Museo Storico – Reale Mutua Assicurazioni: tra cambiamento, innovazione e integrazione.
Ph Cristina Pipoli
Il Museo Storico – Reale Mutua Assicurazioni nacque nel 1828/29 sotto la guida dell’avvocato francese Giuseppe Lorenzo Henry tra innovazione, cambiamento e integrazione; questa attività con il sostegno di Re Carlo Felice ebbe per obiettivo quello di dare una copertura assicurativa ai sudditi del Regno di Sardegna contro il pericolo degli incendi, sempre molto presenti nella società del tempo.
Trasparenza, affidabilità, correttezza verso i propri soci sono i principi che consentono alla Compagnia di conquistare un posto di rilievo nel tessuto economico del Regno d’Italia e di aprire nuovi rami assicurativi, in coerenza con il mutare della società e dell’economia dello stato unitario. Quando il turista visita il museo viene anche a conoscenza della storia dei Savoia e di un ramo in particolare che è quello dei Carignano. La famiglia quindi passò ai cugini cioè i discendenti del fratello di Carlo Felice.
Il museo ubicato a Torino in via Corte d’Appello n.11 è stato inaugurato nel 2007.
L’edificio è composto da 4 piani ed è l’esempio palese dell’architettura torinese degli anni ‘30.
Lo stabile attuale venne bombardato l’8 dicembre 1942 e il 13 luglio 1943.
La particolarità di questo Museo è la presenza di oggetti inclusivi per persone ipovedenti o non vedenti e spiegazioni per i sordomuti in lingua LIS (la lingua dei segni).
La guida turistica Ludovica Govean si augura che questo museo sia maggiormente conosciuto grazie anche a questo articolo, facilmente troverete lei ad illustrare questo “tesoro storico”.
Nella sua storia secolare Società Reale Mutua di Assicurazioni si è confrontata con le esigenze del tempo per non tradire il suo status di “mutua assicuratrice”.
Giuseppe Giulio Lorenzo Henry (1798-1856) fondatore di questa assicurazione, sin da giovane fece pratica legale a Parigi per poi passare all’intendenza Militare di Bordeaux. Prestò servizio per due anni presso il Ministro della Guerra, approfondendo lo studio dell’organizzazione amministrativa e tecnica delle compagnie francesi di assicurazione. Il 13 gennaio 1829 con il “Decreto Regio Paterno” re Carlo Felice avallò la costituzione della Società, confermando Henry nel ruolo di Direttore Generale. Questa mansione venne svolta fino al giorno della sua morte.
Luigi Colla il 25 agosto 1829 assunse la carica di Primo Presidente del Consiglio di Amministrazione di Reale Mutua e dal 1830 al 1846 svolse il ruolo di Presidente del Consiglio Generale della Società.
Dylan Marlais Thomas (Swansea, 27 ottobre 1914 – New York, 9 novembre 1953) è stato un poeta, scrittore e drammaturgo gallese.
Nel mio mestiere, ovvero arte scontrosa Che nella quiete della notte esercito Quando solo la luna effonde rabbia E gli amanti si giacciono nel letto Tenendo fra le braccia ogni dolore, A una luce che canta mi affatico E non per ambizione, non per pane, Né per superbia o traffico di grazie Su qualche palcoscenico d’avorio, Ma solo per la paga consueta Del loro sentimento più segreto. Non è per il superbo che si apparta Dalla luna infuriata che io scrivo Su questa spruzzaglia di pagine, E non per i defunti che torreggiano Con i loro usignoli e i loro salmi, Ma solo per gli amanti che trattengono Fra le braccia i dolori delle età, E non offrono lodi né compensi, Indifferenti al mio mestiere o arte.
Eccessivo, eccentrico, paradossale, contraddittorio. Non ci sono appellativi che non siano stati usati per esprimere le caratteristiche di questo personaggio eclettico e dissacrante, nato per eccellere e stupire agli inizi del XX secolo. Salvador Dalì è nato due volte. La prima, a Figueras, il 21 ottobre 1901, ma il bimbo morì a 21 mesi di vita. Il Nostro nascerà nove mesi e dieci giorni dopo la sua morte, l’11 maggio 1904. Egli si trascinerà dietro tutta la vita il peso di dover reincarnare il fratello maggiore di cui porta il nome: “una sorta di complesso di colpa del sosia, trasformato in fissazione paranoica, estetica” (Marco Vallora). “Tutte le mie eccentricità, tutte le mie esibizioni incoerenti sono la tragica costante della mia vita”, si legge in Conversazione con Dalì (1969), di Alain Bosquet. “Devo provare a me stesso che non sono il fratello morto ma quello vivo. Come nel mito di Castore e Polluce, uccidendo mio fratello ho conquistato l’immortalità per me stesso”. Come dire che la morte del primo Salvador è la molla, l’arco teso che lo lancerà molto lontano…nel firmamento della pittura. “Lo si voglia o no, sono stato chiamato a realizzare prodigi”, ha dichiarato. Nella sua biografia si legge che ha una relazione ambigua col poeta Garcia Lorca, ma si dice che Dalì abbia sempre rifiutato le ripetute avances di Federico. “Canto le tue ansie d’eterno illimitato”, scriverà il poeta in una sua ode dedicata all’amico.Dalì è stato uno dei maggiori esponenti del Surrealismo (nuovo spirito dell’arte battezzato da Apollinaire col nome di Superrealismo, al debutto del balletto Parade di Cocteau, 1917); costituito fra gli altri dai poeti Paul Eluard e Andrè Breton, dal cineasta Bunuel, dagli artisti figurativi Manritte, Ernst, Mirò, Man Ray; e ancora, Edward James, Hans Arp, Arpo Marx (solo per citare quelli che diverranno famosi). Sposò dopo una convivenza di molti anni, Gala Diakonoff di dieci anni più grande, moglie del poeta Eluard (da cui poi divorziò), ed ex compagna di De Chirico; una donna-manager avida di potere, la quale impostò da subito la relazione col ruolo di “protettrice”, o meglio di impresario, relegando a Dalì quello di “dipendenza”, e desiderosa di organizzargli la vita. In amore prediligeva il triangolo; ma grandi furono le sue sfuriate di gelosia quando nel periodo precedente la seconda guerra mondiale Dalì divenne amante di Edward James.Egli non era per lei che una semplice “macchina per far soldi”. “I Dalì sono due, uno appartenente al suo mondo di vivida, geniale e avvincente paranoia, in cui vive più della metà della sua vita; l’altro è l’accorto affarista, creato dalla moglie Gala” (Edward James a Dalì, marzo 1941). (Fu Andrè Breton a coniare l’anagramma Avida Dollars dal nome Salvador Dalì – cosa che divertì molto l’interessato). Il miele è più dolce del sangue (1927) fu il suo primo dipinto surrealista. Famosa la serie dei suoi orologi molli. Molti i disegni e i dipinti raffiguranti la moglie Gala. Soggetti della sua arte, anche i ritratti di Eluard, Lenin, Freud. Dal 1927 al 1929 fu il periodo per lui più prolifico e rappresentativo. Famoso resta il suo ritratto a una vedette del cinema, Mae West.
La sua potenza espressiva, l’intensità cromatica delle forme nello spazio e nella luce, davano voce e sangue alla tela. Alcuni dei suoi quadri, unici e dalla stesura raffinata, restano l’espressione dell’inconscio collettivo del XX secolo. Egli, il genio, ne è l’archetipo. Vogliamo qui aprire una parentesi per dire che nell’immaginazione popolare il genio è sempre dotato di poteri magici; è sempre considerato come agente di una forza esterna. Questo potere può risultare misterioso anche al genio stesso. Egli obbedisce a una sorta di desiderio istintivo, a una necessità interiore. L’arte visionaria di Dalì passa alla storia anche per i titoli bizzarri e improponibili quali, per citarne qualcuno: “Burocrate medio atmosferocefalico nell’atto di mungere un’arpa cranica”, “Teschio atmosferico che sodomizza un pianoforte a coda”, “Autoritratto molle con pancetta fritta”, “Lo svezzamento del nutrimento dei mobili”, “Acido Galacidalacide sossiribonucleico (Omaggio a Crick e Watson)”. Nella storia dell’arte, in modo specifico egli è il Surrealismo, in una rappresentazione personalissima, spesso dal contenuto delirante, definita “metodo paranoicocritico”.La sua opera apre le porte verso universi paralleli, in una visione allucinatoria; ma Dalì è ben consapevole del confine che separa il mondo reale dall’immaginario. Nel 1944 Alfred Hitchcock lo volle per la realizzazione delle sequenze oniriche per il film Io ti salverò, con Gregory Peck e Ingrid Bergman. Si trattava di illustrare i sogni del protagonista in preda ad amnesia. Egli era originale ad ogni costo e viveva di un protagonismo insaziabile. Sempre in equilibrio sulla corda tesa delle sue assurde trovate, ad una conferenza alla Sorbona del 1955, si presentò in una RollsRoyce bianca, stipata di cavolfiori. Nelle sue performances, ogni cosa che toccava si trasformava in oro. Scrive nel suo Diario di un genio: “in uno stato di permanente erezione intellettuale ogni mio desiderio è esaudito”. Un sempre crescente numero di psichiatri vedevano in lui un caso allettante dal punto di vista di uno studio ravvicinato. Egli è noto agli studiosi della psiche come un “perverso polimorfo”. Nell’opera daliniana gli istinti sessuali appaiono cerebralizzati e sublimati dall’arte. Dalì era sempre eccessivo e le sue manie grandiose e strampalate spesso infastidivano. Fu molto criticato dalla stampa e dall’opinione pubblica, e anche minacciato, per aver dichiarato di simpatizzare per il generale Franco. Fino alla fine, ebbe il culto paradossale della propria immagine. Negli ultimi tempi, fra gli alti e bassi della malattia che lo aveva colpito (morbo di Parkinson), si lamentava dicendo com’era difficile morire. (Gli era già mancata Gala da alcuni anni). Fantasma di se stesso, morì a 87 anni, il 23 gennaio 1989, nella clinica dove era stato ricoverato per collasso cardiaco.
Sabato 6 maggio 2023 presso l’A.N.M.I.G. (Associazione nazionale mutilati invalidi di guerra) ha avuto luogo la presentazione del saggio storico Utopia – Il naufragio della Speranza, ed. del Rosone, del giornalista Duilio Paiano nonché poeta, scrittore, saggista. L’evento – moderato da Maria Teresa Infante La Marca – è stato fortemente voluto dalla Presidente Maria Antonietta Tella la cui associazione può considerarsi un crocevia artistico e letterario della provincia grazie al suo impegno, alla dedizione e all’amore per il sapere e la conoscenza. La serata è stata intervallata da apprezzabili momenti musicali ad opera dei docenti e alunni del corso a indirizzo musicale “Scuola secondaria di primo grado G. Bovio” (Sergio Paciello, Claudio Rotundi, Michele Campanile – Alice Recchia, Aurora Pontone, Roberto Cagnazzo). La lettura dei passaggi tratti dal saggio è stata affidata ad Anna Ponziano, scrittrice/poetessa e Paola Pizzolla, attrice teatrale)
Il volume vanta la prefazione del prof. Augusto Mastri, della University of Louisville (USA). Pubblicato nel 2017 e già presentato in più occasioni, consta di oltre cento pagine corredate da una folta iconografia riguardante immagini e documenti dell’epoca in cui si svolse la triste vicenda narrata – un dramma di vaste proporzioni dell’emigrazione nazionale – rimasta per lungo tempo inspiegabilmente sconosciuta. All’autore va il grande merito – in seguito a una certosina opera di indagine, di scavo e lavoro di archivio – di averla riportata alla memoria per restituire dignità alle centinaia di vittime, tutti emigranti della nostra penisola.
“A Faeto, dove io ho casa e dove mi rifugio appena posso per ritrovare me stesso, ho sentito parlare per anni di questa nave naufragata alla fine del XIX secolo con a bordo degli emigranti faetani senza che nessuno sapesse fornirmi particolari che andassero oltre il puro e semplice dato di cronaca: la data e il luogo del naufragio. Sono stato spinto a saperne di più e ho iniziato le mie ricerche: ho scoperto una miniera di notizie e di particolari inimmaginabili che, nella necessaria sintesi ma senza trascurare i passaggi fondamentali, ho riportato nel libro. La cosa che mi ha sconvolto di più è stato il pressoché generale e diffuso oblio che ha ammantato questa tragedia: nei paesi della provincia di Foggia interessati (Faeto e Roseto Valfortore) se ne parla poco e spesso in maniera superficiale e con scarsa aderenza alla verità dei fatti.” (Duilio Paiano)
Utopia – nel nome un destino? – è il piroscafo della Compagnia britannica “Anchor line” che naufragò il 17 marzo 1891 nella baia di Gibilterra e causò il numero più alto di vittime nel Mediterraneo.
La Gazzetta Ufficiale del Regno d’Italia notifica la partenza della nave al 12 marzo 1891 ma in effetti Utopia salpò il 7 marzo dal porto di Trieste per fermarsi a Messina e Palermo e poi giungere nel porto di Napoli il 12 marzo dove imbarcò la maggior parte degli 813 passeggeri a cui vanno aggiunti 59 uomini di equipaggio.
Destinazione il Nuovo Mondo, nello specifico New York, la terra dei sogni e delle illusioni verso cui, a partire dalla seconda metà dell’800, era diretta gran parte della popolazione italiana stremata dalla povertà e ridotta a vivere di stenti. Duilio Paiano, a riguardo, riporta brevi excursus di M. Galante, S. Sonnino, D. Donzella, C. Levi, F.S. Nitti. Riporto brevemente il Nitti che, riferendosi alla miseria in cui versavano gli abitanti del Mezzogiorno, scrive testualmente “o briganti o emigranti, non c’era alternativa”.
Purtroppo le speranze degli emigranti imbarcati sulla nave Utopia furono tranciate cinque giorni dopo la partenza, prima che la nave prendesse il largo nell’Oceano Atlantico. Nello stretto di Gibilterra in cui doveva fare scalo per rifornirsi di carburante, in seguito al peggioramento delle condizioni meteorologiche, urtò la corazzata britannica Anson il cui rostro provocò uno squarcio disastroso.
Erano le 18:36 di martedì 17 marzo 1891. In soli venti minuti, in cui imperversa il panico e il terrore, la nave affondò e per 576 passeggeri (così stimati), già stivati in terza classe in pessime condizioni igienico sanitarie, non ci fu scampo nonostante i soccorsi immediati in una gara di solidarietà.
Le vittime appartenevano alle regioni più disparate, la maggior parte del meridione. Nella tragedia morirono anche diciotto dei ventisette faetani imbarcati, e otto rosetani (FG). Ad oggi la tragedia è semi sconosciuta seppure riportata abbondantemente dalla stampa nazionale ed estera del tempo di cui troviamo varie illustrazioni nel volume, a testimonianza.
“Ho voluto scrivere questo libro per rendere giustizia alle vittime del naufragio e a tutti gli immigrati che nel tempo hanno alimentato un fenomeno sociale attraverso cui i nostri borghi si sono anche ripresi dalla miseria, grazie alle rimesse in denaro che gli emigrati inviavano a casa. Ho anche chiesto ufficialmente di intitolare uno spazio significativo di Faeto a questi naufraghi affinché la memoria renda loro giustizia ma, soprattutto, perché il loro sacrificio venga consegnato alla conoscenza delle generazioni più giovani. Al di fuori di ogni retorica, se noi oggi siamo quel che siamo, lo dobbiamo anche alle donne e agli uomini che sono stati costretti ad abbandonare casa, paese e affetti, spesso rimettendoci la vita come nel caso dei naufraghi dell’Utopia. Sono in fiduciosa attesa…” (Duilio Paiano)
Pochi mesi fa la richiesta del nostro Autore, che peraltro ricevette nel 2011 la cittadinanza onoraria di Faeto, è stata “in parte” accolta dall’amministrazione locale. Oggi infatti visitando il piccolo borgo dei Monti Dauni, di circa seicento abitanti, ci si può fermare in raccoglimento davanti al monumento in memoria delle diciotto vittime faetane del naufragio di cui sono riportati i nominativi. Tra loro una intera famiglia, Domenico, Filomena e i loro tre figli.
Il monumento è stato donato dalla Famiglia Paiano. Salgono in lunga fila, umili e muti, e sopra i volti appar bruni e sparuti umido ancora il desolato affanno degli estremi saluti dati ai monti che più non rivedranno. (E. De Amicis – Gli emigranti)
La Festa delle Rose è nata nel 2002 per esaltare il particolare unicum architettonico e ambientale che include la magnificenza della Reggia e dei suoi giardini, la città di Venaria Reale ed il suo borgo antico. È partendo da questa unicità che la Fondazione via Maestra per conto della città di Venaria Reale organizza e promuove la Festa delle Rose, ormai giunta alla 19° edizione. Fin dalla prima edizione questa particolare liaison tra borgo e Reggia ha trasformato l’evento della Festa delle rose in un appuntamento identitario della città.
Museo Gambarina: presentazione del libro di Paolo Lenti “Pavor nocturnus”, a cura della Prof.ssa Barbara Viscardi
Alessandria: Giovedì, 18 Maggio 2023, presso il Museo Etnografico della Gambarina “C’era una volta”, alle ore 17.30, presentazione del libro di Paolo Lenti“Pavor nocturnus”, a cura della Prof.ssa Barbara Viscardi, con letture fatte da alcuni attori della compagnia Teatro Insieme di Alessandria. Al pianoforte eseguirà alcuni brani la Prof.ssa Cecilia Brovero. Sarà presente l’Autore.
La casa editrice TRIPLA E, con il libro di Paolo Lenti, sarà presente al Salone Internazionale del libro di Torino, che si svolgerà dal 18 al 22 Maggio, presso il Padiglione 2 stand M66.
Tre racconti, tre storie di uomini, che trascinano il lettore, costringendolo a entrare nella loro mente, per amarli o detestarli, così come amiamo e talvolta detestiamo noi stessi, quando ci soffermiamo a osservarci, o quando abbiamo timore di farlo.
Tre racconti che, nell’insieme, costituiscono un affresco che suggerisce l’idea di quanto sia complicata e difficile la condizione umana e di quanto sia complessa la nostra psiche.
Quel ricordo di Anna che trasforma il dolore in rinascita
E’ la poetessa Paola Arcuri, medico di professione, ad aprire, questa volta, il suo cuore nel docufilm “Un giorno con…”, targato Aletti, la casa editrice che ha sede a Villanova di Guidonia, nel nuovo format scelto per far conoscere meglio i membri della sua community letteraria. «La scelta di realizzare un docufilm – racconta l’autrice che vive a Roma – è stata principalmente dettata dall’esigenza di esprimere le mie emozioni in una modalità diversa rispetta alla scrittura, vincendo anche determinate remore legate alla timidezza e al fatto che esporsi in prima persona potesse anche comportare di esporsi al giudizio di persone che sostanzialmente non conoscono il mio vissuto: in questo senso é stata anche una sfida con me stessa». Le immagini più belle di Tivoli (Roma), storiche e naturalistiche, introducono l’autrice che si presenta, subito, con il suo animo provato da un grande dolore, facendo da sfondo e cornice alle emozioni espresse [guarda il docufilm]. Un dolore, interiorizzato per troppo tempo, ma che è riuscita a tirar fuori e a condividere proprio grazie alla scrittura, diventata, così, terapeutica. La tematica dell’abbandono, del dolore, della disperazione, emerge sin dalle prime liriche di Paola Arcuri, che ha iniziato a scrivere circa vent’anni fa. Così come il tema dell’amore, un amore ritenuto impossibile. Emozioni intime che scorrono come l’acqua di una cascata ripresa nel docufilm, e che non riescono a bloccare il flusso dei ricordi perché un lutto così devastante, come la perdita di una sorella appena trentatreenne, annienta e rende complicato rialzarsi, ricominciare, rivedere la luce, quando ti viene a mancare la “metà di te”.
Paola, seduta su una panchina, vuole dare voce a questo senso di solitudine, leggendo la sua poesia “Solo con i fiori”, mentre scorrono le foto in bianco e nero che la ritraggono bambina, felice e spensierata. “Non mi è rimasto altro modo per esprimerti il mio amore. Hai solo il mio pensiero, hai solo i miei ricordi”. In questi versi, dedicati alla sorella Anna, una vita spezzata troppo presto, l’autrice vuole rappresentare la disperazione, quella perdita che ti porti dentro in ogni momento della vita, anche in quelli inaspettati, in un ricordo che riaffiora prepotentemente, come nelle foto che le ritraggono insieme e, soprattutto, il senso di impotenza dinanzi ad un evento così tragico e improvviso. Una rosa rossa e Paola che cammina, gradino dopo gradino, affrontando un dolore più grande di lei, sanciscono un rapporto empatico con gli spettatori che accolgono quel dolore ascoltando le sue parole. Sono trascorsi ben ventinove anni da quella perdita, ma ancora incide sulla sua vita. Diverse le poesie dedicate a questo rapporto indissolubile che va oltre il tempo, oltre la vita, oltre la morte. Tra queste: “Nel buio”. “Non vedi una strada, non vedi una luce. Poi vedi una piccola luce, ti accorgi che c’è sempre stata, è dentro di te”; e, ancora, “Quando ti vedevo”. “Quando sei andata via tu è andato via il sole”. Un dolore amplificato dalla delusione per un amore finito. Un amore a metà. “Sai che soffrirai ma ne gioisci. Sai che stai perdendo la libertà ma ti fai legare. Un amore a metà… per un uomo a metà”. Paola cammina tra gli scorci di Tivoli e, intanto, percorre, giorno dopo giorno, la sua esistenza, alla ricerca di un nuovo senso della vita, una nuova consapevolezza e, finalmente, rivede la luce con la nascita della sua bambina. Quella luce che le era stata tolta in estate, sempre in estate, le è stata ridata. Le foto con sua figlia fanno da sfondo alle poesie che Paola le ha dedicato. “Mano nella mano ti terrò finché tu vorrai e sarai in grado finalmente di prendere il volo”. Con lei, il passaggio dal buio della perdita alla luce della speranza e della rinascita, scaturito dalle fotografie di famiglie che scandiscono il tempo che scorre, anche di quegli anni non vissuti, trascorsi nel limbo del dolore. E al tempo, l’autrice dedica la lirica “La clessidra”. “La sabbia dei giorni della mia vita scorre, si assottiglia, scendendo nell’altra metà del mio passato”. Ma il dolore fortifica, lo sa bene Paola, diventata una donna autonoma, indipendente, da medico, empatica anche verso le sofferenze altrui. Senso, libera, clessidra, tempo, buio, estate, fiori, sono il sillabario che insegna a leggere la vita dell’autrice e che viene raccontato, a cuore aperto, nel docufilm. Lo sguardo si pone verso l’orizzonte, verso l’oltre di una esistenza segnata, in ogni caso, dall’amore incondizionato. “Tornerà il tempo delle antiche risate, di racconti, di chiacchiere notturne, delle aspettative e di speranze mai sopite”.
Sapete a cosa sto pensando? Sto riflettendo molto sul significato della parola “promessa”. Promessa sta a significare un impegno preso verso un’altra persona e che bisogna rispettare. Ma vedo che oggi mantenere una promessa sembra essere un valore di poco conto… si promette senza mantenere… mentre nei tempi passati la parola di una persona valeva quanto la sua firma… la promessa data faceva parte del loro onore e andava rispettata. Oggi addirittura non solo non si rispettano le promesse ma molte persone sanno di non rispettarle anche prima di accettarle e questo comportamento sta diventando normale… la promessa ha perso la sua importanza come la fiducia… la sincerità… la fedeltà… Ma non si comprende, non si capisce l’importanza e il costo psicologico di un tale atteggiamento in quanto si perde credibilità e tutti… parenti, amici e anche persone conoscenti non si fidano più di questa persona perché non possono contare sulla sua parola. Perché allora si promette tutto con leggerezza e addirittura senza la convinzione di poterla mantenere? Ma dico? Ne vale la pena? Barattare la nostra dignità, la nostra autostima in questo modo? Mantenere anche una piccolissima promessa ci fa onore… influisce positivamente sulla nostra personalità e sulla nostra vita come: Rinforzare la nostra autostima Avere fiducia in noi stessi Essere credibili migliorando le qualità delle nostre relazioni non solo con gli altri ma anche con noi stessi. La parola è uno dei valori più importanti di noi esseri umani e le promesse ne rappresentano la massima espressione, un elemento fondamentale che Stephen R. Cowey definiva come il conto corrente emozionale. Cowey morto nel 2012 è stato scrittore, professore e uomo d’affari statunitense e autore del bestseller “Le sette regole per avere successo”. Che cosa rappresenta questa metafora: il conto corrente emozionale? Cowey si riferiva alla quantità di fiducia che una persona si crea nel tempo nelle relazioni con gli altri. Immaginiamo di avere un conto corrente che utilizziamo ma al posto del denaro ci sono emozioni, attenzioni, comprensioni, sentimenti. Quando ci dimentichiamo di mantenere le promesse date.. di dare attenzione alle persone che ci vogliono bene noi stiamo prelevando dal nostro conto come in banca a seconda delle nostre disponibilità. Ma cosa succede se preleviamo solo senza mai versare? o addirittura arriviamo a sfiorare il fido concesso? Che la banca ci chiederà di rientrare immediatamente dalla somma dello sconfinamento altrimenti revoca l’affidamento. E allora dobbiamo cercare di non arrivare in rosso e in che modo? Effettuando dei versamenti sostanziosi sul nostro conto corrente emozionale come: Dare fiducia Fare piccole attenzioni Essere leali Essere coerenti Essere disponibili Mantenere le promesse.
Io, Guenda e il gene matto sarà presentato nel cortile della chiesa dell’Azienda Ospedaliera
L’iniziativa, che si terrà venerdì 12 maggio, si inserisce nelle attività del Centro Studi per le Medical Humanities
Alessandria: Nella suggestiva cornice del cortile della chiesa SS Antonio e Biagio dell’Azienda Ospedaliera di Alessandria sarà presentato, venerdì 12 maggio, il libro di Lucia Ravera “Io, Guenda e il gene matto”.
Un’iniziativa che si inserisce nelle attività del Centro Studi per le Medical Homanities dell’AO AL, che ha proprio tra i suoi obiettivi mettere al centro la cultura come parte integrante della cura e della terapia.
Dalle ore 17,00 l’autrice dialogherà, moderata da Patrizia Santinon, psicoanalista della struttura di Psichiatria dell’Azienda Ospedaliera di Alessandria, con la protagonista del libro Francesca Seimi, l’editore Silvana Rossi, la presidente della Consulta pari opportunità Enza Palermo e le esponenti di Soroptimist International Clud di Alessandria, Paola Dossena, e dell’associazione Giuditta, Monica Deevasis.
Io, Guenda e il gene matto è la storia di una ragazza che è diventata donna, nonostante la malattia. È il racconto di un viaggio forte di dolore, rabbia, disperazione, ma soprattutto meraviglioso e ricco di incontri, di volti, di luoghi, di profumi, di sapori, di rinnovate epifanie. È una dichiarazione di amore verso la vita, un appello dedicato a quanti non colgono la bellezza del qui e ora.L’appuntamento è a ingresso libero e vede la collaborazione della Biblioteca Civica “Francesca Calvo” e il patrocinio della Città di Alessandria. Per informazioni è possibile inviare una e-mail a comunicazione@ospedale.al.it.
Valle d’Etna, vorrei fra’ tuoi vigneti Signoreggiare una casetta bianca, E col fantasma de’ miei sogni lieti Là riposarmi vecchierella stanca;
Fra quercie annose e giganteschi abeti, Calcando il monte, che la neve imbianca, Allor quei dolci mormorar secreti Non detti nell’età che presto, ahi! manca.
Ciccuzza, ancella dalla carne bruna, Dall’ampio sguardo, dalle membra svelte, Compagna ne saria della fortuna;
E sorridenti con la fresca aurora, Dai mondani fastidii alme divelte, La giovinezza sogneremmo ancora.
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Rosa felice
Ieri, del vespro nelle placid’ore, Tornando a casa per la via men corta, Una rosa di pallido colore Lasciai cadere sulla vostra porta.
Sembrovvi forse quell’amico fiore, Fiore che a caso il vento folle porta? Oppur vi disse, col soave odore, Come a voi penso, benchè a voi sia morta?
Forse, chi sa? quella beltà che olezza Lambendovi la faccia lieve lieve, Del vostro labbro sentì la carezza!
Rosa felice! la tua vita breve Quanta gioia gustò, quanta dolcezza! E fiel soltanto la mia, lunga, beve!
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Fumando una sigaretta
O dolce sigaretta orïentale, Come la vita in aere te ne vai, Come l’amore dal potente strale, Come il ricordo d’ogni idea che amai.
Delle nuvole tue l’onda spirale Ove corra, dimando, e tu nol sai! Tale alla gioia che mi torce l’ale, Chiedo e richiedo invano: «Oh tornerai?»
Mollemente distesa, ebbra di fumo, In peregrina visïon raccolta, Due occhi miro tra ’l caldo profumo:
Senza riso vêr me, senza carezze, Il freddissimo lor guardo si volta…. Perchè vi leggo un mar di strane ebbrezze?
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E voi passate…
Spazza le nubi sotto il ciel sereno, Spazza le strade il gelido aquilone, E di vedervi pochi istanti almeno Un desiderio dentro il cor mi pone.
Dalla candida brina arso il terreno Stride all’urto del piè che il sottopone; Di pellicce m’avvolgo omeri e seno, E a dispetto del freddo apro il verone.
Ivi passeggio, leonessa in gabbia, Posa mai non trovando, impazïente, Finchè di là passar veduto io v’abbia.
E voi passate altero, indifferente, Senza batter palpèbra o muover labbia, E voi passate, e non vedete niente!
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Bionda chimera
Un profumo di morti e di cipressi Pel gelid’aere a me d’intorno vola; Varco un’orrida selva: oh tu sapessi Quanta è miseria nel sentirsi sola!
Oh tu sapessi, nei cupi recessi, Come, argentata dalla tua parola, La visïone di gaudî inaccessi Il pensier m’accarezza e mi consola!
Bionda chimera con la rosea fronte, Con pupille di sole e ciglia d’oro, M’arride nell’opal dell’orizzonte!
Nel sol levante e nell’occidua luna Con tutti i moti del mio cor l’adoro…. E lontana adorarla è mia fortuna!
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Estate fiorentina
Pungono l’Arno come spilli d’oro Nell’alta notte, gli schierati lumi, E corre pel quïeto aere un tesoro Di fulgidi riflessi e di profumi.
Dall’acque ascende, in murmure sonoro, La sempiterna melodia de’ fiumi, Molli aure bevo e a placido ristoro Par che m’invitin delle linfe i numi.
Ed io disdegno la tranquilla sera, Chè nel desio fantastico mi romba, Eco invocata, l’invernal bufera
E il frastuon di gennaio: afosa tomba M’è l’estiva cittade, e grave e nera La sonnolenza sua nel cor mi piomba.
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A L.B.
Nel paese vai tu, dove fioriscono Con gli aranci le rose, Dove cresce l’ulivo e al sol biondeggiano Le mèssi rigogliose?
Nel paese vai tu, dove più teneri Le fanciulle hanno sguardi, Ove il sangue fluisce al cor caldissimo Con battiti gagliardi?
Nel paese vai tu, dove riposano, Non mai dimenticati, Vecchi e giovani eroi sotto le cupole E i campi inseminati?
Nel paese vai tu, dove son gli odii Feroci e le vendette, Ove, derisa sull’altar, non frangesi La fè che si promette?
In quel paese vai? Per me salutalo, Digli che l’amo anch’io, O innocente fanciulla, soavissimo Fior del paese mio.
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In ferrovia
La vaporiera a volo Mi spinge sulla via lontana e rapida; Io passo; immoto e solo Star veggio un uom sul polveroso tramite.
Ei posa, io fuggo: assai Il suo destino appar dal mio dissimile: Più non lo veggo! ormai Più non c’incontreremo al nostro secolo!
Ma che? Sì varia sorte Noi forse abbiamo? È la comun miseria Fine a entrambi e la morte: Fermo ei le aspetta, io verso lor precipito.
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Celeste
Tutto m’è caro che ricorda il cielo, Dell’innocenza mia primo sospiro, Il mar che lo riflette senza velo E l’occhio colorato di zaffiro;
Il monumento di turchino gelo, Cui, sovr’alpestre culmine, m’inspiro, Il fiore azzurro che, su tenue stelo, «Pensate,» dice, «a me che vi desiro;»
Il liber estro d’un augel volante, Della farfalla l’aleggiar tra’ fiori, L’anima piccioletta d’un infante.
Ma la pietà, che, singhiozzando, accorda All’uman pentimento i suoi tesori, Il cielo, sovra tutto, a me ricorda.
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Io sarò polve
Io sarò polve – e parleranno ancora Dell’amor mio questi pietosi lai, Amor modesto, che soffrendo adora, E il suo mistero non ti disse mai.
Oh forse in quella lontanissim’ora Ti si rivelerà come t’amai, E in ogni verso, che la rima infiora, Una lacrima mia raccoglierai.
Allor, dinanzi alla volgare prosa, T’alletti l’aura del mio sentimento, Come profumo di serbata rosa.
Stille, nel sonno, io liberò di miele, E questi fogli, ch’ora gitto al vento, La morte meno mi faran crudele.
( da Nuove Poesie, Firenze, Le Monnier, 1885)
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Maria Paternò Castello di Carcaci nacque a Catania nel 1840 ( nel 1845 o nel 1847, secondo alcune fonti).
Restò orfana di entrambi i genitori in tenera età e fu educata a Palermo da una zia, dimostrando fin da giovanissima una grande intelligenza e una spiccata propensione per la poesia. I suoi primi versi apparvero sulla rivista fiorentina “Letture di famiglia”: la poetessa, allora quindicenne, si cimentava in uno stile ancora scolastico e di maniera, rivelando già, comunque, un precoce talento.
Era dotata di uno spirito indipendente e ribelle che mal si adattava alle convenzioni del suo tempo; era, soprattutto, estremamente curiosa di tutto ciò che poteva arricchirla intellettualmente.
Per questo, non appena fu maggiorenne, Maria manifestò la ferma volontà di emanciparsi e cominciò a viaggiare per l’Europa, frequentando gli ambienti più stimolanti dal punto di vista artistico e culturale. A Ginevra divenne allieva del filosofo materialista Carl Vogt (1817-1895) le cui teorie, in radicale antitesi con le dottrine spiritualistiche dell’epoca, consideravano il pensiero in senso fisico e meccanicistico, riducendolo ad un mero processo biologico.
Ma fu la città di Firenze a segnare maggiormente il destino di Maria: durante la sua permanenza nella città toscana, infatti, la nobildonna pubblicò vari scritti (“Poesie”, “Rosalinda”, “Idillio fantastico”, “Spigolature”, “Note Tragiche”) che furono accolti molto favorevolmente e le diedero una discreta notorietà. A Firenze, inoltre, Maria conobbe il marchese Antonio Ricci Riccardi, diplomatico e scrittore, che sposò nel 1870.
Il matrimonio durò felicemente per cinque anni, prima che la coppia entrasse in crisi a causa di alcune gravi incomprensioni; alla fine, riconosciuta l’impossibilità di sanare i loro contrasti, i due decisero di separarsi.
Affranta per il fallimento del suo matrimonio, Maria si gettò anima e corpo nella scrittura, componendo poesie di rara intensità che furono poi, insieme ai suoi precedenti scritti, raccolte in un unico volume intitolato “Nuove Poesie” ed edito da Le Monnier.
L’eccezionale profondità dei versi, nei quali vibravano sentimenti vivi e autentici, decretò per l’opera un grande successo di pubblico e critica, raccogliendo recensioni molto positive su alcune delle più autorevoli riviste letterarie. Un articolo uscito su “La Libertà” del 4 luglio 1885 definì le Nuove Poesie “un libro che fa onore al sesso femminile.” La raccolta riscosse consensi anche all’estero, tanto che Heise ne pubblicò una traduzione in tedesco.
Successivamente, la poetessa pubblicò i sonetti Fogliuzze erranti (1886) e A Vallombrosa (1895). Morì a Firenze l’11 giugno del 1923.
Esponente del tardo Romanticismo, la Ricci propose una poesia incentrata soprattutto sulle tematiche dell’amore infelice, della disillusione, delle falsità svelate, degli affetti familiari vissuti in una dimensione struggente e sofferta; frequenti nelle sue poesie sono le ambientazioni mondane e salottiere che, almeno per un certo periodo della sua vita, dovettero costituire la sua quotidianità.
Mostra Gianni Baretta, 13 maggio 2023_Arquata Scrivia
Si segnala un importante appuntamento culturale promosso dal Comune di Arquata Scrivia : sabato 13 maggio alle ore 17:00 si terrà l’inaugurazione della Mostra “Acqueforti, invenzioni fantasia e ricerca” che vuole celebrare l’artista Gianni Baretta attraverso alcune tra le più significative opere che rimarranno esposte fino al 13 giugno prossimo nell’Atrio del Municipio. La rassegna è frutto della collaborazione con l’Associazione “Il Triangolo Nero” di Alessandria.
Dopo la mostra della tarda primavera 2022 dedicata all’opera grafica di Pietro Villa, un altro incisore alessandrino, Gianni Baretta, peraltro suo grande amico, è protagonista in questo maggio 2023 con una rassegna di acqueforti che si pone come una ragionata e scelta silloge delle sue ultime esperienze di lavoro con i variegati e raffinati mezzi che appartengono a chi pratica questa non facile arte. L’attività di Baretta come artista-incisore è nata già dal lontano 1980, proprio su sollecitazione dell’amico Villa, a tutt’oggi, ha prodotto un numero altissimo di matrici superando ormai le 1100 lastre portate a morsura con numerose tecniche. Baretta riesce a trarre una infinita varietà di immagini che sgorgano dalla sua felice e fluida fantasia che spazia dai temi suggeriti dalla amata geometria come dalla mai esausta ricerca sul segno, attraverso la musica, la poesia, la storia dell’arte, discipline queste filtrate e rivisitate da acuti giochi linguistici testimoniate dai titoli delle sue opere.Grande la soddisfazione del Sindaco Alberto Basso e del Vicesindaco e Assessore alla Cultura Nicoletta Cucinella, felici di proseguire la collaborazione con il Triangolo Nero con cui condividono l’obiettivo di promuovere il più possibile la conoscenza dell’arte. Gli amministratori invitano quindi a visitare l’esposizione per scoprire il talento del linguaggio creativo di Gianni Baretta, semplice e delicato, come la sua indole, ma assolutamente non scontato.
Dopo il successo del nostro Gala d’inverno 22, del Concerto di Calogero Palermo con il Quartetto EOS e del prestigioso concerto dell’Orchestra del Carlo Felice, il 22 Aprile scorso, siamo felici di annunciare un nuovo importante appuntamento del nostro Festival.
Il 20 maggio è infatti in programma il
GALA DELLE ROSE
Preludio d’estate
Al termine della serata sarà offerta una rosa a tutte le signore presenti
Il concerto, che sarà diretto dal Maestro Maurizio Billi,
frutto della collaborazione fra l’Associazione Novi Musica e Cultura e l’Associazione Karkadè, gode del Patrocinio del Comune di Novi Ligure e dell’Ambasciata di Spagna, che in data 29 marzo ha comunicato la concessione del patrocinio morale al Novi Musica Festival e all’annesso Concorso internazionale di composizione, dimostrando pertanto di apprezzare la qualità artistica della manifestazione e la serietà dell’Associazione, fondata nel 2019 da Renzo Piccinini (Presidente), Gianni Calesini (Vice Presidente), Antonio Donà (Segretario), Patrizia Orsini (Direttore Organizzativo), Claudio Dellacà, Chiara Donà e Veronica Ferrando.
Direttore Artistico Maurizio Billi
L’Associazione, che pone particolare attenzione alla massima accessibilità a tutti i suoi eventi, ha aderito all’Agenda della disabilità
Fb Associazione Novi Musica e cultura
CONTRIBUTO MINIMO DI INGRESSO
Intero € 30,00
Ridotto Friend dell’Associazione e Under 12 € 20,00
Prelazione dei posti per i Friends dell’Associazione Novi Musica e Cultura
GLI ARTISTI
In foto Gala 2022
MAURIZIO BILLI
Direttore artistico del Festival e direttore dell’esecuzione
È nato a Roma nel 1964. Ha compiuto gli studi musicali presso il Conservatorio di Musica di Santa Cecilia di Roma diplomandosi in Composizione (sotto la guida di Teresa Procaccini), Musica corale e Direzione di coro, Strumentazione per Banda e Clarinetto. Allievo di Bruno Aprea e Nicola Samale, si è diplomato in Direzione d’Orchestra col massimo dei voti. Ha conseguito il Diploma di perfezionamento per la Composizione all’Accademia Nazionale di Santa Cecilia con Franco Donatoni. Laureato con lode in Lettere all’Università “La Sapienza” di Roma, con una tesi su “La produzione sinfonico-corale di Goffredo Petrassi” (relatore Franco Donatoni), pubblicata presso la Sellerio e che ha ottenuto nel 2004 il “Premio Mario Soldati per il giornalismo e la critica”, collabora con alcune riviste musicali.
La sua attività di compositore gli ha valso numerosi premi e riconoscimenti in ambito nazionale ed internazionale fra cui , per ben due volte, l‘ambito premio “Personalità Europea“ (anno 2000 e 2010). I suoi lavori, pubblicati ed incisi per la Edipan, Sonzogno, Berben, Fonè, Quadrivium, Pentaphon, Autostop Music Edizioni, Rugginenti sono stati eseguiti con successo in Italia e all’estero, trasmessi e radiodiffusi dalla Rai (Radiotelevisione Italiana). Membro della WEMA (Wind European Music Association), ha tenuto il Corso di perfezionamento in “Composizione e Direzione per Banda” presso l’Accademia Musicale Umbra. E’sovente invitato in Giurie di numerosi concorsi nazionali ed internazionali di esecuzione e composizione musicale. Nel 2004 gli è stato conferito dall’Accademia della Musica Valençiana, il prestigioso titolo di Accademico Corrispondente. E’ stato docente di Analisi Musicale per il Corso Superiore presso il Conservatorio di Musica di Teramo, di Direzione e prassi strumentale per Orchestra di Fiati per il biennio Superiore presso i Conservatori di Musica Santa Cecilia di Roma e “Nino Rota” di Monopoli (Bari). Si è esibito nei più importanti teatri in Italia (fra cui il Carlo Felice di Genova, il Massimo di Palermo, il San Carlo di Napoli, il Comunale di Firenze) e all’estero (Stati Uniti, Messico, Israele, Norvegia, Turchia, Malta, Germania, Austria). Ha diretto orchestre prestigiose quali l’Orche stra Sinfonica Nazionale della Rai, l’Orchestra del Teatro Carlo Felice, l’Orchestra Giuseppe Verdi di Milano, la Filarmonica ‘900 del Teatro Regio di Torino, la Filarmonica di Torino, i Berliner Symphoniker ed ensembles di musica contemporanea. Interessato alla musica sinfonico-corale, ha realizzato numerose produzioni con complessi artistici delle principali fondazioni lirico-sinfoniche italiane, tra cui quelle dell’Accademia di Santa Cecilia e del Teatro dell’Opera di Roma; del Teatro Comunale di Firenze, del Teatro Regio di Torino e di Parma, del Teatro Massimo di Palermo collaborando con artisti di fama internazionale come Leon Bates, Mariella Devia, Vincenzo La Scola, Stefano Bollani e altri. Impegnato in una intensa attività di promozione e diffusione della musica originale per fiati contemporanea e del Novecento è dal 1992 Direttore della Banda Musicale della Polizia di Stato, considerata tra le migliori Orchestre di Fiati a livello Internazionale, con la quale ha eseguito, in Italia e all’estero, più di cinquecento concerti. Dal 2002 al 2019 è stato Direttore Artistico del Festival Marenco e dell’omonimo Concorso Internazionale di Composizione, manifestazioni volute dall’Amministrazione Comunale di Novi Ligure per ricordare il compositore novese Romualdo Marenco, Maurizio Billi si è particolarmente distinto, in Italia e all’estero, quale musicista, compositore e direttore d’orchestra di indiscusso valore. Di particolare rilievo la Sua partecipazione ad eventi di livello internazionale quali il Ravello Festival e la Stagione Sinfonica del Teatro Carlo Felice di Genova. Dal 2020 è Direttore artistico del NOVI MUSICA FESTIVAL con ANNESSO CONCORSO DI COMPOSIZIONE, progetto realizzato per la prima volta nel 2020 dall’Associazione Novi Musica e Cultura, in collaborazione con l’Associazione Karkadè.
ENSEMBLE CAMERISTI CROMATICI
L’Ensemble Cameristi Cromatici, nasce nel Settembre del 2017 dall’amicizia dei due maestri Carlo Romano (Primo Oboe della RAI di Torino) e Roberto Bacchini (organista e compositore) con l’idea di affrontare un repertorio che parte dal periodo barocco fino ad arrivare ai nostri giorni senza escludere le magnifiche Colonne Sonore da films che Roberto Bacchini ha trascritto e arrangiato appositamente per Carlo Romano che da sempre è anche il primo Oboe dell’Orchestra di Ennio Morricone. L’espressività della violoncellista Ruta Tamutyte e del violinista Constantin Beschieru (primo violino) arricchiscono l’Ensemble con le loro sonorità timbriche capaci di far vibrare l’anima di chi ascolta. I Cameristi Cromatici pongono molta attenzione alla loro formazione, essi infatti sfruttano le potenzialità degli strumenti ad arco al suono contrapposto dell’oboe che ricrea quelle sonorità suggestive che guidano l’ascoltatore attraverso il corso della storia della musica. I Cameristi Cromatici hanno fatto concerti in tutta Italia e all’estero passando attraverso i Festival Musicali più importanti. L’Ensemble, che è formato in gran parte da musicisti dell’O.S.N. Rai, si presenta, nel Galà d’inverno, con una formazione da camera, diretti dal Maestro Maurizio Billi.
FEDERICO MONDELCI
Federico Mondelci è da oltre trent’anni uno dei più apprezzati interpreti della scena internazionale.
La sua carriera, iniziata dopo gli studi a Pesaro e a Bordeaux, lo ha portato anche a fianco di prestigiose orchestre (Scala, Filarmonica di San Pietroburgo, BBC Philharmonic ecc.) in tutto il mondo, dove propone sia le pagine ‘storiche’ per il suo strumento che il repertorio contemporaneo, ambito nel quale esegue brani spesso a lui dedicati, di grandi autori del Novecento (da Nono a Kancheli, da Glass a Sciarrino, da Gentilucci a Fitkin). Fondatore dell’Italian Saxophone Quartet e dell’Italian Saxophone Orchestra, coi quali gira il mondo da oltre vent’anni, ha registrato per Delos, Chandos, RCA e INA i più importanti brani solistici, con orchestra e per ensemble. Sempre più rilevante è l’attività di direttore con orchestre e solisti di fama mondiale: tra i numerosi impegni per le prossime Stagioni ricordiamo, in Italia, il Festival delle Dolomiti e il Festival delle Nazioni e gli appuntamenti con le orchestre Toscanini, Tito Schipa, Sinfonica Siciliana e di Sanremo e all’estero quelli con la Bangkok Symphony, la National Symphony Orchestra of Georgia e la Sinfonica di San Pietroburgo, dove è dal 2009 ospite regolare nella stagione diretta da Yuri Temirkanov.
Nato a Chisinau nella Repubblica Moldova inizia lo studio del violino all’età di sei anni presso la scuola di musica “C. Porumbescu” della capitale; durante il ciclo di studi musicali partecipa a diversi master classe e concorsi in Moldavia, Romania, Russia, Germania, USA .
Dopo l’eccellente Diploma moldavo consegue il Diploma in Violino (2004) e il Diploma Accademico di II livello in Violino (2008) presso il Conservatorio di musica “B. Marcello” di
Venezia con il M° M. Valmarana.
E’ vincitore di diversi concorsi nazionali ed internazionali.
Ha ricoperto il ruolo di spalla dei violini primi nell’orchestra Mitteleuropa FVG, nell’orchestra “S. Marco” di Pordenone e nell’orchestra regionale Filarmonia Veneta “G. F. Malipiero”, di concertino dei violini primi nell’orchestra I Virtuosi Italiani;
In qualità di solista si esibisce con l’Orchestra I Virtuosi di Venezia, L’orchestra del Gran Teatro la Fenice e I Virtuosi Italiani, Orchestra Sinfonica di Udine.
Attualmente ricopre stabilmente il ruolo di violino di fila presso l’Orchestra Sinfonica Nazionale della Rai.
CARLO ROMANO
già primo oboe solista dell’Orchestra Sinfonica della Rai
Nato a Roma, è entrato nel Conservatorio “S. Cecilia” della sua città conseguendo gli studi musicali studiando pianoforte, armonia e diplomandosi in Oboe con il massimo dei voti nella prestigiosa scuola di Giuseppe Tomassini. Vincitore di più concorsi, si è subito affermato sia come solista che come I° oboe, collaborando con prestigiose orchestre italiane e straniere. Dal 1977 ha iniziato stabilmente l’attività di I Oboe, prima nell’ Orchestra del Teatro “Carlo Felice” di Genova ed in seguito, nel 1978, come vincitore del concorso di I Oboe Solista, nell’ Orchestra Sinfonica di Roma della RAI.
Ha occupato, per 42 anni, lo stesso ruolo presso l’ Orchestra Sinfonica Nazionale della RAI, dopo l’unificazione dei complessi nel 1994 a Torino. Ha svolto e svolge un’intensa attività solistica e cameristica con prestigiosi solisti e complessi di fama internazionale in Italia ed all’estero riscuotendo ovunque unanimi consensi di pubblico e di critica, tanto da essere considerato tra i maggiori oboisti italiani.
Nel 2007 gli è stato conferito un prestigioso premio alla carriera di Oboista dall’Associazione Musicale Internazionale “G.Verdi” di Sabaudia (LT) e nel 2018 ha ricevuto il premio alla carriera dall’Associazione Rossini di Pietrarubbia (PU) e il premio “Matino città della musica” (LE).
Oltre all’attività concertistica si dedica anche alla didattica. Si è dedicato inoltre alla realizzazione di colonne sonore, firmate da compositori di fama mondiale. Ha colloborato per oltre 45 anni con Ennio Morricone, registrando gran parte della sua musica da film e da camera, tenendo inoltre concerti in tutto il mondo. Partecipa regolarmente come membro tecnico del suo strumento e di musica da camera, nelle giurie di concorsi nazionali ed internazionali
Roberto Brignolo con opere degli allievi del Parodi di Acqui e dell’Alfieri e Penna di Asti
“Ritratti di uno qualunque” al Salone del Libro di Torino
“Ritratti di uno qualunque”, raccolta di racconti a vocazione impressionista, scritti da Roberto Brignolo ed illustrati dalle immagini dei quadri di artisti affermati o giovani talenti dei Licei Artistici Parodi di Acqui Terme e Alfieri e Perna di Asti, sarà presentato al Salone del Libro di Torino lunedì 22 maggio (ore 15:30-16:30 Sala Bronzo, PAD 2).
Brignolo, già docente dell’istituto G. Penna di Asti, si avvarrà dei contributi di Renato Parisio, dirigente scolastico del Penna, e Giorgio Boccassi della compagnia teatrale “Coltelleria Einstein” di Alessandria.
“Sono onorato di essere ospite del Salone del Libro di Torino per la presentazione del volume edito da Gallo Vercelli editore. Il progetto, che in qualche modo vede la fusione di poesia, pittura e teatro, è nato dal desiderio di applicare la rivoluzionaria tecnica pittorica dell’impressionismo e post-impressionismo al testo scritto. Una sorta di delirio dove colori toni e parole si scambiano i ruoli e presiedono alla creazione di arti figurative o letterarie seguendo una stessa sintassi”.
Opere d’arte di pittori impressionisti e postimpressionisti hanno ispirato Brignolo i cui poemetti sono stati a loro volta di stimolo per gli studenti. Alla visione di lavori degli allievi acquesi e astigiani, che hanno illustrato i poemetti, si affiancherà la registrazione di un adattamento teatrale di questi ultimi ad opera di Giorgio Boccassi. In questo modo i poemetti, divenuti immagini attraverso l’arte degli studenti, si animano nella loro drammatizzazione.
Nel volume, edito da Gallo Vercelli editore, si alternano le opere artistiche ispiratrici degli artisti affermati e quelle ispirate dei giovani talenti, e si mescolano con la poesia che ne trae origine o le alimenta, in un contesto di contaminazione in cui l’illustrazione libera dei poemetti per mano degli studenti ne mostra l’eccellenza nelle competenze pittoriche acquisite.
Erikson, psicoanalista infantile e autore della Teoria psicosociale dello sviluppo, sostiene che la vecchiaia, sia il momento dell’incontro di «dimensioni psicologiche quali integrità e disperazione».
Una fase in cui si rivedono le decisioni prese nel corso della propria esistenza, alla luce di nuove informazioni, e si cerca di dare una spiegazione, una giustificazione, un senso, a quello che si è fatto e a quello a cui si è rinunciato.
In questo particolare momento della vita può affiorare anche la consapevolezza di non aver più bisogno (se in passato lo si è avuto) di approvazioni o riconoscimenti, sostituiti da una matura coscienza di aver ormai conseguito stili esistenziali propri che possono o meno incontrare l’approvazione degli altri (da qui la difficoltà di far cambiare idea a qualcuno avanti negli anni).
Tra le gli aspetti della vita che vengono presi in considerazione vi sono anche la sfera affettiva e amorosa che può intraprendere due vie:
quella triste, rispetto a un’esperienza persa (nel caso della vedovanza) o mai avuta, nel caso in cui si fosse deciso o non si fosse potuto, negli anni addietro, costruire legami
quella saggia che permette di accettare il tempo trascorso e recuperare nella vecchiaia ciò che non si è avuto prima
L’amore o le relazioni affettive vengono vissute, a seconda del cammino intrapreso in modo conflittuale o maturo poiché, sempre secondo Erikson, «l’adolescenza come la vecchiaia sono stadi complessi.»
La ricerca dell’altro e il consolidamento di un rapporto consentono di vivere in modo pieno e sano un periodo importante della propria vita.
Secondo Harfield e Traupmann i partner devono sentire e ricevere dalla relazione tanto quanto danno (1986) per questo anche nella tarda età le relazioni durano solamente se nella coppia ci sono regole. Anche il riconoscere il proprio bisogno di avere accanto qualcuno da amare e che ci faccia sentire amato, può essere una regola che fa da collante al rapporto.
Secondo uno studio dell’università svedese di Göteborg, che ha messo a confronto la terza età degli anni Settanta con quella di oggi, le ultrasessantenni a differenza delle loro mamme e nonne, continuano ad avere una vita sessuale attiva, divorziano, escono la sera e sono mediamente in buona salute. In una parola, si godono la vita.
Per Francesco Alberoni: «Noi tendiamo a innamorarci quando siamo pronti a cambiare». E il cambiamento, è una prerogativa dalla giovinezza.
Certamente il rischio di innamorarsi delle persone sbagliate esiste, esattamente come esisteva quando avevamo 20 anni. L’amore, a qualunque età si provi, rende fragili e forti, saggi e stupidi.
Tornando a Erikson gli anziani cercano di dare un senso alla loro esistenza quella attuale e quella che ormai vedono in prospettiva passata e futura e la scelta di abbracciare e rischiare un amore tardivo è la dote di chi, non essendo philofobico (paura di innamorarsi) non vede nell’unione con l’altro una minaccia al suo Sé.
Non vi è quindi nulla di ridicolo in un novantenne innamorato, ciò che egli ci mostra è la maturità di un uomo che ha deciso di continuare a dare un senso alla propria esistenza.
Dott.ssa Maria Angela Ciceri
Psicologa Clinica
Libera professionista nel contesto peritale giuridico e forense
Sono psicologa clinica e forense. Come clinica mi occupo di consulenza e supporto psicologico sia individuale che di coppia, di psicodiagnostica, di sostegno alla genitorialità, di psico-geriatria, di orientamento scolastico e professionale. Come libera professionista in ambito giuridico e forense il mio ruolo è quello di consulente nella valutazione del danno psichico dovuto ad eventi traumatici, di valutazione delle competenze genitoriali in caso di separazione e divorzio, di mediazione familiare. Conduco inoltre laboratori di comunicazione, psicologia sociale, uso della scrittura come strumento di consapevolezza e problem solving, al fine di facilitare il superamento di criticità emotive.
C’era una volta un ragazzo di nome Luca che viveva in una piccola città di campagna. Luca era un ragazzo solitario e timido, spesso trovava conforto nei libri e nei giochi da tavolo, piuttosto che nelle attività all’aperto o socializzare con i suoi compagni di classe.
Un giorno, mentre passeggiava nel parco della città, Luca incontrò un vecchio signore che stava seduto su una panchina. Il signore aveva una strana borsa al suo fianco e sembrava che stesse aspettando qualcuno.
Luca, incuriosito, si avvicinò al signore per chiedere se avesse bisogno di aiuto. Il signore, gentilmente, rispose di sì e chiese a Luca se potesse fare un favore per lui. Il signore aveva bisogno di consegnare la borsa ad una persona che aspettava all’altro capo del parco, ma il signore non poteva camminare molto lontano a causa del suo avanzato stato di salute.
Luca si offrì volontario per consegnare la borsa a nome del signore e, così facendo, ebbe modo di incontrare la persona a cui la borsa era destinata. Si trattava di una ragazza della sua età, di nome Sofia, che era nuova nella città.
Luca e Sofia iniziarono a parlare e si resero conto di avere molte cose in comune. Entrambi erano appassionati di lettura e di giochi da tavolo. Presto divennero amici e cominciarono a trascorrere molto tempo insieme, esplorando i dintorni della città e scoprendo nuovi luoghi.
Con il passare del tempo, Luca diventò sempre più socievole e fiducioso in se stesso, grazie alla compagnia della sua nuova amica. Ogni volta che incontrava il signore anziano nel parco, lo salutava e gli dava il resoconto delle avventure della giornata.
Un giorno, tuttavia, il signore anziano non era più nella panchina nel parco. Luca era preoccupato e chiese in giro per sapere dove fosse andato. Venne a sapere che il signore era deceduto poche settimane prima. Luca ne fu molto triste, ma si rese conto che il signore aveva lasciato una grande eredità a lui e Sofia: l’eredità dell’amicizia e della gentilezza.
Luca e Sofia continuarono ad avere molte avventure insieme, ma ora quelle avventure erano strutturate a partire dai consigli e dalle parole di saggezza che il signore anziano aveva lasciato. Grazie alla guida dell’anziano signore, Luca trovò il coraggio di fare nuovi amici e di sperimentare cose nuove.
E così, in un parco della piccola città di Luca, nacquero delle grandi amicizie, tutto grazie alla bontà di un anziano signore che aveva regalato il suo tempo, la sua gentilezza e la sua esperienza ad alcuni ragazzi solitari.