Un ombrello di Jorge Luis Càceres

Jorge Luis Cáceres (1923–1949) è stato un poeta cileno, esponente del movimento surrealista nel suo Paese. Oltre che poeta, fu danzatore e pittore, e partecipò attivamente al gruppo “La Mandrágora”, legato al surrealismo internazionale. La sua scrittura, onirica e visionaria, si distingue per l’uso libero del linguaggio e la forza immaginativa. Morì prematuramente a soli 26 anni, lasciando un’opera breve ma intensa.

Ad André Breton

Su uno sfondo di diamanti un ombrello è un fuoco in più sul retro
L’avevo visto girare quando scrivevo “Recitazione” nel 1937
E non sapevo che sull’asse della finestra
Il sole gioca con il mormorio del sangue
Poi ho cominciato a leggere L’Amour Fou
Ma prima potevo già camminare a piedi nudi
Su una tela rossa attraverso la foresta in fiamme
senza amarlo ancora. Ho indebolito il mio amore su questo tappeto
E contro il mio viso soffiava lo strano battito del cuore
Quando camminavo in punta di piedi
Lungo i bordi di un anello di paglia intrecciata
Un anello di paglia intrecciata
Poi ho iniziato il viaggio di ogni stagione ma mi sono svegliato prigioniero di un desiderio
Non mi conoscevo senza negarlo. Nel centro della foresta
Nella camera oscura sul bordo di una roccia
E i ciottoli che adornano le pareti
Pendono da un centro mobile che oscilla
Per il fascino dell’eco senza uscita
Che gira.

*

Un ombrello di Jorge Luis Càceres

La spiaggia di Gabriel Ferrater i Soler

Gabriel Ferrater i Soler (1922–1972) è stato un poeta, linguista e critico letterario catalano, considerato uno dei più grandi poeti del secondo dopoguerra in lingua catalana. La sua opera poetica più celebre è Les dones i els dies (“Le donne e i giorni”), in cui coniuga intellettualismo, ironia e memoria personale. Fu anche docente universitario e appassionato studioso di linguistica strutturale e traduzione. Il suo stile asciutto e riflessivo ha influenzato generazioni di autori. Morì suicida a 50 anni, lasciando un’impronta indelebile nella cultura catalana.

Il sole l’ha inghiottita. Camminava sola,
a piedi nudi come il mare, vestita come
il mare, con una camicetta bianca e scarpe da ginnastica verdi,
luminosa e bionda come l’aria,
come il leone della furia totale.
L’ha inghiottita. In branco, furiosi,
taglieremo il vento di latta
con le cesoie degli ululati.
Graffiamo la sabbia. Abbaiamo
al mare, a quello travestito.

*

La spiaggia di Gabriel Ferrater i Soler

Immagine di Josè Emilio Pacheco

José Emilio Pacheco (1939–2014) è stato uno dei maggiori poeti e intellettuali messicani del XX secolo. Nato a Città del Messico, è stato anche narratore, saggista e traduttore. La sua poesia, sobria e riflessiva, esplora il tempo, la memoria, l’ingiustizia sociale e l’impermanenza della vita. Ha ricevuto numerosi premi, tra cui il Premio Cervantes nel 2009. Pacheco ha sempre mantenuto uno stile accessibile, vicino ai lettori, rifiutando l’eloquenza retorica a favore di una parola etica e necessaria.

La foto rimane lì. Fece una pausa per un secondo.
Tutto è passato nello stesso istante.
Le onde del tempo non cessano mai.
La vecchiaia ci allontana ogni minuto
dall’immagine immobile in cui chi eravamo
contempla fedelmente il defunto che saremo.

*

Immagine di Josè Emilio Pacheco

Brilla nella metropolitana di Joaquin Giannuzzi

Joaquín O. Giannuzzi (1924–2004) è stato un poeta argentino noto per il suo sguardo lucido e disincantato sulla realtà quotidiana, che ha trasformato in riflessione esistenziale. La sua poesia, precisa e tagliente, fonde ironia, malinconia e pensiero filosofico.

I giovani amanti si leccarono
il viso e le mani, rivelando
alla luce del sole
l’energia della creazione, la reciproca
penetrazione della materia vivente.
Allora i signori e i passeggeri tristi
si alzarono in piedi, aspettando che il fuoco
divampasse in tutte le direzioni e destinazioni:
lasciando che quella forza
si infiltrasse in loro e penetrasse
nei vestiti, nella carne, nei metalli e nel legno,
fino a esplodere in un bagliore liberatorio.

*

Brilla nella metropolitana di Joaquin Giannuzzi

Promesse invernali di Marge Piercy

Marge Piercy (nata nel 1936 a Detroit, Michigan) è una poetessa, romanziera e attivista femminista statunitense. Cresciuta in una famiglia operaia, ha portato nelle sue opere una profonda coscienza sociale e politica. I suoi versi affrontano temi come il corpo femminile, l’identità di genere, la giustizia sociale e l’ambiente. Autrice di numerose raccolte poetiche e romanzi, tra cui Woman on the Edge of Time, è considerata una delle voci più influenti del femminismo letterario americano. Vive a Cape Cod, dove continua a scrivere e a intervenire nel dibattito pubblico.

Pomodori paffuti come perfetti sederini di bambino,
melanzane lucide come parafanghi lucidati,
impeccabili peperoni di un luccicante viola neon,
prolifici fagioli rampicanti
che crescono come lo stelo di Jack sotto l’effetto del Viagra,
grandi come ruote di camion, zinnie che il fungo
non fa mai appassire, rose che pendono
da un cespuglio che il cancro non ha mai toccato,
coraggiosi piccoli alberi da frutto che inclinano
i loro immacolati ornamenti di frutta di vetro:

Sono sdraiata sul divano, coperta
di cataloghi di semi, con la voglia di comprarne troppi. Il nevischio
cade dalla finestra e un vento affilato di lame di ghiaccio si insinua da ogni fessura. Mentitemi, giardinieri: voglio credere a tutte le promesse, a pomodori da due chili e dalie più luminose del sole che ha divorato la brina qualche giorno fa.

*

Promesse invernali di Marge Piercy

I giorni della luce fragile di Lucio Piccolo

Lucio Piccolo è nato a Palermo, il 27 ottobre 1901, dal barone Giuseppe, discendente da una facoltosa famiglia radicata da alcuni secoli a Ficarra, a Naso e a Capo d’Orlando, e dalla contessa Teresa Mastrogiovanni Tasca Filangeri di Cutò, appartenente a una delle più importanti famiglie aristocratiche siciliane. Teresa è la più giovane di cinque sorelle, tra le quali si ricorda, Beatrice, madre del futuro scrittore Giuseppe Tomasi di Lampedusa. Nel 1953 moriva la madre. Nel 1954 Piccolo stampava a proprie spese le 9 Liriche, presso il piccolo stabilimento tipografico «Progresso» di Sant’Agata di Militello, e le inviava senza affrancatura a Eugenio Montale che, incuriosito, le lesse e le apprezzò decidendo di presentare quello che riteneva dovesse essere un giovane autore al Convegno di San Pellegrino Terme dedicato al confronto fra due generazioni. Ma la sorpresa fu naturalmente constatare, quando l’autore delle 9 liriche arrivò accompagnato dall’ancora inedito cugino Giuseppe Tomasi di Lampedusa, di trovarsi di fronte a un poeta maturo e coltissimo. Ebbe inizio così il successo di Piccolo che pubblicava nello Specchio Mondadori Canti barocchi e altre liriche (1956)  con la prefazione di Eugenio Montale; nel 1960, Gioco a nascondere. Anche in tal caso, come già per la prima raccolta, si tratta di una selezione di nove poesie.  Nel 1967, egli dava infine alle stampe la terza e ultima raccolta,  pubblicata in vita (sempre costituita da nove poesie), Plumelia, edita da Scheiwiller. Nello stesso anno pubblicava, su «Nuovi Argomenti», n. 7/8, L’esequie della luna, una “Prosa per un balletto” (così è sottotitolata l’operetta). Morì nel 1969.

I giorni della luce fragile, i giorni

che restarono presi ad uno scrollo

fresco di rami, a un incontro d’acque,

e la corrente li portò lontano,

di là dagli orizzonti, oltre il ricordo,

– la speranza era suono d’ogni voce,

 

e la cercammo

in dolci cavità di valli, in fonti –

oh non li richiamare, non li muovere,

anche il soffio più timido è violenza

che li frastorna, lascia

che posino nei limbi, è molto

se qualche falda d’oro ne traluce

o scende a un raggio su la trasparente

essenza che li tiene

ma d’improvviso nell’oblio, sul buio

fondo ove le nostre ore discendono

leggero e immenso un subito risveglio

trascorrerà di palpiti di sole

sui muschi, su zampilli

che il vento frange, e sono

oltre le strade, oltre i ritorni ancora

i giorni della luce fragile, i giorni…

*

I giorni della luce fragile di Lucio Piccolo

E mi torco il collo di Sara Bourré

Sara Bourré è una scrittrice e performer francese nata a Parigi nel 1988. Ha studiato lettere moderne e filosofia alla Sorbona, e si è formata parallelamente in teatro e danza-teatro. Ha pubblicato poesie in diverse riviste e si esibisce regolarmente sul palco con musicisti, in progetti che combinano testi, suoni e materiali visivi. Il suo primo romanzo, Maman, la nuit, è stato pubblicato nel 2023 dalle Éditions Noir sur Blanc .

E mi torco il collo guardando le immagini di prima passare
blu, come i capelli di una fata scomparsa
La pelle del cielo si aggrappa alla mia nudità
vecchi scorpioni salgono e scendono lungo la curva del mio cranio
Ho mille anni
È passato molto tempo da quando ho visto il sole ridere
cavalcato da un esercito di uomini con le ali sciolte

E il giorno indossa il suo abito da notte
E la notte il suo abito da giorno
vado al carnevale

Bisogna dire che siamo stati vicini
a evitare la condanna delle macchine maledette.
Bisogna dire che siamo quasi morti.

Poi le fate tornano intorno ai nostri immensi cunei
E le donne pazze danzano
E i corpi vengono strappati
E le bocche vengono cucite
Animali multicolori vegliano fino all’alba
E il giorno inciampa, goffo nel suo vestito troppo grande

*

E mi torco il collo di Sara Bourré

Non c’è niente di più orribile della verità di Leopoldo Marìa Panero

Leopoldo María Panero (1948 – 2014) è stato un poeta spagnolo comunemente inserito nel gruppo Novísimos. 

Non c’è niente di più orribile della verità,
della verità che sputa contro l’uomo,
che abbaia contro la vita e contro di lui
sussurrandomi all’orecchio parole di un uomo che non esiste.

Oh tu, Paul Verlaine, che avevi paura della vita
il mio cuore qua e là come una rosa morta
Verlaine lo disse, malato come una rosa

Malato come il verso sulle tue labbra, ma senza dirlo
se vuoi ci ameremo, lo disse Mallarmé
citando se stesso, come una scultura di roccia

Con un fiore in bocca per celebrare
la caduta della poesie sull’uomo.
La luce, che non soffre mai, lo disse Salinas
urinando su un cadavere.

*

Non c’è niente di più orribile della verità di Leopoldo Marìa Panero

È sdoppiata, come un ponte aperto di Olga Martynova

Olga Martynova.è nata nel 1962 a Dudinka, in Siberia, è una poetessa e scrittrice bilingue che vive tra Russia e Germania. Scrive poesie in russo e prosa in tedesco, e le sue opere sono state tradotte in numerose lingue, tra cui l’italiano. La sua poesia è nota per la profondità intellettuale e l’eleganza stilistica, spesso esplorando temi di identità, memoria e dialogo interculturale.

In doppiopetto da statale Pietroburgo altezzosa
mangia dentro una persona,
getta l’involucro immangiabile,
e si avvia leggera nella pioggerella mattutina.

Ma guarda,
ecco Pietroburgo vestita in borghese:
ubriaca, bonaria e spelacchiata.
In una vestaglia bisunta, spettinata,
dentro invece quello sobrio e mangiato.

Così, sdoppiata, come un ponte aperto,
Parla senza parole con le mani…

…Oppure con l’eternità, come a palla, gioca
davanti a tre secoli tracotanti.
Sotto la pioggia.

*

È sdoppiata, come un ponte aperto di Olga Martynova

Gerico di Pierluigi Cappello

Pierluigi Cappello (1967 – 2017)

È raro sentire cantare in strada
molto più raro sentire fischiare
o fischiettare
se qualcuno lo fa
l’aria sembra fargli spazio
ti sembra che un refolo muova
la flora dei tuoi pensieri
ti metta dove prima non eri;
ma come passa chi fischia
la noia stende le vertebre al sole
e tu rientri dov’eri
dietro il douglas dei serramenti
dentro il livore
degli appartamenti
al tango delle dita sul tavolo ti chiedi
da quali trombe scosse
scrollate le mura
per quali brecce potremo vedere
– fresca –
come un sogno appena sbucciato
la terra che calpesteremo, allegri.

*

da Un prato in pendio. Tutte le poesie 1992-2017

Fibre di Jorge Boccanera

Jorge Boccanera (1952) è un poeta, scrittore e giornalista argentino nato a Bahía Blanca. Esule durante la dittatura militare, visse in Messico e Costa Rica, esperienze che influenzarono profondamente la sua poesia. La sua opera, segnata da impegno politico e lirismo, è tradotta in numerose lingue ed è tra le più rappresentative della letteratura latinoamericana contemporanea.

(a José Ángel Leyva)

.
Un cervo apparirà per colui che semina il tempo, che
lo fa, lunghe foglie di tempo, sottilissime, con
fili, setole, fili, filamenti, stracci,

.

e scrive del tempo in ginocchio, su una coperta
di ombre, e poi cammina sulla pagina bianca
dove la notte è sveglia..

Il cervo apparirà se lo scrittore mette le mani nel
tempo e lo rosicchia, lo morde, lo logora, lo assottiglia,
lo trasforma in un tegumento, in una membrana..

Quando il tempo – pelle delle parole – sfiora fugacemente 
l’aria, appare un cervo

*

Fibre di Jorge Boccanera

Gufi nella palude di Mirjam Frosth

Sono un professionista e ricercatore nel campo dell’arte che crea spazi in cui arte e comunità si incontrano. La mia attività spazia dalla redazione di riviste d’arte allo sviluppo di programmi museali, dalla ricerca culturale alla fondazione di Konstwrite, un’iniziativa interdisciplinare che costruisce ponti tra artisti, pubblico e comunità locali. Credo che l’arte riguardi le persone. Nel mio lavoro, esploro come gli scambi creativi plasmino la nostra comprensione della comunità e del luogo.

Abbiamo visto il volgersi dei colli
e gli occhi gialli aggrapparsi
ai rami sul retro dell’ospedale.
Tu hai detto devono essere venuti qui
come a raccogliere un presagio.
Non capivo questa tua espressione.

Ci siamo alzati al mattino presto con gli uccelli.
Un telefono ha squillato. Sono volati tutti via.

*

Traduzione Damiana De Gennaro

*

Gufi nella palude di Mirjam Frosth

Il vero lavoro di Gary Snyder

Oggi con Zach e Dan che pagaiano intorno ad Alcatraz e Angel Island)

Leoni marini e uccelli,
il sole
scivola attraverso la nebbia e si rilassa,
guardandoti dritto negli occhi.
La foschia del sole;
una grande petroliera naviga leggera e alta.

mare agitato, onda improvvisa –
collega i flussi di marea –
i gabbiani seduti nel raduno
mangiano;
scivoliamo tra scogliere biancastre.

il vero lavoro,
lavare e sospirare,
passa inosservato.

*

I brutti con i brutti di Maha Vial

Maha Vial (1955–2020) è stata una poetessa e attrice cilena nata a Valdivia, nel sud del Cile. Figura di spicco della scena culturale valdiviana, ha sviluppato una poetica fortemente performativa e trasgressiva, affrontando temi come l’erotismo, la marginalità, il femminismo e la cultura popolare .

I brutti con i brutti,
i poeti con i poeti,
le puttane con le puttane,
le troie con i cani,
le vecchie troie con la morte:
questo è il mondo ordinato
in cui mi è stato dato di vivere.
Lode al Signore!

*

I brutti con i brutti di Maha Vial

Bisogna ricominciare dall’inizio di Bruno Lugano

Bruno Lugano (20 febbraio 1941 / 13 dicembre 2017), è stato un noto poeta lucchese intimista ed ispirato, dedito alla poesia per vocazione sin da ragazzo, quando “orfano di padre e di figlio di poca madre” studiava a memoria classici della letteratura italiana e inglese che trovava nella biblioteca del collegio locale durante pomeriggi solitari. Ha iniziato a scrivere a metà degli anni ’50 e poi assiduamente a più riprese durante tutto il corso della sua vita. Ha Partecipato a numerosi Reading di Poesia ed è stato molto apprezzato e stimato dai suoi conterranei che ebbero il privilegio di ascoltarlo e conoscerne l’autenticità, il suo modo di vivere anticonvenzionale e provocatorio. Nonostante non abbia mai ricercato la pubblicazione, se non da giovane con le prime stampe in alcune riviste di editoria alternativa contenenti sue riflessioni e poesie, nel 1977 ha partecipato alla raccolta “Carconia” – Ed. Maria Pacini Fazzi – ed è uscito, per Marco Saya Edizioni – 2016 – la raccolta “Nel rovescio del perdono”. Ha partecipato attivamente e collaborato a siti di poesia e scrittura, con inserti poetici e blog. 

Bisogna ricominciare dall’inizio.
Dal coraggio
Dal bambino disperato
Dalla famiglia offesa
Dai ripiegamenti di fiorellino
Dalle tribù di tristezze portate con tristezza
Dall’avventura spietata
Dal furto nel giardino incustodito
Dalle solitudini in cui tutti mancano;
E il premio è una lacrima azzurra
privilegiata di fronte al tramonto.
Ricominciare dai giorni rimasti a dondolare nel passato
Dalla pietà che chiedeva sempre più pietà
Dalle sere accaparrate dagli altri
Dal piagnisteo mascherato dalla disperazione
con il cuore ritirato dal gioco dei cuori più audaci,
Con i primi scambi d’amore paralizzati da tristi gelosie.

*

Bisogna ricominciare dall’inizio di Bruno Lugano

Fino all’ultima sillaba dei giorni di Francesco Marotta (alla cara memoria di un Poeta)

Il dieci luglio scorso ci ha lasciato Francesco Marotta. Era nato settantuno anni fa a Nocera Inferiore ma ha vissuto in provincia di Milano dove ha insegnato storia e filosofia. E’ stato un poeta e un traduttore raffinato. Ha animato uno dei primi e più autorevoli blog letterari, La dimora del tempo sospeso. La sua ultima opera è Polvere, pubblicata da Anterem un anno fa.

scrivere è un destino covato dall’ombra delle ore
la spina amorosa di chi non lascia niente alle sue spalle
perché essere cenere, sostanza di vento
è inciso da sempre a lettere di fuoco
nelle pupille dei segni che trascina – un canzoniere
infimo, un breviario di passi senza orma
tracima sillabe d’innocenza e memoriali di sabbia
dalla brocca silente che disseta il labbro,
quando parole malate d’aria si staccano dalle mani
precipitano nell’impercettibile abisso
di una pagina –
scrivere è un’ora covata dal destino
la spina che costringe il corpo in reticoli d’albe in piena notte
e punge fruga ricuce orli slabbrati lacera la carne
fino a che sanguinano anche i sogni,
fino a che l’immagine fiorisce in echi di sorgente
gli alfabeti rappresi dentro un grido

(sono queste le voci che mancano a una pietra
per sentirsi un arco lanciato verso il cielo,
sono questi gli accenti
che scortano il seme alla sua tomba di luce – al precipizio ardente
dove la morte è presagio di stagioni,
oracolo dei frutti e del ricordo)

*

Fino all’ultima sillaba dei giorni di Francesco Marotta (alla cara memoria di un Poeta)

Giovedì 10 agosto di Pauline Delabroy-Allard

trentadue successi

Elvis per sempre

da un re all’altro

tutti gli abitanti qui ballano un po’

Ascolto solo con un orecchio

la voce del re del rock ‘n’ roll

stasera

la porta della mia stanza

è stata aperta

ha chiesto

Chi è

ed è la tua voce che mi ha risposto

sono io

Ho chiesto

chi è io

e hai mormorato il tuo nome

Non ci credo

solo tu puoi farlo

prendere treni notturni attraverso la pianura

giaci con i tuoi stivali tra montagne di domande

il mio stalker, la mia ricamatrice

solo tu puoi farlo

entra in una casa addormentata dove nessuno ti aspetta

alle sei del mattino

e scivola nuda contro di me

lascia che le mie mani ti accarezzino

le mie mani che non possono credere

Sento solo da un orecchio la voce del re che hai detronizzato

Tu sei la regina, la regina dei cuori

solo tu puoi farlo

la vita è così rock’n’roll.

*

Giovedì 10 agosto di Pauline Delabroy-Allard

I complici di Delia Domìnguez

Delia Domínguez (1931–2022) è stata una poetessa cilena di origini tedesche, considerata una delle voci più significative della poesia femminile del suo Paese. La sua scrittura, intensa e intima, ha spesso esplorato i temi della perdita, dell’amore e della natura.

Ti ho detto nella lettera
che mettere insieme quattro versi
non è stato ottenere un passaporto per la felicità
timbrato in tasca,
e altre cose più o meno serie,
come farti sapere
che sono da tempo tua complice
quando di notte scendi negli arsenali
e metti tutta la tua anima
e il tuo respiro
perfettamente sotto controllo,
per far andare avanti le tue ribellioni,
le tue milizie segrete
a costo di quel tempo perso
a mangiarti le unghie, a tenere
a freno le tue palpitazioni,
a batterti il ​​petto per i
brutti sogni,
e non so quante altre cose
che, sinceramente, ti logorano la salute
quando in fondo
sai che sono con te
anche se non ti vedo
o non faccio colazione alla tua tavola
o la mia testa si sveglia sul tuo petto
come un bambino infreddolito,
e questo
non ha bisogno di essere scritto.

*

I complici di Delia Domìnguez

La bambina di Hiroshima di Nazim Hikmet Ran

Nazin Hikmet (1902 – 1963) poeta e scrittore turco naturalizzato polacco.

Apritemi sono io…
busso alla porta di tutte le scale
ma nessuno mi vede
perché i bambini morti nessuno riesce a vederli.

Sono di Hiroshima e là sono morta
tanti anni fa. Tanti anni passeranno.

Ne avevo sette, allora:
anche adesso ne ho sette perché i bambini morti non
diventano grandi.

Avevo dei lucidi capelli, il fuoco li ha strinati,
avevo dei begli occhi limpidi, il fuoco li ha fatti di vetro.

Un pugno di cenere, quella sono io
poi il vento ha disperso anche la cenere.

Apritemi; vi prego non per me
perché a me non occorre né il pane né il riso:
non chiedo neanche lo zucchero, io:
a un bambino bruciato come una foglia secca non serve.

Per piacere mettete una firma,
per favore, uomini di tutta la terra
firmate, vi prego, perché il fuoco non bruci i bambini
e possano sempre mangiare lo zucchero.

*

La bambina di Hiroshima di Nazim Hikmet Ran

Radice di Miklós Radnóti

Miklós Radnóti (1909 – 1944) è stato un poeta ungherese. Essendo ebreo, non poté esercitare la professione d’insegnante; fu quindi perseguitato, rinchiuso in vari campi di concentramento in Ungheria e in Serbia, infine fucilato. Nei suoi vestiti, rintracciati in una fossa comune, venne trovato il suo ultimo taccuino di versi. Nella contemporanea poesia ungherese, Radnóti va collocato tra le voci nuove della corrente di ispirazione popolare, manifestatasi a partire dagli anni Trenta del secolo scorso, e precisamente tra i poeti la cui tematica è più legata ai problemi e alle trasformazioni delle città.
Lirico pregevole, scrisse anche un libro autobiografico e fu ottimo traduttore, specialmente di poeti francesi.

E qui preparo questa poesia.
Ero fiore, sono diventato radice,
buia e pesante la terra su di me,
la mia sorte è compiuta,
una sega piange sulla mia testa,
e la mia linfa si ritira,
non mi muovo più,
non mi muovo più.

*

Radice di Miklós Radnóti

CANTO 20 (frammento) di Veronica Zondek

Verónica Zondek è una poetessa, traduttrice e saggista cilena nata nel 1953 a Santiago. La sua scrittura, spesso legata al paesaggio e alla memoria, intreccia elementi mitici, politici e linguistici. Ha pubblicato numerose raccolte di poesia, tra cui El hueso de la memoria e Por gracia de hombre, ed è considerata una delle voci più autorevoli della poesia contemporanea in lingua spagnola.

Ascolta,
ascolta cosa dice la questione/non distrarti/stai fermo/
parlale.
Non arrenderti.
Pensare.
Immagina di essere solo una fermata del treno.
A.
Una stazione di passaggio.
Quindi:
ama/ ridi e piangi/ dormi/ sogna/ bacia con passione
fermati/ guarda/ ascolta/ fermati e lascia che le dita argentate
della folata di vento ti tocchino/ e le dita dorate dei fuochi freddi/
la mia scrittura sulla pagina dorme in attesa del lento ruggito del risveglio/
mangiando ciò che le lingue voraci lasciano dietro di sé/ respirando le
lacrime degli sconfitti/ seminando occhi ovunque/
l’obbligo è leggere/ e rileggere/ e prestare attenzione/ anche se siamo solo
sangue/ e ossa/ e sogno/ in questa lunga/ lunga e lenta palude.

*

CANTO 20 (frammento) di Veronica Zondek

Scrivo per te, mia amata di Giorgio Manacorda

Giorgio Manacorda (Roma, 1941) è un poeta, saggista e critico letterario italiano. Ha insegnato letteratura tedesca all’università e diretto riviste culturali come Il Menabò e Poiesis, distinguendosi per una scrittura colta e intensamente riflessiva.

Scrivo per te, mia amata. Io ti scrivo

dal futuro che non abbiamo avuto,

guardo il mare, la tua torre, il tempo,

l’isolotto, i monti che a raggiera

calano nelle acque con le loro

molli gobbe preistoriche

e nulla è cambiato, è tutto fermo lì,

ogni scaglia di quel drago silente

brilla e si staglia al vento netta in cielo,

ma la strapazza il mare, ed ogni pietra

ne trae sollievo prima di affrontare

una giornata asciutta e disperata.

Ah, se sapessi scrivere l’assenza

io piccolo e sfrontato ti darei

nuovamente la vita per toccarti

un poco con la punta delle dita.

*

Scrivo per te, mia amata di Giorgio Manacorda