Tutte le stazioni della metropolitana sono vuote.
a malapena qualche bambino si arrampica sui muri con consistenza ragnatelosa.
L’Alameda laggiù è un funerale continuo;
il rumore dei treni si accalca nell’inguine
di chi non ha potuto avere altri figli.
Nessuno pensa più al suicidio,
a rimuovere la propria ombra sul bordo della banchina
E ripetere a bassa voce
una poesia di Bertoni a una ragazza con le tette grosse
(nessuno conosce più le poesie di Bertoni, ma la ragazza è ancora lì).
Prima, c’era chi sedeva per ore a guardare i treni passare,
Mentre inviava e riceveva messaggi sui suoi cellulari prepagati.
Mi piaceva guardare da un’auto ancora e ancora quelle stesse stazioni
Dove oggi galleggiano le piastrelle, cariche di manifesti strappati.
Il carro più bello è rimasto sul ciglio della collina,
Si sente l’acciaio decomporsi, dolce come una pesca,
L’inverno si sta sciogliendo su quel tetto che è una nave,
una finestra aperta, una pietra soffocata dal sottosuolo che tossisce resti d’aria.
Lei vola in questa carrozza vuota, enorme, notturna,
La memoria è disgustosa,
Una donna che non urla è disgustosa,
Si trasforma in una falena, tutta inumidita di vermi,
Sbattendo ancora e ancora contro quella luce tremolante di questa stazione della metropolitana
Proprio nel riflesso di una pubblicità rosa che è appena leggibile.
“Sei triste?” chiede. “
Forse le donne morte sono sempre tristi,
con pezzi di pelle attaccati all’ologramma che sono
come qualcuno che disegna urla nell’aria.”
Sembra bella così, vuota e fragile
come una vergine di gesso.
*