Ricardo Eliécer Neftalí Reyes Basoalto, decisamente conosciuto come Pablo Neruda  – di Frida la loka.

Lombardia

PUNTO E VIRGOLA.

Pablo Neruda con la moglie Maryka Antonieta Hagenaar.

“Mi chiamo Malva. Il nome è stata un’idea di mio padre, il grande poeta Pablo Neruda. Ma non l’ha mai pronunciato in pubblico”.

Quando si fa il nome di Pablo Neruda, lo si associa subito a un personaggio pubblicamente riconosciuto molto attivo nel campo politico, al contempo  nel campo delle lettere, Premio Nobel per la letteratura nel '71.
Spesso si parla della sua magnifica lirica e ben poco della sua vita personale.

Oggi lo faremo; d'una vicenda, una di tante in particolare, questa.

Ci farà riflettere s'un  Neruda uomo, uno di tanti, e Neruda poeta, politico, uomo esitoso e brillante.

Inizia così il romanzo Malva della scrittrice e storica olandese Hagar Peeter, oltre ad essere poetessa pluripremiata, è anche una storica. Per un decennio ha seguito le tracce della figlia di Neruda.
Ha trasformato l’indagine nel suo primo romanzo, un monologo con la voce di Malva nel ruolo di piccola inquisitrice:

"Perché tu, poeta degli oppressi, paladino della giustizia, mi hai espulso dalla tua vita? Perché sono fragile? Perché affetta di idrocefalia? Papà, perché mi hai abbandonata?". Neruda nelle sue memorie Confesso che ho vissuto, pubblicate postume nel 1974, non fa alcuna menzione dell’esistenza di una figlia sofferente. Un segreto custodito da ben 70 anni.

Nel tribunale immaginario del romanzo lei è parte e giudice. Con una prosa cristallina chiede giustizia usando un’arma identica a quella paterna, la poesia. La sua giuria popolare sono i lettori.

Così ci ricorda che i genitori, Maryka Antonieta Hagenaar, di origine olandese, e Pablo Neruda si erano sposati nel cuore dell’Indonesia, sull’isola di Giava, dove il poeta era console onorario nel 1930. Evoca la sua nascita a Madrid, nella cosiddetta “Casa de las Flores”, piena di gerani e luce, Ci farà riflettere s'un  Neruda uomo, uno di tanti, e Neruda poeta, politico, uomo esitoso.

Ma per il poeta cileno la nascita di una figlia malata e deforme (secondo la sua stessa descrizione) era fuori da ogni suo calcolo.

[...]In questo tribunale letterario ci sono altre aggravanti:
Negli archivi olandesi ho trovato poi anche tracce ben più drammatiche: la tessera di detenzione di Marika nel campo di transito nazista di Westerbork (lo stesso di Anna Frank), paradossalmente detenuta per essere sposata con uno straniero. Neruda era un diplomatico ma aveva proibito ai collaboratori di dare a sua moglie un passaporto cileno per fuggire dall’Olanda occupata dai nazisti durante la seconda guerra mondiale, dopo la morte della bambina" dice Hagar Peeters.

Nel giugno 1934, Neruda pubblica "Residencia en la tierra" e incontra l'argentina Delia del Carril, affiliata al Partito Comunista Francese, la famosa Formichina. Delia ha 20 anni più di lui e la storia d'amore sarà istantanea. Nell'agosto del 1934 (Maruca, com'era chiamata da Neruda), la moglie, partorì Malva.

Con un flash, rievoca i bombardamenti della guerra civile spagnola del 1936. Suo padre che la accompagna ad imbarcarsi insieme alla madre su un treno diretto a L’Aia. Sarà l’ultima volta che lo vede.

Neruda scrive all’amante del momento, di essersi liberato di un peso.

Riconosce che suo padre era un idolo della sinistra internazionale, perseguitato dalla destra che — tra le altre accuse — avrebbe voluto processarlo per bigamia. In Messico sposò in seconde nozze Delia del Carril, senza aver divorziato né informato sua madre, Maryka Antonieta.
Un mese dopo la sua nascita, Neruda scrive all'amica argentina Sara Tornú(con la quale ha anche avuto dei rapporti sentimentali): "Mia figlia, o come la chiamo io, è un essere assolutamente ridicolo, una specie di punto e virgola, una vampiretta di tre chili".  L'8 novembre si separò da Maryka e quel giorno abbandonò Malva.

Fugge con La Hormiguita a Parigi e inizia il segreto dell'abbandono di Malva, coperto per anni con la complicità della confraternita letteraria latinoamericana e del Partito comunista cileno, che ha anche nascosto abusi e maltrattamenti di decine di donne. Tutto è per Pablo Neruda.

Tuttavia, Malva è orgogliosa del padre: ha 5 anni, sente e capisce ma non può parlare. Nel suo corpo esile, cresce solo la testa. Guarda il mondo da una carrozzina in legno. È il 1939, anno della grande impresa umanitaria guidata da Pablo Neruda che riuscì a salvare 2 mila spagnoli antifranchisti rifugiati in Francia. Tra loro 250 bambini, alcuni della stessa età di Malva. Mobilitò donazioni in tutta Europa per noleggiare e riparare una nave, la Winnipeg, dove li imbarcò perché potessero iniziare una nuova vita in Cile. Due piccole mani applaudono l’eroismo di questo padre che incarna l’avanguardia poetica e politica. Ma perché a me non hai dato una seconda possibilità?

Maryka si avvicina a una chiesa a L'Aia, dove trova un asilo nido per Malva. Lì sarà assistita dalla coppia di sposi Hendrik Julsing e Gerdina Sierks. Neruda non risponderà mai alle suppliche della moglie abbandonata, di mandargli 100 dollari al mese.

Attorno a Malva ci sono altri bambini, compagni di gioco e sofferenza. Si diverte con altri figli abbandonati da personaggi celebri, impegnati a migliorare l’umanità. Come Lucia, la figlia schizofrenica dello scrittore James Joyce. O Daniel, secondogenito del drammaturgo Arthur Miller, affetto da sindrome di Down. L’autore di Uno sguardo dal ponte ed Erano tutti miei figli si era battuto contro la guerra del Vietnam definendosi “la coscienza dell’America”. Lui, uno dei mariti della divina Marilyn Monroe, quando con la grande fotografa e prima photoreporter dell’agenzia Magnum Inge Morath ebbe un figlio imperfetto, lo nascose per 40 anni. Malva menziona anche Edward, primogenito del Nobel per la fisica Albert: ricoverato e dimenticato in una clinica psichiatrica di Zurigo fino all’ultimo dei suoi giorni.

Maryka vive in pensioni e lavora su quello che trova per mantenere Malva, prega Neruda di mandarle dei soldi per darle da mangiare: «Spenderò fino all'ultimo centesimo per spedire questa lettera».
La figlia del premio Nobel per la letteratura morì all'età di 8 anni il 2 marzo 1943 a Gouda.

Neruda, che incarna l'avanguardia poetica, l'intellettuale militante calamita per il socialismo in Sud America, negò loro anche il salvacondotto per lo scambio di cittadini che li avrebbe salvati da un'Europa impantanata nelle fatiche della seconda guerra mondiale.

La piccola Malva non è citata nelle sue memorie né vi è un verso a lei dedicato.  Ma il cinismo di Neruda è palpabile in “Canto a las madres de los milicianos muertos” dove finge un affetto che contrasta con l'abbandono che ha fatto provare a Maryka e a sua figlia.
Fonti: Mary Villalobos (Reppublica)
Hagar Peeter, scrittrice, storica.
http://viaggiatiriignoranti.it
https://www.uchile.cl
Foto di portata: Casa de las flores, España.

Tua

20 marzo, 2023.

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Un libro per San Valentino su amore e amicizia

Cultura – “Una coppia per caso” (Land editore, 2022) nasce con l’intento di avvicinare le persone al mondo emotivo e, talvolta, alle difficoltà di relazione, dell’animo umano.

L’ autrice, psicoterapeuta, attinge alla sua esperienza nella stanza di terapia per raccontare, in maniera lieve e, a volte, ironica, come le paure, i desideri, le preoccupazioni, magari di diversa intensità,  non siano aliene alla maggior parte delle persone, ma facciano parte del proprio quotidiano.Solo provando a condividerle e cercando nell’altro uno specchio bonario e costruttivo esse possono evolvere e lasciare uno spazio nuovo e creativo, capace di donare strade più piene e soddisfacenti.

Non si tratta però di un saggio o un trattato ma di due storie di donne che si intrecceranno inconsapevolmente, in un finale per nulla scontato.

“Una coppia per caso”‘ è allora un romanzo dove introspezione, amicizia, amore e un pizzico di mistero diventano protagonisti, senza lasciare sullo sfondo il registro emotivo e riflessivo che lo contraddistingue.

Questo quarto lavoro dell’autrice è reperibile sia on line, nei principali store come Amazon e Ibs, sia in libreria su ordinazione.

Pensieri disordinati: Argentina, Calcio, letteratura…

Di Frida la loka (Lombardia)

Perché il calcio e la letteratura non vanno d'accordo?

La letteratura, snobba il calcio?

Qatar, tremendo baccano! Mille motivazioni...e pesanti.
Qatar, posto degno di ospitare, non solo una Copa del mondo, bensì, qualsiasi evento?

Un paese che non conosce o non ri(conosce) l'essenzialità dell'essere umano, cioè, libertà, dignità della donna, degli uomini, bambini, democrazia?

Secondo me, come atto di protesta, le finali, non si dovevano giocare. Perché?

Condannato a morte l'ex calciatore Amir Nasr-Azadani (iraniano), giornalisti esteri morti in situazioni parecchio dubbiose,e l'elenco si alarga.

E dopo ché Infantino, Macron e GRANDI POTENTI, E SOPRATTUTTO RICCHI sceicchi dell'oriente, che danno un gran contributo soprattutto alla Francia, non potevano aprire bocca riguardo a ogni tipo di violenza che domina quelle terre aride e fa stragi ogni giorno, senza che i giornali lo raccontino.

Ho tante domande che girano nella mia mente, tutte disorganizzate.

E ad un tratto, quando si dava per scontato il favorito. Lo sport, ha avuto la meglio?

E ti ricordi della idiosincrasia d'un popolo moralmente avatuto, governanti che li hanno tolto tutto, pure la voglia di credere in qualcosa di bello, perché questo popolo, non ricorda più quand'è stato, quand'è successo.

Questo popolo, così come il Brasile, l'Italia, vivono il calcio come parte dell'essere ed è una motivazione per andare avanti.

A discapito di tutto e tutti, ha vinto l'Argentina.

PIERPAOLO PASOLINI e il calcio letterario

Account Twitter Retro Football

«Il calcio è l’ultima rappresentazione sacra del nostro tempo. È rito nel fondo, anche se è evasione. Mentre altre rappresentazioni sacre, persino la messa, sono in declino, il calcio è l’unica rimastaci. Il calcio è lo spettacolo che ha sostituito il teatro»

Uno spirito libero

Pasolini è stato un personaggio controverso, sempre controcorrente, un genio. Il grande Pier Paolo Pasolini ha vissuto la vita come amava viverla. Non si è fatto zittire da nulla, è stato sempre in prima linea. Da intellettuale, ha sperimentato tutti i generi artistici esistenti, in tutti i quali ha lasciato la sua impronta. Si definiva principalmente un poeta urbano, uno di quelli che pongono domande, sono curiosi, scrivono. Questo era anche il suo modo di vivere una delle sue grandi passioni, quella che non ha mai nascosto: il calcio e il suo Bologna.

Provocatorio come regista, come saggista, come sceneggiatore e come poeta, Pasolini era uno spirito libero. Comunista convinto, che si è confessato in circostanze avverse, si è anche dichiarato omosessuale dopo aver vissuto un’infanzia difficile.

Vincenzo di Maso,

Osservatore della realtà, amante dello storytelling, del calcio inglese e della tattica. DS di AC Rivoluzione

Tua.

19 dicembre., 2022.

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Cultura. Poesia napoletana: Il pensiero poetico di Antonio De Curtis

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Il 15 febbraio del 1898 veniva alla luce nel rione Sanità di Napoli Antonio Vincenzo Stefano Clemente  attore, sceneggiatore, commediografo, poeta e paroliere. Figlio di una relazione clandestina tra Anna Clemente e il marchese Giuseppe De Curtis, il piccolo Antonio, risulterà all’anagrafe ” Antonio Clemente, figlio di Anna Clemente e di N.N.” Una storia che segnerà in maniera significativa tutta la sua vita, dal momento che combatterà per farsi riconoscere i titoli nobiliari che gli spettano. L’arcigno marchese Luigi De Curtis  impedisce a suo figlio Giuseppe di  contrarre matrimonio con una popolana. Anna, da sempre ribelle, non nasconde la sua gravidanza, mentre dal canto suo, Giuseppe, pur essendo innamorato di Anna, obbedisce tassativamente agli ordini di suo padre, tenendo segreta la relazione. Il piccolo Antonio così crescerà nella casa materna, in condizioni estremamente povere e disagiate. Non riceve regali a Natale né per il suo compleanno, ma solo freddo, fame e miseria. In cambio sarà nutrito con amorevole affetto da sua madre ( sarà proprio Anna Clemente ad affibbiargli il nomignolo Totò) e da sua nonna Teresa che una volta adulto lo vizierà accontentandolo in ogni capriccio. Non incline agli studi, a scuola si dimostra totalmente svogliato tanto che in quarta elementare viene retrocesso in terza. Sarà solo grazie alla forza di volontà di sua madre che porterà a termine i sei anni delle elementari, ottenendo un attestato che all’epoca vale come un titolo di studio. Ciò nonostante il padre lo iscrive alle ginnasiali, più precisamente al Collegio Cimino, un istituto per i figli dei poveri. Qui si può dire che termina la carriera scolastica del piccolo Antonio, e i genitori, ormai rassegnati, decidono di mandarlo a lavorare. Bisogna dire però che in collegio Totò viene colpito con un ceffone da un suo precettore, spazientitosi forse della sua eccessiva irrequietezza. Il ceffone gli devia il setto nasale, determinando col passare degli anni l’atrofizzazione della parte sinistra del naso conferendo al volto quella particolare asimmetria che lo distinguerà in maniera inconfondibile e che risulterà persino favorevole alla sua carriera di comico. Una volta fuori dal collegio svolge diversi lavori : da garzone a imbianchino, ma pitturare le case non gli interessa. Il lavoro gli provoca tristezza e pigrizia e, ogni volta che può, fugge per andare all’osteria di Don Aniello alla Stella per bighellonare con gli amici catturando le loro attenzioni esibendosi in imitazioni perfette dei malcapitati nel locale. Con l’entrata in guerra dell’Italia nel 1915 Totò si illude di poter ottenere una possibilità di riscatto arruolandosi nell’esercito, ma ben presto si accorgerà che la vita militare non fa per lui: non sopporta di alzarsi all’alba, la disciplina ferrea e le marce. Finge malesseri di ogni tipo con la speranza di ottenere mansioni meno faticose. Ma il suo atteggiamento non fa che irritare i suoi superiori che decidono di punirlo destinandolo al 182esimo battaglione di fanteria diretto in Francia. Con un’escamotage riesce ad evitare di finire in prima linea allo scoppio della Grande Guerra. Durante la sosta che il treno fa ad Alessandria mette in atto il suo piano di fuga.  Si getta a terra, inizia a digrignare i denti,  si contorce fino a farsi trasferire in infermeria e successivamente all’ospedale militare dove si sottopone a numerose iniezioni pur di non partire per la Francia.  Una volta rimessosi in forza viene trasferito all’ 88esimo reggimento di stanza a Livorno. Qui trascorre l’ultima parte della sua vita militare ed è proprio in questo periodo che subisce continui soprusi e umiliazioni da parte di un graduato. Si racconta che una sera su un tavolaccio, facendo il verso al suddetto,  se ne esce con una delle sue battute più famose ” Siamo uomini o caporali?!” I commilitoni, sentendosi per una volta liberati dalla loro condizione e vendicati,  si abbandonano a uno scroscio di applausi e risa. Proprio quel particolare entusiasmo sprona Antonio  verso la carriera artistica,  in quanto le sue movenze, le sue imitazioni dei potenti, l’esasperazione dei particolari gli procurano un pubblico appassionato. Terminata la carriera militare si avvicina al teatro, ma con molto poco successo. Agli inizi degli anni ’20 il padre lo riconosce e decide di regolarizzare il suo rapporto con la madre, sposandola, ma Antonio non ha ancora i titoli nobiliari che gli spettano. Nel 1922 si trasferisce con la famiglia a Roma e proprio qui riesce a farsi assumere nella compagnia comica teatrale di Giuseppe Capece per poche lire. Quando chiede un aumento, questi si rifiuta di concederglielo. Totò allora lascia la compagnia e si presenta al Teatro Jovinelli dove in breve tempo ottiene il successo. Di lì a poco  reciterà accanto ai più grandi attori di teatro riuscendo a farsi apprezzare come comico perché trascina il pubblico in un vortice di battute divertendo fino al delirio. Debutta poi nel cinema. Reciterà in 97 film, alcuni dei quali saranno vere pellicole di successo quali “Signori si nasce”, “Toto’ truffa”, “Miseria e nobiltà”. Arriverà a recitare persino con grandi registi del calibro di  Monicelli e Pasolini. Nel 1933 si fa adottare dal marchese Francesco Maria Gagliardi ereditando  i suoi titoli gentilizi. Ma sarà solo nel 1946 che il Tribunale di Napoli gli riconosce il diritto  a fregiarsi dei nomi e dei titoli di Antonio Griffo Focas Flavio Dicas Comneno Porfirogenito Gagliardi De Curtis di Bisanzio, altezza imperiale, conte palatino, cavaliere del Sacro Romano Impero, esarca di Ravenna, duca di Macedonia e di Illiria, principe di Costantinopoli, di Cicilia, di Tessaglia, di Ponte Moldavia, di Dardania, del Peloponneso, conte di Cipro e di Epiro, conte e duca di Drivasto e Durazzo.  Ma veniamo all’Antonio De Curtis poeta. Quando parliamo della sua opera poetica è bene dire che Antonio De Curtis distingue la sua vera identità dalla maschera Totò. Le due identità sono ben separate e sarebbe sbagliato pensare alla personalità di Antonio De Curtis  come quella che siamo abituati a vedere nei suoi film. Antonio De Curtis usa la sua maschera per lavorare, per fare quello che più gli piace che è divertire il pubblico. È proprio lui ad affermarlo in un’intervista televisiva rilasciata a Lello Bersani. Quando quest’ultimo gli chiede che differenza ci siano tra lui e Totò, risponde: “C’è una grande differenza. Io sono De Curtis e lui è Totò, che fa il pagliaccio, il buffone, infatti in casa, lui normalmente mangia in cucina, mentre io mangio nella stanza da pranzo. Io vivo alle spalle di Totò, lo sfrutto. Lui lavora ed io mangio.” Le sue poesie sono le espressioni, le idee, i sentimenti dell’uomo Antonio De Curtis che si sente libero di sfuggire agli obblighi della maschera per poter essere finalmente se stesso, per offrire al pubblico l’autentica immagine di sé. Gran parte della sua produzione è in dialetto napoletano ma è bene precisare che le sue poesie sono scritte in modo che risultino comprensibili ai più. Non manca, comunque, di scrivere liriche anche in italiano. I componimenti affrontano varie tematiche quali l’amore, le donne, la vita, la morte, la povertà e le ingiustizie sociali. In esse è ben chiaro il pensiero di un uomo che viene dal basso, dalla povertà più esasperante.. E’ dalla parte dei più deboli, dei poveri. Nelle sue poesie le persone dimenticate dalla società ottengono la dignità che meritano. Nel 1964 viene pubblicata la sua raccolta poetica intitolata “A livella” che comprende 26 poesie che Antonio de Curtis scrive a partire dagli anni ‘50. Un’altra raccolta poetica ” Dedicate all’amore” viene pubblicata nel 1977, in occasione del decennale della sua morte, da parte della sua ultima compagna di vita e suo grande amore, Franca Faldini. In questa raccolta sono riunite per lo più poesie d’amore dedicate appunto alla sua compagna. Altre poesie vengono, in fine,  raccolte insieme a quelle già edite, nel volume Tuttototò nel 1991.  

Felicità!

Vurria sapè ched’è chesta parola,

vurria sapè che vvo’ significà.

Sarà gnuranza ‘a mia, mancanza ‘e scola,

ma chi ll’ha ntiso maje annummenà.

Traduzione

Vorrei sapere cos’è questa parola,

vorrei sapere cosa vuol significare.

Sarà ignoranza la mia, mancanza di scuola,

ma chi l’ha mai sentita nominare.

La donna

Chi l’ha criata è stato nu grand’ommo,
nun ’o vvoglio sapè, chi è stato è stato;
è stato ’o Pateterno? E quanno, e comme?
Ch’avite ditto? ’O fatto d’ ’a custata?
Ma ’a femmena è na cosa troppo bella,
nun ’a puteva fà cu ’a custatella!
Per carità, non dite fesserie!
Mo v’ ’o ddich’io comm’è stata criata:
è stato nu lavoro ’e fantasia,
è stata na magnifica truvata,
e su questo non faccio discussione;
chi l’ha criata è gghiuto int’ ’o pallone!

Traduzione 

Chi l’ha creata è stato un grande uomo,

non voglio saperlo, chi è stato è stato;

è stato il Padreterno? E quando, e come?

Cosa avete detto? Il fatto della costola?

Ma la donna è una cosa troppo bella,

non poteva farla con la costoletta!

Per carità, non dite fesserie!

Adesso ve lo dico io com’è stata creata:

è stato un lavoro di fantasia,

è stata una magnifica trovata,

e su questo non faccio discussione;

chi l’ ha creata è andato nel pallone!

‘A vita

‘A vita è bella, sì, è stato un dono,

un dono che ti ha fatto la natura.

Ma quanno po’ ‘sta vita è ‘na sciagura,

vuie mm’ ‘o chiammate dono chisto cca’?

E nun parlo pe’ me ca, stuorto o muorto,

riesco a mm’abbusca’ ‘na mille lire.

Tengo ‘a salute e, non faccio per dire,

songo uno ‘e chille ca se fire ‘e fa’.

Ma quante n’aggio visto ‘e disgraziate:

cecate, ciunche, scieme, sordomute.

Gente ca nun ha visto e maie avuto

‘nu poco ‘e bbene ‘a chesta umanità.

Guerre, miseria, famma, malatie,

crestiane addeventate pelle e ossa,

e tanta gioventù c’ ‘o culo ‘a fossa.

Chisto nun è ‘nu dono, è ‘nfamità.

Traduzione

La vita

La vita è bella, sì, è stato un dono,

un dono che ti ha fatto la natura.

Ma quando poi questa vita è una sciagura,

voi me lo chiamate dono questo qua?

E non parlo per me che, storto o morto,

riesco a guadagnare una mille lire.

Ho la salute e, non faccio per dire,

sono uno di quelli che ci sa fare.

Ma quanti ne ho visti di disgraziati:

ciechi, paralitici, ritardati, sordomuti.

Gente che non ha visto e mai avuto

un poco di bene da questa umanità.

Guerre, miseria, fame, malattie,

cristiani diventati pelle e ossa,

e tanta gioventù col culo alla fossa.

Questo non è un dono, è infamità.

Il lago

Di Frida la loka ( Lombardia)

Le sponde aride d'state, umide bagnate di nebbia d'autunno.

Non c'è vento, non c'è brezza, solo il rorido che hai lasciato nella bruma che emana il lago.

Salato, sull'acqua dolce, accogliente...

Seduta sulla roccia scomoda bagnata, muttilo l'erba giallastra che mi circonda,

mentre aggrappo qualche pietrisco gioccarellando fra le dita...

Butto uno dopo l'altro , unico rumore che torna; cerqui, tanti che accrescono la figura.

Lo sguardo svanisce là dall'altra parte del riflesso dei tronchi alti e snelli di pini secolari.

Ondeggianti ballerini nell'acqua mutta.
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Tua.

26 ottobre,  2022.

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Viaggio nella poesia francese: La “poesia pura” di Paul Valéry

Salerno, ore 16:

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“I miei versi hanno il significato che gli si presta. Quello che gli ho dato io non serve che per me, e non lo credo opportuno a nessuno. È un errore contrario alla poesia il pretendere che a ogni componimento corrisponda un significato vero, unico e conforme o identico a qualche pensiero del poeta”.

Paul Valéry

Ambroise Paul Toussaint Jules Valery nasce a Sete il 30 ottobre del 1871. Il padre, Barthélemy, è un controllore delle dogane di origini corse, la madre, invece è la genovese Fanny Grassi, figlia del console del Regno di Sardegna a Sete. Dopo aver frequentato il liceo, si iscrive alla facoltà di Giurisprudenza. Proprio negli ambienti universitari avrà l’occasione di conoscere Mallarmè e altri esponenti importanti del mondo culturale dell’epoca. Si avvicina alla poesia e pubblica alcuni componimenti poetici che risentono di tutti gli influssi intellettuali del Simbolismo. Per lui la poesia è un gioco di intelligenza,  un chiaro segno dell’altezza dello spirito. Purtroppo nel 1892 la sua ispirazione poetica subisce un duro colpo: l’amore del poeta per una ragazza spagnola e una profonda crisi interiore lo porteranno a ripudiare la scrittura che definisce, addirittura, una vanitosa forma di autoaffermazione personale. Lui stesso chiarirà in seguito, in un saggio su Poe, di aver avuto quella che lui chiama ” una crisi dello spirito” dipesa dalle paure e le incertezze dei suoi vent’anni.  Crisi che lo porta ad annotare quotidianamente su un diario tutte le sue riflessioni con lo scopo di un ottenere un rigido controllo sul suo intelletto. In questi diari,  che verranno pubblicati solo dopo la sua morte, riporterà tutte riflessioni filosofiche, estetiche e antropologiche. In realtà Valéry, pur allontanandosi dalla poesia, non l’abbandonerà mai del tutto. Nel 1894 si trasferisce a Parigi e lavora come redattore presso il Ministero della Guerra. Sono anni che vedono proliferare la sua scrittura . In tal senso sono importanti alcune opere che mettono in luce il suo ideale estetico: ” Introduzione al metodo di Leonardo da Vinci” ( 1895) e “Serata con il signor Teste” ( 1896). Per quanto riguarda la figura di Leonardo, c’è da dire che Valèry ne è davvero affascinato. Per lui Leonardo è il vero eroe dell’intelletto in quanto capace di osservare il mondo con uno sguardo eclettico : di poeta, di pittore, di scienziato, di inventore, di naturalista, di fisico. Teste invece non è altri che una trasposizione dello stesso poeta. Figura leonardesca che ha una vita del tutto immaginaria: grazie all’immaginazione egli riscopre le leggi dello spirito. Ecco che la scrittura diviene il mezzo attraverso il quale lo scrittore, ma anche il poeta, può esprimere le idee maturate insieme alle esperienze spirituali. E non a caso ho citato il termine “poeta”, perché nel 1917 la sua carriera poetica riprende il volo con grande successo grazie alla pubblicazione della raccolta ” La giovane parca”, un poemetto ermetico in cui la protagonista rappresenta il conflitto tra coscienza e spiritualità. Dominante è l’intellettualismo che rende ostico il senso dell’opera che si riversa tutto  sulla struttura. Secondo Valèry la poesia nasce da un evento misterioso, per cui la sua poesia prende forma solo dall’ispirazione. Il compito del poeta, quindi, è quello di condurre il lettore alla partecipazione del testo attraverso la musicalità e la perfezione della forma. Ecco che nasce la ” poesia pura”, improntata essenzialmente sulla parola poetica, ammaliante e incantatrice .  Successivamente pubblicherà altre due raccolte di successo : “Il cimitero marino”(1920) e “Charmes” (1922). La sua carriera poetica è un enorme successo. Ottiene cariche prestigiose e al College di France istituiranno una cattedra di poetica apposta per lui. Durante l’occupazione nazista lavora come amministratore al centro universitario di Nizza, ma viene rimosso dall’incarico dal momento che si rifiuta di collaborare con il regime. La sua carriera si eclisserà in quanto costretto al silenzio. Ma l’anima libera di Valéry non verrà mai domata. Continuerà ad avere scambi di riflessione con importanti esponenti intellettuali dell’epoca, tra cui il filosofo Bergson, di origini ebraiche. In questo rapporto di amicizia e collaborazione si comprende il carattere determinato e indipendente di Valéry. Dopo il conflitto mondiale è di nuovo libero di esprimersi in pubblico ma purtroppo si spegnerà alcune settimane dopo la fine della guerra all’età di 73 anni. Verrà sepolto proprio in quel cimitero marino protagonista delle sue poesie.

Paul Valèry affermò per tutta la vita che la poesia è un fatto personale, individuale. Ogni intervento su di essa, come la parafrasi o addirittura la traduzione in un’ altra lingua, è una forzatura che tradisce la valenza originaria dell’opera poetica. Ogni lettore deve essere libero di interpretare la poesia liberamente, ricavandone un proprio messaggio, un proprio significato. 

Un chiaro fuoco

Un chiaro fuoco m’abita e vedo freddamente
la violenta vita, illuminata tutta…
io non posso più amare oramai che dormendo
i suoi graziosi atti mescolati di luce.

I giorni miei, la notte, mi riportano sguardi
dopo i primi momenti di un infelice sonno,
quando sparsa nel buio è la sventura stessa,
tornano a farmi vivere, mi danno ancora occhi.

Se erompe quella gioia, un’eco che mi sveglia
ributta solo un morto, alla mia riva di carne.
E al mio orecchio sospende, il mio riso straniero

come alla vuota conchiglia un sussurro di mare,
il dubbio – sul bordo di un’estrema meraviglia,
se io sono, se fui; se dormo oppure veglio…

I Passi

Nati dal mio silenzio,
posati santamente,
lentamente, i tuoi passi
procedono al mio letto
di veglia muti e gelidi.

Persona pura, ombra
divina, come dolci
i passi che trattieni.
O iddii, quali indovino
i doni che mi attendono
sopra quei piedi nudi!

Se da protese labbra,
per’ acquietarlo, all’ospite
dei miei sogni prepari
d’un bacio il nutrimento,
non affrettarlo il gesto
tenero, dolcezza
di essere e non essere:

io vissi dell’attesa
di te, il mio lento cuore
non era che i tuoi passi.

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Il circolo di lettura della Voce della Luna propone un incontro sulla letteratura gotica

Alessandria, 9/11/2022 L’Associazione di cultura cinematografica e umanistica La Voce della Luna organizza per sabato 12 novembre, alle ore 17, presso la Sala Biblioteca della Soms del Cristo (C.so Acqui 158, Alessandria), un nuovo appuntamento con il Circolo di lettura, tra suggestioni letterarie e cinematografiche. Tema dell’incontro la letteratura gotica. La partecipazione è gratuita, con tesseramento alla Voce della Luna (costo della tessera euro 10, validità annuale, offre sconti sulle attività associative e presso la libreria Ubik di C.so Roma 88, Alessandria). Per info e adesioni: lavoce@dellaluna@virgilio.it; FB: VoceLuna

Viaggio nella poesia francese: la poesia visiva di Guillame Apollinaire

Salerno, ore 12:13

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Il più grande innovatore della poesia del primo Novecento è, senza dubbio, Guillame Apollinaire. Personaggio eclettico: poeta, scrittore, critico d’arte e commediografo. Rivestirà un ruolo fondamentale nello sviluppo dell’arte moderna, in particolare nel passaggio dal Simbolismo all’ Avanguardia. Nota distintiva di Apollinaire è la sua poesia visiva. 

Guillame Apollinaire, pseudonimo di Wilhelm Albert  Wlodzimierz Apollinaris de Vaz-Kostrowicki, nasce a Roma nel 1880, figlio naturale di un ufficiale borbonico napoletano e di una nobildonna di origine polacca naturalizzata russa. I genitori, però, si separano presto e lui si troverà a lasciare Roma per seguire la madre sulle orme di Parigi. Avrà una gioventù tormentata da amori difficili, ma sarà  proprio a Parigi che avrà la possibilità di immergersi completamente nella realtà letteraria e artistica dell’epoca. In quel periodo, a cavallo tra fine Ottocento e inizio Novecento,  il mondo affronta grandi cambiamenti dal punto di vista scientifico e artistico. Dobbiamo annoverare, infatti, la nascita di quattro movimenti artistici che influenzeranno non poco il pensiero e l’opera di Apollinaire: l’ Espressionismo, il Cubismo, il Futurismo e l’ Astrattismo. L’ estetica cubista  sarà quella che condizionerà in maniera preponderante la sua attività letteraria,  anche grazie all’ importante amicizia che coltiverà con Pablo Picasso. Si avvicinerà alle idee del movimento futurista italiano dopo l’ incontro con il fondatore del Futurismo, Tommaso Marinetti. Ha modo di apprezzare la pittura metafisica di Giorgio De Chirico e quella espressionista di Henri Matisse. A causa del suo  carattere estremamente irrequieto, sarà accusato di essere l’autore del furto del dipinto della Gioconda, avvenuto il 20 agosto del 1911, a seguito del quale sarà arrestato e incarcerato, salvo poi essere rilasciato in quanto persona estranea ai fatti. Successivamente si saprà che l’autore del furto è l’italiano Vincenzo Peruggia, dipendente del Louvre, che dichiarerà di aver compiuto quel gesto per restituire la Gioconda all’ Italia. In piena sintonia con le idee futuriste, note per le loro manifestazioni interventiste, Apollinaire partecipa come volontario al primo conflitto mondiale, definendo la guerra “un grand spectacle“. Incredibilmente quel conflitto gli fornirà grande soddisfazione personale. Le vicende belliche  diventeranno materia fertile per la sua ispirazione poetica. Nel 1916, però, rimane ferito a una tempia e subirà un delicato intervento chirurgico che lo vedrà costretto a ritornare a Parigi. Morirà nel 1918, due giorni prima dell’armistizio, colpito dal virus dell’influenza spagnola, assistito dalla moglie Jacqueline Kolb e dal poeta e amico Giuseppe Ungaretti, giunto presso di lui  per comunicargli la vittoria dell’Intesa. 

Esordisce con opere di narrativa, “Undicimila verghe” del 1907 e   “Bestiario” del 1911; e  con opere  di saggistica, ” La poesia simbolista” del 1909 e “I pittori cubisti” del 1913.  Ma saranno le poesie le opere in cui darà dimostrazione delle sue doti più eloquenti . Del 1913 è una delle  sue raccolte più importanti, “Alcools“, in cui è possibile distinguere l’impronta del Simbolismo mista a una poesia triste e malinconica di romantica memoria. Ma, allo stesso tempo, la forma è ricca di suggestioni che rinnovano l’espressione letteraria dell’epoca. Già in alcune liriche di “Alcools” si sovrappongono e si contrappongono nella maniera più eterogenea immagini e motivi tipici dell’estetica cubista, ricercati in modo da impressionare il lettore. I temi dell’amore e della malinconia, tipici del Romanticismo, si alternano con parodie di poesie e poemi pittoreschi. La forma è caratterizzata dal verso libero, dall’assenza di punteggiatura, da ripetizioni e sinestesie. La raccolta  più rappresentativa della poetica di Apollinairela più rilevante nel determinare l’innovazione estetica letteraria e la più ampiamente contraddistinta dall’ascendenza cubista è, sicuramente, “Calligrammes” del 1918. E’ qui che Apollinaire si dedicherà alla produzione della poesia visiva. Il calligramma è un componimento poetico in cui il poeta dispone le lettere e le parole del testo in modo da formare un disegno, un’immagine che coincida con il tema trattato dalla poesia. Se la poesia ha come soggetto la donna, le lettere saranno disposte in modo da formare l’immagine di una donna.  Per dirlo con le sue parole: “Un insieme di segno, disegno e pensiero, la via più corta per esprimere un concetto e obbligare l’occhio ad accettare una visione globale della parola scritta.

Calligramma “Versi per Lou“, dedicato alla sua amata.  Fa parte della raccolta postuma ” Versi per Lou e altre poesie”

Riconosciti

Questa adorabile persona sei tu 

Sotto il grande cappello da canottiere

Occhio

Naso 

La bocca

Ecco l’ovale del tuo viso

Il tuo collo bellissimo

Ecco infine l’immagine non completa del tuo busto adorato

Visto come attraverso una nuvola

Un pò più in basso è il tuo cuore che batte
   La lirica che preferisco di Apollinaire appartiene alla raccolta “Alcools” e si intitola “Il ponte Mirabeau“. Apollinaire la compone in un periodo di profonda crisi d’amore, dopo la rottura con la sua amata, la pittrice Marie Laurencin. L’amore svanisce e porta via con sé ogni speranza. Nel testo l’amore è simboleggiato dall’immagine del fiume che scorre sotto il ponte. Come il tempo che passa inesorabilmente, così la felicità diventa sempre più irraggiungibile.

Sotto gli archi del ponte Mirabeau 

scorre la Senna e insieme i nostri amori

Fa bisogno che io me lo ricordi?

Sempre veniva gioia dopo il dolore

    Venga la notte suonino le ore

    i giorni vanno io resto

Stiamocene con le mani nelle mani

a faccia a faccia mentre l’onda passa

sotto il ponte che fan le nostre braccia

stanca di quegli sguardi eterni, eguali

    Venga la notte suonino le ore

    i giorni vanno io resto

L’amore se ne va come va questa

acqua corrente, se ne va l’amore

Com’è lenta la vita e invece come

la Speranza si avventa.

     Venga la notte suonino le ore

     i giorni vanno io resto

Passano i giorni e passano le settimane

né il tempo che passò torna o gli amori

Sotto gli archi del ponte Mirabeau

scorre la Senna

       Venga la notte suonino le ore

       i giorni vanno io resto

Leggi anche https://alessandria.today/

Provate voi – Barbara Garlaschelli

Ripubblicato da Frida la loka (Lombardia)

"Provate voi a essere donne
con il coltello alla gola
le gambe aperte
e la pistola puntata alla tempia.

Provate voi a essere donne
la costola di Adamo
la polvere di stelle
gli assorbenti con le ali
le ali senza vento,
in caduta libera.

Provate voi a essere donne
a morire come foglie
calpestate come foglie
bruciate come foglie.

Provate voi ché noi siamo stanche
di mettere al mondo uomini che ci tagliano la vita
e ci seppelliscono che ancora respiriamo."
Libreria multimediale

Breve biografia:

Laureata in Lettere Moderne all’Università Statale di Milano, ha esordito nella scrittura nel 1993 con l’antologia in floppy disk Storie di bambini, donne e assassini, Del 1995 è il suo esordio a stampa, con O ridere o morire, edito da Marcos y Marcos.

Scrittrice versatile, si è cimentata in vari generi: dal noir, alla letteratura per ragazzi (quest’ultima edita da EL, di cui ha diretto la collana “I corti”; con Walt Disney in collaborazione con Nicoletta Vallorani) al teatro. Costretta fin dall’età di 16 anni su una sedia a rotelle a causa della rottura di una vertebra per un tuffo in acque troppo basse, ha descritto con stile asciutto il suo percorso di vita nei dieci mesi successivi in Sirena, Moby Dick, Faenza 2001. Il libro è considerato un long seller e ha avuto varie ristampe: nel 2004 con Salani, nel 2007 con TEA e nel 2014 con Laurana Editore. (Wikipedia).

Tua.

14 ottobre, 2022.

Dal blog personale

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Abbiamo perso a Noé Jitrik

Da H. Lanvers (Argentina)

(Tradotto e ripubblicato da Frida la loka) – Lombardia

È morto l’argentino candidato al Nobel di Letteratura 2022.
Si chiamava Noé, e con i suoi 94 anni, era il patriarca degli scrittori argentini. Esiliato dovuto alla dittatura.


Era Cavaliere delle Arti e delle Lettere in Francia e quest’anno, candidato al Premio Nobel.

《Non l’ho mai conosciuto, ma quando lesse la saga ” Africa “, mi recapito un commento molto riconoscente, esagerato sicuramente, oggi compare nella sovraccoperta dei miei 5 libri》

H. Lanvers


Dicono ch’era l’uomo più esperto nella Letteratura argentina e non solo, a livello umano era un brav’uomo e molto onesto, come successe con Borges.
Il Premio Novel ha perso un’altro personaggio incredibile.

Fra mille e mille di alunni e lettori che lo ricorderanno con affetto se n’è andato il vecchio saggio della Aldea della Cultura argentina .

Abbiamo perso a Noé Jitrik .

Ha diretto una monumental opera composta da 12 volumi, intitolata ” Historia crítica de la literatura argentina” (Storia critica della letteratura argentina), che scrisse tra tanti altri libri.

Foto a sinistra: Jitrik con lo scrittore J. Saramago* in attesa della cottura della grigliata nel cortile della legendaria Libreria Notanpuán, in San Isidro, Buenos Aires.

*(José de Sousa Saramago è stato uno scrittore, giornalista, drammaturgo, poeta, critico letterario e traduttore portoghese, insignito del Premio Nobel per la letteratura nel 1998). Wikipedia.

Tua.
7 ottobre, 2022.

Dal blog personale

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Viaggio nella poesia classica greco-romana: La poetessa Saffo di Mitilene di Caterina Alagna

Salerno, ore 15:55

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Saffo nacque tra la fine del VII secolo e l’inizio del VI secolo a.C. sull’ isola di Lesbo. Trascorse la sua vita nella città di  Mitilene, anche se alcune fonti la vorrebbero nativa di Ereso. Certamente fu in buoni rapporti col poeta Alceo, anche lui di Mitilene, che le dedicò un celebre verso:

“Cinta di viole, pura, riso di miele, Saffo.”

Entrambi di origine aristocratica, nutrivano una certa avversione per i parvensus, ovvero per coloro che non erano ricchi. Entrambi, inoltre, appartenevano a una sorta di club. Alceo all’eteria, mentre Saffo al tiaso, dove esercitò il ruolo di educatrice. L’eteria era un circolo aristocratico e militare che univa persone della stessa età, dello stesso sesso e delle stesse idee politiche. Le discussioni che avvenivano all’interno dell’eteria erano quasi tutte a sfondo politico. Per quel che riguarda il tiaso, invece, per molto tempo si è pensato che fosse una specie di educandato per ragazze di buona famiglia per apprendere tutto quel che fosse necessario prima di dedicarsi al doveroso ruolo di spose e di madri. Ma a un’analisi più attenta, basatasi proprio su alcuni frammenti delle poesie di Saffo, è stato ipotizzato che si trattasse piuttosto di un corrispondente femminile dell’eteria, ovvero una sorta di comunità che sicuramente esplicava un ruolo educativo, ma  che era, allo stesso tempo, caratterizzata da forti connotati religiosi che miravano al raggiungimento dell’ideale di perfezione attraverso una serie di pratiche liturgiche e sociali, in cui grande spazio era dedicato al culto di Afrodite. Le ragazze del tiaso vivevano una vita all’insegna della grazia e della raffinatezza. Erano immerse in una sorta di mondo irreale, in una dimensione estatica in cui erano frequenti allucinazioni e visioni della divinità. Un elemento fondamentale del tiaso era l’amore tra le fanciulle, ovvero l’amore saffico. Saffo aveva un marito e una figlia ma ciò non le impediva di intrattenere relazioni con le sue ragazze, relazioni che avevano un forte aspetto educativo. Ciò  stupisce, e non poco, dal momento che le donne nella cultura greca avevano scarsi rapporti col mondo esterno. Sull’isola di Lesbo, invece, le donne avevano la possibilità di ricevere la stessa formazione culturale riservata ai maschi.  Celebre è il testo “Ode alla gelosia“, il più letto e il più tradotto di tutta la letteratura greca:

Mi sembra che sia simile agli dèi

quell’uomo che dinanzi  a te

siede e da vicino dolcemente parla-

          re ti ascolta

e sorridere amorosamente. E ciò davvero 

il cuore nel petto mi fa sobbalzare:

come infatti per poco ti guardo, così di voce

           neppure un soffio mi viene,

ma la lingua resta spezzata, sottile

subito sotto la pelle un fuoco mi scorre,

con gli occhi nulla più vedo, rom-

bano le orecchie,

un sudore mi bagna, un tremito

tutta mi prende, più pallida dell’erba 

io sono e dalla morte poco lontana

        sembro ( a me stessa).

In questi versi, Saffo esprime liberamente i propri sentimenti nei confronti di una ragazza. Secondo alcune fonti si tratterebbe di un epitalamio, ovvero, di un canto scritto per le nozze di una fanciulla e l’uomo che compare al secondo verso sarebbe il promesso sposo. Per altri, invece, sarebbe una sorta di corteggiamento da parte di colui che ” sembra che sia simile agli dèi” nei confronti della ragazza, di fronte al quale Saffo esprime tutta la sua sofferenza per la gelosia provata nei confronti della fanciulla. Saffo fa dell’eros la sua stessa ragione di vita arrivando a trasformare questa sua profonda passione in una sorta di “filosofia”. Lei stessa ce ne parla nei versi intitolati “La cosa più bella”:

Alcuni di cavalieri una schiera, altri di fanti,

altri di navi dicono che sulla terra nera

sia la cosa più bella: io invece 

          ciò che si ama.

Assai facile render comprensibile 

a tutti ciò: infatti colei che di molto superò

in bellezza gli umani, Elena, lo sposo, 

          insigne di tutto

abbandonò e venne a Troia per mare 

e non della figlia nè dei cari genitori

affatto si ricordò, ma la travolse 

         folle d’amore Cipride

ed ora di Anattoria mi fa ricorda-

        re, che non è qui:

di lei l’amato incedere vorrei

vedere e la luce che le brilla in viso 

più che i carri dei Lidi e nell’armi

       i fanti schierati a battaglia.              

Al di là delle vicende personali di Saffo, è bene precisare che l’eros all’interno del tiaso era regolato da un codice di comportamento collettivo, che aveva le sue regole positive e i suoi divieti. Su tali norme vigilava la stessa Afrodite che era garante di giustizia (dikh), la cui violazione coincideva con il rifiuto dell’amore o con il tradimento. In poche parole, per Saffo, Elena non è nè colpevole nè vittima, ma una prescelta di Afrodite, ed è meritovole di stima perchè obbedisce alla dikh della dea. I grammatici alessandrini suddivisero le poesie di Saffo in nove libri, di cui l’ultimo raccoglieva gli epitalami, una serie di canti  destinati a riti nuziali che Saffo scrisse quasi sicuramente su commissione. Ma negli epitalami ci sono anche versi che Saffo riserva ai suoi affetti familiari, versi in cui incontriamo una Saffo diversa da quella dei canti amorosi. Alcuni frammenti ci restituiscono un’immagine più privata della poetessa, legata soprattutto all’ambito della famiglia. Si tratta di poesie dedicate alla figlia Kleis, alla quale fu sempre legata da un profondissimo affetto. 

Ho una bella figlia, che a fiori d’oro

simile ha l’aspetto, l’amata Kleis:

in cambio di lei nè tutta la Lidia nè l’amabile

(vorrei avere)

Purtroppo gran parte dell’opera di Saffo è stata perduta e quel che abbiamo a disposizione sono solo frammenti. Gli studi più recenti, però, hanno gettato nuova luce sulla sua figura così eccezionale da costituire un caso unico nella storia della letteratura occidentale. Concludo con una celebre affermazione del critico E. Thovez, il quale dichiarò che sarebbe stato disposto a dare tutta la letteratura latina per un solo verso di Saffo. Si tratta sicuramente di un’esagerazione, ma serve a darci un’idea di quanto sia grave la perdita che, purtroppo, abbiamo ereditato di gran parte della sua opera.

Viaggio nella poesia italiana: Attilio Bertolucci

Salerno, ore 12:24

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Assenza

Assenza,
più acuta presenza.

Vago pensiero di te
vaghi ricordi
turbano l’ora calma
e il dolce sole.

Dolente il petto
ti porta,
come una pietra
leggera.

Attilio Bertolucci è considerato uno dei più grandi poeti del Novecento italiano. Padre del grande regista Bernardo Bertolucci, nasce  nel 1911 a San Prospero Parmense in una famiglia di media borghesia agraria. Trascorre quindi la sua infanzia in campagna, prima nel podere di Antognano e successivamente in quello di Baccanelli. Comincia a scrivere poesie fin da quando ha sette anni, frequenta le classi ginnasiali al convitto nazionale Maria Luigia di Parma dove avrà la fortuna di avere come istitutore Cesare Zavattini. Incontro da cui cui nascerà una grande amicizia. Compiuti gli studi superiori s’iscrive alla Facoltà di Giurisprudenza dell’Università di Parma dove conseguirà, però, solo due esami. Si trasferisce a Bologna dove decide di iscriversi alla Facoltà di Lettere. Nel 1938 si laurea e si sposa con Ninetta Giovanardi, sua compagna di liceo con cui già da diversi anni ha una storia d’amore.

Sei stata la mia compagna di scuola

Sei stata mia compagna di scuola
ma hai un anno meno di me
abbiamo un bambino che va a scuola mi
sono innamorato di te…

Fingerò d’essere una tua scolara
che s’è innamorata di te
mi sono fatta una frangetta
per cenare fuori con te…

Cerchiamo una locanda piccina
nella città ma non c’è
inventiamola affacciata sul fiume 
che allevò me e te…

Di acqua nel fiume che è nostro
ce n’è e non ce n’è…
Inventerò un nuovo mese
ricco d’acqua per te…

Che si rifletta in me
nei miei occhi
china dalla veranda inverdita
sull’acqua che somiglia la vita
rubandomi e restituendomi a te

Negli anni ’40 insegna italiano e storia dell’arte presso il convitto Maria Luigia e collabora con la Gazzetta di Parma dove si occupa principalmente di cinema e arte. Nel 1951 si trasferisce a Roma dove grazie a Roberto Longhi collabora con la rivista Il Paragone.  Nel frattempo entra nel mondo del cinema, della radio e della televisione. Ottiene la  possibilità di collaborare ad  alcuni programmi Rai e  alla stesura di sceneggiature televisive. Sempre a Roma conosce Carlo Emilio Gadda e Pier Paolo Pasolini coi quali instaura un profondo rapporto di amicizia. Nel 1954 il presidente dell’Eni, Enrico Mattei lo invita a dirigere la rivista aziendale Il Gatto Selvatico, di cui Bertolucci sarà direttore fino al 1965. Negli anni a venire pubblicherà raccolte poetiche e romanzi, ma a causa dei suoi problemi di salute, la sua residenza a Roma si alterna con ritorni nella campagna parmense. Muore a Roma nel 2000.

Nessuno 

Io sono solo
Il fiume è grande e canta
Chi c’è di là?
Pesto gramigne bruciacchiate.

Tutte le ore sono uguali
Per chi cammina
Senza perché
Presso l’acqua che canta.

Non una barca
Solca i flutti grigi
Che come giganti placati
Passano davanti ai miei occhi
Cantando.
Nessuno.

La poetica di Bertolucci è una poetica semplice e complessa. La sua poesia si tuffa nella quotidianità della vita, nei gesti più semplici col fine di coglierne essenza e bellezza. Con un linguaggio molto semplice ci parla della città di Parma, della campagna, dell’amore, dei suoi affetti familiari, della solitudine. E’ un poeta anti novecentista. La sua poesia si ispira ai crepuscolari e a Pascoli, allo stesso tempo si propone come modello alternativo alla poesia ermetica di Ungaretti. Una poesia tendente al discorso narrativo. Un chiaro esempio in tal senso è il suo romanzo in versi La camera da letto, un viaggio autobiografico che passa attraverso paesaggi familiari e affetti. Tra le sue raccolte poetiche più famose ricordiamo Sirio (1929), Fuochi in novembre ( 1934), La capanna indiana (1951) Viaggio d’inverno (1971), La camera da letto Volume I (1984), La camera da letto Volume II (1988). Tra le opere in prosa ricordiamo Aritmie (1991)-

Viaggio nella poesia italiana: Clemente Rebora

Dal mio blog https://ilmiocantopoetico.altervista.org/poeti-meno-noti-clemente-rebora/

Pur essendo un gigante della letteratura italiana del primo Novecento, Clemente Rebora rientra tra i poeti italiani meno noti ai più. Difficilmente troverete una sua poesia nelle antologie scolastiche. La sua poesia è molto influenzata dalla sua esperienza bellica avvenuta durante la prima guerra mondiale. Esperienza da cui ne uscì profondamente segnato a causa degli orrori che vide in prima persona e che visse sulla sua stessa pelle. Sopravvisse, infatti, a una ferita alla tempia causatagli dallo scoppio di una granata. Questo episodio lo colpì intensamente provocando in lui una profonda crisi psicologica. Si disse che soffriva di nevrosi da trauma. Riuscì a superare questa crisi solo grazie alla fede e alla conversione al cattolicesimo. All’età di 45 anni ricevette la cresima e qualche mese dopo decise di diventare sacerdote.

La poesia di Rebora che ha come tema la guerra è particolarmente cruda, non priva di episodi macabri tesi a sottolineare le atrocità della guerra. Lo scopo è chiaro: suscitare pietà per la povera umanità trucidata dalla ferocia della guerra.

Viatico

O ferito in fondo alla piccola valle,
avrai chiesto aiuto con molta insistenza
se tre compagni di guerra integri
morire per te che quasi più non eri vivo.
Tra melma e sangue
come un albero abbattuto
e il tuo lamento straziante continuava,
senza pietà per noi rimasti in vita
a contorcerci perché non vedevamo l’ora che finisse,
velocizza la tua morte,
tu solo puoi mettere fine a questa sofferenza,
e ti sia di conforto
nelle tue condizioni di demenza ma ancora cosciente
in questo momento di attesa della morte
l’intorpidimento della sensibilità,
ma ora devi attendere quel momento in silenzio –
grazie, fratello.

In questa poesia Rebora assiste a una scena a dir poco raccapricciante. Tre compagni assistono un commilitone gravemente ferito. Il soldato ridotto a un tronco senza gambe invoca aiuto e i suoi compagni, impotenti di fronte a quella scena e spaventati dalla paura di morire,, lo pregano di affrettare la sua morte. Può sembrare crudele ma il messaggio è chiaro: la guerra è così disumana e orribile che persino la morte messa a confronto si mostra come un’esperienza meno crudele.

Voce di vedetta morta

C’è un corpo in poltiglia
con crespe di faccia, affiorante
sul lezzo dell’aria sbranata.
Frode la terra.
Forsennato non piango:
affar di chi può, e del fango.
Però se ritorni
tu uomo, di guerra
a chi ignora non dire;
non dire la cosa, ove l’uomo
e la vita s’intendono ancora.
Ma afferra la donna
una notte, dopo un gorgo di baci,
se tornare potrai;
sòffiale che nulla del mondo
redimerà ciò ch’è perso
di noi, i putrefatti di qui;
stringile il cuore a strozzarla:
e se t’ama, lo capirai nella vita
più tardi, o giammai.

Anche in questa poesia colpiscono le immagini macabre. Un corpo morto ridotto in poltiglia nella mente del poeta ancora emette un lamento. Il suo pensiero si rivolge a chi una volta sopravvissuto in guerra, tornerà a casa. Gli chiede di non parlare di guerra a coloro che non la conoscono e di non lasciarsi prendere dalla disperazione, di non abbandonarsi, incitandolo soprattutto ad aggrapparsi alla vita, a vivere e ad amare intensamente, ma a non dimenticare coloro che sono morti in guerra ( sia dal punto di vista fisico che morale) a cui nessuno potrà mai più ridare indietro la vita.

Viaggio nella poesia francese: Jacques Prevert, il poeta dell’amore

Jacques Prevert, come  è noto, è il poeta più amato dalle giovani generazioni. Quando nel 1946 viene pubblicata la sua prima raccolta poetica, “Paroles”, ottiene un successo di pubblico straordinario. La critica, invece, si divide in due schieramenti: da una parte quelli che lo ammirano e vedono in lui il poeta che darà nuovo lustro alla poesia francese e dall’ altra quelli che lo denigrano, accusandolo di ricorrere a uno stile troppo banale.

Prevert nasce il 4 febbraio 1900 nella piccola città di Neuilly-sur-Seine in una famiglia piccolo borghese. Non avrà un’infanzia facile giacchè il padre si troverà più volte ad affrontare problemi economici. Da piccolo, spesso accompagna il padre a far visita alle famiglie povere che vivono nei quartieri più degradati della città e ne rimane profondamente colpito. Nasce in lui una sorta di simpatia per le classi meno abbienti. Una simpatia  che lo porterà a schierarsi sempre dalla parte degli ultimi e dei più deboli, mentre maturerà una profonda rabbia nei confronti delle ingiustizie sociali. Fin da bambino mostra un grande interesse per la lettura e per lo spettacolo. Il padre è un appassionato del teatro e, nonostante le ristrettezze economiche,  si avvale di alcune amicizie per ottenere biglietti gratuiti per assistere, insieme ai suoi figli, a numerosi spettacoli teatrali. Viceversa, Prevert, non proverà alcun trasporto per la scuola e abbandonerà gli studi dopo il diploma di terza media. Ribelle, anticonformista, estremamente libero, si schiera contro le istituzioni, come la scuola, che impongono al bambino una serie di regole e che formano la persona basandosi su canoni stabiliti dalla società. Dirà: “La scuola è quel posto dove si entra piangendo e si esce ridendo”. Dopo la prima guerra mondiale svolge il servizio militare. Un’ esperienza che lo segnerà profondamente e che lo porterà a sviluppare idee antimilitariste. Successivamente si avvicina al movimento surrealista, grazie all’incontro con Marcel Duhamel. L’ esperienza surrealista, però, dura poco. Da lì a breve, Prevert lascerà il movimento e nel 1929, in un articolo intitolato “Mort d’un monsieur”, accusa il fondantore del Surrealismo, Breton, di essere eccessivamente autoritario. Nel 1932 entra a far parte della compagnia teatrale “Groupe Octobre”, dove metterà in scena spettacoli in cui affronta importanti temi sociali e di attualità politica. Mostra, allo stesso tempo, un’inclinazione per l’arte del cinema. Bisogna ricordare Prevert, infatti, anche per la sua opera di sceneggiatore e di scenografo.

La sua poetica ruota intorno a due tematiche principali: l’amore e la libertà. In un mondo pieno di meschinità e ingiustizie sociali, dove i più deboli vengono continuamente sfruttati dai potenti, l’unica salvezza è rappresentata dall’amore. L’amore salva gli uomini. Ma l’amore di cui parla Prevert non corrisponde a quell’ ideale idilliaco e perfetto a cui tendono le classi borghesi. L’amore di Prevert è un amore che non manca di sofferenze, di delusioni, di ostacoli e di tradimenti ma è sempre ricercato perchè è l’unica cosa che fa sentire vivi e, che nonostante il dolore,  dà gioia.  L’amore è prepotentemente libero. Non vuole essere incatenato e intrappolato da regole. L’amore vero è spontaneo. Quando si ama veramente, si accetta l’ amore per quello che è. Non lo si modifica a proprio piacimento, non lo si ingabbia nei canoni stabiliti dalla società e dettati dal senso comune. Tuttora sulla poesia di Prevert aleggia un pregiudizio che vuole ritenere il suo stile banale, caratterizzato dall’ uso di un linguaggio semplice e troppo comune. Prevert viene accusato di banalità perchè parla di amore. Ma se si leggono attetantamente i suoi versi, ci si accorge di quanto siano sensate le sue parole. L’ amore di cui parla Prevert è un sentimento autentico, dotato di una forza generatrice che esorta l’uomo a superare il dolore suscitato dal modus vivendi imposto dalla società, e che esorta i poveri e gli emarginati a provare la felicità in una società che li schiaccia e che li inchioda al muro della sofferenza. L’amore vince sulla sofferenza.

Tra le sue poesie più belle si annovera “I ragazzi che si amano”. La poesia parla del primo amore. I ragazzi che si amano, che si innamorano per la prima volta, provano un sentimento di enorme gioia e di profonda passione che li porta a distaccarsi dal mondo che li circonda. Rapiti dall’estasi della passione, vengono trasportati in  dimensioni lontane dalla terra. Sono altrove, completamente avulsi dal mondo e dal tempo. “I ragazzi che si amano  non ci sono per nessuno”, ” essi sono altrove, molto più lontano della notte, molto più in alto  del giorno “.  Dei ragazzi resta solo la loro ombra che viene additata dai passanti, invidiosi di quel sentimento profondo che anche loro hanno provato e che vorrebbero provare ancora.

I Ragazzi che si amano

I ragazzi che si amano si baciano in piedi

Contro le porte della notte

E i passanti che passano li segnano a dito

Ma i ragazzi che si amano 

Non ci sono per nessuno 

Ed è la loro ombra soltanto

Che trema nella notte 

Stimolando la rabbia dei passanti 

La loro rabbia e il loro disprezzo le risa la loro invidia

I ragazzi che si amano non ci sono per nessuno 

Essi sono altrove molto più lontano della notte

Molto più in alto del giorno

Nell’abbagliante splendore del loro primo amore

Dal mio blog https://farfallelibereblog.blogspot.com/2021/04/jacques-prevert-il-poeta-dellamore.html

Appuntamento estivo con il Circolo di lettura promosso dalla Voce della Luna

L’Associazione di cultura cinematografica e umanistica La Voce della Luna organizza per venerdì 1 luglio, alle ore 17.30,presso Andando e Stando, Libreria con Mescita di Via Bissati 14, Alessandria, un nuovo appuntamento mensile con il Circolo di lettura.

Le scelte letterarie di ciascun incontro nascono dalle indicazioni dei partecipanti, incrociando suggestioni letterarie e cinematografiche.

La partecipazione è gratuita, previo tesseramento all’Associazione La Voce della Luna (costo della tessera euro 10, validità annuale: offre sconti sulle attività associative e in esercizi commerciali convenzionati).

Per informazioni e adesioni:

lavoce@dellaluna@virgilio.it; Fb: VoceLuna

“Il poeta sei tu che leggi”

“Il poeta sei tu che leggi” si trova scritto dappertutto ormai. È scritto anche sul  Lungotevere Vaticano. Lo scrivono in tanti sul web. Il vero autore sarebbe il lettore. Sarebbe lui il maggior costruttore di significato, il vero responsabile del senso ultimo del testo. Di fronte all’ambiguità semantica è proprio il lettore che decide cosa significhi questa o quell’opera. Una parola, una frase, un intero testo possono avere significati diversi a seconda del contesto (inteso in senso lato) e dalla sensibilità individuale. La stessa connotazione, la sfumatura emotiva di ogni parola, di ogni frase varia da persona a persona. Ogni testo quindi dipende anche, forse soprattutto,  dallo stato mentale, dall’umore, dallo stato d’animo del lettore in quel particolare frangente. Possiamo perciò anche essere d’accordo. Gli artisti non esistono senza pubblico. I poeti non esistono senza lettori.  Adam Smith ne “La ricchezza delle nazioni” considerava gli artisti degli assistiti. In quell’epoca la maggioranza erano cortigiani oppure secoli prima per esempio pittori e scultori venivano finanziati da dei mecenati. Oggi gli artisti sono assistiti dai loro ammiratori,  estimatori, seguaci. Aveva capito tutto il cantautore Claudio Rocchi quando gli chiedevano l’autografo, lui chiedeva le generalità del richiedente e poi firmava con il nome e cognome del suo fan. Senza il pubblico l’artista non ha modo di esistere. Oggi è poeta chi legge. Ma io mi domando se uno non legge cosa è? Molto probabilmente molti non vogliono leggere perché non vogliono essere poeti. Di solito comunque leggono poesia soprattutto gli aspiranti poeti, coloro che vogliono diventare poeti. Come esistono le preghiere interessate anche queste sono letture interessate in un certo modo. Certamente i giornali non aiutano. La cosiddetta terza pagina viene sempre messa in ennesima pagina. Sono anche scomparsi e non più sostituiti grandi maestri dell’elzeviro. Non scrivono più ormai Luca Goldoni, Alberto Arbasino, Pier Francesco Listri, Luigi Maria Personè. Mi ricordo che anni fa mi incuriosivano molto gli aneddoti letterari di quest’ultimo, morto centenario, grande letterato, che aveva conosciuto tutti i più grandi letterati del Novecento italiano e non. Poi le terze pagine dei quotidiani trattano di società, mondo dello spettacolo, tendenze. Trattano spesso di cose futili, leggere, tanto per intrattenere più che per acculturare, se va bene per informare più che per formare. Ma i direttori dei giornali sono messi alle strette e loro, se interpellati a riguardo, direbbero prontamente: i quotidiani vendono sempre meno copie e bisogna dare ai lettori ciò che vogliono. Il potere in questo modo si deresponsabilizza tramite la presunzione di ignoranza del popolo. Così facendo il popolo non si accultura. Inoltre come ho sempre avuto modo di dire: oggi tutto è cultura tranne la cultura. C’è spazio per tutti in televisione tranne che per la letteratura, la poesia, la scrittura. Eppure la fruizione culturale è aumentata notevolmente in questi anni. Ma la cultura è noiosa, soporifera.  La scuola non aiuta. I programmi ministeriali sono quelli che sono. Poi con la vecchia retorica che non bisogna dare la pappa pronta diversi critici letterari si sono dimostrati criptici,  oscuri, allontanando di fatto le persone dalla cultura. Diversi letterati non vogliono correre il rischio della banalizzazione, della volgarizzazione, neanche quando di tratta di un’utile semplificazione. Anche in letteratura bisognerebbe utilizzare il rasoio di Occam, ovvero non moltiplicare gli enti inutili. Invece sembra che diversi letterati abbiano a cuore il loro gergo specialistico e allora usano grecismi, latinismi, inglesismi,  francesismi. La cultura diventa talvolta perciò un fardello pesante. Ci sono ancora oggi diversi letterati, che pur essendo politicamente progressisti, hanno una concezione elitaria e snobistica della letteratura, nutrendo talvolta dei pregiudizi nei confronti della cosiddetta gente. Insomma secondo costoro la letteratura deve essere difficile, non alla portata di tutti. Un tempo il preside della facoltà di ingegneria di Pisa amava dire “ingegneria deve essere difficile” agli studenti che si lamentavano della severità dei docenti. Ogni ingegnere ha delle responsabilità civili, sociali, etiche, umane. Deve saper fare bene i calcoli per non far crollare i ponti o se è un ingegnere gestionale deve saper fare i conti per non far fallire un’impresa. Ma un letterato ha soprattutto il dovere di farsi capire ai più. In un certo qual modo diversi letterati complicano le cose;  sono esoterici, nel senso più deteriore del termine. Ma a questo proposito secondo una scuola di pensiero  nessun uomo è depositario di grandi verità.  Le cose della vita sono sempre quelle trite e ritrite. I letterati sono uomini come gli altri. Invece secondo un’altra scuola di pensiero non si può spolpare la letteratura perché poi alla fine ci resta un torsolo di mela. Secondo questi pensatori aveva ragione Cioran quando scriveva che se togliessimo il belletto alla letteratura non resterebbe niente. La domanda da un milione di dollari è la seguente: si può rappresentare la vita anche in modo comprensibile ai più oppure bisogna riprodurla fedelmente nella sua complessità? E ancora i letterati devono abbassarsi al livello del pubblico o devono cercare di elevarlo? Meglio arrivare a tutti o invece essere per pochi eletti? Nel frattempo la poesia è di nicchia. Di solito l’espressione nicchia di mercato o mercato di nicchia può avere anche molti risvolti positivi. Si sente dire che nel mondo economico c’è parecchia crisi, ma tizio e caio hanno trovato una bella nicchia di mercato e si sono arricchiti. Non fatevi illusioni: la poesia è una nicchia di mercato che non vende,  non arricchisce, se non interiormente. Eppure le facoltà umanistiche sono sovraffollate. Mai tarpare le ali. Mai uccidere i sogni. Ci penserà poi la realtà a disilludere, a deludere, a disincantare. Un altro problema è che oggi tutti sono poeti tranne i poeti. Sono poeti i cuochi, i cantanti, gli influencer, i lestofanti, i piacioni, gli addetti alle pubbliche relazioni, i latin lover e gli arrivisti vari. E i veri poeti? Non pervenuti. Lasciano poche tracce di sé. Disseminano i loro versi in angoli remoti del web. Pubblicano libricini che vendono poco o addirittura pochissimo. La poesia d’altronde è di tutti o di nessuno. Parafrasando un celebre detto, la poesia è quella cosa che tutti pensano di sapere che cosa sia. In tutta onestà penso che valga la regola opposta e inversa: nessuno può sapere con certezza che cosa sia la poesia. Quindi, concludendo,  è vero: il poeta sei tu che leggi, a patto che tu legga e legga roba buona.