lucia Triolo: in fuga da Patmos

“a volte la tenerezza che ti viene offerta sembra
solo la conferma
che sei stato rovinato
Ocean Vuong, “Brevemente risplendiamo sulla terra

tremenda cripta
te accadde di far vera
a te rassomigliarono i piedi
che sul fango 
avvertisti
rimpatriati

e la lingua vide
dileggiati
nell’imboscata tesa da un arcipelago di
“accadrà presto”:

zattere di tronchi
trascinate sul fiume
come anguille
di intimo orrore;

fuggitiva
ansia di plasmare
l’apocalisse con
i doni che le abbiamo
presentato

pestando il frastuono della fine

Lucia Triolo: intracciabilità

“Chi consegnerà il messaggio non avrà identità. Non sarà oppressore”
R. Char, Erbe aromatiche cacciatrici in “La dimora del tempo sospeso, Quaderni di traduzioni LXXXII”, trad. di Francesco Marotta

——–

e tu conta
il numero delle volte
che sfuggo alla parola,
una geografia che conosco 
il corpo:
ha fame
di queste fughe

in qualche luogo la parola 
ha lasciato  un
pezzo del braccio
in qualche altro 
il piede

si incontrano i luoghi
di uso quotidiano, basta aprire
le porte di casa
poi si nascondono
gli uni negli altri

non vogliono farmi sapere
dove ho lasciato 
il cordone ombelicale
stampato in
più copie

sanno che 
cerco la fuga 
dalla mia favola,
l’indipendenza dall’identità

ora tu porti in dote
la fuga

Lucia Triolo; qualcosa da tacere

“I miei misteri, penzolano
all’aperto in terrificata preoccupazione” 
(A. Rosselli, “preferiresti vedermi friggere nella minestra?”
da Sonno).

sono poliglotti i silenzi
parlano molte lingue
e ignorano 
i segreti del mestiere

mai visto un silenzio che 
stia zitto!

non sapevo fossero  
autobiografici:
come in una tirannica alchimia
resta di noi alla fine qualcosa
da tacere

Lucia Triolo: c’era una volta

“Da dove venivano? Dal luogo più vicino. Dove andavano?
Si sa forse dove si va?” (D. Diderot, “Jacques le fataliste“)*

“C’era una volta”:
un inizio che
non voglio schivare

c’ero
quella volta 
anche se non sapevo 
cosa fare
anche se non sapevo 
dove andare
Ma chi sa dove va?

Cercavo il mio 
mutamento
quello che non appartiene 
al sogno
né alla casa dai muri grigi

chi mi avrebbe
narrato con certe 
parole
nella vita degli altri?

lui, il narratore sudato di
una trasmissione di 
esperienze
di consigli pratici 
e volti familiari!

e lui dormiva di buon’ora
mi svegliava
di buon’ora
tra mercanti di ricordi
come le lenzuola

veniva dal  luogo
più vicino 
e ricominciava:
“c’era una volta”

*”D’où venaient-ils ? Du lieu le plus prochain. Où allaient-ils ? 
Est-ce que l’on sait où l’on va ?” 

il divano nel vicolo

messi in tasca
gli scenari rabbiosi 
venderò le mie labbra
alle bambole
la loro cera pronta 
a sciogliersi

alle luci dell’alba 
è fresco, 
non mi va di pensare
nel dormitorio di noi stessi
sul divano macchiato
con le molle rotte
e la dentiera di altra bocca
per masticare nuove litanie

nel vicolo
lascio a bocca aperta il grido
in assenza di gola

lucia triolo: notte trasfigurata

Riascoltando Arnold Schoenberg: Verklarte Nacht 
……

“Notte trasfigurata
chi guida 
chi guida la notte
prima che cada il vento?”

“sfreccia la mia leggenda nel
bosco del tuo nome: voce le mani
chiamano nell’ansia che
ci accorda”

-“…dimmi ti prego dove fuggi
così supina e arcata
dopo aver lasciato la vetta e le tue mani
sembrano parlarti
cosa pensi vagando
in quegli abbandoni immensi?

“chiodo di fiamma è l’inquietudine
con cui ti guardo l’anima e 
spodestare l’infinito
nell’incavo delle mani
è tenerezza
quando il respiro fuma
i nostri baci fiatano nell’aria”.

L.T. Debitum

Lucia Triolo: cronache dal mondo

omaggio a Max Ernst

Qui tra i muri è freddo
la rabbia non ha più nulla
di sexy
né toast da offrire
Come in un quadro di Max Ernst
gira gente
che ha scambiato
la scarpa della madre per la sciarpa
e se l’è appesa al collo:
vanno tutti in cerca della propria pazzia
la coscienza non abita più
la parola

Io sono la reincarnazione
di un tostapane

l.T. Debitum

Lucia Triolo: e tu venivi

“Non cercare alle mie labbra la tua bocca”
P. Celan, Papavero e memoria”: Cristalli

“Ora l’ultima
parola che vi guardò
dovrà restare sola con se stessa
P. Celan, “La Rosa di nessuno”: stretto guancia a guancia

——-

E tu venivi
senza fretta
insegnavi alla mia fronte
la ruga

camminavamo insieme
la strada
che avevamo percorso
da soli
tutto tenevamo
negli occhi
il tuo verso tiepido
e la rosa

parlavi in piena luce alla mia bocca
baciavi il si e il no 

l’ultima
parola che ci ha guardato
deve ora restare
da sola 

L. T. Debitum

Mazzo di Rose Rosa - Fioreria Al Carmine

https://poesiesemiserie.com/page/39/

Lucia triolo: assolo

“Il mondo non c’è più, io debbo reggerti”
P. Celan, Svolta del respiro: “Grande, infocata volta”

C’è una pelle
una sostanza opaca
ora secca ora sudata
e una realtà che
ti ci ha sbalzato contro


ma è del tutto irrilevante: 
non eri lì
tu non eri lì

eri nel pugno di mosche di 
un nome dimenticato come una briciola 
in un tascapane

tu non eri
eri quella che non c’era
un assolo

e poi…
il continuum sghignazza

è finita la puntata

com’è lontano
?in un’altra identità?
quel diapason in cui ti eri infilata
per farti spazio e percorso
per non andar via
per incontrarti, per incontrarvi

in quale delle puntate precedenti?-

tu: quell’istante che non
basti a vivere!

linee

lucia Triolo; una morte che mi somigli

“la morte assomiglia ad ogni uomo più ancora della vita” 
C. Campo, da Lettere ad A. Pizarnik, 25 luglio 65

guardare con occhi
chiusi in gabbia
dove maestro è il mistero
e la luce fioca presagio

costruire verdi coscienze
e metamorfosi
un peccare stupito
da ritagli di giornale
poi chiodi d’anima
su fake news

strani punti di slancio
per la raccolta degli esausti
tra un fuggire e
un tornare

e poi lasciami la nostra marmellata
e quei brandelli di morsi:
ha bisogno di una morte
che le somigli

lasciami il gesto
dove trovo le tue mani,
lì volano a precipizio i miei
fianchi
con un’allegra voglia di
pozzo senza fondo:

ho bisogno di una
morte che mi somigli

Lucia triolo: ragnatele

era nell’aria il terremoto

lo avevo avvertito
a temperatura ambiente 
nel sentirmi fandonia senza patria
ne’ mandibola:

quando tuo spazio è
un sottoscala d’anima
il corpo guida l’orizzonte
solo con l’aguzzio dello sguardo

stridono cerniere nel cuore
al non senso del dire

dentro 
la cassapanca 
delle ragnatele fui accolta
come una di loro

mai visto un cavolo a merenda parlante?
non dissi nulla!