Racconti. Storia: L’educazione a Sparta, di Cinzia Perrone

L’educazione a Sparta

Nella società spartana l’individuo non aveva alcuna importanza, ma esisteva soltanto in funzione dello Stato, che poteva disporne dalla nascita fino alla morte. I genitori dovevano portare i propri figli in un luogo chiamato tesche, dove gli anziani esaminavano il bambino: se lo vedevano sano e robusto, predisponevano per il suo allevamento; se invece lo trovavano gracile e malfatto, ordinavano che fosse gettato in una voragine del monte Taigeto, detta Apotete, nella convinzione che fosse svantaggioso per tutti far vivere una persona deforme o malaticcia. Fino all’età di sette anni i bambini vivevano con la famiglia, poi entravano in scuole dirette da maestri scelti dallo Stato. Venivano assegnati in “compagnie”, comunità educative istituzionalizzate, il cui capo diveniva il più forte e il più saggio, cui tutti gli altri dovevano obbedienza completa, abituandoli in tal modo alla disciplina e all’obbedienza. I ragazzi apprendevano a leggere e a scrivere solo lo stretto necessario, poiché lo scopo dell’educazione era soprattutto irrobustirne il corpo, allenarli a sopportare la fame e il dolore, abituare dunque il futuro soldato all’obbedienza e alla lotta. Predominavano perciò esercizi ginnici, marce e una severa disciplina in ogni momento della vita. L’iniziazione avveniva in età adulta con la cosiddetta krypteia, ossia un periodo di allontanamento totale dal gruppo di formazione durante il quale i giovani spartiati dovevano vivere da soli privi di qualsiasi mezzo o equipaggiamento, sopravvivendo all’aperto in zone per lo più selvagge procurandosi il necessario. Anche le ragazze ricevevano un’educazione assai rude, e molta parte del loro tempo era destinata agli esercizi ginnici. La loro sola funzione nella società era comunque quella di generare futuri guerrieri.

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