Lucia Triolo: l’anima del poeta

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martedì, Luglio 09, 2024 

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L’anima del poeta

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L’anima del poeta

Lucia Triolo

L’anima di quel poeta era fragile.

Come quella di un eremita, aveva casa negli anfratti di roccia.

Di quella roccia che si chiama Nulla.

Gli anfratti erano trasparenti come gocce di rugiada e duri come punte di diamanti. Delicata come un orologino del Settecento, di quelli che le dame imbellettate portavano sul seno tra le gemme, l’ anima di quel poeta non vibrava al vento di tempesta e nemmeno nelle arsure dello scirocco caldo e bruciante. Vibrava al leggero fruscio delle foglie, quando l’alito del vento si fa lieve come un sospiro.

Sempre fuori di sé andava, suo malgrado, sempre in cerca di sé.

Un giorno si era dato appuntamento su un foglietto trasparente. Lo aveva messo in una busta gialla col francobollo ed imbucato nella posta sotto casa, sicuro che sarebbe arrivato in breve tempo. Aveva necessità di incontrare qualcuno. E aveva scelto sé.

Non si era chiesto perché.

Forse inconsciamente voleva farsi delle domande, cercare delle risposte, andare a farsi visita.

Ogni giorno il poeta prelevava la sua corrispondenza Fermo Posta, ma il plico non arrivava. I postini passano certo dappertutto, prelevano la posta anche da una buca fra gli anfratti di una roccia; non però se gli anfratti sono trasparenti come gocce di rugiada, dure come punte di diamante; non se quella roccia si chiama Nulla.

Il biglietto non era in realtà mai partito, ma di questo disservizio quel poeta era ignaro e continuava ad aspettare.

Passò il tempo e lui s’innamorò. Lei era bella? Non lo seppe mai: era sua, tanto bastava, era a lui che ella sorrideva. Aveva trovato la sua Poesia. Flora era vera, era reale. Venne ad abitare con lui e la roccia cambiò nome. Gli anfratti divennero stanze ospitali, calde e i postini cominciarono a passare anche da lì.

Il biglietto partì. Ma anche questo il poeta non lo seppe.

La sua vita cambiò. Il suo passato ormai non lo interessava e per farsene beffe raccontò alla sua Poesia di quella volta che aveva cercato di prendere l’appuntamento con sé stesso e del suo smacco. Poi se ne dimenticò del tutto.

Un giorno, controllando la posta, si trovò tra le mani qualcosa di assai curioso: dentro una busta gialla spiegazzata, c’era una freccia di ferro appuntita, arrugginita con un piccolo arco per scoccarla e nel biglietto trasparente che l’accompagnava era vergato:

“È questo il tempo per l’intimo, per il profondo,

per quella parte inattingibile di te che

solo un dardo scoccato da te stesso

può penetrare

raggiungendo l’anima

trapassando il cuore.

Poi sarà la fine, poi si muore”.

Da dietro, Flora gli cinse le spalle con le braccia e con la guancia si spinse innanzi ad incontrare la sua. Che strano messaggio, le mormorò il poeta: che mai vorrà dire? Non sapeva chi potesse averglielo mandato. Non c’era firma e nella busta mancava il mittente. Già tentato dalla tenerezza dell’abbracciò, prese la busta e la buttò tra la carta. La freccia e l’arco invece li spezzò e li buttò tra la plastica e il metallo. Come imponeva la raccolta differenziata.

Così fu salva l’anima del giovane poeta e non s’accorse, sviata dall’amore di aver mancato l’appuntamento con la morte.

scritto da:

Lucia Triolo

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