
è avvenuto? Non sono in grado di dirglielo

L’occhio incrinato del tempo.

lucia triolo: il grembiule

Angelina aveva sempre 
un grembiule a scacchi bianchi e rossi, 
annodato sui fianchi 
“per non sporcarsi” 
diceva. 
Una difesa, piana, liscia:
una pianura

Non ho mai capito bene:  
sporcarsi da cosa?
cosa temeva lei 
che lavava l’intimo sulla tinozza 
di pietra: 
mani, limone e sole

di certo il grembiule l’aveva anche
quel giorno
di pallore
appeso con lei alla trave

la sua pianura di difesa
il suo mistero