Occhi che allungano il tiro
nel plagio incensurato del tempo
giudice sommario di meditate condotte.
Si infrangono ciottoli d’abbandoni e ritorni
nell’odore del buio
ove tutto tace al di fuori d’una goccia costante
inabile cadere nella sua pochezza.
Eppure diviene trepidante traguardo
nel bello indimenticabile
ormeggiante dentro
apice di sentimento e pelle
vividi tra fessure d’ombra
che aggirino candele consumate….
@Silvia De Angelis
“In viaggio con Erodoto” ci è andato per davvero il polacco Ryszard Kapuscinski, autore del libro omonimo, quando negli anni ’50 del secolo scorso fu inviato prima in India e poi in Cina per scrivere un reportage giornalistico su quei Paesi allora ancora avvolti dal mistero.
Di fronte a tanti disagi, sorprese e difficoltà interpretative di culture, lingue e mondi così diversi dal suo, Kapuscinski trovò conforto e ispirazione – per l’appunto – nell’unico libro che si era portato appresso: le “Storie” di Erodoto, viaggiatore attento ed appassionato che, in anticipo di quasi due millenni e mezzo su di lui, aveva a sua volta esplorato Paesi distanti e sconosciuti quali l’Egitto, la Libia e la Persia, meticolosamente appuntando tutto ciò che vedeva o gli veniva raccontato.
Seppure in modo inconsapevole però, “in viaggio con Erodoto” ci andiamo anche noi appassionati di storia, quando ci immergiamo nella lettura di qualche bella biografia o di un saggio che ci parla dei grandi del passato, delle loro imprese e dei loro mondi.
Infatti Erodoto di Alicarnasso, secondo la definizione che ne diede Cicerone, della storia fu il “Padre”, tanto da aver usato per primo questo termine nella sua accezione etimologica.
Il sostantivo greco “ιστορία” (in latino “historia”), che ha la stessa radice del verbo “ὁράω” (vedere), si può tradurre in italiano come “ricerca”, il risultato cioè di un “andare a vedere, informarsi”, come l’etimo stesso della parola suggerisce.
Nato fra il 490 e il 480 a.C. ad Alicarnasso, città-stato greca sulla costa sud occidentale della Carnia, regione dell’odierna Turchia anatolica, Erodoto fu contemporaneo del sofista Protagora e del poeta tragico Sofocle.
Costretto a fuggire dalla sua città natale per essersi schierato contro il tiranno locale Ligdami, si trasferì dapprima sull’isola di Samo per poi dedicarsi ai viaggi durante i quali lui, uomo curioso e tollerante, iniziò ad annotare tutto ciò che vedeva ed udiva, diventando un reporter ante litteram.
Frutto di questo lavoro furono le “Storie”, suddivise dai filologi alessandrini in 9 libri, ognuno dei quali avente una tematica specifica: il primo, per esempio, è dedicato alla Lidia e alle immense ricchezze del suo re Creso, il secondo all’Egitto, mentre gli ultimi narrano i vari episodi delle guerre fra Greci e Persiani, fra cui uno spazio importante occupa la drammatica ricostruzione della battaglie delle Termopili, Maratona e Salamina.
Col suo bel greco ionico, Erodoto ci prende per mano, accompagnandoci in un’epopea fatta di grandi condottieri ed eroi, ma anche traditori e pusillanimi, e questo affinché, come da lui stesso affermato nel Proemio della sua opera, “le imprese degli uomini col tempo non siano dimenticate, né le grandi e meravigliose gesta così dei Greci, come dei Barbari rimangano senza gloria”.
Giusto precisare che il termine “barbari”, usato da lui, non aveva nessuna accezione negativa, ma indicava soltanto coloro che, agli orecchi dei greci, parlavano una lingua incomprensibile, un indecifrabile “bar-bar”.
Come ogni storico che si rispetti Erodoto, dopo averci fatto accomodare in prima fila, ci invita ad assistere all’esposizione delle sue ricerche (ἱστορίης ἀπόδεξις) obiettive e documentate, lasciando a noi però il compito di valutarle per formarci la nostra personale opinione.
Chiedo loro di prendere una poesia e di tenerla in alto controluce come una diapositiva a colori o di premere un orecchio sul suo alveare. Dico loro di gettare un topo in una poesia e osservarlo mentre cerca di uscire, o di entrare nella stanza della poesia e cercare a tentoni l’interruttore sul muro. Voglio che facciano sci d’acqua sulla superficie di una poesia e salutino con la mano il nome dell’autore sulla spiaggia. Ma la sola cosa che loro vogliono fare è legarla con una corda a una sedia e torturarla finché non confessi. La picchiano con un tubo di gomma per scoprire che cosa davvero vuol dire.
La metropoli, chiamata Roma, è diventata, ormai, una megalopoli invivibile.
Le periferie, espanse in modo esagerato, con costruzioni infinite, e pochissime strade di collegamento al centro, creano un disagio notevole allo scorrimento del traffico cittadino.
E’ quasi impossibile, riuscire a raggiungere la metropolitana, perché il parcheggio vicino è già colmo di autovetture alle sette del mattino ed i mezzi pubblici, ridotti, passano ad una frequenza diradata.
Morale della favola, si è costretti a fare “vita di quartiere” senza allontanarsi troppo dall’abitazione, altrimenti si correrebbe il rischio di rimanere “imbottigliati”
in qualche zona della città, rincasando ad ore impensabili.
E’ diventata impresa quasi impossibile recarsi in centro, viste le difficoltà suddette. Ci si rifugia, invece, “nei grandi contenitori”, detti centri commerciali, che ormai sono come delle piccole città, in cui si trova di tutto e di più.
Questa situazione è del tutto diversa, dalla vita di Roma di trenta anni fa, anni in cui, nella capitale si poteva ancora girare tranquillamente in largo e in lungo, senza limitazioni di sorta.
Credo quindi, che tutta la tecnologia di cui siamo dotati in quest’epoca serva molto a poco, se poi non si è in grado di poter camminare, senza problemi ,nelle varie zone della propria città, visitandone le bellezze e le tradizioni, ricordo di tempi remoti
“Chi consegnerà il messaggio non avrà identità. Non sarà oppressore” R. Char, Erbe aromatiche cacciatrici in “La dimora del tempo sospeso, Quaderni di traduzioni LXXXII”, trad. di Francesco Marotta
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e tu conta il numero delle volte che sfuggo alla parola, una geografia che conosco il corpo: ha fame di queste fughe
in qualche luogo la parola ha lasciato un pezzo del braccio in qualche altro il piede
si incontrano i luoghi di uso quotidiano, basta aprire le porte di casa poi si nascondono gli uni negli altri
non vogliono farmi sapere dove ho lasciato il cordone ombelicale stampato in più copie
sanno che cerco la fuga dalla mia favola, l’indipendenza dall’identità