scrivere è un destino covato dall’ombra delle ore
la spina amorosa di chi non lascia niente alle sue spalle
perché essere cenere, sostanza di vento
è inciso da sempre a lettere di fuoco
nelle pupille dei segni che trascina – un canzoniere
infimo, un breviario di passi senza orma
tracima sillabe d’innocenza e memoriali di sabbia
dalla brocca silente che disseta il labbro,
quando parole malate d’aria si staccano dalle mani
precipitano nell’impercettibile abisso
di una pagina –
scrivere è un’ora covata dal destino
la spina che costringe il corpo in reticoli d’albe in piena notte
e punge fruga ricuce orli slabbrati lacera la carne
fino a che sanguinano anche i sogni,
fino a che l’immagine fiorisce in echi di sorgente
gli alfabeti rappresi dentro un grido
(sono queste le voci che mancano a una pietra
per sentirsi un arco lanciato verso il cielo,
sono questi gli accenti
che scortano il seme alla sua tomba di luce – al precipizio ardente
dove la morte è presagio di stagioni,
oracolo dei frutti e del ricordo)
*
Fino all’ultima sillaba dei giorni di Francesco Marotta (alla cara memoria di un Poeta)