E io ti accolgo! – di Frida la loka

Lombardia

Notte stellata (dipinto di Vincent van Gogh)

MoMA (The Museum of Modern Art)
Aspetterò

Non saprei quanto

Nelle notte stellate

Avvolte nella coltre

Sommerse nel silenzio

Che aquieta anime

in attesa e non sazie

Aspetterò

E ti accoglierò

Coi tiepidi raggi del

Primo mattino

Io, aspetterò...

Tua

22 marzo, 2023

Dal blog personale di

http://fridalaloka.com

Ripubblicato su

http://alessandria.today

Spazio intermedio – di Frida la loka

Lombardia

Fonte: CERN
Lungo il filo sottile 

dell'interstizio

così vicini, al contempo

lontani.

Nutrimento e vita

flussi interaggiscono

eventi della stessa

materia.

Gli stati di essa diversi

uniti dallo spazio e

massa

dispersi nell'universo

tutto.

In che foggia ti

rappresenti?

Probabilmente un Quark di

di colore sfavillante

ma non lo si vede

particella elementare del

tutto.

Tua

11 marzo, 2023.

Dal blog personale di

http://fridalaloka.com

Ripubblicato su

http://alessandria.today

Diversamente mani – di Frida la loka

Lombardia

Pensieri in poesia

Mani, potere immenso... 
hanno la facoltà di sprimere
mille messaggi
infiniti gesti.

Manipulate in modo morboso, coercitivo
per essere usate in nome del "legitimo"
mani che non trovano pace,
e non la troveranno mai;

macchiate di sofferenza, amarezza
mani che non torneranno a essere le stesse;
macchiate di un profondo rosso...

Altre, compiono mosse straordinarie
richiamo del buono, dello spirito nobile,
desiderose di offrire unione...
trasmettere tenenereza,armonia.

Un semplice abbraccio che scioglie incubi e panico
che regalanno certezze e miracoli
dove la speranza è nascosta sotto il buio di calcinacci.

Mani che si donanno inconsciamente
si bagnanno nell'acqua gelida
e si sporcano di fango,
cercando freneticamente un battito...

Mani che raccolgono in lacrime,
ciò che la tempesta rigetta in riva.
Queste mani, dilagnate, piene di cicatrici
nemmeno esse saranno come prima...

Ma, arrivato il momento dell'abluzione
quei segni sulle mani, diranno che sono lì
perché in ogni dove, esiste ancora il bene.

Tua

28 febbraio, 2023

Dal blog personale di

http://fridalaloka.com

Ripubblicato su

http://alessandria.today

Eventi. L’Arte in versi XI edizione, verbale di giuria, di Rita Stanzione



L’undicesima edizione del Premio Nazionale di Poesia “L’arte in versi” – indetto e organizzato da Euterpe APS di Jesi (AN) – , bandita nel mese di maggio 2022 e con scadenza di partecipazione fissata al 31/12/2022 ha visto l’ottenimento dei patrocini morali dei seguenti enti istituzionali: Regione Marche, Assemblea Legislativa della Regione Marche, Provincia di Ancona, Comuni di Ancona, Jesi e Senigallia, Università degli Studi di Urbino “Carlo Bo”. Finanche – in relazione all’assegnazione di alcuni Premi Speciali (fuori concorso) – sono stati ottenuti i Patrocini Morali della Regione Veneto, delle Provincie di Verona, Lecce e Modena e del Dipartimento di Culture e Civiltà dell’Università di Verona.

L’organizzazione del Premio, in sinergia e mutua collaborazione con alcune associazioni culturali che perseguono finalità comuni, ha deciso di attribuire alcuni premi speciali che vengono offerti dai seguenti enti: Movimento Internazionale “Donne e Poesia” di Bari, Centro Culturale “Vittoriano Esposito” di Avezzano (AQ), Consulta Giovanile di Bonorva (SS), Associazione di Promozione Sociale “Le Ragunanze” di Roma, Associazione Siciliana Arte e Scienza (ASAS) di Messina, Associazione Culturale “L’Oceano nell’anima” di Bari, Associazione Culturale “Il Faro” di Cologna Spiaggia (TE), Associazione Culturale “Africa Solidarietà” Onlus di Arcore (MB), Club per l’Unesco di Cerignola (FG).

Ha collaborato esternamente provvedendo a riconoscere alcuni contratti editoriali a opere ritenute meritevoli la casa editrice Ivvi Editore – Nuovi autori del Gruppo Solone s.r.l. di Battipaglia (SA).

Hanno patrocinato questa edizione del Premio anche i seguenti enti culturali: Centro Studi “Sara Valesio” di Bologna, Wikipoesia, Quotidiano online «Il Graffio».

Le Commissioni di Giuria, differenziate per le varie sezioni a concorso, erano costituite da poeti, scrittori, critici letterari, giornalisti, promotori culturali (in ordine alfabetico): Stefano Baldinu, Fabia Binci, Lucia Cupertino, Valtero Curzi, Mario De Rosa, Graziella Enna, Zairo Ferrante, Rosa Elisa Giangoia, Fabio Grimaldi, Giuseppe Guidolin, Francesca Innocenzi, Antonio Maddamma, Simone Magli, Emanuele Marcuccio, Francesco Martillotto, Vincenzo Monfregola, Morena Oro, Rita Stanzione, Laura Vargiu e sono state presiedute da Michela Zanarella.
Presidente del Premio dott. Lorenzo Spurio.

Lettura del verbale al link:

https://associazioneeuterpe.com/2023/03/02/pubblicato-il-verbale-di-giuria-dellundicesimo-premio-naz-le-di-poesia-larte-in-versi/

Quando il sole si sgrana – di Frida la loka

Lombardia

Poesia

Cristallo di neve
refratta contro l'appunntita stalacttite;
mordente.

Sbriciolato sol d'inverno
Non hai verve sufficiente
non è abbastanza per annientarla.

La sottile pelle
mostra fenditure ma
non intimoriscono;

nemmeno l'accentuarsi dei fasci;
bianchi fili in cima
silhouette d'una vita vissuta.

Lo specchio mi rigetta però
sdegnosa immagine
Ella; non sono io.
È solo un'ombra...
Digital Art, Frida la loka

Tua

20 gennaio, 2023

Ripubblicato su

http://alessandria.today

Scissione dell’Io – da Frida la loka

Lombardia

Poesia

Libreria multimediale W.press
Il tempo è trascorso,
una pioviggine salata
che sa di amaro
scarica torpemente creando scanalature;
irregolari tra le tegole dei tetti,

Scissione dell'anima,
ammaraggio sulle labbra squarciate.
Mente ostinata;
Il mio viso; dipinto su olio,
disgrega;

Lascia cadere passionali sfumature
in un indefinito ritratto. 
Reminiscenze imprese,
fotogrami color seppia
si susseguono in un freddo tramonto.

Distante,
un monotono movimento del lago,
la fredda brezza,
trascina foglie nude, morte...
Come fu quell'amore;
senza senso...

Le mie mani tremolanti
riposano sulla mia fragile schiena
aspettando un tenero abbraccio
che non arriverà mai...
sogghignando, faccio un respiro

asciugo quel che resta di salato in faccia
mi muovo e cammino, adagio;
Da qualche parte esiste ancora
percepisco la sua presenza!
Lo so bene, permane nell'altro Io.
Libreria multimediale W.press

Tua

13 febbraio, 2023.

Ripubblicato su

http://alessandria.today

Frutto acerbo

Di Frida la loka, Lombardia.

Poesia al bambino che fu.

Bambino che non sei altro 
Il tuo percorso l'hai fatto;

camminavi goffamente una volta;

poi hai corso per lungo tempo; e senza accorgertene, sei stato derubato dal vivere.

Cosa si sente, camminare ex novo?; i pavimenti scintillanti;
luccicano lungo i corridoi monotoni, silenziosi.
Sei soddisfatto?

Raccontami! Dolce bambino, filtra la luce tra le finestre?

Sei stanco oramai;
Riesci a vedere il colore dei fiori?

Riesci ad amarli?

Chissà sé al calar la notte, ti spaventa, non essa, dico la solitudine?

La tua voce echeggia nelle stanze vuote.

Tansolo una musica soave ti fa compagnia.

Ancora oggi, si sente il ticchettio dei passettini di quel frutto acerbo.

Tua.

7 febbraio, 2023.

Dal blog personale

http://fridalaloka.com

Ripubblicato su

http://alessandria.today

Dispersione

Di Frida la loka (Lombardia)

Oggi c'è, è venuto a trovarmi, io l'ho accolgo con tenero abbraccio, mi scalda, sento il brivido accarezzando il corpo

Sono grata; e mi disperdo, come bimbi ch'accolgono la curiosaggine.

Non so quanto durerà; non ha importanza...

S'è affacciato ed è quello che conta per me.
Tornerà?...
Sicuramente.
L’Abbraccio di Klimt è parte di un trittico composto da tre pannelli che sono dedicati alla serie dell’Albero della vita, realizzato tra il 1905 e il 1909.

Tua.

24 gennaio, 2023

Dal blog personale

http://fridalaloka.com

Ripubblicato su

http://alessandria.today

Versicoli pensati in un bar, una sera come le altre…

“Non sarà una poesia

Ma la scriverò

E resterà una cosa mia

E anche se vale poco

Non la getterò nel fuoco.

Non si bruciano i pensieri”

(Leano Morelli da “Non bisogna esser poeti”)



I molteplici stati dell’essere

che l’ontologia moderna ha assottigliato 

e tagliuzzato in parti infinitesimali,

mentre l’avere e l’apparire

sono i nuovi dei (ma ricordiamoci

di sentirsi fortunati perché qui e ora

non c’è la guerra né si muore di fame). 

Ognuno ha non ciò che si merita

ma quel che gli tocca; così si passa

da una deriva darwinista a una deriva

innocua tautologica.

L’importante è avere un luogo

in cui raccogliersi, dato che

questo mondo è merda

e il tuo grido spesso finisce inascoltato. 

“Il lavoro è duro e la paga è buona.

Ma qui ci vogliono uomini veri.

Di uno come te non so che farmene”.

Così mi dice e se ne va. 

Nel profondo dell’anima,

ammesso e non concesso

che esista,

c’è ancora una tua traccia, ragazza 

che ora sei donna, 

anche se per tanto l’ho occultata

(parlare d’amore in poesia è quasi reato,

nelle canzoni è un luogo comune abusato). 

Non ti racconto le impressioni

quando guardo le costellazioni.

Quello in cui credevo tanti anni fa

oggi l’ho dimenticato e non conta più. 

Ma nel profondo del mio profondo

non c’è niente di profondo:

c’è molto materiale spurio, come per tutti, 

perché così siamo fatti da sempre. 

Non dirmi che sono superficiale o profondo,

dato che sono cose inutili,

anche se nessuno sa ciò che passa e ciò che resta. 

Passo in rassegna tutti i miei amori, veri, non corrisposti e trasognati. 

Ma altrove fanno sul serio. Imperversa la guerra. C’è tanto orrore.

Altrove si muore.

E io imperterrito continuo la mia cantilena

(sempre meglio che fare battute guerrafondaie sul proprio profilo Facebook). 

Non pensare alla perversione nel sesso, ma alla grande perversione della guerra. 

Tutto quel sangue versato, tutte quelle bombe sui civili, tutti quei cadaveri accatastati, ammassati. 

Ammettetelo che ogni tanto vi scordate della guerra, delle guerre, delle vittime.

Carissima, se io sono ripetitivo è perché la vita di ognuno è ripetitiva

e infinite variazioni minime sul solito tema oggi non mi interessano. 

Si può ridere di tutti i versi, anche dei migliori, 

e i peggiori versi, recitati con enfasi, possono sembrare buoni.

Ho un ricordo vago e sfocato 

delle tue labbra, dei tuoi capelli, della tua voce.

Moriremo distanti senza sapere più nulla l’uno dell’altra

e probabilmente non ci vedremo

mai più per l’eternità. 

Sono un uomo solo,

che non si affaccia più sull’abisso

perché nel profondo dell’anima

soffro di vertigini e altre amenità. 

Il passato conta 

perché ognuno deve tenere stretta la sua storia.

Il passato non conta

perché ciò che è stato è stato.

Chi sono e chi sono stato,

chi non sono e chi non sono stato

in fin dei conti non è importante,

se la barista indaffarata non mi dà il buongiorno

e continua a guardare svagata con nonchalanche in tutt’altra direzione. 

È così bello e necessario parlare a qualcuno, 

ascoltare qualcuno,

anche solo due frasi stupide.

Si nascondono frammenti di amore

anche nelle pieghe di parole banali,

dette senza amore. 

A volte penso a tutti i demoni

partoriti dalla mente di ognuno,

alle angosce covate per una vita

nell’animo. Io so di dover morire

e che forse non rinascerò.

La mia speranza è che siano più 

gli amori appena nati di quelli morti

e di quelli non nati. La mia speranza

è di rinascere diverso da ora in un tempo lontano e in un altro mondo.

Anche fare sesso con una donna

sarebbe vuoto e finzione

per dimenticare la morte

e l’inferno che mi aspetta,

prendere tempo e fiato

dalla noia che mi attanaglia.

Ogni parola, ogni gesto, ogni emozione

è finzione. Cosa resta di vero,

se anche l’amore in me oggi è una falsa partenza,

una stupida parvenza 

o un rimandare all’infinito? 

(scrivere poesie o presunte tali

non è una competizione, qualora non ve ne foste

ancora accorti). 

Dopo cinque anni di astinenza sessuale

la mia mente per un istante aveva accarezzato l’idea di farla finita

mesi fa

ma poi ho smesso con l’idea di farla finita

perché è un passo falso,

perché sono curioso di vedere quanto tempo

mi è stato dato e non voglio  sprecarlo,

perché non voglio anticipare l’inferno che mi aspetta

(molti scelgono il suicidio a scoppio ritardato, col veleno a rilascio prolungato). 

Ma tu prendimi in giro amica canticchiando “Uomini soli” dei Pooh:

ognuno prima o poi giunge sulla soglia della sua solitudine

e considero essere lasciati soli anche non arrivare coi soldi

alla terza settimana del mese; ci sono tanti tipi di solitudine.  

Ora per i maligni parlare del disagio, del torpore esistenziale è una posa, una falsa  scusa, una giustificazione inadeguata per tutti i nostri errori e limiti. 

Diciamo come stanno le cose: non c’è niente di gratuito nell’offrirsi in pasto ai lettori. Tutto è affermazione, è vanità di vanità,  etc etc. Ad libitum. 

Quando bevo delle birre poso per qualche ora me stesso in un angolo smorto

(i più bravi in poesia fanno finta di non parlare di sé, pur parlando sempre di sé

perché tutto è falso, il vero è anch’esso la metà esatta del falso).  

La ragazza trentenne mi dice quasi piangendo:

“Piuttosto che darla ai selezionatori del personale per avere un lavoro come fanno in tante vado a fare la puttana, che c’è molta più dignità! Molte di queste ragazze che fanno compromessi sessuali dove l’hanno persa la dignità? Il reddito di cittadinanza è anche un’alternativa a non accettare i compromessi.” 

Poi mi metto a pensare ad altro. Non so se dice il vero o il falso e non so neanche se è giusto chiederselo a conti fatti. 

Quello che pensavo tanti anni fa

l’ho dimenticato.

Eravamo ragazzi. Pensavamo che 

il senso che davamo alle cose fosse importante 

e invece eravamo come tanti, come chiunque e i nostri pensieri

non contavano niente.

Di me non interessa niente a nessuno

ed è bene così essere dimenticati per sempre, quando moriremo, 

noi uomini inascoltati senza donne né figli. 

Io non sono speciale. Non ti perdi niente. Dimenticami, se non l’hai già fatto.

Tu mi dici che chi è speciale ha successo.

Io ti rispondo che è l’esatto contrario,

che chi ha successo sembra avere qualcosa di speciale, sembra essere speciale, 

me nessuno è speciale né  ha qualcosa di speciale nel profondo,

che è come dire che tutti abbiamo qualcosa di speciale, usando un eufemismo.

Ragazza, se siamo arrivati fin qui nel buio e nel freddo di questa stanza

è perché ognuno di noi ha perso la sua partita.

Adesso amiamoci.  

Non c’è stato nulla di memorabile tra noi. 

Io sono solo un buffo uomo che ogni tanto si porta un poco in giro

e non conosce nessuno nel quartiere. 

Non voglio crearti imbarazzo.

Non voglio rinfacciarti quel che eri.

Perché dovremmo incontrarci

se è passato troppo tempo, se non sapremo più riconoscerci?

Ti lascio con le tue certezze e le tue sicurezze, vere o presunte:

l’importante è che ti facciano sopravvivere e vivere. 

Siamo cambiati troppo o siamo sempre gli stessi?

Tutti gli innamorati si dicono sempre “non cambiare mai”. 

In altri posti del mondo è più facile innamorarsi e amare,

ma io per cause di forza maggiore, pigrizia, abitudine, stanchezza ormai resto qui

in questo retrogrado e vecchio Paese cattolico. 

Tu sei l’unico amore non ricambiato

che rivivrei ed è per puro masochismo se ritorno a pensarti.

Tu sei una donna che ho rifiutato

e che non saluto per non illuderti; 

non è sadismo, né narcisismo. 

Passa in fretta il tempo.

Tra poco ci ritroveremo vecchi.

Non so come ingannare il tempo.

Qui tutti hanno un amore o così dicono.

Dicono anche che le ragazze al mondo d’oggi

sono così facili. Non per me che non ho storie

da raccontare. E tu smettila di dire che se non hai un amore

devi inventartelo, devi raccontare fandonie perché è così da che

mondo è mondo. Forse sono solo perché 

non ho il fisico, forse perché non ho una posizione.

Le ragazze si divertono ogni sera, non perdono un’occasione 

e io muoio un poco ogni giorno, 

di un morire lento e quasi inconsapevole. 

Se tu non mi hai amato

è perché avevi mille ragioni o mille emozioni per non farlo

o mille ragioni o mille emozioni  per amare altri. Io cammino nella nebbia.

Molti più importanti di me hanno già detto che l’amore

non conosce uguaglianza né giustizia, 

ma forse non c’è niente di giusto né sbagliato nell’amore,

che dovremmo tutti più pensare come fortuna che come conquista

perché in amore nessuno conquista nessuno

e tutti sono prede dell’amore,

ma per i più giovani questi saranno i vaniloqui di un uomo solo e maturo. 

Cosa vuoi che sia l’amore? Un gioco di sguardi, due parole messe lì 

e si finisce a letto…così dicono i maschi alfa, quelli per cui è tutto così facile

come bere un bicchiere d’acqua. 

Attraverso la città.  Hanno già chiuso il bar.

Sono solo io, coi miei pensieri e con  la mia solitudine,

che non è un’opportunità né una sconfitta,

che non è una trappola né una gioia,

che non è una condanna né una forma di libertà,

è solo il mio modo di essere a questa età,

è solo il mio modo di sentire e vivere questa ansietà

(perdonatemi queste parole.

 Altrove imperversa la guerra.

 Non facciamo un dramma di queste mie sciocchezze.

 Non pensare alla perversione nel sesso ma alla grande perversione della guerra. 

 Altrove si muore). 

La mia speranza è che siano più 

gli amori appena nati di quelli morti

e di quelli non nati. La mia speranza

è di rinascere diverso da oggi  in un tempo lontano e in un altro mondo.

Lucia Triolo: il ballo delle parole

Leggevo qualcosa
confusamente
parole ballavano su e giù
fottendosene del significato
avevano trovato un ramo fiorito di scuse
per non dire nulla

in ciabatte da albergo
ad ore
digrignavano lettere
che stavano anguste

volevano la cruna di un ago
per farsi strada insieme al cammello
come si vuole una
madre sobillatrice: una poesia

sulla panchina
solo una coca-cola
vuota
comprata al bar vicino
Andy Warrol era già
andato via con lo scontrino
di un attimo forse felice.

La poesia italiana tra scrittura del trauma, trauma della scrittura, varie ed eventuali…

Nella poesia italiana, anche nella migliore, in questi ultimi anni gli autori e le autrici sono in bilico tra la scrittura del trauma e il trauma della scrittura.  Per quanto riguarda la prima è alquanto difficile dire se poeti e poetesse per essere tali hanno dovuto per forza cercare di cicatrizzare una ferita interiore, mai totalmente rimarginata, oppure se hanno deciso giocoforza di trattare i loro traumi, anche perché considerato più apprezzabile a livello socioculturale e letterario. Può darsi che siano vere entrambe le cose. Un tempo certe cose si tacevano, se ne aveva pudore, il trauma si rimuoveva o nel migliore dei casi si sublimava, mentre oggi tutti ne vogliono scrivere, leggere e certi argomenti fanno vendere di più; d’altronde non va nemmeno messa in dubbio la buona fede di chi lo fa, in quanto è una cosa totalmente legittima.   Il problema è che non sempre la terapia della parola è efficace, nemmeno sotto supervisione di esperti terapeuti: figuriamoci se ci si sobbarca il compito di rielaborare il trauma o il lutto da soli/e! Talvolta si chiede troppo alle proprie forze o alla parola poetica stessa. Per quanto riguarda il trauma della scrittura intendo la presa di coscienza degli autori o delle autrici della effettiva marginalità della lirica italiana, che di fatto è una nicchia per i più famosi, mentre a tutti gli altri non resta che accontentarsi di una piccola bolla virtuale. I più realisti e dotati di buon senso si accorgono che possono ben poco, che essere poeti ha più oneri che onori; prendono atto della pochezza della loro arte, della sua risibile incisività/popolarità; si rendono conto che il loro sogno adolescenziale o giovanile si è infranto, è caduto. Non tutti riescono a confessare a sé stessi, né ad accettare socialmente la loro sconfitta. Ecco allora che la comunità dei poeti, degli aspiranti, dei sedicenti  è popolata da presenze inquietanti, che si vantano del premio inutile vinto dopo anni di partecipazione a concorsi letterari oppure di quella volta che un critico letterario in privato a voce ha detto loro quanto erano belle le loro poesie. Esistono come in ogni ambito le persone tarate, che hanno vanagloria, narcisismo patologico, autocompiacimento e nevrosi così disturbanti da far passare la voglia di scrivere poesie o di occuparsi di poesia. Ma bisogna innalzarsi sopra queste miserie per contemlare la curvatura dell’orizzonte. Un altro limite della poesia italiana è che la comunità poetica è costituita tutta da persone comuniste o del Partito Democratico. Esiste quindi una poesia comunista e una poesia “democratica”, ma non esiste una poesia anarchica oppure liberale. Esistono ad esempio una sparuta minoranza di anarchici, ma non un’anarcopoesia. Esistono pochi poeti liberali, ma non una poesia liberale. Questo accade perché chi è numericamente superiore detta legge e gli altri non hanno la forza o il coraggio di proporre le loro idee; per quieto vivere alcuni  tacciono oppure occultano il loro orientamento politico e una parte della loro visione del mondo. Non mancano poi anche coloro che si lamentano di non avere mai tempo per scrivere, dato che hanno molte incombenze lavorative, sociali, familiari. A queste persone ricordo che avere una moglie, dei figli, avere un lavoro sono cose molto più appaganti della scrittura. Il filosofo Emanuele Severino quando qualcuno si lamentava delle cose che gli erano necessarie scriveva che era come se un quadro che si lamentasse del chiodo a cui era appeso oppure come una  colomba che si lamentasse dell’aria. Una moglie, un lavoro, una vita sociale consentono di vivere e realizzarsi pienamente a differenza di una vita di sola scrittura…altrimenti alcuni paradossalmente finirebbero per invidiare chi è disoccupato/a perché ha tanto tempo per scrivere! Avere troppo tempo libero non è un privilegio in alcuni casi: questo bisognerebbe sempre ricordarselo, invece di invidiare situazioni e condizioni esistenziali oggettivamente/onestamente poco o per nulla invidiabili. Diciamocelo francamente: per quanto riguarda la poesia scrivere o non scrivere è la stessa cosa, anzi probabilmente è peggio scrivere perché ci si mette a nudo e ci si espone al pubblico ludibrio. Per non parlare del fatto che certi letterati mai prenderebbero in considerazione un disoccupato che scrive oppure lo considererebbero con paternalismo  un privilegiato, un perditempo  o al  massimo un caso sociologicamente interessante (roba da socioanalisi e niente altro). Concludendo, tra dolore esistenziale e scrittura, tra realismo e illusione, tra privilegi, veri o presunti, ed effettive constatazioni di fatto la giusta misura e il punto di non ritorno dipendono dalla personalità e dalla sensibilità di ognuno e purtroppo non sono riconoscibili a priori. 

Ho assassinato la poesia (prosa breve)…

Perchè sole ci illumini e ci riscaldi? Perchè notte ci oscuri e ci addorment? Ho assassinato la poesia in una notte senza luna e senza stelle e sono stato condannato all’innocenza perché nessuno si è accorto di niente……e come mai avrebbe potuto? No. Scrivere ormai è inutile. Non serve a niente svenarsi le vene e scrivere con il proprio sangue. Uomini fate esattamente come prima: fate come se non esistesse l’altra faccia della luna, anche se esiste per vostra sfortuna. Ho assassinato la poesia, perchè inutile e ingombrante, falsa ed illusoria. Ho assassinato la poesia perchè non aveva prezzo, ma solo valore intrinseco. Ho assassinato la poesia perchè non aveva più nessuna funzione sociale. Ho assassinato la poesia perchè non guariva, né cercava di curare, ma al massimo di consolare. Ho assassinato la poesia perchè non arricchiva i poveri né impoveriva i ricchi. Ho assassinato la poesia perchè non diceva niente di più sul mondo. Ho assassinato la poesia perchè il mondo era in frantumi e l’io in frammenti. Ho assassinato la poesia perchè non indicava nessuna strada maestra. Ho assassinato la poesia perchè non cambia niente, né gli individui, né i gruppi, né tantomeno il corso degli eventi. Ho assassinato la poesia popolare perchè era utopica creazione collettiva. Ho assassinato la poesia dei poeti perchè era solipsismo in una torre eburnea. Ho assassinato la poesia perchè significava trascendere la morte, ma a me non me ne fregava niente di trascendere. Prima quando la poesia era viva o almeno vegetava in letargo……prima insomma…..i profumi annusavano i colori, i suoni assaporavano carezze, i colori accarezzavano i profumi in un oceano disarmante di sinestesie. Le lacrime allora sorridevano, i sorrisi piangevano. I morti mi vivevano. I vivi mi morivano. Ubriacavo il vino, saziavo la sete dell’acqua, i cibi avevano fame di me. Allora ero un ignorante, che conosceva l’ottusità della scienza; allora ero un saggio, che non conosceva l’intelligenza dell’ignoranza. Stavo a leggere le facce dei passanti e contavo nelle loro rughe gli anni. Poi ho assassinato la poesia, come un pittore monco uccise i suoi quadri perchè lo guardavano in modo troppo indiscreto. Adesso l’amore mi odia, l’odio mi ama. Io odio l’amore e amo l’odio. Tutto questo da quando ho assassinato la poesia.

A volte in religioso silenzio (testo di canzonetta da musicare)…

A volte in religioso silenzio

penso a quando nel buio le mie mani

cercavano le tue,

ma ormai è un ricordo sbiadito,

un piccolo pensiero affievolito.

A volte penso a tutte le volte

in cui non sono stato ricambiato,

ma ormai ho fatto pace con queste delusioni.

A volte penso alle mie estati da ragazzo.

A volte penso a certe ragazze diventate madri e mogli,

a certi conoscenti e amici ormai morti o persi da vista.

A volte penso a ciò che ero e a ciò che sarò,

ma cerco di non abbattermi, di non rimpiangere.

A volte penso che siamo poca cosa, che finiremo nel niente,

che non serve a niente vivere, ma poi cerco di scacciare questi pensieri. 

È da quindici anni che non faccio una vacanza.

Avrei bisogno di cambiare un poco d’aria.

A volte ripercorro a ritroso tutte le notti 

che ho passato in albergo.

Siamo figli del caso e padri dei nostri piani.

La vita non è altro che mischiare certezze e dubbi, 

fare un impasto quotidiano di odio e amore. 

Puoi cercare l’amore nei libri, ma non fare un libro dei tuoi amori

e non rispondermi che ogni libro è un libro d’amore.

Cerco di non informarmi troppo

perché le brutture del mondo non mi avvelenino troppo l’animo. 

Certe sere abbiamo bisogno di uscire e ritrovarci. 

Abbiamo rinnegato i valori di un tempo

per riprenderci quel poco che è nostro,

per non farcelo portare via

perché è breve la vita e passa veloce il tempo.

Cerco di guardarmi il meno possibile allo specchio

per non confrontarmi con me stesso.

È da anni che non prendo un treno.

A volte penso che ogni vita è un treno,

ma non sai quante fermate farà

nè quando arriverà a destinazione,

ma poi la giudico una metafora stupida, banale

e smetto di pensare. 

Vado sempre al solito bar.

Non ho più la stessa voglia di avventura di un tempo.

Conosco sempre gli stessi posti.

Vedo sempre la solita gente.

Penso sempre le solite cose.

A volte puoi aguzzare la mente per giorni

e non approdare a niente.

Altre volte senza sforzo giunge l’intuizione. 

A volte penso ai ritorni karmici.

Altre volte penso che con anni di solitudine

ho espiato in vita alcuni peccati di gioventù, 

ma poi penso che è solo un’illusione. 

Sono un uomo ordinario.

Non ho niente di speciale.

Non mi importa del giudizio del mondo.

Da tempo ho smesso di giudicare il mondo.

All’alba cammino nella nebbia.

Mi trovo perfettamente a mio agio

quando non mi imbatto in nessuno.

Raramente qualcuno mi chiede informazioni.

Raramente vado in centro.

Resto il più delle volte in periferia,

ma mi hanno detto che ora tutta la città 

è addobbata e piena di luci.

A volte in religioso silenzio

penso a quando nel buio le mie mani

cercavano le tue,

ma ormai è un ricordo sbiadito,

un piccolo pensiero affievolito.

A volte penso a tutte le volte

in cui non sono stato ricambiato,

ma ormai ho fatto pace con queste delusioni.

È da anni che non prendo un treno.

A volte penso che ogni vita è un treno,

ma non sai quante fermate farà

nè quando arriverà a destinazione,

ma poi la giudico una metafora stupida, banale

e smetto di pensare. 

Due parole su blog, literary blog, riviste online, polemiche letterarie (consigliando il libro di Gilda Policastro)…

Innanzitutto blog è un abbreviativo di web log, letteralmente sito che tiene appunti. Il blog ha avuto successo negli Stati Uniti. Ormai è conosciuto anche da noi da anni. Viene da chiedersi subito: perchè aprire un blog? Ritengo che chi apre un blog lo faccia prima di tutto per comunicare le sue opinioni e le sue considerazioni sulla società odierna. Il blog è un angolo di web in cui dare sfogo a una parte di sé stessi, a ciò che si ha dentro. Alcuni l’hanno paragonato a un diario senza lucchetto. Certo è anche un modo di apparire, di far conoscere le proprie ansie, i propri turbamenti e i propri scazzi a persone prima irraggiungibili, perché lontane geograficamente. In molti blog ci sono annotazioni diaristiche, sensazioni, opinioni sul mondo attuale, articoli di giornale. Spesso un blog ben fatto è una via di mezzo tra il diario e il giornalismo, tra la community e la raccolta di link. Gli autori dei blog sono persone che vogliono comunicare in modo diretto e in modo giovane. Sono liberi pensatori che solamente un decennio fa non avrebbero trovato nessun sbocco. I blog in Italia attualmente sono migliaia e migliaia; forse aumenteranno ancora. Sono certo che aumenterà a dismisura anche quella che in gergo si chiama la fuffa. I blog aumenteranno per un motivo molto semplice: perché per creare un blog non c’è bisogno di conoscere l’html o altri linguaggi informatici specifici. Inoltre il blog rispetto al classico sito web è più semplice da creare ed è anche più dinamico. In un blog si possono mettere più scritti rispetto a un sito. Per fare un sito occorre anche dosare le forze, operare certe scelte, essere parsimoniosi. Ad esempio fare un sito personale di 500 pagine significa caricare troppo di link la home page e rendere più lente le visite del sito. Allo stesso tempo il blog è meno dinamico e più egocentrico rispetto alla mailing list, al gruppo Yahoo, al gruppo Facebook, al gruppo Msn. Nel blog il vero protagonista è l’autore stesso, anche se ci sono i commenti dei post. Inoltre nella mailing list frequentata un messaggio appare per poche ore. Spesso ci sono altre persone che postano e i visitatori leggono i messaggi più frequenti. Nella mailing list frequentata i messaggi si accavallano, si susseguono, si sovrappongono. Un intervento quindi cade subito nell’oblio. Nel blog l’intervento rimane per svariati giorni. Potremmo quindi teorizzare che il blog sia il giusto mezzo di comunicazione delle proprie sensazioni e delle proprie idee. E poi mi faccio una seconda domanda: perché i navigatori del web visitano i blog? Io penso sia per il voyeurismo. Probabilmente sono una sorta di guardoni telematici, che curiosano nei blog per sapere qualcosa di piccante o di interessante sulla vita sentimentale, sessuale e sociale delle persone. E’ anche vero d’altro canto che ci sono blog di aspiranti giornalisti o blog che trattano di letteratura, ma -ahimè- a quanto mi è stato dato di vedere questi siti non sono molto frequentati: non interessano quanto la tanto deprecata fuffa.

Un tempo esistevano le riviste letterarie cartacee. Ma da qualche anno a questa parte con l’avvento di internet è avvenuta una trasformazione: dalle riviste letterarie cartacee siamo passati alle riviste letterarie online, spesso aperiodiche per evitare di essere catalogate come testate giornalistiche. D’altronde i visitatori purtroppo sono più dei lettori per diverse ragioni: il disinteresse degli italiani alla lettura, l’oligarchia delle grandi case editrici, le difficoltà delle librerie indipendenti. Per chi possiede un sito letterario può essere particolarmente motivante e divertente accrescere la popolarità del proprio angolo virtuale. Un tempo i webmaster cercavano alla rinfusa link perché l’importanza di un sito internet veniva valutata in base alla link popularity. Oggi invece devono essere più accorti, il gioco si è fatto leggermente più sofisticato perché la rilevanza di un sito internet si basa su una serie di algoritmi che calcolano non solo la quantità dei link, ma anche la qualità e la pertinenza. Dal 2000 a oggi ho potuto constatare la proliferazione di siti letterari per aspiranti, emergenti o sedicenti poeti. I più snob ritengono che ciò vada a discapito della qualità letteraria, personalmente sono dell’idea che questo fenomeno sia un’ulteriore prova incontrovertibile della democraticità del web. Nessuno ha ancora pensato di vietare a critici letterari e italianisti di fare il proprio lavoro. Inoltre anche nel sito letterario più dilettantesco e scalcinato di un gruppo di adolescenti si deve valutare la buona fede e la passione, che animano i gestori di tale sito. I maligni sosterranno che ciò che spinge molti autori alla creazione di un sito sia solo narcisismo, ma personalmente ritengo che sia una forma di narcisismo molto più nobilitante di quella che spinge a fare le veline o i tronisti. Ognuno deve avere diritto ad uno spazio reale o virtuale in cui esprimersi. Internet è l’editore più democratico che esista. Il visitatore deve saper scegliere in questa dimensione parallela sconfinata. Non bisogna nemmeno dimenticarsi che oggi i caffè letterari e i salotti non fanno più letteratura, mentre artisti e scrittori oggi sempre più frequentemente si scambiano e-mail e collaborano a siti letterari.

Penso alle parole del poeta Aldo Nove, che recentemente ha dichiarato: “Se Pasolini fosse vivo, oggi avrebbe un blog”. Tagliamo subito la testa al toro: non tutti quelli che hanno un blog letterario sono Pasolini. Anzi per ora di Pasolini non ne ho trovati. Ma c’è anche chi da anni e anni certifica la morte dei blog letterari. E allora quale tra le due è la verità? A chi dare ragione? Il blog va bene per un autore per svariati motivi: per l’espressione delle sue idee, per veicolare più facilmente dei messaggi, per autopromuoversi. Anche collaborare a un blog collettivo può andare bene per gli stessi identici motivi. In fondo Pulsatilla, al secolo Valeria Di Napoli, non avrebbe venduto 300000 copie con il suo primo libro se non avesse gestito un blog frequentatissimo. A onor del vero diverse blogstar sono riuscite a compiere il passaggio, sono diventati bestselleristi. Altre hanno venduto molto di meno, ma sono approdati all’editoria di qualità. Certo per scrivere ci vuole un minimo di costanza. Bisogna avere un minimo di ideazione. Bisogna aggiornare il blog con continuità. È un impegno che si prende. È richiesta almeno la conoscenza basilare della lingua italiana, bisogna saper scrivere un minimo correttamente senza fare strafalcioni ed errori madornali (che poi le incertezze e i refusi toccano anche ai più attenti e meticolosi). Si deve stare più attenti alle leggi perché si esce fuori dalla bolla social e i post restano sui motori di ricerca. Bisogna autocensurarsi talvolta. Bisogna fare attenzione. Scrivere comporta molte controindicazioni e molte implicazioni. Bisogna ponderare e valutare tutto. Non si può certo scrivere ciò che passa per la testa. Ma la scrittura è libertà di espressione. Non solo ma se il Dsm comprende tra le varie dipendenze il sesso, la televisione, Internet, eppure la scrittura e la lettura non vi vengono annoverate. Scrivere e leggere non fa male, anzi è terapeutico. I pazienti vengono curati dagli psicoterapeuti con la psicosintesi e la biblioterapia. Quindi è solo un topos letterario quello di Don Chisciotte che impazzisce per i libri, che non corrisponde a realtà. Leggere fa bene. Aumenta le connessioni cerebrali. Fortifica l’intelligenza (qualsiasi definizione le si voglia dare). Arricchisce il vocabolario e più parole si conosce meno probabilità si ha di essere “fregati” dai padroni e più si è in grado di elaborare la realtà, come notò Don Milani. Ma poi gli stessi che giurano sulla morte dei literary blog sono anche gli stessi che cercano disperatamente i like sui gruppi Facebook! Literary blog come Nazione Indiana hanno fatto la storia del web italiano. Nei primi anni 2000 per farsi una certa reputazione poetica bisognava avere pubblicato qualcosa su Nazione Indiana perché la redazione era selettiva e nei commenti non veniva risparmiato nessuno, a nessuno venivano fatti sconti. Sui literary blog un tempo nascevano molte polemiche, in cui ci potevano essere duelli all’ultimo sangue tra trolls che si firmavano Paperino e professoresse universitarie. Consiglio a tutti a tale riguardo di approfondire l’argomento con il seguente libro: “Polemiche letterarie: dai Novissimi ai lit-blog” di Gilda Policastro (Carocci, 2012). Inoltre oggi i literary blog sono sempre visitati, ma è difficile partire da zero, partire dal nulla. È difficile creare traffico, attrarre visitatori. È sempre più difficile il posizionamento sui motori di ricerca. È sempre più difficile attrarre lettori con il passaparola. Ci vogliono soldi e/o pazienza e/o impegno. Bisogna a ogni modo dedicare una certa quota parte del proprio tempo libero. Sorge spontaneo un interrogativo: ne vale la pena di versarsi in questa attività non remunerativa per comunicare qualcosa a qualcuno, che in buona parte dei casi non si conosce? Il destinatario spesso se ne sta nascosto nell’anonimato. E poi siamo sicuri che qualcuno non percepisca in modo errato il nostro messaggio, il nostro contenuto? È un rischio che va messo in conto, ma che non è quantificabile né oggettivamente calcolabile. Per ora nessuno è stato perseguitato per un blog. Bisogna fare mente locale per una rapida analisi dei costi/benefici. Che cosa si vuole trovare con un blog o con una collaborazione? Soldi? Il partner? Legittimazione culturale? Lavoro? Oppure si è contenti di fare una cosa che ci piace con passione? Forse quest’ultima cosa non è già molto?

Sulla poesia italiana, che accade quasi per miracolo…

La poesia parte svantaggiata rispetto alla musica già in fase prenatale. È il ritmo cardiaco della madre ad essere il principale suono dell’ambiente intrauterino. Le parole della madre prima della nascita sono echi lontani. Diventeranno importanti solo dopo la nascita con la lallazione,  etc etc. Ma poi la musica ontologicamente e ontogeneticamente ha una funzione rilassante già nel periodo fetale. In ogni caso il ritmo musicale viene prima della musicalità delle parole stesse. E poi pochi apprezzano la musicalità delle parole (rime, allitterazioni,  consonanze, assonanze, etc etc)! La maggioranza delle persone nell’infanzia si impadronisce della musicalità verbale per sviluppare le proprie abilità fonologiche e fonosimboliche. Per questi motivi psicofisiologici oltre che per altri squisitamente culturali, storici e di mercato  l’industria ha deciso di investire nella musica leggera e non nella poesia. Le persone nella maggior parte dei casi ascoltano musica e non leggono poesia. Non c’è niente da fare: la poesia arriva dopo rispetto alla musica, ha una minore capacità di trasmettere emozioni per natura e anche per cultura. Se poi si aggiunge il fatto che la poesia non è quasi più mitopoietica in una società occidentale sempre più tecnologica e scientista, allora la frittata è fatta. Le multinazionali investono nella musica e non nella poesia per tutta una serie di ragioni e di problematiche annesse e connesse. Anche lo stesso Ginsberg prima di diventare famoso aveva un pubblico di 100 persone, ma lui poi ha venduto centinaia e centinaia  di migliaia di copie. In Italia la stragrande maggioranza di poetesse e poeti, veri o presunti, raramente arriva ad avere un centinaio di persone (tra cui molti amici e parenti) alle presentazioni dei libri e se tutto va bene riesce a vendere qualche centinaio di copie (di solito le regala ad amici, parenti, editori, critici, appassionati,  etc etc). Niente di più e niente di meno. Così stanno le cose. Poi c’è chi guarda solo il rimasuglio d’acqua nel bicchiere quasi vuoto ed è felice di ciò, ma a onor del vero qui è un caos. Lo scrivo da persona che ama la poesia. Ci sono validi poeti e valide poetesse costrette a pagare per farsi pubblicare. Ci sono validi critici o recensori che dedicano centinaia di ore e ore a scrivere centinaia di articoli, a collaborare a riviste e non vengono pagati un euro. Eppure leggere un libro e scrivere anche solo una nota critica significa “perdere” metà giornata. Eppure scrivere un saggio breve per una rivista richiede del tempo. Così come tra incubazione, scrittura di getto, ripensamenti, revisioni e correzioni richiede del tempo una silloge poetica. Della serie: tutto avviene per miracolo o quasi; diciamo più precisamente, che avviene  solo per diletto, passione, dedizione, quasi mai senza essere riconosciuti pubblicamente, restando underground, tra i tanti carneadi della comunità poetica, fatta di un intreccio caotico e millefoglie, di un sovrapporsi continuo di migliaia di voci, che rivendicano ciascuna la propria originalità e il proprio diritto a farsi conoscere. D’altronde allo stesso modo, così come c’è un esercito di appassionati e letterati che fa cultura gratis sul web, il mondo attuale premia con lauti compensi chi mostra seni e fondoschiena sui social. Probabilmente i poetry slam e i poeti performer possono aiutare la poesia, possono richiamare pubblico e attenzione. Anche sul fatto che prevalga la banalità delle canzonette ad esempio sulla vera poesia in musica dovrebbe far riflettere ulteriormente. Accade così che c’è un discreto tasso fisiologico di conflittualità: gli intellettuali, i critici letterari, gli scrittori spesso non riconoscono il valore dei poeti, che sono risentiti per questa ragione (conflittualità intergruppo), si creano delle cricche, tanti poeti sgomitano e alcuni polemizzano  (conflittualità intragruppo), i poeti stessi hanno un rapporto ambivalente nei  confronti della poesia e/o sono frustrati per lo scarso tempo che possono dedicarvi (conflittualità intrapsichica). Se poi a tutto ciò aggiungiamo le contraddizioni insanabili,  che più o meno abbiamo tutti, (perché le uniche persone veramente equilibrate e pacificate col mondo sono i morti presumibilmente) allora possiamo capire quanto la situazione sia critica per la poesia italiana. 

Leggi oltre 90.000 post su https://alessandria.today/

Leggi le ultime news su: https://www.facebook.com/groups/1765609773652359/

L’angolo della poesia: “Eden” di Caterina Alagna

Salerno, ore 13:08


Un incedere di onde cristalline

s’insinua tra screziature turchesi, 

mentre pozzi di sfumature marine

dipingono l’anima del colore del cielo.

Più non odo il vibrante impulso

delle parole, vaganti ormai

nel nulla senza luce.

La bellezza mi prende per mano,

tacita e dorata nell’eden mi conduce,

lì dove ogni faccenda umana

appare sterile, quasi insensata,

lì dove il senso delle cose non pulsa

nei volatili suoni delle parole,

come un miracolo di luce

s’incarna senza voce.

L’angolo della poesia:”Mare” di Caterina Alagna

Salerno, ore 11:30

Link al mio blog https://farfallelibereblog.blogspot.com/

Link a quest’articolo nel mio blog https://farfallelibereblog.blogspot.com/2022/10/mare.html

Mare, 

non ti tange l’odio

né queste parole acide

che da tempo affollano il mondo,

bellicose e sempre più armate.

Mare,

non ti sfiora l’ansia del domani

mentre dalla terra sale

l’odore del sangue putrefatto

di anime vigorose 

dalla guerra tracimate.

La mia introduzione alla raccolta di poesia “Kimera” (poesie dell’Io) di Francesco Innella, prossimamente su Amazon…

Innella tratta di sé in questi bei versi senza cadere nell’egolatria. Supera addirittura un raffinato egotismo stendhaliano, che lo aveva contraddistinto molti anni fa. Con questa raccolta dimostra di aver superato la sua “notte dell’anima”. Queste poesie sono frutto di un combattimento interiore. Quando una persona fa meditazione per anni e intraprende un cammino spirituale spesso le capita di lottare contro i propri elementi fantasmatici.  Ognuno ha le sue fratture psicologiche e i  suoi fantasmi. Importante è saperli affrontare. Il poeta scrive a riguardo di “antiche presenze, che infestano da sempre la mente”. Chi nega di avere dei fantasmi mentali non è onesto intellettualmente o non si conosce abbastanza. Per dirla alla Bion ognuno ha i propri nuclei psicotici. Il nostro poeta li affronta. Ma le “antiche presenze” possono anche essere immagini primordiali antiche, archetipi appunto. Il percorso interiore e poetico di Innella consiste nello scavo di sé, nel lavoro di sé per rendere conscio l’inconscio. Ci riesce in modo egregio.   Innella ha lottato e ha vinto questa lotta interiore. A mio avviso è approdato all’equilibrio interiore o almeno a stati di coscienza,  di consapevolezza superiori. Intendiamoci subito: diventare persone spirituali non è cosa per niente facile perché ci sono tanti ostacoli, tante difficoltà. Nella migliore delle ipotesi nelle nostre vite, se si è persone oneste, dobbiamo sempre convivere nostro malgrado con “la comunella di malvagi” di cui scriveva Michelstaedter. Se mi chiedete però se  Innella è un  uomo pienamente risolto vi posso solo rispondere che nessun uomo e nessuna vita interiore sono pienamente risolte. Se considerate alla fine di ogni vita qualsiasi parabola esistenziale c’è sempre qualcosa di incompiuto. Il poeta a ogni modo lascia parlare nelle sue poesie il caro daimon socratico e lo fa in modo impeccabile. Il poeta percorre “la via interiore”: quella del “mistico silenzio” che porta a trascendere i conflitti interiori.    Ora il discorso è che una parte della critica, come reazione avversa all’ipertrofia dell’io di molti autori neolirici, auspicherebbe la rimozione dell’io lirico. Ma mi chiedo io quanto io c’è nel mondo e quanto mondo c’è nell’io? Impossibile distinguere con esattezza il viaggio di andata e ritorno che ognuno compie tra il proprio io e il mondo. Non si può discernere con esattezza.  È un gioco di specchi incredibile, fatto di introiezioni del mondo nell’io e di proiezioni dell’io nel mondo, la nostra vita. C’è un’interazione continua tra io e mondo. Inoltre in Innella non c’è traccia di superomismo né di culto della propria personalità. Poi per dirla all’Innella è inutile cercare di scacciare l’io perché ritorna sempre. Piuttosto ci vuole autoconoscenza e visione delle nostre problematiche interiori.  In questa raccolta abbiamo  lo smarrimento di un io che prende visione della miseria ontologica pascaliana (cioè essere una minuscola cosa di fronte all’immensità: Innella a tal proposito scrive di essere “un frammento dell’Assoluto”). Il poeta parla con il cuore in mano a tutti. Affronta tematiche complesse e spinose in modo comprensibile. Le sue belle poesie possono essere comprese dai più, anche se talvolta hanno il doppio, il triplo fondo e possono avere svariati livelli, diverse chiavi di lettura. Di sicuro questa raccolta è stata una lettura piacevole, anche perché ogni parola, ogni espressione è ponderata, calibrata, misurata; ogni parola ha il suo posto preciso e di ogni parola viene stabilito il suo peso specifico. Nel peggiore dei casi queste poesie vi consoleranno perché Innella interloquisce con voi, conosce bene i vostri animi, sa che siete suoi simili e suoi fratelli. Dispiace che questo autore, che spicca per bravura e umanità,  non sia adeguatamente conosciuto in un Sud che avrebbe bisogno di ascoltare la voce di poeti come lui. Ma il discorso si fa più ampio perché l’Italia intera  disconosce, mortifica,  bistratta  poeti validi, che restano sconosciuti ai più. Tra i tanti che scrivono versi il nostro si distingue per la ricerca interiore e la sobrietà stilistica, anche se essere poeti oggi è impresa da folli e la strada è impervia, è tutta